2 Corinzi 11,18. 12,1-10
Meditazione di Aldo Palladino
Il testo biblico
11,18 Poiché molti si vantano secondo la carne, anch'io mi vanterò.
12, 1 Bisogna vantarsi? Non è una cosa buona; tuttavia verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore.
2 Conosco un uomo in Cristo che quattordici anni fa (se fu con il corpo non so, se fu senza il corpo non so, Dio lo sa), fu rapito fino al terzo cielo. 3 So che quell'uomo (se fu con il corpo o senza il corpo non so, Dio lo sa) 4 fu rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è lecito all'uomo di pronunciare. 5 Di quel tale mi vanterò; ma di me stesso non mi vanterò se non delle mie debolezze. 6 Pur se volessi vantarmi, non sarei un pazzo, perché direi la verità; ma me ne astengo, perché nessuno mi stimi oltre quello che mi vede essere, o sente da me. 7 E perché io non avessi a insuperbire per l'eccellenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca. 8 Tre volte ho pregato il Signore perché l'allontanasse da me; 9 ed egli mi ha detto: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me. 10 Per questo mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte.
12, 1 Bisogna vantarsi? Non è una cosa buona; tuttavia verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore.
2 Conosco un uomo in Cristo che quattordici anni fa (se fu con il corpo non so, se fu senza il corpo non so, Dio lo sa), fu rapito fino al terzo cielo. 3 So che quell'uomo (se fu con il corpo o senza il corpo non so, Dio lo sa) 4 fu rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è lecito all'uomo di pronunciare. 5 Di quel tale mi vanterò; ma di me stesso non mi vanterò se non delle mie debolezze. 6 Pur se volessi vantarmi, non sarei un pazzo, perché direi la verità; ma me ne astengo, perché nessuno mi stimi oltre quello che mi vede essere, o sente da me. 7 E perché io non avessi a insuperbire per l'eccellenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca. 8 Tre volte ho pregato il Signore perché l'allontanasse da me; 9 ed egli mi ha detto: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me. 10 Per questo mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte.
Conflittualità nella comunità di Corinto
La comunità di Corinto che ci viene presentata attraverso gli scritti di Paolo era certamente una comunità difficile da governare. Al suo interno c'erano gruppi che si contrapponevano e si contrastavano: forti e deboli, ricchi e poveri, più spirituali e meno spirituali, tifosi di Paolo, di Apollo, Cefa, Cristo (I Cor. 1,12). E non dimentichiamo le contese per la corsa al primato personale per far valere il proprio dono come migliore di quello posseduto da altri.
In questo clima fiorisce uno spirito di critica e di contestazione che si focalizza sulla persona dell'apostolo Paolo. Sono critiche di natura personale, etica e morale e persino spirituale. A Paolo si rimprovera un atteggiamento autoritario (2 Cor. 1,24), definito come un signoreggiare sulla fede altrui. Lo accusavano di essere rozzo nel parlare (10,10), cioè di essere poco eloquente, di scrivere lettere minacciose, eccessivamente severe ma poi di non avere autorità nelle situazioni quando è presente di persona. Ma l'accusa più grave che gli viene fatta è quella di "camminare secondo la carne" (2 Cor. 10,3; Gal. 5,16; Rom. 8, 6. 9), è di agire come un uomo non credente, come un peccatore. Ma dalla risposta di Paolo si intuisce che l'accusa è ancora più grave perché, non essendo possibile mettere in dubbio la serietà e la purezza morale dell'apostolo, viene messo in discussione il suo ministero apostolico.
In questo clima fiorisce uno spirito di critica e di contestazione che si focalizza sulla persona dell'apostolo Paolo. Sono critiche di natura personale, etica e morale e persino spirituale. A Paolo si rimprovera un atteggiamento autoritario (2 Cor. 1,24), definito come un signoreggiare sulla fede altrui. Lo accusavano di essere rozzo nel parlare (10,10), cioè di essere poco eloquente, di scrivere lettere minacciose, eccessivamente severe ma poi di non avere autorità nelle situazioni quando è presente di persona. Ma l'accusa più grave che gli viene fatta è quella di "camminare secondo la carne" (2 Cor. 10,3; Gal. 5,16; Rom. 8, 6. 9), è di agire come un uomo non credente, come un peccatore. Ma dalla risposta di Paolo si intuisce che l'accusa è ancora più grave perché, non essendo possibile mettere in dubbio la serietà e la purezza morale dell'apostolo, viene messo in discussione il suo ministero apostolico.
Chi sono quelli che hanno interesse a fare tutte queste critiche a Paolo?
