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06 ottobre 2024

I Pietro 4, 7-11


                                         I Pietro 4:7-11

Una meditazione di Aldo Palladino

Il testo biblico

7 Or la fine di tutte le cose è vicina; siate dunque temperati e sobri per dedicarvi alla preghiera.
8 Sopra ogni cosa, abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l'amore copre una gran quantità di peccati.
9 Siate ospitali gli uni verso gli altri senza mormorii.
10 Ciascuno, secondo il dono che ha ricevuto, lo metta al servizio degli altri, come buoni amministratori della svariata grazia di Dio.
11 Se uno parla, parli come annunciando oracoli di Dio; se uno compie un servizio, lo compia come traendo la forza che Dio fornisce, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartiene la gloria e l'imperio nei secoli dei secoli. Amen
.

 

Introduzione

La I epistola di Pietro è stata scritta intorno al 63-64 d.C. ed indirizzata alle comunità sparse in cinque province dell'Asia Minore: il Ponto, la Galazia, la Cappadocia, l'Asia e la Bitinia (odierna Turchia).  È una lettera dal tono pastorale che aveva lo scopo di incoraggiare quei primi cristiani a perseverare nel loro cammino di fede in un ambiente economico-sociale molto diffidente verso di loro. La loro conversione al cristianesimo creava delle fratture nella società e nelle loro stesse famiglie, perché non partecipare ai culti pagani, rifiutare il culto dell'imperatore romano era visto come un atto sovversivo e antisociale, era considerato una minaccia all'ordine pubblico. E tutto questo portava all' isolamento sociale e generava forti ostilità nei loro confronti, per cui spesso venivano discriminati, perdevano il lavoro e li esponeva perfino alla violenza fisica e alla persecuzione. A tali credenti, che vivevano una condizione di minoranza e che erano anche molto disorientati, Pietro scrive dunque questa epistola esortativa alla perseveranza e alla fedeltà al Signore che viene.

"La fine di tutte le cose è vicina"

Il testo della I Pietro 4:7-11 inizia con un'affermazione che ha un tono escatologico: "la fine di tutte le cose è vicina" (v.7). Non è una minaccia né un'intimidazione, ma un'esortazione all'attesa e alla vigilanza, cioè a vivere il presente avendo gli occhi fissi sul mondo a venire, ma con i piedi ben piantati nelle sfide e nelle opportunità del nostro tempo. I primi cristiani pensavano che il ritorno di Cristo fosse imminente e questa aspettativa modellava il loro modo di vivere.

E noi, credenti del XXI secolo, come reagiamo di fronte a questa esortazione di Pietro?

Dobbiamo sinceramente ammettere che le scoperte scientifiche e lo sviluppo tecnologico di questi ultimi tempi hanno influenzato il nostro modo di pensare e di vivere. Il crescente affidamento alla scienza e alla tecnologia ha contribuito alla secolarizzazione della società, alla nostra secolarizzazione. Il progresso scientifico ha messo in discussione molti dogmi religiosi, erodendo lentamente il ruolo della religione nella vita pubblica e privata. Nei paesi più sviluppati, il rapporto con la religione è divenuto sempre più personale e meno istituzionalizzato. L'idea di un Dio che interviene direttamente nella vita quotidiana sembra essere stata sostituita, per molte persone, da una visione più distaccata, in cui il soprannaturale ha un ruolo secondario rispetto alle spiegazioni razionali.

Siamo stati trascinati nella frenesia del consumismo digitale e abbiamo alimentato la cultura del "sempre connessi", riducendo sempre di più lo spazio per l'introspezione e la meditazione spirituale, che richiedono tranquillità e distacco. In sintesi, siamo diventati tutti più materialisti e abbiamo relativizzato i fondamenti di una vita cristiana autentica, che consideriamo anacronistici, appartenenti a un tempo passato.

Ma dobbiamo interrogarci quale sia il prezzo pagato per la perdita della dimensione spirituale, perché nonostante i progressi materiali, ci sentiamo profondamente insoddisfatti, infelici e alienati. Siamo tutti più soli e disumani, perché abbiamo ridotto o perso il nostro rapporto con Dio, abbiamo spezzato il legame col trascendente e abbiamo spostato l'attenzione dall'invisibile al visibile, dall'infinito al misurabile, volgendola al mondo tangibile e alle sue forme di seduzione.

Ma ecco che l'apostolo Pietro con le sue parole ci vuole oggi portare a riconsiderare la nostra vita di fede in Dio e in Gesù Cristo. "La fine di ogni cosa è vicina" ci dice che dobbiamo fare i conti con la nostra finitudine, con la precarietà della nostra vita e, soprattutto, con la realtà futura che un giorno incontreremo il Signore. È una realtà che ci pone di fronte alla nostra responsabilità di saper utilizzare il nostro tempo, le nostre energie e i nostri doni qui ed ora.

