Translate

11 dicembre 2023

Il libro di Giobbe (cap. 1 e 2)


IL LIBRO DI GIOBBE (cap. 1 e 2)

Una storia che solleva domande sulla sofferenza, sul male, sulla vita, su Dio

 

Un commento di Aldo Palladino

 

Dal testo biblico

Giobbe 1

Il prologo

1 C'era nel paese di Uz un uomo che si chiamava Giobbe. Quest'uomo era integro e retto; temeva Dio e fuggiva il male.2 Gli erano nati sette figli e tre figlie; 3 possedeva settemila pecore, tremila cammelli, cinquecento paia di buoi, cinquecento asine e una servitù molto numerosa. Quest'uomo era il più grande di tutti gli Orientali.
4 I suoi figli erano soliti andare gli uni dagli altri e a turno organizzavano una festa; e mandavano a chiamare le loro tre sorelle perché venissero a mangiare e a bere con loro. 5 Quando i giorni della festa terminavano, Giobbe li faceva venire per purificarli; si alzava di buon mattino e offriva un olocausto per ciascuno di essi, perché diceva: «Può darsi che i miei figli abbiano peccato e abbiano rinnegato Dio in cuor loro». Giobbe faceva sempre così.

 Giobbe accusato da Satana

6 Un giorno i figli di Dio vennero a presentarsi davanti al SIGNORE, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro. 7 Il SIGNORE disse a Satana: «Da dove vieni?» Satana rispose al SIGNORE: «Dal percorrere la terra e dal passeggiare per essa». 8 Il SIGNORE disse a Satana: «Hai notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Dio e fugga il male». 9 Satana rispose al SIGNORE: «È forse per nulla che Giobbe teme Dio? 10 Non l'hai forse circondato di un riparo, lui, la sua casa, e tutto quel che possiede? Tu hai benedetto l'opera delle sue mani e il suo bestiame ricopre tutto il paese. 11 Ma stendi un po' la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia». 12 Il SIGNORE disse a Satana: «Ebbene, tutto quello che possiede è in tuo potere; soltanto, non stender la mano sulla sua persona». E Satana si ritirò dalla presenza del SIGNORE.

 Giobbe perde i suoi beni e la sua famiglia

13 Un giorno, mentre i suoi figli e le sue figlie mangiavano e bevevano vino in casa del loro fratello maggiore, giunse a Giobbe un messaggero a dirgli: 14 «I buoi stavano arando e le asine pascolavano là vicino, 15 quand'ecco i Sabei sono piombati loro addosso e li hanno portati via; hanno passato a fil di spada i servi; io solo sono potuto scampare per venirtelo a dire». 16 Quello parlava ancora, quando ne giunse un altro a dire: «Il fuoco di Dio è caduto dal cielo, ha colpito le pecore e i servi, e li ha divorati; io solo sono potuto scampare per venirtelo a dire».17 Quello parlava ancora, quando ne giunse un altro a dire: «I Caldei hanno formato tre bande, si sono gettati sui cammelli e li hanno portati via; hanno passato a fil di spada i servi; io solo sono potuto scampare per venirtelo a dire».18 Quello parlava ancora, quando ne giunse un altro a dire: «I tuoi figli e le tue figlie mangiavano e bevevano vino in casa del loro fratello maggiore; 19 ed ecco che un gran vento, venuto dall'altra parte del deserto, ha investito i quattro canti della casa, che è caduta sui giovani; essi sono morti; io solo sono potuto scampare per venirtelo a dire».20 Allora Giobbe si alzò, si stracciò il mantello, si rase il capo, si prostrò a terra e adorò dicendo: 21 «Nudo sono uscito dal grembo di mia madre, e nudo tornerò in grembo alla terra; il SIGNORE ha dato, il SIGNORE ha tolto; sia benedetto il nome del SIGNORE».22 In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nessuna colpa.

