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22 dicembre 2007

PER UN NATALE DIVERSO


Un giorno un ragazzo povero - che per pagare i suoi studi vendeva beni di porta in porta - si accorse che gli era rimasta solamente una monetina da dieci centesimi, e aveva fame. Così decise di chiedere da mangiare alla porta di una casa. Quando vide che ad aprire la porta era una giovane donna si perse di coraggio e, invece di un pasto, gli riuscì solo di chiedere un bicchier d'acqua. Lei però lo vide così sfinito ed affamato che pensò di portargli un grosso bicchiere di latte. Lo bevve lentamente e poi chiese: "Quanto le devo?"
"Non mi deve niente – rispose lei – Mamma ci ha insegnato a non accettare mai compensi per una gentilezza".
Lui disse: " Allora la ringrazio di cuore", e andò via.
Quando Howard Kelly lasciò quella casa, si sentì più forte non solo fisicamente, ma anche la sua fede in Dio e la fiducia in uomini e donne si rafforzarono.
Molti anni dopo, quella giovane donna, ormai più anziana,   si ammalò gravemente. I medici del luogo non sapevano come trattare il suo caso e alla fine decisero di inviarla in ospedali più idonei dove altri medici specialisti studiassero la sua rara malattia. Anche il dottor Howard Kelly fu chiamato per un consulto, e quando sentì il nome della città da cui proveniva quella paziente, una luce strana riempì i suoi occhi. Immediatamente si levò e corse giù verso la sua camera d'ospedale. Avvolto nel suo camice da dottore andò a visitarla e subito la riconobbe. Uscì da quella stanza determinato a fare tutto il possibile per salvarle la vita. Da quel giorno riservò grandi attenzioni al caso e, solo dopo una lunga lotta, la battaglia fu vinta.
Il dott. Howard Kelly chiese all'amministrazione di comunicargli il conto, per la sua approvazione. Dopo averlo visionato, scrisse qualcosa in un angolo e lo fece recapitare nella stanza della donna. Lei temeva di aprirlo, perché sapeva che ci avrebbe messo una vita per pagarlo tutto. Alla fine lo lesse, e alcune parole attirarono la sua attenzione a lato del conto:
"Pagato interamente con un bicchiere di latte".
                                    Dott. Howard Kelly
Mentre lacrime di gioia rigavano i suoi occhi, ella pregò: "Ti ringrazio, o Dio, che il tuo Amore si spande dovunque attraverso i cuori e le mani degli uomini".
                                                                                              Anonimo



Possa questa storia illuminare il mio e il tuo Natale, non quello delle luci scintillanti e folcloristiche poste sugli alberi o nei presepi, ma quello che ha la luce di Gesù Cristo. È Lui che illumina il sentiero della nostra vita e che ci induce a sperare in un mondo migliore dove uomini e donne, raggiunte dal Suo Vangelo, sappiano compiere nella vita di ogni giorno i gesti dell'amore e della solidarietà verso i più bisognosi.
Finché i poveri di questo mondo continueranno ad essere poveri, il Natale sarà sempre quello delle luci degli alberi e dei presepi. Ma noi dobbiamo lavorare per l'altro Natale, quello del Cristo Salvatore che ci invita a vincere le povertà presenti nel mondo, a dare libertà agli oppressi dei regimi dispotici, a ristabilire il diritto e la giustizia dove sono calpestati, a lavorare per un'umanità di pace e di fraternità.

                                                                                                                                                                               Aldo Palladino

08 dicembre 2007


 

 

 

Apocalisse 3, 7-13

 

LA LETTERA
ALLA CHIESA DI FILADELFIA

 

Predicatore:   Aldo Palladino

 

Chiesa Valdese di Via T. Villa – Torino

9 dicembre 2007

Il testo biblico

7 «All'angelo della chiesa di Filadelfia scrivi:

Queste cose dice il Santo, il Veritiero, colui che ha la chiave di Davide, colui che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre:

8 Io conosco le tue opere. Ecco, ti ho posto davanti una porta aperta, che nessuno può chiudere, perché, pur avendo poca forza, hai serbato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. 9 Ecco, ti do alcuni della sinagoga di Satana, i quali dicono di essere Giudei e non lo sono, ma mentono; ecco, io li farò venire a prostrarsi ai tuoi piedi per riconoscere che io ti ho amato. 10 Siccome hai osservato la mia esortazione alla costanza, anch'io ti preserverò dall'ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra. 11 Io vengo presto; tieni fermamente quello che hai, perché nessuno ti tolga la tua corona.

12 Chi vince io lo porrò come colonna nel tempio del mio Dio, ed egli non ne uscirà mai più; scriverò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, e della nuova Gerusalemme che scende dal cielo da presso il mio Dio, e il mio nuovo nome.

13 Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.

 

 

Altre letture bibliche: Giacomo 1, 2-4.12; 2 Timoteo 4,6-8; Romani 8,31-39

 

***

 

Informazioni preliminari sulla città di Filadelfia

Filadelfia è una città della regione della Lidia, nell'Asia minore (l'odierna Turchia), dove era sorta una chiesa cristiana fortemente perseguitata. È la sesta di sette città, nominate nel libro dell'Apocalisse (= rivelazione), a cui Giovanni, discepolo di Gesù, trasmette un messaggio che egli aveva ricevuto dal Signore per apocalisse, cioè per rivelazione.

Filadelfia significa "amore fraterno". Fu fondata nel 189 a.C. da Attalo II (220-138 a.C.), detto anche Filadelfo, così chiamato per il grande amore che ebbe per suo fratello Eumene II, re di Pergamo, aiutandolo a fronteggiare in guerra il nemico comune.

È anche definita la "porta d'Oriente", perché era attraversata da un'importante via di comunicazione, una strada dell'impero che proseguiva verso est.

Filadelfia esiste ancora oggi con il nome di Alisehir (città di Dio).