Come?

Pietro ci dà le indicazioni per una vita cristiana vera, non fatta di parole ma vissuta, pratica. Egli ci dice quali sono le virtù che nutrono la vita cristiana.

LE VIRTÙ DEL CRISTIANO

1.   Temperanza e sobrietà (v. 7). Essere temperanti e sobri per avere una vita di preghiera, cioè una vita di relazione con Dio, un colloquio permanente col Signore che alimenta il nostro pensiero e i nostri sentimenti. Si prega non necessariamente a parole. Si prega pure avendo un cuore e una mente rivolte al Signore per ringraziarlo, lodarlo e per intercedere per i bisogni  del mondo.

 2.   Amore intenso gli uni per gli altri, "perché l'amore copre moltitudine di peccato" (v. 8). L'amore è il principio cardine del cristianesimo. Gesù ha riassunto ha riassunto tutta la legge in due comandamenti principali: amare Dio e amare il prossimo come se stessi (Matteo 22, 37-40). Amare è imitare l'amore infinito e incondizionato di Dio per l'umanità espresso col dono di suo Figlio sul legno della croce (Giovanni 3,16). È un amore che crea legami di fraternità, di solidarietà e che rafforzano le relazioni all'interno di una comunità, perché l'amore favorisce il perdono dei peccati, quelli propri e quelli altrui, avviando un processo di riconciliazione e di riparazione dei danni provocati dal peccato. In una comunità, i peccati come l'orgoglio, la gelosia, l'invidia, l'egoismo, la ricerca del potere personale possono distruggere le relazioni, creare divisioni e conflitti. Ma l'amore, inteso come compassione, pazienza e tolleranza, ha il potere di "coprire" questi peccati, ovvero di attenuare i loro effetti distruttivi.

     Nelle relazioni della società civile sembra utopistico parlare di amore ma non è così. Le leggi che regolano la convivenza e garantiscono un certo ordine sociale possono creare le condizioni in cui l'amore può prosperare. L'amore non è separato dalla giustizia, dalla pace, dalla libertà. Sono concetti interconnessi e interdipendenti perché l'amore si esplica in tutte le svariate forme all'interno delle reazioni umane.  Ad esempio Martin Luther King e il Mahatma Gandhi hanno considerato l'amore, espresso nella nonviolenza, come una forza potentemente trasformativa nelle loro battaglie per il cambiamento sociale. Dunque, l'amore può certamente essere espresso in una società e, anzi, può essere un motore per migliorare le leggi e le strutture sociali.

 3.   Ospitalità senza mormorii (v. 9).

     L'ospitalità era una virtù fondamentale nelle prime comunità cristiane per diverse ragioni di natura   teologica, sociale e pratica. Il concetto di accoglienza e ospitalità aveva radici profonde sia nel contesto culturale dell'antichità che nell'insegnamento cristiano. Nelle radici bibliche troviamo vari racconti di ospitalità: Abramo che accoglie degli stranieri, che poi si rivelano degli angeli, (Genesi 18) e, nel Nuovo Testamento, Gesù predica e pratica l'ospitalità di peccatori, poveri e malati ed esorta i discepoli a trattare lo straniero come si tratterebbe lui stesso: "Ero straniero e mi avete accolto" (Matteo 25:35). C'è anche da considerare che in quei tempi l'ospitalità era una forma di mutua assistenza e i viaggiatori, i missionari, i predicatori dovevano avere un posto sicuro dove riposarsi visto che all'epoca non c'erano hotel o alberghi.  Peraltro, nelle comunità era dimostrazione di unità e fraternità, soprattutto solidarietà in tempi di persecuzione, ed espressione di fede e carità cristiana.   Oggi, la pratica e la cultura dell'ospitalità l'abbiamo abbandonata sia perché nella nostra società occidentale sono cresciuti i servizi sociali sia perché il benessere economico ha accresciuto l'individualismo e l'autonomia personale che non richiede l'aiuto di altri.. In più, si è aggiunta oggi la paura dello straniero e l'ospitalità di una volta è stata fortemente marginalizzata e compromessa.   L'ospitalità va oltre l'accoglienza fisica: è un atteggiamento del cuore che abbraccia l'altro con calore e accoglienza. Pietro aggiunge "senza mormorii", indicando che l'ospitalità non deve essere offerta con riluttanza o risentimento, come un peso, ma con gioia. Questo vale anche per noi nel 2024. Anche se viviamo in un mondo più complesso, l'ospitalità rimane un valore fondamentale per la chiesa come anche per la famiglia. In un'epoca di isolamento sociale e fratture relazionali, la chiesa è chiamata a essere un luogo di accoglienza e inclusione, dove chiunque si senta benvenuto. Essere ospitali oggi potrebbe significare aprire le nostre case, ma anche i nostri cuori, creando spazi di ascolto, supporto e cura reciproca. È un invito a praticare la generosità e a vedere l'altro come un dono di Dio.