Giobbe 2

Giobbe colpito da un'ulcera maligna

1 Un giorno i figli di Dio vennero a presentarsi davanti al SIGNORE, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro a presentarsi davanti al SIGNORE. 2 Il SIGNORE disse a Satana: «Da dove vieni?» Satana rispose al SIGNORE: «Dal percorrere la terra e dal passeggiare per essa». Il SIGNORE disse a Satana: 3 «Hai notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Dio e fugga il male. Egli si mantiene saldo nella sua integrità, benché tu mi abbia incitato contro di lui per rovinarlo senza alcun motivo». 4 Satana rispose al SIGNORE: «Pelle per pelle! L'uomo dà tutto quel che possiede per la sua vita; 5 ma stendi un po' la tua mano, toccagli le ossa e la carne, e vedrai se non ti rinnega in faccia». 6 Il SIGNORE disse a Satana: «Ebbene, egli è in tuo potere; soltanto rispetta la sua vita».
7 Satana si ritirò dalla presenza del SIGNORE e colpì Giobbe di un'ulcera maligna dalla pianta dei piedi alla sommità del capo; Giobbe prese un coccio con cui grattarsi, e si sedette in mezzo alla cenere. 8 Sua moglie gli disse: «Ancora stai saldo nella tua integrità? 9 Ma lascia stare Dio, e muori!» 10 Giobbe le rispose: «Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo di accettare il male?»
In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.

 I tre amici di Giobbe

11 Tre amici di Giobbe, Elifaz di Teman, Bildad di Suac e Zofar di Naama, avendo udito tutti questi mali che gli erano piombati addosso, partirono, ciascuno dal proprio paese, e si misero d'accordo per venire a confortarlo e a consolarlo. 12 Alzati gli occhi da lontano, essi non lo riconobbero, e piansero ad alta voce; si stracciarono i mantelli e si cosparsero il capo di polvere gettandola verso il cielo. 13 Rimasero seduti per terra, presso di lui, sette giorni e sette notti; nessuno di loro gli disse parola, perché vedevano che il suo dolore era molto grande.

 

 

Introduzione

     Tra tutti i libri veterotestamentari della Bibbia, dopo Genesi, Esodo e i Salmi, quello di Giobbe è il più letto. Il lettore che lo incontra viene catturato istantaneamente dal racconto, perché i problemi sollevati dal libro rientrano tra le esperienze di ogni essere umano. Il dolore, la sofferenza, il male, la malattia, la morte, Dio, sono argomenti complessi che sollevano interrogativi universali di grande importanza a cui l'uomo tenta di dare risposte supportato dalle conoscenze acquisite, dalla propria cultura, dalla disposizione psichica, dalle proprie tradizioni. Sono interrogativi a problemi fondamentali della vita, che prima o poi riguardano tutti, e dalle risposte a tali interrogativi dipende il senso stesso della nostra esistenza. Infatti, chi di noi non si è mai chiesto quale sia l'origine del male? Perché esiste la sofferenza? E se Dio è buono perché non elimina ogni tipo di patimenti che affliggono l'umanità?  Perché, perché, perché…?

Il libro di Giobbe è un libro di interrogazioni. Giobbe interroga Dio e questi interroga Giobbe. Gli amici interrogano Giobbe e lo accusano di colpe che sono la causa delle sue disgrazie e Giobbe interroga e contesta gli amici che sono incapaci di comprendere e di essere compassionevoli, pronti sempre ad accusarlo e a colpevolizzarlo.

Attraverso tutti i dialoghi che si intrecciano nel libro, ciascun lettore si sente fortemente coinvolto nella storia fino a solidarizzare con lo stesso Giobbe, che è per certe sue posizioni colui che parla a nome del genere umano.

      In ogni caso, occorre accostarsi a questo libro con umiltà e con la consapevolezza del proprio limite, cercando non solo di interrogare ma anche di essere interrogati per scoprire il Giobbe che è in ognuno di noi, di scoprire come in uno specchio le tante immagini di noi stessi. Si, Giobbe siamo noi. Egli è il prototipo di ogni sofferente che grida a Dio, che si ribella, che chiede spiegazioni, che si dispera e spera fino alla rassegnazione.

