Salmo 146
Fiducia in Dio per il suo soccorso
Note esegetiche ed omiletiche
Salmo 146 (versione Luzzi/Riveduta)
1 Alleluia.
Anima mia, loda l'Eterno.
2 Io loderò l'Eterno finché vivrò, salmeggerò al mio Dio, finché esisterò.
3 Non confidate nei prìncipi,
né in alcun figliuol d'uomo, che non può salvare.
4 Il suo fiato se ne va, ed egli torna alla sua terra;
in quel giorno periscono i suoi disegni.
5 Beato colui che ha l'Iddio di Giacobbe per suo aiuto,
e la cui speranza è nell'Eterno,
suo Dio,
6 che ha fatto il cielo e la terra,
il mare e tutto ciò ch'è in essi;
che mantiene la fedeltà in eterno,
7 che fa ragione agli oppressi,
che dà del cibo agli affamati.
L'Eterno libera i prigionieri,
8 l'Eterno apre gli occhi ai ciechi,
l'Eterno rialza gli oppressi,
l'Eterno ama i giusti,
9 l'Eterno protegge i forestieri,
solleva l'orfano e la vedova,
ma sovverte la via degli empi.
10 L'Eterno regna in perpetuo;
il tuo Dio, o Sion, regna per ogni età.
Alleluia.
Breve introduzione al Salterio
Il Salterio, l'intera raccolta dei 150 Salmi, è stato chiamato dagli ebrei tehillim, "lodi, inni", alleluia allo stato puro, perché l'humus che nutre l'inno e la lode è fondamentalmente espressione del "bisogno più profondo e più nobile di ogni religione che è quello di adorare nella polvere chi è sopra di noi" (H. Gunkel).
Lutero, nella sua seconda prefazione al Salterio del 1528, afferma che i Salmi sono "una piccola Bibbia" in cui è presente la voce dell'umanità in tutte le sue situazioni. Una voce universale che esprime fede, preghiera, canto, pensiero, domanda.
Paolo Ricca afferma che chi si immerge nei Salmi "vi troverà una palestra in cui ci si esercita a porre o ad ascoltare le domande fondamentali della vita che tutti, credenti e non credenti, in un modo o nell'altro, prima o poi, si trovano a dover affrontare"([1]).
Gianfranco Ravasi, nell'introduzione generale ai suoi tre corposi volumi "Il Libro dei Salmi" (EDB), rappresenta il Salterio come "microcosmo" e come "famiglie". C'è il microcosmo redazionale, dell'AT, dell'umanità, della storia, quello letterario, teologico, della preghiera, liturgico, cristiano, musicale, simbolico, poetico, testuale, di lettori, bibliografico. E ci sono le famiglie dei salmi, quella innica, delle suppliche, di fiducia e gratitudine, la famiglia dei salmi regali, liturgica, sapienziale, storica. ([2])
Siamo di fronte, dunque, a componimenti di grande varietà e ricchezza che hanno ispirato prevalentemente la vita cultuale col canto accompagnato da strumenti a corde (questo è il significato di ψαλμός). D. Bonhoeffer esalta il valore dei Salmi definendoli "scalini che ci portano a Dio". E Lutero parla del Salterio come di "uno specchio puro, chiaro e bello" in cui " troverai anche te stesso…e Dio stesso e tutte le creature".
Breve introduzione al Salmo 146
Il Salterio si chiude con una serie di cinque salmi (146-150), che sono stati definiti "salmi alleluiatici" o "Hallel finale". Infatti, iniziano e terminano con un alleluia che intona la lode a Jahweh.
Il primo di questi Salmi è il 146, che è stato definito da H. Gunkel "un carillon di campane", in quanto il nome di Jahweh risuona nove volte in tutto il salmo ed è ripetuto cinque volte nei soli versetti da 7 a 9, creando l'idea di una percussione con un suono di campane.
Non per nulla Joseph Anton Bruckner ha composto un Salmo 146 per soli coro e orchestra.
Questo salmo appartiene alla famiglia innica, che segue il modello dell'inno individuale di lode quotidiana in onore del Dio liberatore, unica speranza e unico aiuto.