 
Il contesto storico

Il messaggio alla chiesa di Filadelfia è rivolto a dei credenti che si trovano in una situazione storica molto critica. Si tratta di una piccola comunità cristiana, costituita da persone provenienti dal paganesimo e dal giudaesimo, che subisce delle persecuzioni per un effetto onda delle più grandi persecuzioni e violenze della seconda metà del I secolo: la persecuzione romana durante il regno di Nerone (54-68 d.C.), la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio (70 d.C.) ad opera delle truppe di Tito, e la persecuzione di Domiziano contro i cristani (81-96), che si rifiutavano di adorarlo come Dio.

Oltre a tutto questo, occorre ricordare il giogo imposto dai Romani con l'applicazione di tasse gravose, un'economia povera anche a causa di due terremoti che mettono in ginocchio la città, l'opposizione di gruppi di Giudei, che pensavano di essere gli unici destinatari delle promesse di Dio e, quindi, gli unici eredi del regno, la situazione di chiesa di minoranza; tutti questi elementi rappresentano il contesto in cui quei credenti erano chiamati a esprimere la loro fede.

Lo stesso Giovanni viene arrestato ad Efeso, dove curava la comunità locale e quelle vicine, ed esiliato nell'isola di Patmos, il luogo in cui scrive l'Apocalisse, la rivelazione di Gesù Cristo.

Diversi anni dopo, Policarpo, vescovo della vicina chiesa di Sardi (a 45 Km. da Filadelfia), muore martire (nel 155).

Dunque, la vita non è facile per i credenti di Filadelfia.

 

Giudizio e salvezza appartengono al Signore

Ma in questo momento buio, quando lo scoraggiamento, la paura, l'angoscia, l'isolamento, si fanno strada nella vita di quei credenti, arriva la parola del Signore, parola di esortazione e di incoraggiamento, ma anche la parola ultima e definitiva che Egli solo può pronunziare sulla nostra vita, come individui, come chiese, come nazioni, perché il diritto di giudicare e salvare appartiene al Signore, che ha, in forma metaforica, le chiavi per l'accesso al suo regno. Soltanto Lui è l'autorità suprema che decide di ciascuno di noi, sia per chiamarci al suo servizio, sia per approvare o disapprovare il nostro cammino, sia per salvarci (7).

Nessun uomo, dunque, può arrogarsi la prerogativa di condannare, santificare, beatificare altri uomini, né di decidere qual è la vera chiesa. Solo colui che ha la "chiave di Davide" può farlo. Quella "chiave", con riferimento a Isaia 22,22, è un'immagine che induce al rispetto, al timore, ad un'umile accettazione della sovranità di Dio e alla sottomissione a Lui e a Lui soltanto.

 

Essere fedeli al Signore

Alla chiesa di Filadelfia, come anche a quella di Smirne, cioè a due su sette chiese, il Signore rivolge parole di elogio. Qui non troviamo rimproveri.   

Che cosa ha fatto di particolare questa chiesa tanto da ricevere l'approvazione del Signore? Ce lo dice il nostro testo, al v.8, con cinque affermazioni illuminanti: due riguardano ciò che Dio ha operato e le altre tre riguardano ciò che la chiesa ha fatto per il Signore e che il Signore stesso riconosce:
1)"Io conosco le tue opere", cioè il Signore (ri)conosce tutte le attività svolte dai credenti di Filadelfia;
2)“io ti ho posto una porta aperta”, cioè il Signore ha affidato una missione a questa chiesa, un servizio di testimonianza e di evangelizzazione;
3)“pur avendo poca forza”,
4)“hai serbato la mia parola”,
5)“non hai rinnegato il mio nome”.

Questa chiesa non era ricca, né potente e, nonostante fosse portatrice di un messaggio straordinario, carico di speranza e di salvezza, non mostrava segni di superbia e di orgogliosa superiorità. Era una chiesa sobria, umile, che svolgeva con serietà il compito affidatole credendo solo nella forza della parola del Signore e restando fedele a proclamare la salvezza che c'è nel nome di Gesù Cristo.

Queste erano le opere che il Signore ha visto in questa chiesa. In quella situazione, non era cosa da poco.

E anche per noi oggi non è cosa da poco, nonostante tutte le attenuanti che possiamo invocare, restare fedeli, attaccati alla parola del Signore    e non rinnegare il suo nome. Il nostro passato storico di Valdesi è ricco di eventi in cui molti nostri fratelli e molte nostre sorelle sono morti per la fede in Cristo, ma ciò non deve costituire un punto di forza per affermare un presunto nostro potere, oggi. Certo, possiamo godere e gioire della libertà conquistata dai nostri padri, ma siamo chiamati, come individui e come comunità, a vivere la nostra fede senza vacillare e senza pensare di vivere di rendita, perché il Signore sa se e come noi stiamo rispondendo alla sua chiamata.

 

Le promesse del Signore

La chiesa di Filadelfia riceve dal Signore delle promesse:

a)    la promessa del Suo amore, che non verrà mai meno, è garanzia di un legame indissolubile e di una comunione senza fine. È un amore vincente che costringerà oppositori e persecutori a piegarsi dinanzi ai credenti di Filadelfia e, dunque, a riconoscere il Signore che questi annunziavano [la storia della conversione dell'apostolo Paolo ne è un esempio];

b)    la promessa della sua protezione nelle difficoltà, nella prova, nella tentazione o, come altri traducono, nell'"ora del cimento", che evoca l'idea di un combattimento;

c)   la promessa della Sua venuta; Gesù viene per coloro che lo invocano, ma viene anche per quelli che lo disprezzano e lo rifiutano. Viene come Signore e Salvatore per i primi, come Giudice per i secondi (Giovanni 3,18).  

In virtù di queste promesse, il credente è chiamato:

Ø       a conservare la Parola dell'Evangelo con la stessa costanza che Gesù ha avuto nel compiere il suo servizio tra gli uomini ("la mia esortazione alla costanza");

Ø       a tenere fermamente quello che ha, vale a dire la fede in Cristo, la pazienza di saper attendere il compimento della volontà di Dio e la gioia del servizio, nonostante le prove che attraversa.

 

Il credente riceve i segni della sua totale appartenenza a Dio

Il risultato di questo impegno è la corona, metafora della vittoria per chi, come l'apostolo Paolo corre la corsa e giunge al traguardo (2 Timoteo 4,6-8) o segno di chi è ufficialmente invitato alla banchetto del Padrone di casa.

