Note esegetiche e omiletiche
a cura del Past. Stefano D'Amore
Il testo biblico
24 Nessuno può servire due padroni; perché o odierà l'uno e amerà l'altro, o avrà riguardo per l'uno e disprezzo per l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona. 25 «Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? 26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? 27 E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un'ora sola alla durata della sua vita? 28 E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; 29 eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. 30 Ora se Dio veste in questa maniera l'erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede? 31 Non siate dunque in ansia, dicendo: "Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?" 32 Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. 33 Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. 34 Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.
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ESEGESI DEL TESTO
v. 24
(Cfr. Lc 16,13)
Può apparire una massima di valore universale, ma è profondamente legata a ciò che la precede, in particolare alla capacità di discernimento che è possibile solo con un occhio buono (Mt 5,22). L'incapacità di discernere porta all'incapacità di scegliere. Ma prendere una posizione è importante. Nell'antropologia biblica qualsiasi individuo è sempre sottoposto al servizio di un potere esterno, appartiene a qualcuno; non esiste l'individualità isolata dalla relazione con Dio o con altri dei.
Gesù dichiara in maniera netta che è impossibile seguire, appartenere a due padroni.
Il termine Mammona deriva probabilmente da "aman": ciò in cui si può confidare. Nel tardo giudaismo significava "ricchezza, guadagno, solitamente realizzati con atti di ingiustizia".
Come dice Bonhoeffer «le ricchezze o i beni, sono tali solo quando guadagnano il nostro cuore… senza il nostro cuore i beni non sono nulla… essi vivono del nostro cuore, per questo sono contro Dio».
Il denaro assorbe tutte le energie e diventa il fine della vita, non un mezzo, rende schiavi. E' un padrone esigente, diventa un idolo. Il denaro fissa le nostre esigenze e la nostra vita.
Il denaro in sé è un mezzo, siamo noi che lo rendiamo idolo. Dunque tutto sta in ultima analisi alla nostra scelta e al nostro saper discernere. Usarlo come mezzo che serve e non qualcosa che serviamo.
Qui il tema è l'esclusività del servizio, il dono totale del proprio essere. Si tratta non di una contrapposizione oggettiva tra due grandezze da scegliere, ma soggettiva che riguarda l'orientamento di fondo della persona, il «perno su cui far ruotare la propria vita» (Barbaglio). O confidiamo nelle nostre capacità di raggiungere la ricchezza o confidiamo in un Dio che ci chiama a dare i nostri beni al servizio del suo Regno e della sua giustizia.
I vv. 25-33 sono un'unità tramandata anche da Luca (Lc 12, 22-31)
v. 25
"Perciò" indica una conseguenza, un passaggio deduttivo dal più grande al più piccolo, tipica dell'epoca. Il riferimento non è a cose superflue, ma basilari (mangiare, vestirsi). Gesù conosce la povertà dei suoi interlocutori e non sta proponendo qui l'eliminazione del lavoro, ma si tratta di un'esagerazione che vuole comunicare la necessità di regolare l'ansia smodata, l'eccessiva preoccupazione che in definitiva significa sfiducia in Dio.
Il presupposto è che si prenda sul serio la bontà del Creatore. Le frasi retoriche dovrebbero infatti portare a riconoscere che noi (la nostra vita, il nostro corpo) siamo importanti!
v. 26
Non si tratta di una visione idilliaca della natura (7,15; 24,28), ma di un fissare lo sguardo sulla bontà e premura di Dio.
La sollecitudine ansiosa è da fuggire non perché opprime l'uomo e non gli dà la serenità di cui ha bisogno, ma perché esclude Dio. La scelta non è tra agire e restare impassibili in attesa di qualcuno che ti vesta e ti nutra, ma scegliere tra due modi differenti di agire (quello che si affida completamente alle ricchezze e quello che si affida a Dio).