Secondo i LXX, la paternità del salmo è da attribuire ad Aggeo e Zaccaria (VI sec. a.C.), collocando così il carme nell'ambito dell'immediato post-esilio.
Ma la tesi più avvalorata è che esso risalga ad un'epoca più recente, anche se c'è una difficoltà di datazione.
NOTE ESEGETICHE
La struttura del salmo suggerisce di esaminarlo nel suo insieme anziché nei soli versetti da 5 a 10. Infatti, dopo l'invitatorio dei versetti 1-2, il corpo dell'inno presenta la contrapposizione di due fiducie – quella nell'uomo e quella in Jahweh - in un dittico antitetico (vv. 3-10) che credo sia bene non separare.
Il primo quadro di questo dittico, con una forma esortativa di tipo sapienziale, è negativo in quanto il Salmista invita a non riporre la propria fiducia nei prìncipi e in nessun altro essere umano a motivo della loro radicale fragilità (vv. 3-4). L'inno non dice che i capi non sono necessari né utili o che l'essere umano non ha alcun valore, ma intende affermare che la salvezza non viene dall'effimero e dal terreno. È un tema che attraversa l'Antico e il Nuovo Testamento, che ci ricorda l'errore, il peccato di Israele di confidare nei suoi dirigenti politici, incapaci di mantener fede al Dio del Patto e/o al Patto con Dio, inclini a basare la loro fede su alleanze umane, sugli aiuti delle superpotenze economiche, politiche e militari anziché sul Dio fedele, a confidare nella "carne" anziché sullo "spirito" di Dio.
Qualsiasi realtà umana deve sempre fare i conti con la finitudine della vita, che è come la ragnatela spazzata via dal vento (Gb. 8:14), come l'erba che al mattino è verde e fiorisce e la sera si secca (Sal 90:5-6; 103:15-16; Is. 40:7).
Il secondo quadro, che si oppone a quello della caducità della vita e delle cose su cui l'uomo tanto facilmente si fonda, afferma la beatitudine di chi ha fede in Dio (vv. 5), beatitudine che regge, nel testo ebraico, una sequenza dei seguenti nove participi (6-9a) e tre imperfetti (vv. 9b-10) di grande solennità.
I nove participi sono:
1) "creatore"del cielo e della terra;
2) "custode" della fedeltà all'alleanza; 3) "che fa" giustizia agli oppressi;
4) "datore" di pane agli affamati; 5) "liberatore" dei prigionieri;
6) "che apre" gli occhi ai ciechi; 7) "che rialza" chi è caduto;
8) "amante" dei giusti; 9) "custode" dello straniero.
I tre imperfetti, che nel nostro testo sono all'indicativo presente, sono:
1. "sostiene" l'orfano e la vedova,
2. "sconvolge" la via degli empi,
3."regna" per sempre.
Abbiamo qui un ritratto di Dio le cui azioni rappresentano una realtà che non tramonta mai perché Dio dalla creazione dei cieli e della terra alla realizzazione del regno eterno governa la storia con la sua fedeltà (v. 6), salva e libera l'umanità dal peccato e dalle sue nefaste conseguenze.
Così, gli oppressi (v. 7a), schiacciati dalla storia, ignorati dai politici, irrisi dalle potenze di questo mondo, hanno un unico difensore in Dio.
Egli "dà il pane agli affamati" (v. 7b), provvede il cibo a suo tempo ad ogni creatura (Sal 145:15) a differenza dell'uomo che sa solo creare squilibri e disparità al punto che alcuni sono nauseati dagli sprechi e dall'eccesso di cibo mentre altri, in vaste zone del mondo, muoiono di fame.
Dio è il liberatore dei prigionieri (v. 7c). Lo è stato nel passato quando ha dato libertà al popolo d'Israele con l'esodo dall'Egitto, ma lo è ancor più col la venuta di Gesù Cristo che ha dato voce e corpo alla libertà promessa.