Ma un'altra meravigliosa immagine è per chi vince(12). Chi vince diventerà come una colonna nel tempio di Dio sulla quale saranno incisi tre nomi (12):
- il nome di Dio, che viene scritto sul credente vincente, sulla sua fronte (14,1; 22,4), segno di totale appartenenza a Dio;
- il nome della nuova Gerusalemme (Ez. 48,35; 21,10; Isaia 62,2);
- il nome nuovo di Cristo, cioè il nome nuovo che avrà come "Risorto".

Tutto ciò ci riempie di gioia e ci stimola a impegnarci qui ed ora per l'avanzamento del Regno di Dio. Avremo certamente alti e bassi nella nostra vita, avremo l'opposizione di chi non crede in questo progetto, ma noi andremo avanti con il sostegno della parola: "Nessuno ci separerà dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù" (Romani 8, 37-39).


                                                                Aldo Palladino

 

08 novembre 2007



Vangelo di Luca 18, 1- 8


La vedova e il giudice
ovvero
la parabola sulla preghiera
insistente e ostinata

 

di Aldo Palladino

 

 

Il testo biblico

1 Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi: 2 «In una certa città vi era un giudice, che non temeva Dio e non aveva rispetto per nessuno; 3 e in quella città vi era una vedova, la quale andava da lui e diceva: "Rendimi giustizia sul mio avversario". 4 Egli per qualche tempo non volle farlo; ma poi disse fra sé: "Benché io non tema Dio e non abbia rispetto per nessuno, 5 pure, poiché questa vedova continua a importunarmi, le renderò giustizia, perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa"». 6 Il Signore disse: «Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. 7 Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti? 8 Io vi dico che renderà giustizia con prontezza. Ma quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?»

 

***

 

 

La preghiera insistente e ostinata

L'evangelista Luca precisa che Gesù ha proposto questa parabola ai suoi discepoli per insegnare loro "che dovevano pregare sempre e non stancarsi" (1).

Questo invito alla continuità e alla perseveranza alla preghiera nasceva dal fatto che Gesù conosceva la debolezza dei discepoli (e conosce anche la nostra), che pregavano poco e male e, quando pregavano, si stancavano presto.

L'atteggiamento della vedova della parabola che chiede giustizia al giudice in modo assillante, fastidioso, senza dargli tregua (2-6), finché quel giudice non le avrà riconosciuto il suo diritto leso, rivela una caratteristica della preghiera che sovente trascuriamo: l'insistenza ostinata.

 

Preghiera e giustizia 

Poiché pare che il caso concernesse una questione di danaro legato a una eredità sottratta da qualche persona influente e prepotente, la giustizia che la vedova rivendica non è solo una semplice questione di principio per far valere un diritto. Siamo di fronte a una vedova, povera, con un bisogno impellente di mezzi finanziari vitali per il sostentamento suo e della sua famiglia. Dunque, la preghiera insistente e ostinata di quella donna nasce da una seria e profonda motivazione, che era all'origine della sua richiesta di avere giustizia sull'avversario.

Perché Gesù usa il tema della giustizia per spiegare ai discepoli la necessità di pregare incessantemente?

Perché la pratica della giustizia ricorre nelle società di tutti i tempi ed è correlata ad altri grandi problemi come la povertà, i diritti umani, l'ordine sociale e le forme di governo, tutti problemi per i quali Gesù propone il regno e la giustizia di Dio per questa umanità prima di qualsiasi altro bene materiale (Matteo 6,33).

Dove c'è  ingiustizia c'è lo strapotere dei più forti sui deboli della società e ci sono le ricchezze ingiuste, ma anche le povertà ingiuste.

Dove c'è ingiustizia c'è la violenza e la rapina ammantate di finta legalità.

Dove c'è l'ingiustizia la voce della democrazia è ridotta a concessioni dall'alto a parlare, non più un diritto che nasce dal bisogno di libera espressione delle proprie idee.

Contro l'ingiustizia presente qui e là nel mondo, Gesù propone la via della preghiera, per chiedere a Dio di dare e fare giustizia. La prima via per ottenere giustizia non è farci giustizia da soli con i metodi sbrigativi della violenza. No, Gesù ci apre la via all'ottenimento della giustizia di Dio attraverso la forza della preghiera.

 

Dio ascolta e risponde

Se il giudice ingiusto della parabola alla fine ha ceduto all'insistenza della vedova facendole giustizia, tanto più Dio risponderà ai "suoi eletti che giorno e notte gridano a lui" (7).

I credenti hanno la certezza che Dio ascolta, ma hanno anche la certezza che Egli risponde? O, mentre pregano, pensano che Dio è lontano ed ha cose più serie a cui pensare?   In fondo, per dirla con parole semplici, Dio deve obbligatoriamente rispondere a tutti e per qualsiasi motivo oppure può tacere o ritardare la sua risposta? Entriamo qui nel tema della sovranità di Dio.

Gesù disse:"Il Padre vostro celeste sa le cose di cui avete bisogno prima che gliele chiediate" (Matteo 6,8). L'insegnamento a pregare fino ad ottenere ciò che abbiamo chiesto deve essere accolto come un aspetto della nostra comunione col nostro Padre Celeste e del riconoscimento della Sua libertà a risponderci come e quando vuole, ma in vista sempre del nostro bene.

 

Preghiera e fede

La qualità della preghiera è un tema ricorrente nel vangelo. C'è la preghiera dei pagani che pensavano di essere esauditi per il gran numero delle loro parole (Matteo 6,7); c'è la preghiera nel segreto del cuore (Matteo 6,6); c'è la preghiera comunitaria (Matteo 18,19), quando la chiesa riunita si pone dinanzi al Signore per lodarlo, per confessare il proprio peccato, per adorarlo, per intercedere per i fratelli e le sorelle nel bisogno, e per altri; c'è la preghiera come supplica o come ringraziamento(Filippesi 4,6); c'è la preghiera come lotta (Romani 15,30; Colossesi 2,1). E c'è anche la preghiera insistente, continua, perseverante, a cui fa riferimento il nostro testo.

