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25 marzo 2011




GIOVANNI 4:1-42
Gesù e la Samaritana

di Aldo Palladino




Il testo biblico
1 Quando dunque Gesù seppe che i farisei avevano udito che egli faceva e battezzava più discepoli di Giovanni 2 (sebbene non fosse Gesù che battezzava, ma i suoi discepoli), 3 lasciò la Giudea e se ne andò di nuovo in Galilea.
4 Ora doveva passare per la Samaria. 5 Giunse dunque a una città della Samaria, chiamata Sicar, vicina al podere che Giacobbe aveva dato a suo figlio Giuseppe; 6 e là c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del cammino, stava così a sedere presso il pozzo. Era circa l'ora sesta.
7 Una Samaritana venne ad attingere l'acqua. Gesù le disse: «Dammi da bere».8 (Infatti i suoi discepoli erano andati in città a comprar da mangiare.) 9 La Samaritana allora gli disse: «Come mai tu che sei Giudeo chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?» Infatti i Giudei non hanno relazioni con i Samaritani. 10 Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice: "Dammi da bere", tu stessa gliene avresti chiesto, ed egli ti avrebbe dato dell'acqua viva». 11 La donna gli disse: «Signore, tu non hai nulla per attingere, e il pozzo è profondo; da dove avresti dunque quest'acqua viva? 12 Sei tu più grande di Giacobbe, nostro padre, che ci diede questo pozzo e ne bevve egli stesso con i suoi figli e il suo bestiame?» 13 Gesù le rispose: «Chiunque beve di quest'acqua avrà sete di nuovo; 14 ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d'acqua che scaturisce in vita eterna». 15 La donna gli disse: «Signore, dammi di quest'acqua, affinché io non abbia più sete e non venga più fin qui ad attingere». 16 Gesù le disse: «Va' a chiamar tuo marito e vieni qua». 17 La donna gli rispose: «Non ho marito». E Gesù: «Hai detto bene: "Non ho marito"; 18 perché hai avuto cinque mariti; e quello che hai ora, non è tuo marito; in questo hai detto la verità». 19 La donna gli disse: «Signore, vedo che tu sei un profeta. 20 I nostri padri hanno adorato su questo monte, ma voi dite che a Gerusalemme è il luogo dove bisogna adorare». 21 Gesù le disse: «Donna, credimi; l'ora viene che né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22 Voi adorate quel che non conoscete; noi adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23 Ma l'ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori. 24 Dio è Spirito; e quelli che l'adorano, bisogna che l'adorino in spirito e verità». 25 La donna gli disse: «Io so che il Messia (che è chiamato Cristo) deve venire; quando sarà venuto ci annuncerà ogni cosa». 26 Gesù le disse: «Sono io, io che ti parlo!»
27 In quel mentre giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che egli parlasse con una donna; eppure nessuno gli chiese: «Che cerchi?» o: «Perché discorri con lei?» 28 La donna lasciò dunque la sua secchia, se ne andò in città e disse alla gente: 29 «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto; non potrebbe essere lui il Cristo?» 30 La gente uscì dalla città e andò da lui.
31 Intanto i discepoli lo pregavano, dicendo: «Maestro, mangia». 32 Ma egli disse loro: «Io ho un cibo da mangiare che voi non conoscete». 33 Perciò i discepoli si dicevano gli uni gli altri: «Forse qualcuno gli ha portato da mangiare?» 34 Gesù disse loro: «Il mio cibo è far la volontà di colui che mi ha mandato, e compiere l'opera sua. 35 Non dite voi che ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ebbene, vi dico: alzate gli occhi e guardate le campagne come già biancheggiano per la mietitura. 36 Il mietitore riceve una ricompensa e raccoglie frutto per la vita eterna, affinché il seminatore e il mietitore si rallegrino insieme. 37 Poiché in questo è vero il detto: "L'uno semina e l'altro miete". 38 Io vi ho mandati a mietere là dove voi non avete lavorato; altri hanno faticato, e voi siete subentrati nella loro fatica».
39 Molti Samaritani di quella città credettero in lui a motivo della testimonianza resa da quella donna: «Egli mi ha detto tutto quello che ho fatto». 40 Quando dunque i Samaritani andarono da lui, lo pregarono di trattenersi da loro; ed egli si trattenne là due giorni. 41 E molti di più credettero a motivo della sua parola 42 e dicevano alla donna: «Non è più a motivo di quello che tu ci hai detto, che crediamo; perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo».