4.   La buona amministrazione della svariata grazia di Dio (10).

     Chi ha ricevuto il compito di amministrare la svariata, multiforme grazia di Dio ha il privilegio di svolgere un servizio in nome e per conto di Dio. E poiché Dio è pieno amore, misericordia e grazia, quel servizio deve essere lo specchio o il riflesso di questi attributi divini. Occorre servire Dio con umiltà senza trionfalismi, avere amore per il prossimo offrendo aiuto ai bisognosi, conforto a chi è afflitto e sostegno a chi è in difficoltà. E soprattutto bisogna avere comportamenti benevoli senza giudizi e pregiudizi, cercando di non giudicare ma di comprendere e perdonare con saggezza e responsabilità. Non è un compito facile ma impegnativo, che deve essere svolto con molto discernimento, con costanza e perseveranza e soprattutto con la finalità di glorificare il Signore.

5.   Servire gli altri coi propri doni (11).

Compito di tutti i credenti è di mettere i talenti, i doni ricevuti al servizio degli altri e della chiesa, perché essi ci sono stati dati non solo per il nostro beneficio ma per anche per il bene degli altri e della comunità. Pietro dice: "Ciascuno, secondo il dono che ha ricevuto, lo metta al servizio degli altri, come buoni amministratori della svariata grazia di Dio". Ogni credente ha ricevuto doni particolari da Dio, e la chiesa è edificata quando ognuno utilizza i propri doni per il bene comune. I doni che Dio ci dà non sono per il nostro vantaggio personale o per il nostro orgoglio, ma per servire gli altri. La chiesa è un corpo, e ogni membro ha un ruolo unico da svolgere.                                      Nel 2024, siamo chiamati a riscoprire i nostri doni e a metterli in gioco per l'edificazione della chiesa e il servizio del mondo. Questo include non solo doni spirituali come l'insegnamento, la profezia o il discernimento, ma anche capacità pratiche, come il lavoro manuale, l'arte, la tecnologia o la leadership. Il mondo ha bisogno di vedere una chiesa in azione, che usa ogni suo dono per portare luce dove c'è tenebra, guarigione dove c'è ferita, e speranza dove c'è disperazione.

 6.   Parlare, servire e glorificare Dio (11)

     Nel versetto 11 del nostro testo, Pietro ricorda che "se uno parla, parli come annunciando oracoli di Dio; se uno compie un servizio, lo compia come traendo la forza che Dio fornisce, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo". Dei doni presenti nella comunità dei credenti Pietro evidenzia quello della predicazione e della diaconia. Predicare o parlare "come oracoli di Dio" non significa avere risposte divine su ogni argomento, ma piuttosto parlare con la consapevolezza che le nostre parole devono edificare, incoraggiare e portare verità. E nel mondo di oggi, dove la comunicazione è spesso distorta e conflittuale, anche i credenti sono chiamati a essere portatori di parole di vita e di speranza.                                                                                               Allo stesso modo, la diaconia, ogni nostro servizio di assistenza, deve essere fatto non per ottenere riconoscimento personale, ma per mostrare la potenza di Dio all'opera in noi. Infatti, è il Signore che dona la forza per un servizio che Lo possa glorificare.

 Un messaggio di esortazione

In questi tempi bui e tormentati, il nostro mondo è immerso in una spirale di violenza che sembra non avere fine. Guerre devastanti, massacri, genocidi disumani affliggono intere popolazioni, distruggendo vite innocenti e portando l'umanità a livelli di crudeltà che spezzano il cuore. Gli orrori che vediamo nei conflitti tra Russia e Ucraina, tra Israele e i paesi limitrofi del mondo musulmano, sono solo alcuni dei segni più evidenti della follia diffusa che sta divorando il nostro mondo. Ora più che mai, è indispensabile un ritorno a Dio, alla Sua giustizia, alla Sua misericordia.                                           Come comunità di credenti, dobbiamo essere fari di luce nelle tenebre. Dobbiamo impegnarci a costruire ponti dove altri innalzano muri. Dobbiamo pregare incessantemente per la pace, ma anche lavorare attivamente per essa, testimoniando con le nostre vite la potenza trasformante del Vangelo. Non possiamo più permettere che il male regni sovrano nel mondo; siamo chiamati a essere sale e luce (Mt. 5, 13-16), come Gesù ci ha insegnato. Questo richiede un impegno rinnovato, un ritorno a Dio con tutto il cuore. Solo con la Sua grazia possiamo trovare la forza per affrontare le sfide che abbiamo davanti. Solo attingendo alla fonte inesauribile del Suo amore possiamo rispondere alla violenza con pace, all'odio con perdono, alla disperazione con speranza.                                                                           Oggi più che mai il mondo ha bisogno della testimonianza viva della nostra fede. Non lasciamo che le tenebre della malvagità prevalgano. Ritorniamo a Dio e mostriamo al mondo che un'altra via è possibile. Che la pace di Cristo regni nei nostri cuori, nelle nostre comunità, e in tutta l'umanità. 

