Matteo 17: 1-9
La trasfigurazione di Gesù
Note esegetiche e omiletiche
a cura di Aldo Palladino
Il testo biblico
1 Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte. 2 E fu trasfigurato davanti a loro; la sua faccia risplendette come il sole e i suoi vestiti divennero candidi come la luce. E apparvero loro Mosè ed Elia che stavano conversando con lui. 4 E Pietro prese a dire a Gesù: «Signore, è bene che stiamo qui; se vuoi, farò qui tre tende; una per te, una per Mosè e una per Elia». 5 Mentre egli parlava ancora, una nuvola luminosa li coprì con la sua ombra, ed ecco una voce dalla nuvola che diceva: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo». 6 I discepoli, udito ciò, caddero con la faccia a terra e furono presi da gran timore. 7 Ma Gesù, avvicinatosi, li toccò e disse: «Alzatevi, non temete». 8 Ed essi, alzati gli occhi, non videro nessuno, se non Gesù tutto solo.
9 Poi, mentre scendevano dal monte, Gesù diede loro quest'ordine: «Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo sia risuscitato dai morti».
NOTE ESEGETICHE
v. 1 - "Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte".
Secondo la versione di Matteo, Gesù era "nei dintorni di Cesarea di Filippo" (16,13) quando chiese a i suoi discepoli: "Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo?" (Mt. 16,13). Alla dichiarazione di Pietro, come sappiamo, seguì da parte di Gesù ai discepoli una serie di annunci, insegnamenti e avvertenze concernenti la sua vita, la sua passione in vista della sua morte e risurrezione (Mt. 16,21) e il prezzo del discepolato (Mt. 16, 24-26).
Sei giorni dopo questi discorsi (otto giorni in Luca), egli chiama a sé Pietro, Giacomo e Giovanni per condurli su un alto monte. Trattasi verosimilmente del monte Tabor - definito in 2 Pt. 2,18 il "monte santo" - e non, come alcuni sostengono, dell'Hermon perché, anche se quest'ultimo monte è il più vicino a Cesarea di Filippo, Gesù si stava spostando verso il Sud alla volta di Gerusalemme. Peraltro, un'antica tradizione palestinese, attestata fra gli altri da Cirillo di Gerusalemme (Cat 12,16) e da Girolamo (Ep. 46,13), indica il Tabor come il luogo del mistero della trasfigurazione. Oggi, alla sua sommità c'è una chiesa, la chiesa della trasfigurazione.
Non sapremo mai perché Gesù abbia portato con sé soltanto Pietro, Giacomo e Giovanni, e non tutti i discepoli. Possiamo avventurarci su ipotesi più o meno accettabili o anche avventate, ma la scelta dei tre è probabilmente collegata, tra l'altro, alla necessità del narratore di sostenere la storicità dell'evento della trasfigurazione con un sufficiente numero di testimoni qualificati (almeno due o tre secondo la tradizione ebraica: Deut. 17,6 e 19,15, Mt. 18,16, 2 Cor. 13,1, 1 Tim. 5,19, Ebr. 10,28).
Pietro rievoca questa esperienza quando scrive: "Infatti vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole abilmente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua maestà. Egli, infatti, ricevette da Dio Padre onore e gloria quando la voce giunta a lui dalla magnifica gloria gli disse: «Questi è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto». E noi l'abbiamo udita questa voce che veniva dal cielo, quando eravamo con lui sul monte santo" (2 Pt. 1:16-18).
Matteo afferma che Gesù li condusse su un alto monte[1] in disparte (Mt 17,1; Mc 9,2); Luca precisa per pregare (9,28).
v. 2 - E fu trasfigurato davanti a loro; la sua faccia risplendette come il sole e i suoi vestiti divennero candidi come la luce.
E mentre pregavano (Luca), Gesù fu trasfigurato (gr. methemorphothe) (Matteo e Marco), cioè "mutò aspetto". Da notare che Matteo e Luca si riferiscono al volto e ai vestiti, con la particolarità che il testo greco di Luca, per quanto riguarda il volto, usa un'espressione più neutra: «l'aspetto del suo volto divenne altro» (Lc 9,29), mentre Matteo afferma che lo splendore della faccia di Gesù era come quello del sole. Marco, pur parlando di trasfigurazione, fa riferimento solo al candore dei vestiti.
Quale messaggio trasmettevano queste espressioni? Certamente un messaggio che i lettori potevano recepire e forse anche interpretare secondo la mentalità corrente. E, dunque, occorre ricordare che nel N.T. i vestiti sfolgoranti e candidi indicano gli angeli (Mt. 28,3; Mc. 16:5; Lc 24,4; At. 1.10, 10;30), cioè l'appartenenza ad un mondo superiore, divino. Inoltre la luce è il mantello di Dio (Salmo 104,2).
L'apostolo Paolo, in Atti 26,13, testimonia al re Agrippa che Gesù sulla via di Damasco gli è apparso in "una luce dal cielo, più splendente del sole".