Dio apre gli occhi ai ciechi (v. 8), che vedono la luce. "Questa, come è attestato dalla tradizione evangelica, è un'azione che non ha soltanto una rilevanza fisica, ma anche e soprattutto teologica. Essa diventa una sigla dell'era messianica (Is. 29:18; 35.5; 42:7). La rappresentazione della luce sulle tenebre è il segno di una nuova creazione (Gen. 1.2-5) ed essendo la luce simbolo divino e teofanico l'atto di illuminazione diventa segno di una nuova rivelazione di Dio all'umanità (Is. 9:1-2).
Dio rialza chi è caduto (v. 8b), come un padre che soccorre i figli in difficoltà. Se cadono nella polvere li risolleva e li riabilita, si prende cura di loro. Anna nella sua preghiera manifesta la sua fede nel Signore che "alza il misero dalla polvere, e innalza il povero dal letame, per farli sedere con i nobili, per farli eredi di un trono di gloria" (1 Sam. 2: 8).
Dio ama i giusti (v. 8c), cioè coloro il cui agire è regolato dalla fedeltà alla Torah e dalla fede nel Signore dell'alleanza (Gen. 15: 6). Il giusto è colui che risponde all'amore di Dio col suo amore e che accoglie la giustizia di Dio sottomettendo la propria vita in un rapporto di grazia e misericordia. Dio ama i giusti, cioè ama coloro che vivono per fede e che abbandonano a Dio la loro vita con tutte le imperfezioni e i loro inevitabili peccati.
Dio protegge lo straniero (v. 9a), in quanto soggetto debole che nella società veterotestamentaria poteva subìre vessazioni ed angherie quando veniva a trovarsi lontano dalla propria tribù o dal proprio paese. Sullo straniero si stende il manto protettore dellla difesa divina, che viene recepita nella Torah ( Es.22.20; Deut. 10: 18; 14:29; 24: 14-18).
Dio sostiene l'orfano e la vedova (v. 9b), due classi prive di "difensore" che vengono affidate alla tutela della Legge e di Dio.
Dio sconvolge la via degli empi (v. 9c), perché l'empio è una nota stonata, è un'area di tenebre che si oppone alla luce di Dio, è il rifiuto di un piano di pace e di felicità. Ma dobbiamo pensare che Dio possa sconvolgere la via dell'empio per mettergli davanti un'altra via, quella della conversione (Ez. 18: 23.32).
Dio regna per sempre (v. 10). La storia di Dio non finisce, ma ci introduce nello scenario meraviglioso del mondo nuovo in cui abitano giustizia, pace, pane, verità, liberazione, luce, amore, protezione. Alla lode iniziale del salmo ha fatto seguito l'inno all'azione salvifica di Dio, che è un cantico dell'amore divino nei confronti della povertà umana.
NOTE OMILETICHE
1. Le parole dell'autore del nostro salmo possono rappresentare la fine di un percorso attraversato da domande su Dio e sul senso della vita. E la fede è senz'altro un filtro interpretativo che dà il suo contributo per la scelta finale di schierarsi dalla parte di Dio e per ricevere delle risposte a quelle domande. Il bisogno fondamentale dell'uomo di cercare delle sicurezze soprattutto in tempo di crisi e di disorientamento generale qui viene soddisfatto celebrando le opere di Dio, che nella storia viene in soccorso dell'umanità. Soprattutto dopo le sofferenze dell'esilio, con la libertà riacquistata, Dio non è più l'"Eterno degli eserciti" da pensare in termini di onnipotenza, ma è L'Eterno della relazione e dell'aiuto verso un'umanità debole, fragile, incline al male e al peccato. Il ritratto di Dio è diverso a seconda dei momenti e delle circostanze storiche, ma è sempre un espediente per rispondere alle domande esistenziali della vita.
Eliezer Wiesel([3]) racconta in un suo libro([4]) – testimone oculare era Primo Levi ad Auschwitz - l'episodio della triplice impiccagione di due adulti e di un bambino alla cui esecuzione dovevano assistere tutti i prigionieri del lager per trarne una lezione esemplare. Scrive Wiesel: "I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora…. Più di mezz'ora restò così, a lottare tra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti. Dietro di me udii il solito uomo domandare: "Dov'è dunque Dio?". E io sentivo una voce che gli rispondeva; "Dov'è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca".