     Il libro di Giobbe è per tutti, cristiani, ebrei, islamici, atei, uomini e donne di ogni fede. Su di esso hanno riflettuto teologi, filosofi, letterati, drammaturghi e artisti: Hobbes, Spinoza, Pascal, Kierkegaard, Jung, Simone Weil, Shakespeare, Milton, Goethe, Dostojewskij e ancora scrittori ebraici e pittori. La figura di Giobbe ha prodotto varie riflessioni: l'ateismo in Camus e Bloch, la fede in Barth e Balthasar, l'umiliazione in Quinzio, la risurrezione in Turoldo, il sarcasmo in Woody Allen e la prefigurazione di Cristo in Karol Woityla. È un libro che ha scosso e interpellato tutti ed è giustamente annoverato tra i più grandi capolavori della letteratura mondiale di tutti i tempi.

Chi è Giobbe?

Giobbe viene descritto come un uomo con alte qualità morali e spirituali, un bravo padre di una famiglia di sette figli e tre figlie. Possiede greggi di pecore, cammelli, buoi, asini, e molti servi. Ha una fede incrollabile in Dio tanto che è considerato "integro e retto, temeva Dio e fuggiva il male" (1,1), "il più grande di tutti gli Orientali" (1,2).  Non era un israelita; era uno straniero, un uomo rispettato e onorato da tutti i suoi concittadini, come desumiamo dal cap. 29, 7-25, che viveva nella città di Uz, nella regione di Edom a sud del Mar Morto, una regione tradizionalmente ostile ai giudei date le sue ascendenze da Esaù, fratello e rivale di Giacobbe. 

 Il nome Giobbe ('yyob) deriverebbe dal verbo 'ayab, odiare, e dunque significherebbe "l'odiato", "il perseguitato". Ma c'è chi sostiene che Giobbe significherebbe "Dov'è il padre (divino)?" dall'etimologia "ayyeh", che significa "dove?" e "ab" che significa "padre".  In tal caso, nel nome Giobbe sembra rinchiusa tutta la storia del suo rapporto con Dio, con Dio Padre, che Giobbe nella sua sofferenza ingiusta o innocente vede assente o responsabile delle sue sventure.  

 La prima prova

Giobbe gode della benevolenza e dell'amore di Dio. Un credente dalla grande fede e dalla condotta integra che Dio addita ad esempio a Satana, uno degli angeli riuniti nella corte celeste che ha la funzione simile a quella di un "pubblico ministero", deputato a saggiare la fede degli uomini. Col sospetto e con la malizia che lo caratterizza, Satana dice a Dio: "È forse per nulla che Giobbe teme Dio?" (1,8), cioè fa notare a Dio che la fede, la pietà religiosa e la lealtà di Giobbe sono una naturale risposta a tutto il benessere che gli prodiga, nella logica del do ut des.  Per Satana, Giobbe, ricoperto di ogni beneficio da Dio, famiglia, armenti, salute e ricchezza, ha un legittimo interesse a curare il suo rapporto con Dio perché gli conviene. La sua è una fede utilitaristica, di tipo commerciale, di scambio. E la provocazione di Satana, che fa bene il suo mestiere, è di chiedere a Dio di privare Giobbe di tutti i suoi beni perché è certo che senza tutti quei favori e benefici lo rinnegherà.

È una sfida forte che Dio accetta: autorizza Satana ad agire nella vita di Giobbe ma senza toccare la sua persona.

Satana entra in azione e Giobbe perde tutti i suoi beni materiali:

1) i predoni Sabei rubano buoi, asine e uccidono i servi;

2) un misterioso fuoco dal cielo colpisce le pecore e i pastori;

3) bande di Caldei depredano tutti i cammelli e passano a fil di spada i servi;

4) un gran vento e forse un terremoto uccide i suoi sette figlie e le tre figlie.  