Dio è attento e pronto a rispondere ad ogni nostro bisogno secondo la sua volontà. Egli vuole che siamo fedeli anche nella preghiera, perché la preghiera è un sostegno vitale della fede. Non pregare significa interrompere il nostro parlare a Dio, ma soprattutto perdere il privilegio di parlare con Dio, a tu per tu con Lui in un continuo rapporto fondato sulla fiducia e sulla gratitudine.

Il credente prega, perché chi prega crede. E chi crede senza mai pregare farebbe bene a chiedersi se veramente riconosce che Dio ascolta e risponde alle preghiere di chi lo invoca con tutto il cuore (Sl 145,18-19; Matteo 7,7-11).

Quando Gesù ha detto: " Ma quando il Figliuol dell'uomo verrà, troverà egli la fede sulla terrà?" (8) intendeva   invitare i suoi a non sottovalutare la potenza della preghiera, perseverante, insistente, incessante. La fede che si fa preghiera costante nella vita di un credente si rafforza sempre più e diventa attesa dell'evento della venuta di Gesù Cristo. Chi arriverà all'incontro col Signore in questo modo, troverà motivi di gioia e di consolazione.

Aldo Palladino

 

12 ottobre 2007


Giovanni 5, 1-16
Gesù guarisce un paralitico a Bethesda

Predicazione nella Chiesa Evangelica Battista di Venaria Reale (TO) 

14 ottobre 2007

Predicatore: Aldo Palladino
 

 

 

Il testo biblico

1 Dopo queste cose ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.

2 Or a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, c'è una vasca, chiamata in ebraico Bethesda, che ha cinque portici. 3 Sotto questi portici giaceva un gran numero d'infermi, di ciechi, di zoppi, di paralitici, [i quali aspettavano l'agitarsi dell'acqua; 4 perché un angelo scendeva nella vasca e metteva l'acqua in movimento; e il primo che vi scendeva dopo che l'acqua era stata agitata era guarito di qualunque malattia fosse colpito].

5 Là c'era un uomo che da trentotto anni era infermo. 6 Gesù, vedutolo che giaceva e sapendo che già da lungo tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?» 7 L'infermo gli rispose: «Signore, io non ho nessuno che, quando l'acqua è mossa, mi metta nella vasca, e mentre ci vengo io, un altro vi scende prima di me». 8 Gesù gli disse: «Àlzati, prendi il tuo lettuccio, e cammina». 9 In quell'istante quell'uomo fu guarito; e, preso il suo lettuccio, si mise a camminare.

10 Quel giorno era un sabato; perciò i Giudei dissero all'uomo guarito: «È sabato, e non ti è permesso portare il tuo lettuccio». 11 Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: "Prendi il tuo lettuccio e cammina"». 12 Essi gli domandarono: «Chi è l'uomo che ti ha detto: "Prendi il tuo lettuccio e cammina?"» 13 Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, perché in quel luogo c'era molta gente. 14 Più tardi Gesù lo trovò nel tempio, e gli disse: «Ecco, tu sei guarito; non peccare più, ché non ti accada di peggio». 15 L'uomo se ne andò, e disse ai Giudei che colui che l'aveva guarito era Gesù. 16 Per questo i Giudei perseguitavano Gesù e cercavano di ucciderlo; perché faceva quelle cose di sabato.

 

***

 

La Parola è sempre per noi

Il testo appena letto del Vangelo di Giovanni è una parola che ci viene da lontano e che riesce sempre a trasmettere qualcosa di nuovo quando ad essa ci accostiamo. Il profeta Geremia afferma che la parola di Dio è come il fuoco e come un martello che spezza il sasso (Geremia 23,29), perché ha la capacità di purificarci, di affinarci e riscaldarci, ma anche di rompere ogni nostra resistenza.

Che cosa vuole dire a me oggi questa parola? Che cosa vuole da noi? E quali indicazioni ci dà per essere dei cristiani fedeli e ubbidienti?

 

Alcune precisazioni

Gesù si reca a Gerusalemme in occasione di una festa giudaica. Alcuni dicono trattarsi della festa dei pani azzimi ovvero della Pasqua, altri sostengono trattarsi della festa dei Tabernacoli. Si reca al tempio, come ogni ebreo osservante, e poi va in un punto a nord-est della città, vicino alla porta delle Pecore (attraverso la quale transitavano gli animali destinati ai sacrifici nel tempio), dove si trova una zona nota per la presenza di acque terapeutiche.

La piscina che vi si trova è chiamata in aramaico Bethesda, che significa casa di misericordia, perché lì Dio usava misericordia verso i malati che vi accorrevano, zoppi, ciechi, paralitici, guarendo ogni anno il primo di essi che scendeva nella vasca quando l'acqua veniva agitata da un angelo (4).

Questa tradizione delle acque miracolose e di un solo malato guarito all'anno non è riportata in molti codici antichi. Lo stesso nome della piscina, in alcuni manoscritti, è Bethzada (casa dell'ulivo), in altri è Bethsaida (casa della pesca).  

 

Attenzione e sensibilità verso i bisognosi

Dunque, Gesù arriva alla piscina di Bethesda, dove c'è tanta gente e ci sono anche molti malati, che giacciono vicino alla piscina che ha cinque portici [secondo alcuni, una figura della Toràh, con i suoi cinque libri, il pentateuco]. Tra i tanti disabili e malati, Gesù individua un malato, probabilmente paralitico, che era in quella condizione da ben trentotto anni [trentotto sono un simbolo della permanenza nel deserto del popolo d'Israele - Deuteronomio 2,14) e gli chiede: "Vuoi guarire? Vuoi essere risanato?"

Due osservazioni sul comportamento di Gesù e sulla sua domanda:

1) Come mai Gesù tra i tanti infermi si rivolge a questo malato?

2) Perché gli rivolge una domanda che ci appare scontatissima o addirittura banale? (Ad una persona affamata che senso ha chiedere se vuole mangiare, o ad un disoccupato da lunga data se vuole un lavoro per vivere?)