In questo periodo d'Avvento, il messaggio cristiano annuncia la novità di Dio che decide di condividere la sofferenza del mondo venendo tra noi in Gesù, l'Emmanuele, Dio con noi. Dio è il bambino che nasce per noi, vive per noi, morirà per noi. Egli è presente nella nostra esistenza terrena dalla nascita alla morte. Gioisce e piange con noi, non è mai lontano o fuori dalla nostra realtà.
Vito Mancuso così scrive nella sua ultima opera ([5]): "Credo in un Dio che prende così sul serio l'alleanza col mondo da essere coinvolto nel processo vitale mediante cui il mondo si fa, un Dio che si pone al servizio del mondo per farne scaturire mediante un interrotto processo il "regno di Dio". Credo in un Dio che, proprio come Gesù quella sera depose le sue vesti e prese a lavare i piedi ai discepoli, al momento della creazione depose la sua assolutezza e istituì quale assoluto non più se stesso, ma se stesso in comunione con il mondo, cioè il regno di Dio. Il regno è "Dio + mondo" ed è questo, cristianamente parlando, il vero assoluto, cioè la relazionalità totale dell'amore. In seguito all'incarnazione, Dio diviene un pezzo di mondo, e quindi l'assoluto non è più Dio in sé, ma Dio insieme al mondo, Dio "tutto in tutti" (1 Corinzi 15:28).
2. Se il Salmo 146 fotografa un Dio che sconfina nell'umano (e le Scritture ci rivelano che ciò è avvenuto nella persona di Gesù Cristo), non altrettanto si può dire dell'uomo verso il divino, perché la storia umana è contrassegnata da materialità, peccato, male, tenebre, ma anche spiritualità, ricerca del bene, sprazzi di luce. In questa alternanza il salmista segnala la tensione della fiducia nell'uomo o in Dio ed esorta a scegliere la via della fede in Dio, perché questa è la via della felicità: è "beato colui che ha l'Iddio di Giacobbe per suo aiuto, e la cui speranza è nell'Eterno, suo Dio" (v. 5). Venticinque beatitudini sono disseminate nel Salterio e tutte stanno lì a raccomandare una vita di devozione e di ubbidienza. La vita è un viaggio attraverso il tempo. Vivere significa scegliere un percorso particolare per l'esistenza da percorrere restando in contatto con la Fonte della vita. Gesù disse: "Beati quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica" (Lc. 11: 28).
Aldo Palladino
Bibliografia
Paolo Ricca, Davanti a Dio.Leggendo i Salmi. Claudiana, 2008.
James L. Mays, I Salmi. Claudiana. 2010.
Gianfranco Ravasi. Il Libro dei Salmi. EDB. 1999
(
[1]) Paolo Ricca,
Davanti a Dio.Leggendo i Salmi. Claudiana, Torino, 2008, pag. 7
(
[2]) Gianfranco Ravasi. Il Libro dei Salmi. Commento e attualizzazione. Vol. I, EDB, pagg. 13-65.
(
[3])
Eliezer Wiesel, scrittore statunitense di cultura ebraica e di lingua francese, sopravvissuto all'Olocausto. Egli è l'autore di 57 libri, incluso La notte, un racconto basato sulla sua personale esperienza di prigioniero nei campi di concentramento di Auschwitz, Buna e Buchenwald.[2] Wiesel è anche membro dell'Advisory Board del giornale Algemeiner Journal. Quando Wiesel fu premiato per il Nobel per la Pace nel 1986, il Comitato Norvegese dei Premi Nobel lo chiamò il "messaggero per l'umanità", affermando che attraverso la sua lotta per venire a patti con "la sua personale esperienza della totale umiliazione e del disprezzo per l'umanità a cui aveva assistito nei campi di concentramento di Hitler", così come il suo "lavoro pratico per la causa della pace, Wiesel aveva consegnato un potente messaggio di "pace, di espiazione e di dignità umana" alla stessa umanità (da Wikipedia).
(
[4]) Elie Wiesel.
La notte. La Giuntina, Firenze, 1980, pag. 67.
(
[5]) Vito Mancuso.
Il principio passione, Garzanti, Milano, 2013, pag. 425.