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La finalità della narrazione
                                                                           
L'incontro di Gesù con la donna samaritana al pozzo di Giacobbe è un altro tassello utile a disegnare e affermare l'identità messianica di Gesù. Infatti, analizzando come si svolge l'incontro, si comprende bene come Giovanni, probabilmente presente a quell'incontro(vedi v. 10), abbia colto nelle parole della Samaritana un crescendo nella identificazione del personaggio Gesù. Dapprima è un giudeo come tanti (v. 9), poi è un profeta (v.19). Infine, dopo la rivelazione di Gesù di essere il Messia (v. 25-26), diventa per tutti il Salvatore del mondo (v. 42).
Questo, credo, sia la finalità narrativa di questo incontro. Tutti gli altri elementi dell'episodio sono elementi che rafforzano i tratti particolari della missione di Gesù, attraverso i quali capiamo l'instaurazione di modelli nuovi di comportamento che evidenziano il superamento di barriere nelle relazioni umane, con l'abbandono di pregiudizi sessuali, razziali e storici, e la proposizione di un nuovo culto in Spirito e verità.

Gesù abbatte ogni pregiudizio
Gesù conosce bene la storia del pozzo di Giacobbe (Genesi 33:19-20 e 48:21-22). Conosce la difficoltà ancestrale dei rapporti tra Samaritani e Giudei, che risale a molti secoli prima. Anche la Samaritana è informata dei fatti passati, perché è la prima a meravigliarsi della richiesta di Gesù, un giudeo, di avere dell'acqua da bere.
Certo, i Samaritani avevano un tempio sul monte Garizim dove adorare Jahwé e osservavano solo il Pentateuco, peraltro revisionato in più punti; non avevano più relazione (religiosa) con i Giudei, ma Gesù elimina tutti questi motivi di  contrapposizione con un comportamento che fonda un nuovo modo di vivere. Egli supera i pregiudizi  dell'epoca che proibivano conversazioni in pubblico tra un uomo e una donna, fra Giudei e Samaritani e particolarmente tra stranieri.  Poi offre la vera acqua che "scaturisce in vita eterna" ad una donna e a un popolo che erano estranei secondo i Giudei ai patti e alle promesse, a dimostrazione dell'universalità del suo messaggio. Infine, "smantella" i templi di ogni luogo, quello del monte Garizim e quello del monte Sion di Gerusalemme, per fondare un nuovo modo di adorare il Padre in ispirito e verità, perché Dio è Spirito, pneuma, vento, libero e sovrano, e nessuno lo può rinchiudere in un tempio fatto dall'uomo, in nessun luogo.
Tutto il Nuovo Testamento affermerà che il nuovo tempio è Cristo. Il nuovo tempio è l'uomo rigenerato dallo Spirito Santo (1 Cor. 3:16-17). Dio costruisce il suo tabernacolo nel cuore degli uomini convertiti e vi fa dimora.
Adorare in verità significa adorare Dio per mezzo di Gesù Cristo e adorare in Spirito significa adorare Dio nella libertà di uomini e donne rigenerati per la vita nuova del suo regno