 

Il carattere di Gesù

Dai tanti episodi raccontati dagli evangeli emerge con particolare evidenza il carattere di Gesù. A nessuno sfugge la sua attenzione verso i malati, i poveri, i diseredati, i deboli, verso gli emarginati, verso le peccatrici e i peccatori disprezzati e giudicati dai dottori della Legge e dalla società. La sua compassione è infinita, la difesa della dignità umana è una lotta ad oltranza che Lui fa al pregiudizio e alle tradizioni che avevano trasformato la Legge, che pure era buona ed aveva la sua funzione educatrice, in un sistema di norme piene di cavilli e prescrizioni complicate. Egli è venuto non per abolire la Legge, ma per compierla, per completarla, per darle nuovo valore e un più profondo significato. Le regole della Legge sono rilette, reinterpretate da Gesù dando valore e centralità all'uomo, perché "il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato" (Marco 2, 27).

Ma tra i sofferenti stessi, poveri, malati, ecc., c'è sempre qualcuno più sofferente, più povero o più malato degli altri. Gesù indirizza la sua compassione verso chi tra i bisognosi ha più bisogno degli altri.

Il paralitico di Bethesda da ben trentotto anni ha bisogno di lui. Gesù arriva là ad incontrare quest'uomo nel deserto della sua vita e gli chiede: "Vuoi essere guarito?". Non è una domanda scontata come potrebbe sembrare, perché Gesù sa che quest'uomo è stato abbandonato alla sua malattia da tutti, nella solitudine estrema. Infatti, la risposta non è: "Sì, Signore, voglio essere guarito!". La risposta è: "Signore, non ho nessuno che, quando l'acqua è mossa mi metta nella vasca" (7).  

Sembra la storia di quelle famiglie che hanno oggi dei disabili e che tirano avanti da soli l'esistenza col vuoto attorno a loro.

Gesù non cerca la fede in quest'uomo, cerca segni di speranza, ancora un barlume di credibilità o di fiducia nella vita, che gli uomini con la loro indifferenza hanno cancellato in lui.

"Vuoi essere guarito?". Quando tutto viene a mancare intorno a te, Gesù ti offre la sua parola dalla quale ripartire per riaccendere quella fiammella di speranza per tornare a vivere.

 

Una similitudine

Il paralitico di Bethesda ci rappresenta tutti. Come lui, anche noi abbiamo toccato con mano sofferenze o disgrazie personali e familiari, dispiaceri, malattie, lutti, e come lui abbiamo forse confidato e sperato nell'uomo, nel medico o nell'amico, nel fratello o nella sorella di chiesa, facendo l'esperienza di illusioni e di delusioni tutte le volte in cui abbiamo posto la nostra fiducia nell'uomo, nelle sue ideologie e filosofie, anziché in Dio. Come lui, anche noi siamo arrivati all'amara conclusione di essere soli in questo mondo.

Il paralitico di Bethesda, dunque, è figura di una umanità che fa l'esperienza quotidiana della solitudine e dell'indifferenza degli uni verso gli altri. Ma, grazie a Dio, Gesù ci fa tornare a sperare. La sua azione, la sua parola stanno lì a liberarci da ogni forma di pessimismo e di amara rassegnazione. Solo Lui può risanarci allontanando la paura, l'angoscia, e può farci tornare a guardare la vita con la serenità nei nostri cuori e con un volto sorridente. Gesù guarisce e ci restituisce alla vita. Egli scioglie i legami che ci paralizzano, ci fa rialzare, ripristina la nostra dignità di uomini e donne e ci ordina di camminare tra la gente col nostro "lettuccio", con il nostro passato sempre con noi, ma ora proiettato verso la nuova vita e con rinnovata responsabilità.

Gesù va incontro al paralitico di Bethesda e lo guarisce. In questa casa di misericordia (Bethesda), Gesù usa misericordia verso quell'uomo. Tutta la terra per lui è casa di misericordia, perché Dio ama l'umanità (Giovanni 3,16) nonostante viva nel peccato, e vuole creare una nuova umanità in Cristo fondata sull'amore per Dio e sull'amore per il prossimo (Matteo 22, 37-39). Nella nuova umanità non è possibile amare Dio senza amare il prossimo, perché chi ama Dio senza amare il prossimo è bugiardo (1 Giovanni 3, 17; 4,20).

 

Imparare la riconoscenza

Dopo il miracolo, Gesù si defila silenziosamente tra la folla. Cosa farebbero i presunti guaritori e i vari guru dei nostri giorni per avere notorietà, riconoscimenti e successo! Gesù, invece, agisce nel silenzio di un incontro personale e fa del bene. Non riceve neanche l'attenzione e il ringraziamento del paralitico di Bethesda, incapace di esprimere alcun segno di riconoscenza né di rivolgergli la parola perlomeno per chiedergli chi fosse e come si chiamasse. Nulla di tutto questo. Il paralitico guarito, frastornato e pieno di gioia, pensa alla sua liberazione, non al suo liberatore.

Anche in questo comportamento riconosciamo i tratti di certi nostri atteggiamenti di fronte ai miracoli di Dio nella nostra vita. Quante volte abbiamo ringraziato il Signore per la vita che abbiamo, per i nostri figli, per il lavoro, per la comunità nella quale siamo inseriti, o per tutte quelle situazioni difficili da cui siamo stati tratti fuori? E quante volte abbiamo saputo dire grazie a chi ci ha fatto del bene?

 

Guarigione dell'anima 

È da notare che tutto l'episodio avviene in giorno di sabato, shabbat, una festa importantissima per i Giudei nel corso della quale sono vietati determinati lavori (trentanove secondo la Mishna). Quando i Giudei , dunque, notano il paralitico che va in giro trasportando il suo lettuccio, anziché gioire per la sua guarigione, sono presi dallo zelo dell'osservanza delle prescrizioni della Legge. Per loro è più importante scoprire il colpevole di quella trasgressione anziché conoscere l'autore di quella guarigione miracolosa. Sarà il paralitico, ormai guarito, a rivelare ai Giudei il nome del suo guaritore, Gesù, il quale lo ha incontrato una seconda volta, nel tempio, per raccomandargli di non peccare più (14). A quest'uomo Gesù dona una nuova guarigione. Dopo la guarigione fisica del corpo, egli deve conoscere e ricevere la guarigione dell'anima. Colui che gliela comunica è il Signore della vita, perché Gesù è "la via, la verità e la vita" (Giovanni 14,6), il Salvatore del mondo.