Amen.                                                             

 

Aldo Palladino

02 ottobre 2024

L'Apocalisse di Giovanni



L'APOCALISSE DI GIOVANNI

Una Introduzione a cura di Aldo Palladino

I lettori che per la prima volta intraprendono la lettura dell'Apocalisse (o Rivelazione) di Giovanni, dopo alcuni capitoli, hanno la sensazione di trovarsi di fronte a un testo ermetico, misterioso, difficile da capire e per certi aspetti perturbante.  Però, se si ha la costanza di leggerlo fino in fondo si riesce a cogliere il suo messaggio centrale: Gesù Cristo è il Signore della storia che ha vinto il peccato, la morte. Egli trionferà sulle potenze del male e instaurerà il suo Regno di giustizia e di pace. Per questo motivo, i cristiani di ogni tempo, anche se attraversano prove, persecuzioni e sofferenze, sono esortati a stare saldi nella fede, ad affrontare le ostilità della vita reale e sempre in attesa della realizzazione delle promesse ricevute. Dunque, il libro dell'Apocalisse è un testo che possiamo definire altamente cristologico, che sviluppa vari temi e rivela che:

-     Dio ha la sovranità e il controllo di tutto ciò che accade nel mondo, nonostante la sua apparente assenza o lontananza. Egli guiderà la storia verso la sua conclusione e il suo piano si realizzerà con il suo trionfo sulla storia umana e su tutte le forze ostili.

-     Gesù Cristo, rappresentato come l'Agnello immolato ma trionfante, ritornerà per stabilire il Suo regno eterno, riportando la definitiva vittoria sul peccato e la morte, sul male e su tutte le potenze mondane.

-     Ci sarà il giudizio finale di Dio su tutti coloro che si oppongono alla Sua volontà e sulla creazione corrotta. I nemici di Dio, tra cui il drago (Satana), la bestia e Babilonia, simbolo di ogni potere oppressivo e idolatrico, verranno giudicati e distrutti.

-     Dio creerà un nuovo cielo e una nuova terra, un mondo completamente redento dove non ci saranno più dolore, sofferenza, morte o peccato. Questa visione di una nuova Gerusalemme è un simbolo di restaurazione e perfezione per l'umanità e il creato e rappresenta la piena comunione tra Dio e il Suo popolo, in un mondo in cui Dio "asciugherà ogni lacrima" e "non ci sarà più morte" (Apocalisse 21, 4).

-     I credenti devono rimanere fedeli e perseverare nella fede, nonostante le tribolazioni e le persecuzioni. Le lettere alle sette Chiese, nei primi capitoli, contengono ammonimenti, promesse e incoraggiamenti, rivolti a comunità che affrontano persecuzioni, falsi insegnamenti e difficoltà spirituali. Queste comunità sono esortate a non cedere alle pressioni del mondo, al culto idolatrico dell'Impero o a qualsiasi altra forza che si opponga a Dio. Coloro che rimarranno saldi riceveranno la corona della vita (Apocalisse 2,10).

-     Il risultato della lotta cosmica tra le forze del bene (Dio, Cristo e i suoi angeli) e le forze del male (Satana, la bestia, Babilonia) è già deciso: il bene trionferà e il male sarà definitivamente sconfitto.

L'Apocalisse di Giovanni, intende dunque incoraggiare in particolare la generazione di credenti vissuta fra la persecuzione neroniana (64 d.C.) e quella dell'imperatore romano Diocleziano (morto nel 96 d.C.) ad avere speranza e fiducia in Dio e in Gesù Cristo. Anche se le forze del male possono dominare per un tempo, la loro sconfitta è certa. Il mondo verrà trasformato e nella nuova creazione Dio abiterà con il Suo popolo.

 

Per meglio comprendere il libro dell'Apocalisse occorre, però, avere ben chiaro che esso utilizza un tipo di linguaggio che appartiene al genere letterario della cosiddetta letteratura apocalittica.

 

Il linguaggio dell'Apocalisse di Giovanni

È un linguaggio che si alimenta di simboli, visioni, profezie, immagini mitologiche e misteriose, tutti elementi tipici del genere letterario apocalittico.

Infatti, nella lettura del testo rinveniamo:

 

1.   Simboli numerici come 3, 4, 7, 12 e 1000 che hanno significati simbolici. Ad esempio, il numero indicante Dio è 3, mentre 4 indica il mondo. La loro somma, 7, o il loro prodotto, 12, indicano l'azione perfetta di Dio nel mondo. Il numero 7, inoltre, rappresenta spesso la pienezza o la totalità (sette chiese, sette sigilli, sette trombe, sette angeli , sette flagelli, sette coppe).