Scrive Paolo Ricca: "Un primo passo lungo il sentiero che conduce all'intelligenza del testo è una constatazione elementare: è a una donna, e a una donna samaritana, che Gesù affida una delle sue parole più alte su Dio e sul suo culto. Così facendo, Gesù trasgredisce due volte le regole vigenti e mette a soqquadro l'ordine religioso stabilito. Lo fa di sicuro intenzionalmente. Ci si può e deve chiedere perché. Perché Gesù questa sua alta parola non l'ha consegnata ai suoi discepoli, tutti uomini, che allora si consideravano (molti si considerano ancora oggi) interlocutori privilegiati in campo religioso e protagonisti nella scienza e nel culto di Dio? Perché l'ha affidata a una donna qualunque, per di più straniera, una perfetta sconosciuta (neanche il suo nome ci viene riferito), la cui parola, comunque, non valeva nulla nella società del tempo, dato che come donna non era abilitata neppure a fungere da testimone nei processi? E perché quella parola non l'ha affidata a un ebreo, o a un'ebrea (a Maria, ad esempio, o a sua sorella Marta, o a Maria Maddalena), comunque a un membro del popolo eletto – Gesù ha appena detto che «la salvezza viene dagli Ebrei» e da nessun altro popolo: v. 22 – ma l'ha voluta consegnare, la sua Parola, a una samaritana, membro di un popolo che l'unanime opinione pubblica ebraica dell'epoca considerava eretico? Di proposito Gesù svela il mistero di Dio, il segreto della sua identità, a una donna, e non a un uomo. A una creatura ignara e sprovveduta, di dubbia moralità con tutti quei mariti (vv. 16-19) e per di più eretica, anziché a un membro del popolo eletto, colto, accreditato, ortodosso.
In questa scelta trasgressiva di Gesù si compie l'ardita profezia di Isaia, per bocca del quale Dio aveva detto: «Sono stato ricercato da quelli che prima non chiedevano di me, sono stato trovato da quelli che prima non mi cercavano; ho detto "Eccomi, eccomi" a una nazione che non portava il mio nome» (65,1). Dio è Signore, non ostaggio del suo popolo. L'incredulità nostra non lo paralizza: non è prigioniero né dell'una né dell'altra. «L'ora viene che né a Gerusalemme né su questo monte adorerete il Padre» (v. 21). Dio si affranca da chi lo vorrebbe addomesticare, legandolo a un monte, un santuario, una
città, una  civiltà, una lingua, una legge, una religione. Dio non rispetta le nostre frontiere e travalica i nostri confini, a cominciare da quelli religiosi. La Samaritana, e noi con lei, possiamo cominciare a conoscere e comprendere Dio considerando il modo anomalo della sua rivelazione attraverso Gesù, che qui varca i confini della «terra santa», entra in territorio sconsacrato, abbatte le barriere esistenti tra i generi (maschile e femminile: v. 7) e tra le comunità religiose (ebraica e samaritana: v. 9). Dio non si lascia accaparrare dal nostro desiderio di possederlo e di imprimere su di lui la nostra impronta, un segno che ci appartiene. Non è lui che appartiene a noi, siamo noi che apparteniamo a lui. Dio è il Dio d'Israele ma non è ebreo, è il Dio di Gesù Cristo ma non è cristiano, è il Dio dei Samaritani ma non è samaritano, è il Dio dei musulmani ma non è musulmano, è il Dio dei buddisti ma non è buddista, è il Dio dei bianchi ma non è bianco, è il Dio dei neri ma non è nero, è il Dio degli europei, ma non è europeo, è il Dio degli africani ma non è africano – e così via. Quando gli uomini impareranno ad amare Dio senza maschilizzarlo, e le donne ad adorarlo senza farne una femmina, e gli ebrei ad adorarlo senza semitizzarlo, e i musulmani ad adorarlo senza islamizzarlo, e così via, allora si comincerà a capire il senso dell'appellativo «Padre» dato da Gesù a Dio e di conseguenza si comincerà a celebrare su questa terra il culto dei «veri adoratori» che il Padre «richiede », anzi «reclama», quello «in spirito e verità» (v. 23)".
(Il testo del Prof. Paolo Ricca è stato tratto dal seguente sito:   

Attualizzazione
La donna samaritana rappresenta tutti noi. Era una persona in ricerca della vera acqua che disseta l'anima, una donna in cammino per trovare il vero cibo che sazia e rassicura. Anche noi ci volgiamo qui e là per acquisire conoscenza, maggiore sapienza, verso persone che pensiamo possano dare delle risposte al nostro cuore. Alla fine rimaniamo delusi e sfiduciati, perché realizziamo che nessuno ha la ricetta adatta a farci vincere le nostre crisi esistenziali.
Ebbene, come la Samaritana, che con i suoi sei mariti vive la sua condizione di peccato, anche noi, che conviviamo con le nostre forme palesi o latenti di peccato, dinanzi alla manifestazione della grazia e della bontà di Gesù Cristo dobbiamo confessare che solo Lui è il Salvatore nostro e del mondo. Lui solo ha parole di vita eterna.
Passare da un amore ad un altro, come ha fatto la Samaritana, non è la soluzione per la nostra vita, è la complicazione della nostra vita. Ma, forse, prima di capirlo e di volgere il nostro sguardo al Signore, dovremo attraversare e vivere storie lunghe di sofferenza.
Gesù disse: "Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me, come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno" (Gv 7:37-38).

