Rom. 8, 26-30
DALLA DEBOLEZZA ALLA GLORIFICAZIONE
Predicazione di Aldo Palladino
Domenica, 4 maggio, Chiesa Cristiana Evangelica Valdese di Via Nomaglio e
e di C.so Oddone - Torino
Il testo biblico
26 Allo stesso modo ancora, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili; 27 e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio.
28 Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno. 29 Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli; 30 e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati.
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Un disagio?
Dobbiamo ammettere che tutte le volte che ci troviamo di fronte a brani come questo, in cui in modo evidente viene presentata l'azione dello Spirito Santo in favore dei credenti, avvertiamo un certo disagio.
Noi, che ci definiamo e siamo cristiani trinitari, abbiamo, per così dire, più "familiarità" con Dio Padre, con Dio Figlio, ma facciamo fatica ad accogliere Dio come Spirito Santo. A mio parere, ciò dipende da diversi motivi.
Il primo è che siamo contaminati da una cultura che definisce vero solo ciò che si vede e che si tocca. È la cultura antica di Tommaso che disse ai discepoli che avevano visto il Signore: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e se non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò" (Giov. 20,25).
Il secondo è che è più facile ragionare per categorie o per immagini e le figure del Padre e del Figlio rientrano nella nostra quotidianità e, dunque, sono più vicine alla nostra esperienza di vita.
Il terzo è che nel corso della storia, le interpretazioni date sullo Spirito Santo, dalle origini fino ai nostri giorni, sono sempre state un tentativo di risolvere il problema dell'intreccio tra potenza divina e desiderio umano, cioè di stabilire dove opera Dio e dove, invece, opera l'istinto o la volontà umana.
Un ultimo motivo, inoltre, è che noi credenti abbiamo un po' perso l'abitudine di lasciarci ammaestrare dalla Parola di Dio, che è e rimane sempre il terreno fertile da cui partire per essere orientati in ogni ricerca che coinvolga la nostra fede.
Lo Spirito Santo
Il nostro disagio, infatti, si attenua o scompare quando, approfondendo il nostro testo, l'apostolo Paolo afferma che lo Spirito è colui "che viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene". Lo Spirito ci viene incontro per rimediare alla nostra debolezza (in greco "astenia", che significa, nel linguaggio medico, "debolezza dell'organismo o di una sua parte, mancanza di vigore") e, in senso lato, alle nostre infermità, alla nostra povertà, alla nostra ignoranza, insite nella nostra umanità di peccato. Come bambini, lo Spirito Santo ci guida ad accostarci a Dio per invocarlo: "Abbà, Padre" (Gal.4,6-7; Rom.8,15-17), e ci sostiene nella relazione con Lui. Col suo aiuto, Dio non è più quel personaggio lontano e misterioso, giudice severo e castigatore disegnato da una vetero-telologia, ma diventa nostro Padre, che per amore dona se stesso in Cristo Gesù per diventare quel prossimo che si prende cura di noi fino alla nostra completa guarigione (Lc. 10,25-37).
Lo Spirito Santo e la preghiera
Siccome non sappiamo pregare come si conviene, Paolo sostiene che lo Spirito supplisce a questa nostra incapacità e traduce la nostra preghiera per renderla comprensibile a Dio. Lo Spirito Santo stimola e promuove la preghiera e si fa carico di presentarla a Dio come nostro interprete e portavoce. Dunque, la preghiera è, al tempo stesso, iniziativa e realizzazione dello Spirito Santo e, come qualsiasi altra attività espressione della fede, essa non è merito nostro né deve diventare motivo di vanto. La preghiera è un dono e un privilegio, ed è termometro della nostra vita spirituale, perché chi crede prega e chi prega crede.
Quando lasciamo agire liberamente lo Spirito Santo – e ciò avviene se noi non lo contristiamo (Ef. 4,30) e non ci opponiamo alla sua azione – egli viene a dimorare in noi e noi diventiamo tempio dello Spirito Santo (1 Cor. 6,19). Così lo Spirito, come puro dono, diventa la norma secondo cui noi viviamo e, di conseguenza, noi possiamo imparare a distinguere nelle diverse situazioni concrete della nostra vita ciò che è giusto da quello che è sbagliato (1 Cor. 7,40).
Dio non ci abbandona a noi stessi
Le parole dell'apostolo Paolo, che ci assicurano l'aiuto dello Spirito Santo, sono per tutti noi un messaggio incoraggiante. Nonostante quello che noi siamo, anzi proprio per quello che noi siamo o, come dice Paolo, "mentre eravamo senza forza…" (Rom. 5,6), "Dio mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo peccatori, Cristo e morto per noi" (Rom. 5, 8). Il progetto dell'amore di Dio per l'intera umanità si concretizza nel dono del Figlio, Gesù Cristo, nel quale abbiamo salvezza e vita eterna. Ma quel progetto si completa col dono dello Spirito Santo, perché Dio non ci abbandona a noi stessi.
Per questo Paolo può dire (secondo una versione più accreditata): "Noi sappiamo che Dio volge tutte le cose al bene di coloro che lo amano" (28).
Disse un teologo riformato: "Se tutto coopera per il bene, non c'è nulla che, in un modo o in un altro, non possa tornare a vantaggio dei figlioli di Dio. Tutto ciò che la Provvidenza dispensa, sia in bene che in male, sia favorevole che avversa, ogni occorrenza ed evento - ogni cosa, qualunque essa sia - coopera al loro bene. Non succede per caso: è Dio a fare in modo che ogni cosa si riveli per il bene dei suoi figlioli. In modo particolare, l'afflizione dei credenti coopera a questo fine" (Haldane).
Non c'è, dunque, motivo per cadere nello sconforto o nella paura, nello scoraggiamento, nella delusione. L'iniziativa di Dio è fondata sulla sua fedeltà alle promesse e al suo piano di redenzione:
1) "Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Gesù Cristo fin dall'eternità" (2 Tim. 1,9);
2) ci ha preconosciuti, cioè ci ha conosciuti prima ancora di manifestare il suo amore in Cristo (conoscenza, nel linguaggio biblico, non è tanto un fatto intellettuale quanto un rapporto che si stabilisce tra due persone, una scelta e un impegno);
3) ci ha predestinati, cioè ci ha chiamati a svolgere un compito, a realizzare uno scopo, quello di essere conforme all'immagine del Figlio suo: "la gloria del Cristo risorto è il segno e la caparra della gloria alla quale Iddio destina i credenti (Rom. 8,17) – in parte già quaggiù, grazie al dono dello Spirito; in modo completo alla fine ( 1 Cor. 15,49). Perciò, al v. 30, Paolo può dire chiamati, giustificati, glorificati col verbo al passato, perché la glorificazione, pur essendo la speranza ferma del cristiano, appartiene già per fede alla sua esperienza, confermata dal possesso dello Spirito Santo (2 Cor. 3,18)".
Esortazione
Queste parole possano recarci grande consolazione e profonda pace. Al tempo stesso, ci siano di stimolo per recuperare la nostra esatta identità, di uomini e donne chiamate a servire Dio qui ed ora, di figli e figlie di Dio consacrate per testimoniare e raccontare quale progetto Dio ha posto in essere e realizzato in Cristo per questa umanità, e di essere sale della terra e luce del mondo (Mt. 5,13-14).
A cominciare dalle nostre famiglie, per continuare nelle nostre chiese e poi nella società, la nostra azione deve essere una risposta coerente a ciò che Dio ci ha comandato. Amen.
Aldo Palladino