Questo Nome, che è al di sopra di ogni nome (Filippesi 2,14; Efesini 1,21) non può essere riservato a pochi. Il suo amore, la sua compassione, il suo farsi prossimo a ciascuno di noi, il dono della sua vita per il perdono dei nostri peccati e per la nostra salvezza eterna, ci spingono a proclamare ad alta voce che Egli è Re dei re e Signore dei signori (1 Timoteo 6,15) e a dare testimonianza della sua misericordia e della sua grazia. A Lui va, dunque, tutta la nostra lode e la nostra adorazione!

 

 

Aldo Palladino

18 luglio 2007

Vangelo di Luca 17,11-19

GESU'GUARISCE DIECI LEBBROSI
 IL RINGRAZIAMENTO DEL SAMARITANO

di Aldo Palladino

Il testo biblico
11 Nel recarsi a Gerusalemme, Gesù passava sui confini della Samaria e della Galilea. 12 Come entrava in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, i quali si fermarono lontano da lui, 13 e alzarono la voce, dicendo: «Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!». 14 Vedutili, egli disse loro: «Andate a mostrarvi ai sacerdoti». E, mentre andavano, furono purificati. 15 Uno di loro vedendo che era purificato, tornò indietro, glorificando Dio ad alta voce; 16 e si gettò ai piedi di Gesù con la faccia a terra, ringraziandolo; ed era un samaritano. 17 Gesù, rispondendo, disse: «I dieci non sono stati tutti purificati? Dove sono gli altri nove? 18 Non si è trovato nessuno che sia tornato per dar gloria a Dio tranne questo straniero?» 19 E gli disse: «Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato».



Nel contesto di questo capitolo, i discepoli avevano chiesto a Gesù: "Aumentaci la fede" (5).
Questo episodio offre l'occasione al Signore di insegnare che cosa è fede.
Mentre entrava in un villaggio che si trovava tra la Samaria e la Galilea, Gesù si imbatte in un gruppo di dieci lebbrosi, nove giudei e un samaritano. Questi lebbrosi avevano in comune non solo la malattia, ma anche l'emarginazione di una società che li aveva privati di ogni diritto civile e religioso e li aveva relegati in un ghetto, lontano dalla società (Lev. 13, 45-46). Non potevano essere avvicinati per evitare il contagio della lebbra né potevano essi stessi avvicinarsi agli altri. Infatti, il testo riferisce che i lebbrosi si fermano lontano da Gesù e gridano:" Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!"
E la risposta del Signore è: "Andate a mostrarvi ai sacerdoti" (14), ovviamente per rispettare quel rituale previsto in Levitico 14, 2-32 (legge di purità) in cui il sacerdote, dopo sette giorni di osservazione e di sacrifici, emetteva una sorta di certificato di guarigione che abilitava il lebbroso guarito a rientrare nella vita civile.

Alla parola di Gesù, i lebbrosi ubbidiscono e si mettono in cammino per recarsi dal sacerdote, e lungo la strada essi sono guariti (14). Questo fatto porta a due considerazioni:
a)       I lebbrosi credono alla parola di Gesù;
b)       Gesù compie questo miracolo prima che ci sia il segno o la prova del miracolo!
Dunque, la fede è:
-          credere che Gesù ha l'autorità di operare guarigioni;
-          credere alla parola di Gesù prima che essa diventi evento e ubbidire a quella parola.
      
Fede "religiosa" e fede autentica
Da questo punto in poi del racconto, Gesù pone l'accento su due diversi comportamenti, quello dei nove ebrei e quello del samaritano. I dieci lebbrosi hanno avuto fede in Gesù, ma Gesù distingue tra fede e fede.
I nove ebrei, che si ritenevano membri del popolo di Dio, forti di questa appartenenza, non sentono il bisogno di tornare indietro a ringraziare Gesù e lodare Dio. Probabilmente sentivano che la guarigione era un dono dovuto perché figli di Abramo.
E' un uomo samaritano che torna indietro! Uno straniero, un pagano per i giudei, uno estraneo ai patti e alle promesse! Quest'uomo, appena si rende conto di essere guarito, non perde tempo, dimentica di andarsi a presentare al sacerdote e sente forte il bisogno di tornare indietro, perché ha accolto la guarigione come un dono meraviglioso che Dio gli ha fatto in Cristo. Ciò che conta per lui è la persona di Gesù, che lo ha tratto fuori da una misera condizione. Torna per dare gloria a Dio e per avere una relazione più profonda con Gesù, basata sul ringraziamento, sulla riconoscenza e su una fede più autentica, che diventa incontro, ascolto, conoscenza, comunione.
Il ringraziamento è gratitudine, riconoscenza, un momento della vita in cui il credente rende testimonianza a Dio di tutti i doni meravigliosi ricevuti.
Nel testo, dunque, appare evidente come Gesù dia grande importanza all'atteggiamento interiore e pratico di chi crede in Lui.
Al samaritano, apprezzato per il suo atteggiamento, Gesù dice: "Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato" (19).
Non è la fede della tradizione, della  ritualità, delle cerimonie e delle prescrizioni religiose che Gesù ama.
Ma la fede che ti salva è quella che prorompe dal cuore e ti porta a prostrarti davanti a Dio per il dono di Gesù Salvatore e Redentore, colui che sa donare nuova vita attraverso la propria morte, che dona potenza attraverso la pazzia o lo scandalo della croce.
"La tua fede ti ha salvato" (19). Credo si possa dire: "Questa tua fede ti ha salvato". Non una fede superficiale, dunque, ma la fede trasformatrice che ti spinge a tornare indietro, a riflettere non tanto sulla tua guarigione, ma su Chi ti ha guarito, a incontrare personalmente il tuo Benefattore per dirgli "grazie!". Così, quando tu distogli gli occhi da te stesso e volgi il tuo sguardo verso Gesù, nasce dentro di te quel moto dell'anima che genera il desiderio di conoscerlo più a fondo, di stabilire una relazione più profonda, realizzando che di Lui ci si può fidare.
Il samaritano che è tornato indietro ha conosciuto la guarigione fisica, ma ha conosciuto anche la guarigione spirituale, la salvezza. Non è così per tutti, perché molti, pur guariti da malattie fisiche non fanno il passo successivo del ringraziamento e di un maggior attaccamento al Signore della vita, che ci ha guariti da ben altre malattie, come dice il profeta: "Erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato; ma noi lo ritenevamo colpito, battuto da Dio e umiliato! Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità: il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti" (Isaia 53, 4-5).
Dunque, la narrazione dà grande risalto al comportamento del samaritano che, nel momento in cui ha realizzato di essere stato guarito, torna indietro e va ad incontrare Gesù.