                                                Aldo Palladino

15 marzo 2011

Genesi 12: 1-4

RIVELAZIONE,
VOCAZIONE E FEDE
di Aldo Palladino



Altre letture: Mc. 10:28-31; Gal. 3:6-9

Il testo biblico
1 "L'Eterno disse ad Abramo: Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò; 2 io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione. 3 Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra. 4 Abramo partì, come l'Eterno gli aveva detto, e Lot andò con lui. Abramo aveva settantacinque anni quando partì da Caran.
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Tra tutti i personaggi che popolano la bibbia, Abramo emerge in modo significativo per la straordinarietà della sua vocazione.

Dio si rivela
Il testo non ci riferisce che cosa ha provato Abramo quando l'Eterno gli è apparso (At. 7:1 e ss.) e gli ha parlato. Ma certamente la vita di Abramo, da quel momento non è stata più la stessa:
a)    perché quando Dio si rivela e ti parla, tu entri in contatto con una parola che ti penetra, ti scuote, ti mette in discussione, ti sconvolge, ti travolge, e in te, dopo un momento di smarrimento e di stordimento, inizia quel processo di cambiamento che getta una nuova luce sulla tua realtà nel contesto dove vivi;
b)   perché quando la parola di Dio, animata dallo Spirito Santo, ti raggiunge, i tuoi occhi si aprono e tu cominci a vedere le cose sotto un'altra prospettiva, alla luce dello Spirito di Dio che lavora in te.
c)    perché quando Dio ti propone un nuovo progetto di vita che comporta perfino di cambiare residenza e di traslocare, tu comprendi che tutto è provvisorio ed effimero, che noi siamo provvisori e ciò che conta è la stabilità che si trova nella relazione e nel cammino con Dio. Aderire al progetto di Dio per questa umanità e vivere fino in fondo l'esperienza che Dio ti propone è l'unica cosa che ti rimane da fare.
Questo testo, dunque, non riporta nessun sentimento di Abramo, né positivo né negativo, nessun dialogo (vedi il dialogo di Paolo con Gesù sulla via di Damasco o di Mosé o di alcuni profeti che non si sentono all'altezza del compito a cui erano stati chiamati) perché questo testo prima di tutto vuole sottolinearci che Dio è colui che si rivela, che si svela cioè che toglie il velo su se stesso ed entra in relazione con l'uomo, in questo caso con Abramo.

Le sei promesse di Dio ad Abramo
Abramo è un personaggio che vive a Ur dei Caldei, in Mesopotamia, nei pressi dell'attuale Nassirja. Un uomo del sud dell'Iraq, diremmo noi oggi, benestante, perché con suo padre era allevatore di pecore e mucche, socialmente ben collocato. Insomma, economicamente non se la passava male. Non gli mancava nulla. Era un uomo che alla sua età poteva giustamente pensare a godersi la vita, a tirare i remi in barca. Ma non è così.
Leggendo Gs. 24: 2, ci rendiamo conto che la famiglia di Abramo era pagana ed idolatra, come tutta la società in cui viveva.
Questo elemento ci induce a pensare che lo Spirito di Dio deve aver preparato il cuore di Abramo prima che l'Eterno lo incontrasse e che Abramo fosse un uomo alla ricerca del Dio unico e vero, alla ricerca di risposte definitive.
Per questo Dio:
a)    si rivela ad Abramo;
b)   gli ordina di "uscire" da Ur (Gen. 11:31);
c)    gli fa sei promesse.
Perché Dio ha un suo piano, un suo progetto a lunga scadenza, concepito nell'eternità e per l'eternità. Per questo dice ad Abramo:
1.    Io farò di te una grande nazione
2.    Ti benedirò
3.    Renderò grande il tuo nome
4.    Tu sarai fonte di benedizione
5.    Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà
6.    In te saranno benedette tutte le famiglie della terra.
Queste promesse hanno del paradossale, se si pensa che vengono fatte ad un uomo:
- che aveva settantacinque anni;
che la moglie di Abramo, Sara, era una donna sterile, e fino a  quel momento non   gli aveva potuto assicurare una discendenza;
-  che la sua età avanzata faceva supporre una vita ormai da vivere nella tranquillità della sua famiglia e del suo paese natìo, senza futuro e senza ulteriore sviluppo.
Ma questo è il nostro Dio. Paradossale, misterioso nelle sue vie e imprevedibile.
Quando noi pensiamo che tutto sia finito, definito, assodato, scontato con la logica umana, Dio stravolge tutto e rende possibile ciò che è impossibile.
E' scritto: "Vi è forse qualcosa che sia troppo difficile per il Signore? (Gen. 18:14; Ger. 32.17).
Così, all'età di ottantasei anni Abramo ha un figlio, Ismaele, dalla schiava Agar e a cento anni avrà il figlio della promessa, Isacco, l'inizio di una grande discendenza che avrà in Cristo Gesù la realizzazione totale e piena di tutta la volontà di Dio.