Nel racconto di Es. 34, 29 leggiamo che "Mosè non sapeva che la pelle del suo viso era diventata tutta raggiante mentre egli parlava con il Signore".
v. 3 - E apparvero loro Mosè ed Elia che stavano conversando con lui.
La visione della trasfigurazione di Gesù si completa con l'apparizione di Mosè ed Elia che "stavano conversando" con Gesù. Come abbiano fatto i discepoli a riconoscerli non ci è detto, ma è probabile che li abbiano riconosciuti ascoltando la conversazione tra Gesù e i due personaggi che gli erano accanto.
Come mostra chiaramente la tabella sinottica, solo Luca (9,31) riferisce quale fosse il contenuto della conversazione: "la sua dipartita" ("esodo" nel testo greco), cioè la sua morte a Gerusalemme.
Mosè ed Elia, figure che rappresentano la Legge e i Profeti, sono affiancati a Gesù ad indicare che tutta la Scrittura preannuncia, prepara la venuta del Messia ed ha in Cristo Gesù il suo compimento.
C'è qui la conferma dell'identità di Gesù, la rassicurazione che il suo cammino si svolge secondo la volontà di Dio, già rivelata nella Legge e nei Profeti, di cui Gesù è l'interprete (Lc. 24,27).
v. 4 - E Pietro prese a dire a Gesù: «Signore, è bene che stiamo qui; se vuoi, farò qui tre tende; una per te, una per Mosè e una per Elia».
Marco 9,6 precisa che dinanzi a quella visione, Pietro "non sapeva che cosa dire". Anche nell'orto del Getsemani Pietro e suoi compagni non sapevano cosa rispondere a Gesù, che li aveva sorpresi dormire (Mc. 14,40). Ciononostante, Pietro, spaventato, col suo carattere istintivo e sanguigno, sempre pronto a offrire soluzioni alle situazioni contingenti, propone di costruire tre tende, forse mosso dal desiderio di prolungare o fermare il tempo. Rimanere lì poteva per Pietro significare il godimento di uno stato di particolare estasi e benessere personale o il distacco, l'evasione dai problemi della vita quoditiana, oppure evitare a Gesù di andare incontro alla morte a Gerusalemme. Luca così commenta la proposta di Pietro di costruire tre tende: "Egli non sapeva quello che diceva" (Luca 9,33), che a noi suona come un avvertimento ad essere saggi nel nostro parlare e nel nostro agire.
vv. 5-9 Mentre egli parlava ancora, una nuvola luminosa li coprì con la sua ombra, ed ecco una voce dalla nuvola che diceva: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo». I discepoli, udito ciò, caddero con la faccia a terra e furono presi da gran timore. Ma Gesù, avvicinatosi, li toccò e disse: «Alzatevi, non temete». Ed essi, alzati gli occhi, non videro nessuno, se non Gesù tutto solo. Poi, mentre scendevano dal monte, Gesù diede loro quest'ordine: «Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo sia risuscitato dai morti».
Pietro viene messo a tacere. Una nuvola e una voce investono il gruppo. La teofania ritorna come sul Sinai a Mosè (Es. 19,16-19; 20,21; 24,15-16) ed anche qui la nube è il simbolo della presenza di Dio, che si rivela, ma non si vede. Essa in quel momento è anche la risposta a Pietro: la vera tenda è la nube della dimora di Dio (Shekinah).
La voce che dice: "Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto, ascoltatelo" (Mt 3,17) è la stessa che si udì al fiume Giordano, al battesimo di Gesù, e che suggella l'approvazione di Dio all'inizio del ministero pubblico di Gesù, servo, diacono del Signore, come Isaia 42,1 aveva detto: " Ecco il mio servo, io lo sosterrò; il mio eletto di cui mi compiaccio". Luca dice molto più esplicitamente: "Colui che io ho scelto".
Ancora una volta viene ribadito che Dio ha una relazione stretta con Gesù. La sua accettazione del ruolo di servo, il suo abbassamento, la sua umiliazione già fin d'ora merita il suggello per la sua elevazione. Gesù non è solo il Messia, è di più: il Figlio beneamato di Dio. In quanto tale, è degno di essere ascoltato. È il Logos fatto carne, la Parola prima ed ultima. La Parola definitiva che salva e ci libera dalle nostre paure, se sappiamo alzare i nostri occhi per vedere solo e soltanto Gesù che ci rivolge la sua esortazione: " Alzatevi, non temete".
BREVI RIFLESSIONI PER LA PREDICAZIONE
La rivelazione di Gesù Cristo ci cambia
La comunità cristiana del I secolo pone nei vangeli tre grandi rivelazioni del "mistero" che si nasconde in Gesù, sotto la realtà esteriore di semplice uomo galileo. La prima rivelazione è agli inizi della sua vita pubblica, nel battesimo al fiume Giordano, dove la voce del Padre dice:" Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto" (Mt. 3, 13-17) (testo commentato recentemente per la liturgia dell'avvento).