Comunicare è incontrarsi

La vita frenetica dei nostri giorni non incoraggia la riflessione né l'esame introspettivo. C'è troppo rumore intorno a noi e noi non abbiamo più familiarità col silenzio. Anche la comunicazione, che una volta era incontro con l'altro, incontro fisico, è degenerata. C'è solo scambio di informazioni, spesso a distanza (sms, internet ecc.) e non siamo più abituati a dialogare, a scambiare opinioni, a trascorrere delle ore insieme per il piacere di condividere un tempo della giornata per parlare di noi, delle nostre esperienze, delle gioie e dei dolori personali, o di discutere di un problema in modo costruttivo, perché non più abituati a guardarci negli occhi per registrare sentimenti ed emozioni. Eppure, non dobbiamo rassegnarci a questo stato di cose. C'è anche per noi, come per il samaritano, la possibilità di tornare indietro, di tornare ad essere donne e uomini autentici, capaci di riscoprire quei valori presenti nel Vangelo di Gesù Cristo. Messaggio che dà senso di vera umanità alla realtà artificiosa e disumana, che risveglia il desiderio di una vita comunitaria vissuta all'insegna della solidarietà, dell'aiuto reciproco, del ritrovarsi per celebrare la grandezza del piano di Dio per l'umanità, piano di salvezza, giustizia, pace, libertà.

Ringraziare è incontrare Gesù

È tempo di tornare a Gesù. Non a un sistema filosofico come un altro, non a un insieme di dottrine, neanche al taumaturgo di turno che tiriamo fuori nel momento del bisogno e che poi riponiamo in un armadio pronto per la prossima occasione. Non al personaggio che riempie di dibattiti e discussioni conferenze, libri, giornali, come un qualsiasi altro prodotto della cultura o del supermercato delle idee e delle novità.
È tempo di tornare a Gesù, a colui che più di qualsiasi altra persona al mondo ha capito le nostre paure, le nostre debolezze, la nostra incapacità di vivere una vita coerente, di fare del bene in modo disinteressato, che ha compreso la nostra umanità piena di peccato e, ciononostante, si è avvicinato a noi per parlare al nostro cuore come sa fare un amico vero, capace di donare tutto se stesso fino a dare la sua vita per noi.
È tempo di tornare a Gesù. Egli ha la giusta parola per noi. Rialza i cuori afflitti, difende la causa degli orfani e delle vedove, dei poveri e degli indifesi di questa terra. Egli esalta gli umili, dona pace e amore a chi lo cerca con tutto il cuore.   
È tempo di ringraziare Gesù. Dirgli apertamente che la nostra vita ha senso solo se aderiamo al suo progetto di salvezza per questa umanità. Dirgli che abbiamo fede in Lui e che il suo messaggio di perdono e di salvezza è diventato il nostro messaggio. Dichiarargli il nostro impegno per una società più equa e solidale, la nostra decisione a convertirci continuamente alla sua parola di grazia e di verità.

Aldo Palladino

25 giugno 2007


Giovanni 2, 1-11
Gesù tramuta l'acqua in vino

                                                                            di Aldo Palladino

Il testo biblico

1 Tre giorni dopo, ci fu un matrimonio in Cana di Galilea, e la madre di Gesù era là. 2 Anche Gesù fu invitato con i suoi discepoli al matrimonio. 3 Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». 4 Gesù le disse: «Che c'è fra me e te, o donna? L'ora mia non è ancora venuta». 5 Sua madre disse ai servitori: «Fate tutto quel che vi dirà». 6 C'erano là sei recipienti di pietra, del tipo adoperato per la purificazione dei Giudei, i quali contenevano ciascuno due o tre misure. 7 Gesù disse loro: «Riempite d'acqua i recipienti». Ed essi li riempirono fino all'orlo. 8 Poi disse loro: «Adesso attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. 9 Quando il maestro di tavola ebbe assaggiato l'acqua che era diventata vino (egli non ne conosceva la provenienza, ma la sapevano bene i servitori che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo e gli disse: 10 «Ognuno serve prima il vino buono; e quando si è bevuto abbondantemente, il meno buono; tu, invece, hai tenuto il vino buono fino ad ora».
11 Gesù fece questo primo dei suoi segni miracolosi in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui.
 
Tre giorni dopo l'incontro con Natanaele, al quale Gesù aveva detto: "Tu vedrai cose maggiori di queste" (1, 50), l'evangelista Giovanni ci fornisce la testimonianza di un fatto che egli stesso cataloga come il " primo dei suoi segni miracolosi" (11), il primo dei  35 segni miracolosi (seméia) di Gesù riferiti nei Vangeli ( per il secondo segno vedasi 4, 54).
 