    Altro numero degno di nota è il 666 (Apoc. 13,18) che nel corso della storia è stato interpretato in molti modi, tutti con un'accezione negativa. Satana è la figura principale che legittimamente sta dietro questo numero, ma c'è chi vi ha visto "Cesare Nerone", Domiziano Cesare", " Cesare è Dio", traducendo in lettere il valore numerico (gematria).

    Infine ancora due numeri, 1000 e 144000.

    1000 è la durata del Regno millenniale, che i millenaristi o chiliasti interpretano in senso letterale, a differenza degli spiritualisti che l'intendono in senso allegorico.

    144000 è il risultato di 12x12x1000. 12 sono i discepoli di Gesù, 12 sono le tribù d'Israele e 1000 è sinonimo di grandezza. Dunque, questo numero indicherebbe la grandezza e la perfezione della salvezza degli eletti.

2.   Visioni: il testo è ricco di descrizioni di visioni soprannaturali. Queste visioni riguardano scene celesti, creature mostruose, giudizi divini e battaglie cosmiche.

3.   Immagini mitiche e cosmiche: l'Apocalisse presenta creature straordinarie come il drago, la bestia con sette teste, i quattro cavalieri e altri simboli tratti da immagini mitologiche o legate al simbolismo ebraico e antico vicino-orientale.

4.   Linguaggio dualistico: il libro presenta un contrasto netto tra bene e male, luce e tenebre, Dio e Satana. Questo è tipico del genere apocalittico, che spesso enfatizza una battaglia finale tra le forze del bene e del male.

5.   Allusioni bibliche: molti simboli e immagini dell'Apocalisse derivano dall'Antico Testamento, specialmente dai libri profetici come Daniele, Ezechiele, Isaia, Geremia e Zaccaria. Il linguaggio è intriso di riferimenti biblici che danno profondità e stratificazione ai simboli.

6.   Linguaggio catastrofico: vengono utilizzate espressioni forti per descrivere disastri cosmici e giudizi divini (terremoti, oscuramento del sole, piaghe, ecc.), che enfatizzano l'imminenza del giudizio finale.

In generale, il linguaggio dell'Apocalisse non deve essere interpretato alla lettera, ma richiede un'interpretazione che aiuti il lettore a comprendere gli eventi descritti inquadrandoli in una dimensione teologica del testo.

La letteratura apocalittica

È una letteratura ricca di apocalissi, un genere di testi che trattano visioni e rivelazioni divine su eventi futuri, spesso riguardanti la fine dei tempi, il giudizio divino e la trasformazione del mondo. Questo genere è particolarmente presente nella tradizione giudaica e cristiana, ma può trovarsi anche in altre culture.

 

I due libri apocalittici accolti nel canone biblico (giudaico-cristiano) sono:

  1. Il Libro di Daniele (Antico Testamento): È considerato il più antico e uno dei principali testi apocalittici della Bibbia ebraica. In particolare, i capitoli dal 7 al 12 presentano visioni simboliche della fine dei tempi, con figure come il "Figlio dell'uomo" e animali che rappresentano imperi mondiali.

2.     L'Apocalisse di Giovanni (noto anche come "Libro della Rivelazione") fu ufficialmente riconosciuta come parte del canone biblico durante il Concilio di Cartagine del 397 d.C.. Questo concilio, insieme a quello precedente di Ippona (393 d.C.), giocò un ruolo cruciale nella definizione del canone del Nuovo Testamento, confermando i 27 libri attualmente accettati dalla maggior parte delle Chiese cristiane.                                                                    Il processo di inclusione dell'Apocalisse nel canone, però, fu lungo e complesso. Il libro era già utilizzato in molte comunità cristiane precedenti al concilio, ma vi furono controversie su di esso, soprattutto in Oriente, a causa del suo linguaggio enigmatico e delle difficoltà interpretative. Tuttavia, a partire dal IV secolo, grazie all'influenza di teologi come Sant'Agostino, l'Apocalisse venne progressivamente accettata come canonica.

 

Ci sono, poi, i Libri apocalittici deuterocanonici (per i cattolici) o apocrifi (per i protestanti).

Questi testi non sono considerati canonici nel canone ebraico o protestante, ma sono inclusi nella Bibbia cattolica o ortodossa:

  1. 2 Maccabei: sebbene non sia strettamente un libro apocalittico, presenta elementi di resurrezione e giudizio che influenzano la teologia apocalittica giudaica.
  2. Libro di Baruc: include una sezione che può essere considerata apocalittica, in quanto descrive la venuta di una nuova alleanza con il popolo di Dio.
  3. 4 Esdra (anche chiamato "Apocalisse di Esdra"): un testo giudaico apocalittico, presente nell'appendice della Vulgata latina. Questo libro presenta visioni che anticipano la fine del mondo, il giudizio divino e la resurrezione dei morti.