LA FEDE
 Il testo ci dice che "Abramo partì, come il Signore gli aveva detto" (4). Due parole: Abramo partì. Questa è la fede.
Alla rivelazione di Dio Abramo risponde con un gesto di grande fiducia abbandonandosi nelle braccia di Dio e decidendo di partire. Da questo capiamo che la fede non è fatta di nozioni, di sentimentalismi o altro. La fede è accogliere la volontà di Dio. E l'ubbidienza è la conseguenza del radicamento in noi della fede. La fede crea un rapporto tra te e Dio. Non solo. Essa avvicina i credenti, stabilisce un rapporto tra di loro, perché la fede è unificante, crea unità, comunione.
E se la fede è un dono di Dio, dono è anche la fraternità cristiana, che non è un ideale cristiano ma una realtà divina.
La chiesa, la comunità, è una realtà divina dove non si vivono i propri ideali, ma dove si pratica la comunione effettiva. E se questo non avviene, occorre capire di che tipo di delusione siamo affetti.

La fede deve dare un senso nuovo e diverso alla nostra vita. Per la fede in Cristo Gesù, noi siamo chiamati a portare benedizioni nella vita dell'altro, com'è scritto in 1 Pt. 3:8.
Cosa significa benedire? Benedire = bene-dictio (lat.) o eu-loghìa (gr.). Bene e parola, dono e parola. Dunque, benedizione è la parola che si fa dono, è il messaggio dell'evangelo della grazia che diventa un dono pratico e spirituale per il bene del nostro prossimo.
La vocazione di Abramo e la nostra è di benedire chi ci sta intorno recando il messaggio di Cristo a chi non ce l'ha.
Le famiglie della terra sono benedette se ricevono Cristo nella loro vita.

LA FEDE DI ABRAMO

Abramo fu chiamato per la prima volta "ebreo" in Gen. 14.13. Questo termine ha il significato di "colui che sta dall'altra parte o che va oltre (con Dio)". In effetti, Abramo si schierò dalla parte di Dio e andò oltre con Dio.

Abramo si lascia indietro tutto il suo passato per andare in un posto che non conosceva.

Anche i profeti lasciano la loro vita quotidiana per annunciare gli oracoli di Dio.
I discepoli di Gesù dissero: "Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito". Per la sua fede Abramo fu gradito a Dio. Infatti è scritto "Abramo credette a Dio e ciò gli fu messo in conto di giustizia" (Gen. 15:6; Rom. 4:3).
E noi tutti che abbiamo fede siamo benedetti con il credente Abramo (Gal. 3:9). Ebrei e gentili (pagani) ricevono benedizioni attraverso la discendenza di Abramo, attraverso Cristo Gesù. Gal. 3: 26,29 afferma: "Siete tutti figli di Dio per la fede in Cristo Gesù…Se siete di Cristo, siete dunque discendenza d'Abramo, eredi secondo la promessa".                              
                                                                         Aldo Palladino              

11 marzo 2011

Genesi 1,2,3

Brevi riflessioni


a cura di Aldo Palladino

Genesi 1:1-19
Nel principio Dio…

 