Ma Giobbe, pur straziato dal dolore prodotto da questi tragici eventi, non perde la fede in Dio, anzi lo adora dicendo: "Nudo sono uscito dal grembo di mia madre e nudo tornerà in grembo alla terra. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore" (1,21). Parole queste ultime che talvolta in certi nostri discorsi usiamo con leggerezza e spesso a sproposito ma che dovrebbero indurci a riflettere sulla precarietà della nostra vita, che è come l'erba dei campi (Is. 39,6), come un vapore (Gc. 4,14).

Con questa affermazione Giobbe rinnova la sua devozione creaturale a Dio e supera la prima prova.

 La seconda prova

Dio e Satana si incontrano nuovamente in quell'empireo celeste imprecisato. Tra i due il dialogo riprende secondo la forma del primo incontro. Dio chiede a Satana di Giobbe e sembra vantarsi della fede salda di questo credente nonostante il dolore della perdita di tutto. E Satana coglie subito l'occasione per ribadire che la devozione di Giobbe non è gratuita. Questa volta chiede a Dio il permesso di toccargli "le ossa e la carne" (2,5), di colpirlo nella salute, certo che rinnegherà Dio. Permesso accordato a condizione di rispettare la sua vita.

     Giobbe, dunque, viene colpito di "un'ulcera maligna dalla pianta dei piedi alla sommità del capo" (2,7), una dermatite purulenta e infettiva (7,5; 9,17; 30,30) e il suo corpo è tutto malato (13,28; 19,10; 19,17; 19,27). Ormai poverissimo, abbandonato da tutti perché estromesso dalla comunità, vive nella più completa desolazione e miseria, "nella cenere".

La sofferenza di Giobbe è così atroce che la moglie, unica superstite alla distruzione della famiglia, gli dice: "Ancora stai saldo nella tua integrità? Ma lascia stare Dio, e muori! (2,8-9). E Giobbe le risponde: "Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo di accettare il male?" (2,10).

Giobbe supera anche la seconda prova.

Alcuni commentatori vedono, però, nella figura della moglie di Giobbe uno specchio del pensiero di Giobbe, per cui le parole della moglie in effetti sono le parole di Giobbe. È un processo di identificazione per cui Giobbe fa dire alla moglie quello che è nascosto nel suo cuore, un seme della futura protesta.

Agostino definì la moglie di Giobbe "adiutrix diaboli", "coadiutrice del diavolo, nel senso che la domanda posta era già "latente in una consapevolezza morale, religiosa ed esistenziale sopita o semi-desta" (J. Gerald Janzen). Altri studiosi vedono la moglie di Giobbe una seduttrice che cerca di sviare Giobbe dalla via dell'integrità, della fedeltà e dal giusto rapporto con Dio, come Eva in Gen. 3,6 o le donne di Salomone in I Re 11,4.

     La risposta di Giobbe alla moglie è un'affermazione esemplare e istruttiva per tutti noi lettori.  Esemplare, perché Giobbe è un uomo credente, timorato di Dio, che ci insegna come è possibile affrontare prove, dolori, sofferenze e restare fedeli al Signore; e istruttiva perché da questo versetto si evince la diffusa convinzione in Israele (Lam. 3,38; Isaia 41,23; 45,7; Gen. 18,7-10, Sof. 1,12) che il bene e il male provengono da Dio, idea questa che ha aperto un grande dibattito sull'origine del male nel corso della storia e per certi aspetti ancora oggi irrisolto. Peraltro, dalla Sacra Scrittura riceviamo l'insegnamento che non è Dio la causa del male nel mondo. Dalla Genesi fino agli scritti paolini del Nuovo Testamento si evince che è l'uomo, con il suo peccato, a procurarsi la sofferenza, la malattia, la morte e ogni disarmonia nelle relazioni umane.