 

Libri apocalittici apocrifi e pseudepigrafi

Oltre ai testi canonici, esiste una vasta letteratura apocalittica tra i testi apocrifi (non canonici) e pseudepigrafi (attribuiti falsamente a figure bibliche):

  1. Apocalisse di Enoc[1]: un testo giudaico apocalittico, presente nella tradizione etiope, che descrive visioni del giudizio finale, viaggi cosmici e la ribellione degli angeli caduti.
  2. Apocalisse di Baruc o 2 Baruc: un altro testo apocrifo giudaico che presenta visioni sul destino di Gerusalemme e sul giudizio finale.
  3. Apocalisse di Abramo: un testo pseudepigrafo ebraico che racconta una visione di Abramo riguardante il futuro giudizio dell'umanità.
  4. Apocalisse di Mosè: parte del più ampio "Vita di Adamo ed Eva", un testo apocrifo che presenta il giudizio e la redenzione dell'umanità.

Altri testi apocalittici

Infine, ci sono altri testi rilevanti per la letteratura apocalittica:

10.  Apocalisse di Pietro: un testo cristiano apocrifo che descrive il paradiso e l'inferno, fornendo dettagli su come i peccatori saranno puniti e i giusti ricompensati.

11. Apocalisse di Paolo: simile all'Apocalisse di Pietro, questo testo descrive un viaggio visionario di Paolo attraverso il paradiso e l'inferno.

In totale, ci sono più di una decina di testi apocalittici significativi nella letteratura apocalittica giudaica e cristiana.

Molti frammenti di testi apocalittici [2], conosciuti come manoscritti del Mar Morto, sono stati rinvenuti a Qumran. Facevano parte della biblioteca della comunità essena, che viveva nella zona di Qumran, vicino al Mar Morto, tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C. I frammenti apocalittici trovati riflettono l'importanza della visione escatologica e messianica nella vita religiosa di questa comunità.

 

 LE INTERPRETAZIONI

L'Apocalisse di Giovanni è stata interpretata attraverso varie chiavi di lettura nel corso della storia del Cristianesimo. Esistono principalmente quattro metodi di interpretazione: il letteralista e simbolico, lo storico, l'escatologico, il ciclico  e l'ecumenico. Ognuno di essi si concentra su un approccio diverso per comprendere il significato simbolico, storico, teologico e profetico del testo. Di seguito elencherò questi metodi con una breve descrizione delle linee esegetiche seguite.

 1. L'interpretazione letteralista e simbolica

Il metodo letteralista è un'interpretazione letterale degli eventi descritti nell'Apocalisse che si verificheranno alla fine dei tempi molto seguita nel mondo cristiano evangelicale dalle correnti dispensazionaliste, millenariste e fondamentaliste. La fede che alimenta i credenti di queste comunità si nutre dell'attesa della realizzazione di quegli avvenimenti così come è scritto. Per questo la grande tribolazione, l'Anticristo, la Bestia, la vittoria di Gesù Cristo sulla bestia, il millennio, i nuovi cieli e la nuova terra, la Gerusalemme celeste, ecc., sono visti come eventi futuri che dovranno realmente accadere.

Il metodo simbolico considera l'Apocalisse come un'opera simbolica che esprime verità spirituali e teologiche universali, non necessariamente collegate a eventi storici specifici. Questo approccio vede l'Apocalisse come una rappresentazione simbolica della lotta eterna tra il bene e il male, tra Dio e Satana, tra la Chiesa e le forze ostili. Gli interpreti di questo metodo tendono a non vedere nel testo un riferimento a eventi storici o futuri precisi, ma piuttosto un'illustrazione dei principi spirituali che governano la vita cristiana. Gli eventi apocalittici sono simboli del conflitto morale e spirituale che ogni cristiano deve affrontare, e il messaggio principale è quello della vittoria finale di Cristo su tutte le forze del male.

2.  L'interpretazione storica

Il metodo storico interpreta i simboli dell'Apocalisse e gli eventi narrati mettendoli in relazione  con la realtà storica del tempo in cui il libro è stato scritto. È quindi  un testo rivolto in primis ai credenti dell'epoca giovannea che si trovavano sotto le persecuzioni dei due imperatori romani, Nerone e Diocleziano (54-96 d.C.). Lo scopo del libro, dunque, è quello di aiutare quella generazione di credenti a comprendere il tempo che stavano vivendo e ad affrontarlo con coraggio e fedeltà, confidando nella potenza della croce di Gesù Cristo, morto e risorto per la redenzione dell'umanità. Il carattere esclusivamente storico di questo metodo è stato criticato da diversi studiosi perché riduce a nulla il suo significato per il nostro tempo, essendo rivolto totalmente a comprendere il passato.