Il testo biblico
1 Nel principio Dio creò i cieli e la terra.
2 La terra era informe e vuota, le tenebre coprivano la faccia dell'abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque.
3 Dio disse: «Sia luce!» E luce fu. 4 Dio vide che la luce era buona; e Dio separò la luce dalle tenebre. 5 Dio chiamò la luce «giorno» e le tenebre «notte». Fu sera, poi fu mattina: primo giorno.
6 Poi Dio disse: «Vi sia una distesa tra le acque, che separi le acque dalle acque».7 Dio fece la distesa e separò le acque che erano sotto la distesa dalle acque che erano sopra la distesa. E così fu. 8 Dio chiamò la distesa «cielo». Fu sera, poi fu mattina: secondo giorno.
9 Poi Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo siano raccolte in un unico luogo e appaia l'asciutto». E così fu. 10 Dio chiamò l'asciutto «terra», e chiamò la raccolta delle acque «mari». Dio vide che questo era buono. 11 Poi Dio disse: «Produca la terra della vegetazione, delle erbe che facciano seme e degli alberi fruttiferi che, secondo la loro specie, portino del frutto avente in sé la propria semenza, sulla terra». E così fu. 12 La terra produsse della vegetazione, delle erbe che facevano seme secondo la loro specie e degli alberi che portavano del frutto avente in sé la propria semenza, secondo la loro specie. Dio vide che questo era buono. 13 Fu sera, poi fu mattina: terzo giorno.
14 Poi Dio disse: «Vi siano delle luci nella distesa dei cieli per separare il giorno dalla notte; siano dei segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni; Genesi 1:15 facciano luce nella distesa dei cieli per illuminare la terra». E così fu. 16 Dio fece le due grandi luci: la luce maggiore per presiedere al giorno e la luce minore per presiedere alla notte; e fece pure le stelle. 17 Dio le mise nella distesa dei cieli per illuminare la terra, 18 per presiedere al giorno e alla notte e separare la luce dalle tenebre. Dio vide che questo era buono. 19 Fu sera, poi fu mattina: quarto giorno.

 

Dio creatore, sostegno della fede

Uno dei principali motivi per cui il racconto della creazione è collocato all'inizio della  Bibbia è di ordine teologico e pastorale. La finalità della narrazione della storia delle origini, che la tradizione orale ebraica ha perseguito per molti secoli, era quella di sostenere la fede di molti ebrei nei momenti difficili della loro storia, celebrando la gloria e la grandezza dell'unico e vero Dio, loro Creatore. In seguito, la redazione finale del testo della Torah ha aiutato gli ebrei esuli in Babilonia (VI sec. a.C.), scoraggiati e disperati, a superare le sofferenze di una dura deportazione e schiavitù con l'affermazione: "Nel principio Elohim (Dio) ha creato i cieli e la terra" (1). Elohim non era un dio qualsiasi, ma l'Architetto e il Costruttore dell'infinito universo e della vita sulla terra.
Anche per noi, oggi, è di conforto sapere che la nostra creazione e la nostra redenzione erano fin dall'origine nel piano del nostro Dio e Padre. 
L'apostolo Paolo afferma che Dio è colui che "chiama all'esistenza le cose che non sono" (Ro 4:17). Pietro ricorda che "per effetto della parola di Dio, esistettero dei cieli e una terra" (2 Pi 3:5) e Ebrei 11:3 mette in evidenza una delle affermazioni della fede: "I mondi sono stati formati dalla parola di Dio". Anche qui le motivazioni teologiche e pastorali sono evidenti: rendere ben salda la fede di chi confida in Dio e nella sua parola.

Dio crea il tempo e lo spazio
Dalle prime parole della Bibbia è evidente che Dio agisce e crea per mezzo della sua parola. Dove giunge la sua parola si stabilisce l'ordine, dove prima c'era il disordine. Essa fonda le leggi del funzionamento dei cieli e della terra.
Quando Dio crea la luce e la separa dalle tenebre, quando crea l'alternanza del giorno e della notte (3-5), introduce la categoria del tempo.
Quando Dio crea la distesa delle acque e separa le acque di sotto da quelle di sopra (6-8), nasce il cielo, la categoria dello spazio verticale.
Quando Dio crea i mari e la terra asciutta (9-10), forma quello spazio orizzontale necessario alla vita delle creature viventi.