Dunque, per queste diverse interpretazioni, la domanda di Agostino rimane: "Si deus est bonum, unde malum?" (Se Dio è buono, da dove viene il male?).

 Gli amici di Giobbe

Il cap. 2 termina con la visita a Giobbe dei suoi tre amici, Elifaz, Bildab e Zofar (vv.11-13), che si riveleranno i suoi principali accusatori. Sono andati con l'intenzione di consolarlo e confortarlo, ma dinanzi a Giobbe, trasformato dal dolore e dalla malattia, non lo riconoscono. Piangono, si strappano i mantelli, si cospargono il capo di cenere e restano in silenzio per sette interi giorni. Dinanzi al dolore spesso non ci sono parole. Il dolore ci rende muti; e lo puoi comprendere solo se vi sei dentro.


                                                                                                    Aldo Palladino

 

 

 

                                                                                                   

 

11 gennaio 2023

I Cor. 13, 1-13. La via per eccellenza: l'Agápe


 


1 Corinzi 13,1-13

"La via per eccellenza": l'Agápe 

Note esegetiche e omiletiche a cura di Aldo Palladino

Il testo biblico

1 Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. 2 Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. 3 Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente. 

4 L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, 5 non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, 6 non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; 7 soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.

8 L'amore non verrà mai meno. Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno; e la conoscenza verrà abolita; 9 poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; 10 ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito. 11 Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. 12 Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto.
13
Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l'amore.

 

Introduzione

Quest'inno all'agápe (tradotto con il termine amore o con quello di carità – da cháris, grazia), pare sia stato scritto da Paolo in un altro momento della sua vita e inserito a questo punto dell'epistola ai Corinzi per il suo contenuto appropriato che ben si adattava a completare un lungo ragionamento sull'umanità rinnovata dall'opera di Gesù Cristo.

Il paganesimo idolatra, le varie scuole di pensiero filosofiche, stoiche e gnostiche, lo stesso giudaesimo che riteneva che Israele fosse il vero popolo di Dio e che i profeti, invece, accusavano di averne disonorato il nome (Rm. 2,24 che cita Is. 52,5), sono per Paolo il tradimento della vera e autentica umanità. Tant'è che la sua teologia, che nasce dall'esperienza sulla via di Damasco, dalla nuova visione che egli ha di Gesù, ridefinisce sia la fede in Dio, sia l'idea di storia della salvezza, sia l'idea di uomo, pagano o giudeo, di comunità, di speranza, di carità e fornisce nuove proposizioni per essere cristiani autenticamente umani e/o umani autenticamente cristiani.

Gesù Cristo è il centro, il punto focale, il fondamento del suo pensiero e della sua stessa vita. Ai pagani presenta il culto del vero Dio, rivelato in Gesù Cristo, ai filosofi la vera conoscenza di Dio attraverso la conoscenza di Gesù Cristo ed agli ebrei annunzia che Gesù è il Cristo, il Messia, e che vero ebreo è colui che lo è nel cuore, nello spirito e non nella lettera.

Dunque, a Corinto Paolo svolse un'intensa attività pastorale che lo portò a svolgere una lunga catechesi sul kérygma fondamentale della fede (1 Cor. 11,23-27; 15,1-8). Si impegnò in un'opera di sensibilizzazione etica (1 Cor. 5-6) e di formazione della comunità cristiana in modo che esprimesse ordinatamente i diversi carismi personali nell'unità dello Spirito e per l'edificazione della chiesa (1 Cor. 12-14).

Ma dopo aver predicato, insegnato e fornito indicazioni per una ordinata vita comunitaria, forse anche per una sua "filosofia" della vita, Paolo ci mette davanti quest'inno all'amore, che definisce "la via per eccellenza" (1 Cor. 12, 31).

È una "via", perché è un cammino da percorrere e da praticare, ed è "per eccellenza", perché è il dono dei doni, il dono perfetto senza il quale ogni altro (lingue, guarigioni, miracoli, conoscenza, profezia), pur espressione dello Spirito, è incompleto o assolutamente senza valore.