 3.  L'interpretazione escatologica

Questo approccio si concentra sugli eventi ultimi o finali della storia umana, cioè sugli eventi che riguardano la fine dei tempi, il giudizio finale e il compimento del regno di Dio. È un'interpretazione che ha come temi:

-     La grande tribolazione (Apoc. 6-19), un periodo di crisi del mondo con catastrofi, guerre, pestilenze e persecuzioni contro i credenti.

 

-   Il ritorno di Gesù Cristo (parusìa) (19,11-16), che ha alimentato la fede dei primi cristiani (che credevano che quel ritorno fosse imminente) ed è ancora oggi viva nella confessione di fede di molte chiese. I pre-millenaristi credono che il ritorno di Gesù avverrà prima del regno milleniale; i post-millenaristi, interpretando il millennio in modo simbolico, ritengono che il regno di Cristo sarà stabilito gradualmente sulla Terra prima del suo ritorno, grazie alla diffusione del Vangelo e alla vittoria del cristianesimo nel mondo.; gli a-millenaristi, interpretando il Millennio in modo simbolico, rappresentando il regno spirituale di Cristo che è già in corso attraverso la Chiesa.

 - la sconfitta delle forze diaboliche (19-20): Satana, la Bestia, il falso profeta , saranno distrutti e gettati nello stagno o lago di lago di fuoco.

 -  Il regno millenario (20), un regno di mille anni durante il quale Gesù Cristo regnerà sulla terra.

 -  Il giudizio universale (20,11-15), in cui tutti gli esseri umani, vivi e morti, saranno giudicati da Dio in base alle loro opere.

-  I nuovi cieli e la nuova terra (21,1-8), secondo il piano divino, sostituiranno la prima terra.

 

-     La nuova Gerusalemme (21,9-26), cioè la città perfetta, simbolo della dimora eterna di Dio con il suo popolo, che scenderà dal cielo.

Dunque, l'interpretazione escatologica dell'Apocalisse enfatizza la speranza della restaurazione finale, la giustizia divina, e l'instaurazione di un nuovo ordine perfetto. Il cuore dell'escatologia cristiana è la certezza che, alla fine, Dio regnerà sovrano, il male sarà sconfitto e i giusti vivranno eternamente con Lui in una nuova creazione perfetta.

Infine, per completezza, ci sono altre due interpretazioni, quella ciclica e quella ecumenica.  

4.  L'interpretazione ciclica

Questa interpretazione non considera gli eventi dell'Apocalissi non in una progressione lineare del tempo bensì in modo ciclico perché la storia umana ha un corso e dei ricorsi, delle ripetizioni, dei ritorni come quelle delle stagioni, nel senso che la lotta tra le forze del bene e del male, la persecuzione della Chiesa e la vittoria finale di Dio si ripetono in ogni generazione. Oscar Cullmann e la sua scuola hanno fortemente criticato questa idea, perché nella Bibbia il tempo si sviluppa in modo lineare con un inizio (creazione), un punto culminante (l'incarnazione di Cristo) ed una fine (la manifestazione del Regno di Dio).

 6.  L'interpretazione ecumenica

Definita anche sincretistica, questa interpretazione, riconoscendo che il testo apocalittico è complesso e può avere significati multipli, si approccia al testo mettendo insieme elementi più interpretazioni (simbolica, storica, escatologica), evitando di limitarsi ad una sola prospettiva.

 

L'AUTORE

L'Apocalisse di "Giovanni" viene attribuita a un certo Giovanni in base all'indicazione di Apocalisse1,1 e 1,9 ma il testo non specifica quale Giovanni sia. Ci dice soltanto che tale Giovanni si trovava nell'isola di Patmos (appartenente all'odierna Turchia) "a causa della parola e della testimonianza di Gesù" ma non ci sono prove dirette che Giovanni sia stato a Patmos. La tradizione indica che quel Giovanni è il discepolo di Gesù, l'autore del Vangelo e delle tre lettere omonime del NT, perché uno scritto gnostico, extrabiblico, citato da Ireneo e scoperto nel 1955, indicava l'apostolo Giovanni come l'autore dell'Apocalisse. Ma gli studiosi hanno buoni motivi per pensare che quel Giovanni non sia l'apostolo, adducendo ragioni teologiche  e letterarie. Vediamole.

L'Apocalisse differisce notevolmente dal Vangelo di Giovanni e dalle lettere di Giovanni (1, 2 e 3 Giovanni) per il linguaggio e lo stile letterario. Utilizza, inoltre, un greco molto più semplice e a volte "sgrammaticato", con numerose irregolarità linguistiche e con una sintassi spesso scorretta, a differenza del greco del Vangelo di Giovanni che è fluente e raffinato. C'è da dire anche che l'Apocalisse usa uno stile simbolico e apocalittico mentre il Vangelo ha un tono narrativo e teologico.