La seconda è la trasfigurazione di Gesù (Mt. 17,1-9), in cui la voce del Padre riafferma: "Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo". La terza è quella in cui un centurione romano, ai piedi della croce, esclama: "Veramente, costui era Figlio di Dio" (Mt. 27,54).
Dunque, il problema della vera identità di Gesù viene imposta all'attenzione dei lettori (non solo nei vangeli ma in modo trasversale in tutto il NT), che sono invitati a cambiare opinione sul giovane uomo di Nazareth. Il nostro brano, infatti, è il racconto di cambiamenti. Situazioni, immagini, che cambiano repentinamente: prima il silenzio di un raccoglimento, lontano da tutti e in preghiera, poi la scena epifanica della trasfigurazione di Gesù, che muta aspetto ed appare in una luminosità quasi accecante con Mosé ed Elia. Poi, il repentino cambiamento di Pietro, che è pronto a costruire tre tende o capanne per cristallizzare quella situazione. Anche la voce di Dio è segno che Dio, una volta relegato dalla tradizione in una lontananza imperscrutabile, misterioso e giudice severo, ora è presente e attivo come Padre che approva l'ubbidienza e l'umiltà del suo servo e Figlio Gesù Cristo, il suo unico Figlio che non rifiuta, ma che dona all'intera umanità, pronto a sacrificarlo, come un tempo Abramo aveva fatto per Isacco (Gen. 22). Cambiano anche Giacomo e Giovanni, che sono atterriti, intimoriti dinanzi a tutto quello che sta accadendo e cadono con la faccia a terra, Pietro compreso.
Sono in tutto sette personaggi (numero che indica completezza nella bibbia): Gesù, Mosé, Elia, Pietro, Giacomo, Giovanni e Dio Padre. Tutti protagonisti o testimoni della storia della salvezza.
Chiamati alla "trasfigurazione"
Anche noi, dinanzi al racconto di Matteo, che ci mette di fronte alla confessione di fede: "Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo", non restiamo indifferenti. Da una parte c'è la tentazione di Pietro a ritagliarci un modo di vivere sotto una "tenda", un cui la nostra fede si adagia e si ripiega su se stessa, diventa introspettiva, tranquilla e autocelebrativa, una fede godereccia e in pantofole in cui sono altri ad organizzarci la nostra vita spirituale, o anche una fede che è fuga dalla responsabilità nella società; dall'altra, c'è l'invito ad ascoltare Gesù, ad ubbidire alla sua parola.
Anche noi siamo chiamati alla trasfigurazione, alla trasformazione, a diventare "altro". Ciò è possibile quando, ponendoci alla sequela di Cristo, scegliamo e viviamo una fede che si mette al servizio dell'altro, di chi necessita di aiuto e sostegno, materiale e spirituale. Diventare "altro" significa farsi prossimo all'"altro", vivere e praticare la via del servizio ai bisognosi, della condivisione del pane quotidiano, della solidarietà con i poveri e i sofferenti, perché il Padre si compiace del Figlio per la sua ubbidienza e per la sua perseveranza a perseguire il bene dell'umanità fino a dare la sua vita per essa.
Noi diventiamo "altro" quando osiamo incamminarci dietro colui che fa della sua vita umile, umiliata, sommessa, non gridata, un esempio autorevole di forza di trasformazione delle coscienze e dei cuori che genera novità di vita nella giustizia, nella verità, nel perdono, nell'amore.
Noi diventiamo "altro", quando sappiamo far brillare la luce della sua parola in un mondo che giace nel peccato e che attinge sempre di più a "cisterne screpolate" per risolvere le sue crisi ricorrenti.
"…Far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo" (2 Cor. 4, 6) è la nostra vocazione. Scrive Dietrich Bonheffer: "Non si tratta mai del fatto che si possa essere o diventare simili ai discepoli o ad altre figure del Nuovo Testamento, ma solo del fatto che Gesù Cristo e la sua chiamata restano uguali, allora e oggi… Non devo paragonarmi né all'uno né all'altro. Devo invece ascoltare e compiere soltanto la parola e la volontà di Cristo" (in "Sequela", Editrice Queriniana, pag. 208).
Aldo Palladino
Testi di appoggio per la predicazione
Gen. 22; Fil. 2, 5-11; 2 Cor. 4,6-10
Bibliografia:
1) Douglas R.A. Hare. Matteo. Editrice Claudiana, pag. 207-210.
2) Lamar Williamson jr. Marco. Editrice Claudiana, pag. 223-210.
3) Fred B. Craddock. Luca. Editrice Claudiana, pag. 165-168.
4) Nuovo Testamento annotato. I Vangeli sinottici. Editrice Claudiana.
5) Werner Stenger. Metodologia biblica. Queriniana.
6) Dietrich Bonhoeffer. Sequela. Queriniana, 2004; pag. 208.
7) Gianfranco Ravasi. I monti di Dio.San Paolo.
[1] Per un approfondimento sulle montagne bibliche, segnalo il libro di Gianfranco Ravasi ," I monti di Dio"; San Paolo.
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