Le prospettive del seguire Gesù non sono certo idilliache (Mt 8, 20). Eppure…guardate agli uccelli del cielo! Rinnova l'invito a confidare nel Dio creatore che ci ha fatti e si prende cura di noi.
v. 27
Sembra un'interruzione. Ma siamo di fronte a un serissimo interrogativo su qual è la reale conseguenza del nostro preoccuparci…a cosa porta? Ci interroga anche riguardo ai limiti degli sforzi umani per prolungare la vita, sforzi che a volte non solo combattono la tragedia del dover morire, ma spesso intensificano la tragedia del non poter morire.
La durata della nostra vita è nelle mani di Dio, le nostre ansie non ci possono fare niente (sapienziale).
v. 28
Si riprende il discorso. Alle azioni di carattere "maschile" del v. 26 segue un esempio di lavoro "femminile" introdotto da un verbo di lavoro fisico (kopiao)
v. 30
Un invito alla fede, non un esempio probativo. Non si tratta di un ragionamento logico e conseguente ma di sottolineare ancora una volta il fatto che siamo importanti agli occhi di Dio: non credere di essere importanti significherebbe avere poca fede.
v. 31-32
Si riprende il discorso con un'esortazione conclusiva. Un altro argomento per non essere ansiosi: i pagani ricercano e si preoccupano eccessivamente dei beni materiali, ma Dio sa ciò di cui hai bisogno. Dio è colui che ti conosce e ti viene incontro. Dio non è un principio deducibile dall'osservazione della natura; la sicurezza non viene dalla natura, dal copiarla o dal voler dedurne un insegnamento, ma viene dalla predicazione di Gesù che mostra Dio come padre.
v. 33
La parola "prima" non significa che c'è un "poi" ma è piuttosto un "al di sopra di tutto".
Queste parole concludono il pensiero fatto finora: all'eccessiva preoccupazione di voler avere la vita "sistemata", Gesù oppone la ricerca del Regno e della giustizia, due elementi complementari.
Siamo chiamati a rimpiazzare il merimnao (preoccuparsi affannarsi) con il zeteo (ricerca, impegno). Una cosa è affannarsi per raggiungere interessi individuali, un'altra è impegnarsi nella pratica della giustizia.
La conclusione non è "cercate…e disprezzate il resto". Non c'è demonizzazione di ciò che è terreno che risulterebbe inutile o cattivo. La certezza che "il Padre sa che avete bisogno…" ti mette in cammino sulla sua via, ti proietta nel futuro di Dio che si concretizza già nella comunità che mette in comune i doni.
v. 34
E'un riassunto di Matteo, una probabile aggiunta redazionale. L'ansia ingigantisce tutto e porta con sé il rischio di una spirale che giorno per giorno può solo aumentare. È un invito ad avere fiducia nell'accompagnamento puntuale di Dio. D'altronde IO SARO' è il suo nome, e per questo accompagnerà il nostro futuro.
NOTE OMILETICHE
Il titolo che potremmo dare a questo passo è: la signoria di Dio. Questo era anche il centro delle Beatitudini, della nuova legge (5,20) e del Padre nostro.
Cosa si oppone a che essa sia al centro delle nostre vite? L'incapacità di affidarsi e la facilità di preoccuparsi.
L'ansia ritorna tre volte come un ritornello. Ansia è un termine fondamentale nel mondo di oggi. Non è un mistero che i disturbi legati ad essa siano aumentati incredibilmente nei tempi recenti, a causa dei ritmi frenetici, degli stili di vita compressi che la società ci impone o che ci autosomministriamo. Ed è una parola protagonista di un'attualità attanagliata della crisi economica mondiale.
L'essenza fondamentale del mondo è la paura. Paura della morte, paura del bisogno, paura del vuoto. Una paura che prende tanti volti, che suscita ansia. Un'ansia che suscita preoccupazioni. Preoccupazioni che cercano sicurezza. Ma una sicurezza infinita non è possibile trovarla. E allora ritorna la paura, poi l'ansia e la preoccupazione. E la preoccupazione mette al mondo idoli, falsi dèi, che dovrebbero avere il potere infinito di contrastare la paura infinita (R. Volpe).