Molto probabilmente sono persone che volevano ricollegare la comunità alla tradizione, all'antica fede del popolo di Dio. Sono "giudeo-cristiani", così chiamati perché sono cristiani in quanto accettano la rivelazione di Cristo e la sua salvezza, ma giudei in quanto continuano a dare forte importanza alla rivelazione mosaica. È questa corrente di pensiero che si oppone all'apostolato di Paolo.
Queste persone, appartenenti alla comunità di Corinto o venute da fuori per entrare a farne parte, hanno cominciato a vantarsi della loro origine ebraica, di avere ricevuto l'eredità promesse da Dio e di essere di Cristo, costringendo Paolo – lui che non considera il vanto una virtù cristiana, ritenendola una cosa non buona (12,1) -, a vantarsi lui stesso e ad esporre come un folle tutte le sue prerogative di apostolo, di ebreo, di cristiano.
Il vanto dell'apostolo Paolo
Il suo vanto non è rivolto all'esaltazione di se stesso, ma a rispondere ai suoi critici e detrattori, i quali si gloriavano di avere doni dello Spirito, quali il parlare in lingue (glossolalìa), visioni, estasi ecc., che lui stesso era stato protagonista di un'esperienza estatica che lo aveva portato fino al terzo cielo[1].
Tuttavia, egli non fa di questi misteriosi eventi il cardine della sua vita spirituale. È fondamentale per lui caratterizzare il suo ministero di una forte dose di debolezza. Il suo vanto è dichiararsi debole. Debole nel corpo, avendo una "spina nella carne" [2](12,7) che lo spingeva alla preghiera e all'umiltà nel servizio, e debole anche nello spirito, sapendo che Dio fa della debolezza dei suoi servi la sua forza e la sua potenza.
Il paradosso di un Dio che è forte quando è debole è il cuore del messaggio cristiano, ed è anche trasversale in tutta la Scrittura:
- Dio che si fa uomo in Cristo Gesù è segno di debolezza, perché è l'abbassamento della divinità nell'umanità di Gesù, che alla fine muore sul legno della croce, ma mostra tutta la sua forza e la sua potenza attraverso la risurrezione di Gesù Cristo. Dio è debole ma sua è la vittoria sulla morte, sul peccato, su tutti i suoi nemici.
- Dio chiama al suo servizio personaggi di umile condizione sociale e li innalza al ruolo di patriarchi, re, profeti, apostoli con compiti di grande responsabilità nella missione loro affidata.
L'apostolo Paolo scrive ai Corinzi: "Infatti, fratelli, guardate la vostra vocazione: non ci son tra voi molti savi secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i savi; e Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; e Dio ha scelto le cose ignobili del mondo, e le cose sprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono, affinché nessuna carne si glori nel cospetto di Dio… Chi si gloria, si glori nel Signore" (1 Cor. 1,26-31).
Sola gratia
La lezione che Paolo riceve da Dio, e che noi raccogliamo come testimonianza ed insegnamento per noi, è che dobbiamo vivere la nostra vita, pur nelle sofferenze e difficoltà, come un segno della grazia di Dio. "La mia grazia ti basta", dice il Signore a Paolo, che aveva insistentemente pregato perché gli togliesse quella spina nella carne. Sola gratia, perché tutto il resto è secondario e oggettivamente irrilevante. Infatti, Gesù disse ai suoi discepoli:" Che gioverà a un uomo se, dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde poi l'anima sua?" (Mt.16:26; Mc 8,36).
È comprensibile quanto sia difficile nel nostro tempo liquidare ogni nostra problematica con "La mia grazia ti basta", eppure se analizziamo la nostra vita per ricercarne senso e valori scopriamo che per la nostra stessa felicità e per il nostro benessere è necessario prima di tutto eliminare quella spazzatura che appesantisce la nostra vita e, fatta l'opportuna pulizia, porre al centro il Signore e la sua grazia salvifica.
Aldo Palladino
Aldo Palladino
[1] Nei tardi scritti giudaici si trova il concetto di sette cieli. Tuttavia Paolo parla del "terzo cielo" come di una suprema benedizione dello stato o condizione in cui fu rapito. Potrebbe trattarsi del paradiso di cui parla Lc. 23,43.
[2] Molte interpretazioni sono state date dell'espressione "la spina nella carne". Alcuni hanno pensato ad una malattia degli occhi o a crisi epilettiche. Altri hanno pensato alla malaria o a crisi depressive. Altri ancora hanno pensato agli oppositori ostinati. Dunque, c'è incertezza al riguardo, ma noi assumiamo quella espressione come un assunto teologico da applicare alla nostra vita spirituale.