Il simbolismo del vino buono di Gesù
Per comprendere in profondità il gesto di Gesù occorre avere conoscenza della simbologia del vino, che può arricchire con nuovi significati tutto l'episodio.
Il vino, nella vita quotidiana del popolo d'Israele, costituiva il nutrimento della terra che "rallegra il cuore dell'uomo" (Salmo 104,15; Giudici 9,13). Esso era utile a rafforzare l'amicizia, a festeggiare l'amore, a rallegrare la convivialità (Giobbe 1,18) e in generale a celebrare momenti di felicità della vita umana.
Nella vita cultuale, invece, rappresentava l'offerta di libagione per i sacrifici (Esodo 29,40; Numeri 15, 5.10) e costituiva una delle primizie da offrire ai sacerdoti (insieme al frumento, l'olio e la tosatura delle pecore) (Numeri 18, 12; Deuteronomio 18,4).
Nella predicazione dei profeti, l'assenza di vino era segno di giudizio, mentre la sua abbondanza era segno di benedizione o di approvazione (Amos 9,14; Osea 2,24; Geremia 31,12; Isaia 25,6; Gioele 2,19; Zaccaria 9,17).
Dunque, si può comprendere come la mancanza di vino nella festa di nozze a Cana sarebbe stato vissuto come un atto di scortesia per tutti i convitati e, al limite, come presagio di giudizio da parte di Dio. E Gesù mai avrebbe voluto che due giovani innamorati, nel giorno inaugurale della loro vita coniugale, avessero vissuto male questo inizio. Anche se la sua ora non era ancora venuta (4), la sua presenza carica di speranza messianica, ridondante pace e serenità, non si sarebbe potuta conciliare con una caduta di gioia e di felicità durante la festa di nozze. È per questo che egli interviene e ordina che fossero riempite d'acqua le sei giare di pietra "del tipo adoperato per la purificazione dei Giudei". Di pietra perché, a differenza della terracotta, la pietra era repellente alle impurità.
Il lavoro frenetico dei servi, che ubbidiscono prontamente a Gesù, accumulano nelle giare circa seicento litri d'acqua che, man mano che viene servita a tavola con dei recipienti, diventa vino prelibato, eccellente, tanto che il maestro di cerimonia chiama lo sposo per complimentarsi con lui non solo per la qualità del vino, ma anche per la strategia di averlo tirato fuori in un quel preciso momento del banchetto.
 

Gesù, il vero Sposo del banchetto nuziale

Questo brano può essere segnalato per il messaggio che l'evangelista Giovanni raccoglie attraverso tutti gli elementi della narrazione, dagli oggetti alle persone ivi presenti, dalle parole alle azioni dei singoli personaggi, Gesù compreso.
Le sei giare di pietra senza acqua rappresentano l'imperfezione del giudaismo,    una religione senza più vita e ormai alla fine della sua funzione. La legge ridotta al rispetto formale delle norme cultuali, delle prescrizioni sacrificali, ormai consacrati in una tradizione stanca, non esprime più la vita di Dio né una spiritualità capace di creare un rapporto intimo con Dio. È necessario immettere nuova vita, nuovo zelo, infondere una gioia più intensa nella comunità giudaica e in tutta l'umanità, che solo un vino nuovo e genuino può dare. Questo vino, buono e bello (dal greco kàlos), che non può essere contenuto in otri vecchi per la forza prorompente dalla sua vivacità ed effervescenza (Mt. 9,17), è raffigurato dal Vangelo di Gesù Cristo, dalla nuova alleanza. Questo vino nuovo è il fondamento della nuova relazione dello Sposo per la sua Sposa.
Il profeta Osea ci aveva parlato dell'amore di Dio per la sua sposa infedele, che riconduce a sé in una nuova relazione di fedeltà e di amore: "Perciò, ecco, l'attrarrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Di là le darò le sue vigne e la valle di Acor come porta di speranza; là mi risponderà come ai giorni della sua gioventù... Io ti fidanzerò a me per l'eternità; ti fidanzerò a me in giustizia e in equità, in benevolenza e in compassioni. Ti fidanzerò a me in fedeltà, e tu conoscerai il Signore" (Osea 2, 14-15.19-20).
E il profeta Isaia (25,6) ci aveva preannunciato il giorno in cui il Signore avrebbe preparato un banchetto per tutti i popoli con cibi succulenti e vini raffinati.
 

Il vino della  Cena del Signore

Per la felicità della Sua Sposa, Gesù dona non un vino qualsiasi, ma il suo vino, frutto di un ministero d'amore, contrassegnato dalla sua divinità e dalla sua umanità. Il vino della Santa Cena si delinea sullo sfondo della narrazione  e prefigura la missione del servo dell'Eterno. Egli raccoglie le speranze dell'antica alleanza e le realizza col dono della sua vita per l'intera umanità. " In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia" (Ef. 1,7).

Un segno di cambiamento
Gesù tramuta l'acqua in vino. Fino a quel momento nessuno aveva mai visto una cosa simile. Si, c'è nel lontano passato l'acqua dell'Egitto diventata sangue (Esodo 7,14-25), un giudizio divino verso l'ostinato faraone.
Qui Gesù compie un gesto con cui reca benedizione a tutti e manifesta la sua gloria.
Il cambiamento non è solo nell'acqua che diventa vino. 
Il cambiamento è in Maria, che di fronte alla parola di Gesù: "L'ora mia non è ancora venuta" (4) esce di scena, si mette da parte dicendo ai servitori: "Fate tutto quello che vi dirà" (5). 
Ma cambiano i servitori, che in quel momento vedono Gesù come il nuovo Signore (Padrone), e da Lui prendono ordini in totale ubbidienza. 
Cambia il maestro di cerimonia, che accresce il suo stupore per la novità del vino più buono apparso sulle tavole. 
Cambiano i discepoli, che da quel momento credono al Signore. 
Tutti gli invitati cambiano, perché diventano la Sposa del Signore, per l'eternità, oggetti dell'amore di Dio in Cristo.
Di fronte a tanto, anche noi, moderni destinatari di una non comune testimonianza evangelica, iniziamo dentro di noi quel cammino di fede, che nasce dalla rimozione della nostra incredulità. Noi stessi, come tutti gli invitati alla festa di nozze, siamo cambiati. Gesù è lì ad annunciare il passaggio dall'antica alleanza al nuovo patto fondato su questo vino nuovo immesso nell'umanità. Egli è la chiave di svolta di questo cambiamento. Tutti sono chiamati a credere in Cristo e ad accogliere la salvezza e la vita nuova.
 
Palladino Aldo