Anche nelle nostre chiese assistiamo a stili di vita (soprattutto pastorali) che hanno fatto dell'ansia un elemento costitutivo e irrinunciabile (se non sei un po' stressato e non vai in burn out c'è chi pensa che non lavori abbastanza!). Una giovane della mia comunità commentando questo passo un anno fa aveva detto: "questa parola oggi è rivolta a te, fratello pastore, in ansia per le ansie degli altri, in ansia per paura di non donare speranza."
Gesù ci vuole liberare per la vita. E c'è vera vita soltanto laddove essa può venire accolta come un dono e vissuta perciò con radicale fiducia.
Dio non invita nessuno a trascurare i propri bisogni fondamentali, sia materiali che psicologici. Ci invita piuttosto a non esserne schiavi, a non trasformarli in idoli, a non destinare a questi il posto che dovremmo destinare a Lui solo.
Dio ci chiede di impegnarci prima di tutto nella ricerca di una giustizia relazionale, di un rapporto vissuto con Dio attraverso la fede e la speranza, con il prossimo attraverso l'amore; ci chiede di affermare una giustizia sociale ed economica che metta insieme nutrimento e regole, risorse e bisogni, come nell'episodio della manna (Esodo 16)
Dio non ragiona secondo una logica economica, (altrimenti questo testo manderebbe a rotoli tutto il settore agricolo!), ma secondo quella del dono e ci chiama alla fiducia nella sua grazia. Ci ripete con insistenza che siamo importanti e ci chiama alla responsabilità della scelta di legare il nostro cuore a qualcosa di essenziale, d'invisibile agli occhi, e proprio per questo più durevole.
La via che ci è mostrata invita a cercare il Regno e la giustizia invece di lasciarsi travolgere dalla fretta superficiale, dal giudizio degli altri, dal voler vedere realizzati i propri interessi. È quello che aveva fatto Giuseppe (Mt 1, 19) facendo passare la volontà di Dio davanti alle sue idee, ai suoi piani, alla paura per la sua reputazione e che proprio per questo viene chiamato "giusto". È quello che poche domeniche fa il testo di Mt 5, 20 ci invitava a fare. Cercare la giustizia, ogni giorno, dove è chiaramente negata, dove apparentemente ci si da un gran da fare per tutelarla; nelle azioni degli altri e tra le pieghe del nostro perbenismo, non stancarsi mai di desiderarla e di invocarla.
Stefano D'Amore
Due citazioni pertinenti al testo
I beni danno al cuore umano il miraggio della sicurezza e dell'assenza di affanni, ma in verità sono proprio la causa prima degli affanni. Il cuore che si attacca ai beni riceve insieme ad essi il peso soffocante dell'affanno. L'affanno si procura i tesori, e a loro volta i tesori procurano affanno. Vogliamo garantire la nostra vita per mezzo dei beni, vogliamo liberarci dall'affanno per mezzo dell'affanno, ma in realtà ne risulta il contrario. Le catene, che vincolano ai beni, sono per se stesse un affanno.
D. Bonhoeffer
Il denaro è un padrone esigente che schiavizza poco a poco ogni uomo. Cercato all'inizio come semplice strumento di scambio, finisce per acquisire un valore in se stesso e diventa un fine. Assume la forma di assoluto, diventa un idolo. E come idolo, aliena l'uomo e lo separa sempre più dai suoi fratelli. Crea privilegiati e diseredati, crea interessi, rivalità, lotte, guerre internazionali.
C. Delmonte
D. Bonhoeffer, Sequela
C. Delmonte, Sobre todo el Reino
E Borghi, Il discorso della montagna
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