Dio crea la vegetazione e gli astri

Dopo aver creato il tempo e il luogo per la vita,  Dio ordina la vita della vegetazione (11), di cui vengono nominate solo due categorie fondamentali, erbe ed alberi (11). Poi, vengono creati il sole, la luna, le stelle (14-17), non perché fossero adorate, come credevano i pagani, ma perché osservandole si potesse raccontare la gloria di Dio e l'opera delle sue mani. (Sl 19:1). 

                                                                                                                                                                                                                                                           



Genesi 1:20-2,4a
L'uomo, il capolavoro di Dio


Il testo biblico
20 Poi Dio disse: «Producano le acque in abbondanza esseri viventi, e volino degli uccelli sopra la terra per l'ampia distesa del cielo». 21 Dio creò i grandi animali acquatici e tutti gli esseri viventi che si muovono, e che le acque produssero in abbondanza secondo la loro specie, e ogni volatile secondo la sua specie. Dio vide che questo era buono. 22 Dio li benedisse dicendo: «Crescete, moltiplicatevi e riempite le acque dei mari, e si moltiplichino gli uccelli sulla terra». 23 Fu sera, poi fu mattina: quinto giorno.
24 Poi Dio disse: «Produca la terra animali viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali selvatici della terra, secondo la loro specie». E così fu. 25 Dio fece gli animali selvatici della terra secondo le loro specie, il bestiame secondo le sue specie e tutti i rettili della terra secondo le loro specie. Dio vide che questo era buono.
26 Poi Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza, e abbiano dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». 27 Dio creò l'uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. 28 Dio li benedisse; e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra». 29 Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che fa seme sulla superficie di tutta la terra, e ogni albero fruttifero che fa seme; questo vi servirà di nutrimento. 30 A ogni animale della terra, a ogni uccello del cielo e a tutto ciò che si muove sulla terra e ha in sé un soffio di vita, io do ogni erba verde per nutrimento». E così fu. 31 Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono. Fu sera, poi fu mattina: sesto giorno.

2:1 Così furono compiuti i cieli e la terra e tutto l'esercito loro. 2 Il settimo giorno, Dio compì l'opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno da tutta l'opera che aveva fatta. 3 Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso Dio si riposò da tutta l'opera che aveva creata e fatta.
4 Queste sono le origini dei cieli e della terra quando furono creati.

                                    

La creazione degli animali

Quando Dio crea i pesci e gli uccelli, esseri viventi del mare e volatili del cielo (20-22), suggella per la prima volta questo atto creativo con la sua benedizione. Questa anticamente aveva il significato di donare la fecondità. Infatti, il crescere e il moltiplicarsi sono correlati alla fecondità. 

Poi è la volta degli animali terrestri,"secondo la loro specie" (24-25).
Non c'è alcun cenno esplicito alla benedizione di queste creature, ma Genesi 8:17 ci induce a dedurre che anche a loro sia stato concesso il dono della fecondità e, dunque, benedette.

L'uomo è immagine e somiglianza di Dio

L'ultimo atto creativo di Dio è l'uomo, il capolavoro, il più importante tra gli esseri viventi. Egli proviene dalla volontà di Dio, dalla Sua libera e sovrana decisione di avere nell'universo creato un interlocutore con cui avere una relazione intima, fondata su un patto di fedeltà a se stesso e all'altro nella libertà e nell'amore, una creatura con la quale intrattenere un dialogo col linguaggio della parola, dell'ascolto e del silenzio. Tutto questo è sintetizzato nella dichiarazione: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza… (26). Stupendo! L'uomo è immagine e somiglianza di Dio! (Gm 3:9). E quando si dice uomo si intende l'uomo e la donna, che hanno pari dignità, perché entrambi sono immagine di Dio e ricevono la posizione di dominio sulla natura (26-28). Questa responsabilità non autorizza l'uomo a sfruttare la terra in modo devastante, ma a utilizzare le sue risorse in modo rispettoso, perché la terra è di Dio (Le 25:23).
"L'immagine di Dio non consiste in qualcosa che l'uomo è o fa, ma piuttosto nell'uomo stesso e quindi in lui come creatura. Non sarebbe uomo se non fosse a immagine di Dio. È immagine di Dio in quanto è uomo" (K. Barth). Per questo la sovranità concessa all'uomo su tutto significa fedeltà al disegno di Dio creatore e rispetto di ogni uomo e di ogni donna.
Al termine della sua opera, "Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buona" (31). Poi "si riposò" (2:3).
                                                                                                               