Evidentemente l'amore di cui parla Paolo non è quello naturale, sempre imperfetto e parziale, ma è l'amore alto, sublime, divino, qual è l'amore di Dio manifestato in Cristo Gesù. Amore gratuito, immeritato, che rinunzia alla vita del Figlio per amor nostro e per la vita del mondo (Gv. 3,16).

 

Note esegetiche

Il brano può essere così diviso:

1)     vv. 1-3: il primato dell'amore;

2)     vv. 4-7: la qualità dell'amore (natura e opere);

3)     vv. 8-13: la durata eterna dell'amore.

 

Il primato dell'amore

1 Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. 2 Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. 3 Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente.

In una comunità rissosa come quella di Corinto, lacerata

a)     da contrasti tra forti e deboli, ricchi e poveri, più spirituali e meno spirituali, da divisioni che sfociavano in gruppi di tifosi di Paolo, Apollo, Cefa, Cristo (1 Cor. 1, 12),

b)     da contese interne per la corsa al primato personale facendo valere il proprio dono come migliore di quello posseduto dagli altri (gerarchia dei doni utilizzata a fini personali);

e inserita in una società dalle forti tensioni sociali, culturali, religiose, l'apostolo Paolo per ben tre volte argomenta sull'essenzialità dell'amore, perché:

1)     senza amore, anche se abbiamo un linguaggio umano o angelico produciamo solo un rumore, fastidioso come quello del rame (più esattamente un bronzo, una lega di rame e stagno di poco valore) risonante (echeggiante, dal greco ēcheō ) o stridente come quello del cembalo;

2)     senza amore, ogni nostro discorso profetico, ancorché forbito e ispirato, ogni nostra sapienza umana e divina o anche la forza miracolosa della fede che può operare grandi cose, ci rende un nulla;   

3)     senza amore, tutte le nostre opere di misericordia, caritatevoli (elemosine), di dedizione o di rinuncia totale fino a dare tutto per i poveri o, addirittura, fino a sacrificare il nostro corpo per un presunto ideale, tutto questo non ha nessun valore.

L'accento è posto, dunque, non sui destinatari ma sugli autori delle parole e delle azioni, ai quali Paolo fa sapere che se dietro l'uso dei doni c'è l'esaltazione di se stessi o il desiderio di primeggiare ogni loro attività è vanificata. In effetti, il criterio per essere importanti o primi è quello del servizio, di mettersi a disposizione degli altri per aiutare e fare il bene, con umiltà e modestia, come anche Gesù ha insegnato (Mt. 20,26-28).

 

La qualità dell'amore (natura e opere)

4 L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, 5 non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, 6 non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; 7 soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.

Abbiamo qui la descrizione dell'amore, della sua natura e delle sue opere in quindici verbi, di cui sette sono espressi in positivo e otto in negativo. L'amore è definito in ciò che è e ciò che non è, in ciò che fa e in ciò che non fa. Sono qui esplicitati sentimenti umani alcuni dei quali riconosciamo solo come segni di contraddizione della vita dei Corinzi - e dunque della nostra vita -, perché la presentazione di quest'amore evidenzia i limiti della comunità di Corinto come pure la nostra incapacità di realizzarlo pienamente. Anzi, in molte di queste espressioni (senza offesa per i presenti) ci riconosciamo nel suo esatto contrario.

Lo scrittore Kafka nei suoi dialoghi con l'amico Gustav Janouch osservava: "Amore è tutto ciò che aumenta, allarga, arricchisce la nostra vita, verso tutte le altezze e tutte le profondità. L'amore non è un problema, come non lo è un veicolo; problematici sono soltanto il conducente, i viaggiatori, la strada".