     Ci sono, inoltre, differenze teologiche tra l'Apocalisse e gli altri scritti giovannei. Ad esempio, l'Apocalisse si presenta con toni minacciosi di giudizio e di punizione dei malvagi mentre il Vangelo di Giovanni pone l'accento sull'amore di Dio e sulla salvezza attraverso la fede in Gesù.

     Sul versante della cristologia nel Vangelo di Giovanni, Gesù è visto come il "Verbo incarnato" e l'accento è posto sulla sua identità divina in termini di amore e redenzione. Nell'Apocalisse, Gesù è rappresentato come il giudice escatologico, spesso identificato con figure simboliche come l'Agnello o il Guerriero celeste.

     Infine, l'autore dell'Apocalisse si presenta non tanto come un apostolo, ma piuttosto come un profeta. Le sue visioni sono simili a quelle dei profeti dell'Antico Testamento, e molti studiosi ritengono che il titolo di "profeta" non sarebbe stato il modo in cui un apostolo si sarebbe normalmente presentato, dato che gli apostoli erano considerati testimoni oculari della vita di Gesù.

Per questi motivi, molti studiosi moderni ritengono che l'autore dell'Apocalisse non sia Giovanni l'apostolo, ma piuttosto un'altra figura cristiana con il nome Giovanni, che potrebbe essere stato un profeta cristiano attivo verso la fine del I secolo d.C., un cristiano giudeo con una sensibilità apocalittica particolare. La complessità del linguaggio, delle visioni simboliche e delle riflessioni teologiche dell'Apocalisse suggerisce che l'opera provenga da un contesto diverso rispetto agli altri scritti giovannei, rendendo improbabile l'identificazione dell'autore con il discepolo di Gesù.

In sintesi, mentre la tradizione antica ha identificato l'autore dell'Apocalisse con Giovanni l'apostolo, le differenze stilistiche, teologiche e storiche fanno pensare a molti studiosi che l'autore sia un diverso Giovanni.

 

DATA E LUOGO DI COMPOSIZIONE

Gli studiosi dibattono ancora oggi sulla data della composizione dell'Apocalisse. La principale ipotesi, sostenuta nell'antichità da Ireneo, è che sia stata scritta verso la fine del I secolo d.C., intorno al 90-96 d.C., cioè alla fine del regno dell'imperatore Domiziano. Le visioni del cap. 13 dell'Apocalisse sembrano avvalorare questa ipotesi poiché le bestie che salgono l'una dal mare e l'altra dalla terra rappresentano l'imperatore che pretende che la sua immagine venga adorata. E Domiziano è l'imperatore che perseguitò a morte tutti i cristiani che non bruciarono incenso davanti alla sua immagine.

Tuttavia, alcune teorie suggeriscono una data anteriore, durante la persecuzione di Nerone, attorno al 64-69 d.C. poiché il testo di Apocalisse 17,10 menziona un quinto imperatore, che nella storia corrisponde a Nerone.

Per quanto riguarda il luogo della composizione, la tradizione indica che l'Apocalisse è stata scritta sull'isola di Patmos (1,9), situata nel Mar Egeo, vicino alla costa occidentale dell'odierna Turchia.

CONCLUSIONE

L'Apocalissi di Giovanni, nonostante tutte le interpretazioni e le controversie che su di essa si sono accese nel corso della storia, è da tenere in alta considerazione. Il suo valore è certamente legato al fatto che per i primi cristiani è stato uno strumento di consolazione, di incoraggiamento e di guida durante il periodo delle persecuzioni. Ma anche per noi, oggi, che viviamo una realtà di guerre, di genocidi e massacri disumani, essa è parola di Dio che ci invita ad essere attenti ai segni che Dio ci mette davanti per riconoscere i passi dello Sposo che si avvicina per venire ad incontrare la sua Sposa e prenderla con sé nella gioia del suo Regno. Non sappiamo quando tutto questo avverrà, ma abbiamo la certezza che il Signore tiene saldamente nelle sue mani le sorti di questo mondo e che il Signore Gesù Cristo, crocifisso e risorto, non è lontano.

                                                                                                                    Aldo Palladino


[1] L'Enoc apocalittico è citato nella lettera di Giuda al v. 14. L'Apocalisse di Enoc è contenuto nel libro di Enoc ed è chiamata anche Prima Apocalisse o Apocalisse dei Sogni.

[2] Tra i manoscritti apocalittici rinvenuti ci sono: il libro di Enoch, il Libro dei Giubilei, l'Apocalisse di Daniele, la Regola della guerra e il Rotolo del Tempio.