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05 maggio 2014

1 Giovanni 3: 1-10

Il cristiano e il peccato


Breve riflessione di Aldo Palladino

 

Il testo biblico
1 Vedete quale amore ci ha manifestato il Padre, dandoci di essere chiamati figli di Dio! E tali siamo. Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. 2 Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand'egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com'egli è. 3 E chiunque ha questa speranza in lui, si purifica com'egli è puro.
4 Chiunque commette il peccato trasgredisce la legge: il peccato è la violazione della legge. 5 Ma voi sapete che egli è stato manifestato per togliere i peccati; e in lui non c'è peccato. 6 Chiunque rimane in lui non persiste nel peccare; chiunque persiste nel peccare non l'ha visto, né conosciuto.
7 Figlioli, nessuno vi seduca. Chi pratica la giustizia è giusto, com'egli è giusto. 8 Colui che persiste nel commettere il peccato proviene dal diavolo, perché il diavolo pecca fin da principio. Per questo è stato manifestato il Figlio di Dio: per distruggere le opere del diavolo.
9 Chiunque è nato da Dio non persiste nel commettere peccato, perché il seme divino rimane in lui, e non può persistere nel peccare perché è nato da Dio. 10 In questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chiunque non pratica la giustizia non è da Dio; come pure chi non ama suo fratello.

 

Figli di Dio

La Bibbia insegna che chi riceve Gesù nel proprio cuore e lo accoglie come Signore e Salvatore della propria vita stabilisce una relazione con Dio, relazione come quella tra figlio/a e padre. Infatti, "chiunque nega il Figlio [Gesù], non ha neppure il Padre; chiunque riconosce pubblicamente il Figlio, ha anche il Padre" (2:23). La rivelazione di Dio come Padre, ancorché rinvenibile nell'Antico Testamento, è particolarmente accentuata nei Vangeli, in modo significativo in quello di Giovanni. Infatti, nell'affermazione di Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Gv 14:6), Dio è chiamato Padre e Gesù è l'unica via che conduce al Padre. Di conseguenza, Gesù ci porta nelle braccia del Padre, che ci accoglie e ci riconosce come suoi figli (1).
Essere figli di Dio è un privilegio, un diritto concesso da Dio in Cristo (Gv 1:12), ma ciò non significa la "nostra" vittoria sul peccato. La vittoria è del Signore e noi siamo vincitori con Lui soltanto per i suoi meriti, per il suo cammino di Uomo perfetto, per il suo dominio sulla morte con la potenza della Sua risurrezione.

Tra rifiuto e attrazione

Non dobbiamo, tuttavia, dimenticare che la nostra condizione di figli ci consegna anche un forte carico di responsabilità morale e spirituale, perché siamo chiamati ad una vita che onori la purezza e la santità di Dio Padre (3). Noi credenti sappiamo che il peccato è simile ad una bestia feroce sempre in agguato, pronta a dilaniarci, anche se talvolta si presenta con le forme apparentemente innocue della seduzione. La nostra vita  si svolge nella costante conflittualità tra rifiuto e attrazione e la lotta col peccato è continua. È per questo che il nostro testo ci invita a non dimenticare che:
- "chi persiste nel peccare non l'ha visto, né conosciuto" (6);
- "colui che persiste nel commettere il peccato proviene dal diavolo" (8);
- "chiunque è nato da Dio non persiste nel commettere peccato …e non può persistere nel peccare perché è nato da Dio" (9).


                                                                                                   Aldo Palladino

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