 

 

L'amore:

è paziente, ma noi non siamo pazienti nei confronti di certe persone (la pazienza - makrotymia -  è la capacità di subire un torto e non ricambiare con la stessa moneta);

è benevolo, ma noi non sappiamo reagire con bontà verso chi ci tratta male;

non invidia, ma quante volte abbiamo desiderato le cose che altri hanno (!);

non si gonfia, ma noi ci supervalutiamo e con superbia vogliamo affermare noi stessi;

non si comporta in modo sconveniente, ma talvolta il nostro comportamento infrange le forme e diventa indecoroso o indecente;

non cerca il proprio interesse, ma noi siamo i maestri dell'egoismo;

non s'inasprisce (o non si adira), ma noi talvolta/spesso perdiamo le staffe;

non addebita il male (o non sospetta il male), ma noi siamo sempre pronti a pensar male degli altri, a tenere il conto del male degli altri, cioè a serbare rancore;

non gode dell'ingiustizia, ma molti italiani di un certo orientamento politico dinanzi ai barconi stracolmi di povera gente che sta sfuggendo alla fame e/o alla guerra incitano a sparare per respingerla e farla tornare indietro. E molti altri, a Rosarno, plaudivano alla cacciata dei lavoratori neri nel disprezzo totale della dignità e dei bisogni di quegli uomini e di quelle donne.   

L'amore:

gioisce con la verità, si compiace della verità, perché l'amore si coniuga con la verità (Salmo 85,10);

soffre ogni cosa, dal significato del verbo greco stegō = coprire, nascondere coprendo, nel senso di nascondere e coprire ciò che è poco piacevole nell'altro;

crede ogni cosa, perché in tutte le circostanze vede i lati positivi;

spera ogni cosa, perché è rivolto al futuro e ci pone in attesa della pienezza del Regno di Dio.  

sopporta ogni cosa, cioè persevera con forza d'animo attraversando e superando ogni difficoltà e opposizione.      

 

La durata eterna dell'amore

8 L'amore non verrà mai meno. Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno; e la conoscenza verrà abolita; 9 poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; 10 ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito. 11 Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. 12 Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto.13 Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l'amore.

L'argomentazione dell'apostolo Paolo per sostenere la durata dell'amore sopra ogni altra virtù è fondata sull'idea che tutti i doni cui tenevano in particolar modo i Corinzi sarebbero cessati. La stessa idea è rappresentata con l'immagine del bambino che per diventare adulto deve lasciare dietro di sé le cose da bambino. Paolo fa anche presente ai Corinzi che anche la realtà presente, che essi vedono come attraverso uno specchio [a quei tempi lo specchio era un pezzo di rame lucido ma pur sempre opaco], dunque imperfetta e indiretta, dovrà essere abbandonata per aprirsi alla nuova realtà dell'incontro con Dio, faccia a faccia, di persona (Mt 5,8; Ap.22,4), quando "lo vedremo come egli è" (1 Gv. 3,2).

Solo allora, finito l'antico ordine del mondo, tutti i doni spirituali, la conoscenza e ogni realtà contingente verranno meno. Sono eterne – dice Paolo - soltanto la fede, la speranza e l'amore. Ma la domanda sulla funzione della fede e della speranza nel nuovo ordine è legittima: "Ci sarà ancora bisogno di credere e sperare? E a che scopo?". Molte sono le risposte, ma è probabile che Paolo non abbia voluto qui dare "una sfumatura escatologica senza riferimento alla precedente contrapposizione tra l'agape che è eterna e i doni dello Spirito che sono caduchi".

C'è da dire, inoltre, che le tre virtù teologali nel Nuovo Testamento sono sempre presentate insieme, come a formare un'unità (Rom. 5,2-5; Gal. 5,5 s.; Col. 1,4 s.; 1 Tess. 1,3; 5,8; Ebr. 6,10-12; 1 Pt. 1,21 s.).

Infine, Paolo chiude il suo inno ponendo l'amore al vertice di tutti i doni e di tutte le virtù, fede e speranza comprese, perché l'amore dà senso a tutto.

     

 

 

Spunti per la predicazione

 

Teologia cristocentrica

Il tema dell'amore affascina sempre. Le storie d'amore nell'arte cinematografica, nella poesia, nella letteratura, nella musica, sono sempre accattivanti e coinvolgenti, perché riproducono la nostra vita piena di sentimenti ed emozioni contrastanti, di desideri espressi o repressi, di ideali annunciati e mai raggiunti, di bisogni veri o presunti. La nostra vita si nutre d'amore in genere per un bisogno naturale di essere amati più che di amare. Eppure l'amore, in tutte queste ricerche, è celebrato più come un problema che come una risorsa. Di troppo amore si soffre e si muore, di poco o di nessun amore ci si ammala o si deperisce. Insomma, non si sa mai qual è il punto in cui si realizza un perfetto equilibrio per un amore sano, giusto, maturo.

"Per l'apostolo Paolo esiste un solo amore (A. Schlatter), di modo che non ha più significato la tradizionale polemica per determinare se nel cap. 13 con amore s'intenda l'amore di Dio verso gli uomini o l'amore per Dio oppure l'amore per il prossimo" (Wendland).

Quando parliamo d'amore sarà meglio non parlare solo di noi, ma soprattutto di Gesù Cristo e della sua croce; dunque non parliamo né di nostre virtù e capacità umane né di un'opera dell'uomo naturale, ma dell'opera dell'amore di Dio per l'umanità manifestata in suo Figlio. L'inno all'amore di Paolo è teologia cristocentrica e non un discorso prettamente antropologico.

Tuttavia la cristologia paolina fonda la sua ecclesiologia; la chiesa a cui egli si rivolge dovrebbe manifestare il superamento delle distinzioni tra essere umani e affermare rapporti d'amore al posto di sospetto e sfiducia reciproca, come segno dell'azione dello Spirito di Dio (Col 1,8).

La via per eccellenza è un nuovo cammino che Paolo prospetta alla comunità di cristiani ebrei e cristiani gentili, uniti per costruire una nuova famiglia in Cristo Gesù senza muri e senza barriere etniche, culturali, religiose e di sesso (Ga. 3,28). Questo è il progetto di Dio, da sempre, per la chiesa e per il mondo.

 

Sequela

Ma come si realizza quest'inno all'amore, come si concreta questa via per eccellenza, questo progetto di Dio? D. Bonhoeffer risponde che amore e sequela sono un tutt'uno.

Karl Barth precisa che "nell'azione dell'amore" l'uomo agisce come partner di Dio e non "come una marionetta". Il partner risponde ad una chiamata ad uscir fuori "rinunciando all'idea sbagliata di appartenere a se stesso". Infatti, Gesù disse: "Chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio e del vangelo, la salverà" (Mc. 10,39). Perché l'uomo, laico o religioso, deve abbandonare l'idea di un individualismo esasperato ed egoista per far posto alla realizzazione di una comunità globale aperta, solidale, con una nuova visione della vita e del mondo come quella che Gesù Cristo ci ha mostrato. Sequela è vivere questa nuova visione; è mettersi in cammino seguendo le orme di Gesù e amare come lui ha amato.

 

Letture bibliche

Mc. 9, 31-38; Col. 3, 12-17;

 

Inni per la liturgia

n. 327 (Se non ho carità io non son nulla)

n. 261 (Prendi, o Dio, la vita mia)

n. 242 (Voglio servirti sempre)

 

Bibliografia

Tom Wright. Che cosa ha veramente detto Paolo. 1999. Claudiana

Leon Morris. La prima epistola di Paolo ai Corinzi. 1999. Edizioni G.B.U.

Hein-Dietrich Wendland. Le lettere ai Corinti. 1976. Paideia Editrice

Nuovo Testamento Annotato. Le Epistole di Paolo. 1974. Claudiana

Dietrich Bonhoeffer. Sequela.2004. Queriniana.

Gianfranco Ravasi. Ritorno alle virtù. 2005. Oscar Mondadori