 

Genesi 2:4b-17
Il giardino, primo scenario della storia umana


Il testo biblico
4b Queste sono le origini dei cieli e della terra quando furono creati.
Nel giorno che Dio il SIGNORE fece la terra e i cieli, 5 non c'era ancora sulla terra alcun arbusto della campagna. Nessuna erba della campagna era ancora spuntata, perché Dio il SIGNORE non aveva fatto piovere sulla terra, e non c'era alcun uomo per coltivare il suolo; 6 ma un vapore saliva dalla terra e bagnava tutta la superficie del suolo.
7 Dio il SIGNORE formò l'uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo divenne un'anima vivente.
8 Dio il SIGNORE piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi pose l'uomo che aveva formato. 9 Dio il SIGNORE fece spuntare dal suolo ogni sorta d'alberi piacevoli a vedersi e buoni per nutrirsi, tra i quali l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. 10 Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, e di là si divideva in quattro bracci. 11 Il nome del primo è Pison, ed è quello che circonda tutto il paese di Avila, dove c'è l'oro; 12 e l'oro di quel paese è puro; qui si trovano pure il bdellio e l'ònice. 13 Il nome del secondo fiume è Ghion, ed è quello che circonda tutto il paese di Cus. 14 Il nome del terzo fiume è Chiddechel, ed è quello che scorre a Oriente dell'Assiria. Il quarto fiume è l'Eufrate.
15 Dio il SIGNORE prese dunque l'uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse. 16 Dio il SIGNORE ordinò all'uomo: «Mangia pure da ogni albero del giardino, 17 ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai».

L'uomo

L'autore ispirato del testo che abbiamo sotto i nostri occhi ci ricorda la nostra origine: la polvere della terra. L'uomo è Adamo ('adham da 'adhamah, terra, suolo, terreno). Dio ne prende una certa quantità, la lavora come fa il vasaio con l'argilla, la plasma e realizza il suo capolavoro. Ma la forma umana prende vita soltanto quando Egli vi soffia il suo alito per farla diventare un'anima vivente (7). Dunque, l'uomo è il prodotto della creatività di Dio e del soffio del suo alito vitale. L'uomo nella sua interezza è prezioso agli occhi di Dio, perché è una sua creatura. 

"Le tue mani mi hanno formato, mi hanno fatto tutto quanto…Tu mi hai plasmato come argilla (Gb 10:8).

"Egli conosce la nostra natura; Egli si ricorda che siamo polvere" (Sl 103:14).

 

Due alberi, un fiume

La descrizione dell'ambiente in cui è posto l'uomo evidenzia "ogni sorta d'alberi piacevoli a vedersi e buoni per nutrirsi, tra i quali l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male" (9).

Cibarsi dei frutti dell'albero della vita significa accedere alla comunione con Dio (Ap 2:7) attraverso la vita che Dio stesso offre. Ciò implica per l'uomo fede, ubbidienza, sottomissione, giustizia (Pr 11:30), santificazione (Pr 13:12; 15:4), totale abbandono della propria vita in quella di Dio.

Cibarsi dei frutti dell'albero della conoscenza del bene e del male significa intraprendere per esperienza la via della conoscenza. L'albero è quello proibito del v. 17 i cui frutti producono la morte.
La proibizione connessa a quest'ultimo albero, l'autorità di Dio e l'obbedienza richiesta all'uomo rappresentano le condizioni fondamentali della vita di relazione uomo-Dio.
La presenza di un fiume a quattro bracci che irriga il giardino, inoltre, ci ricorda che Dio è in azione per benedire la terra. In tutta la Scrittura, la presenza di un fiume o dei fiumi è collegata a Dio o a Cristo come canali di vita e di salvezza.

 

 

Genesi 2:18-25
La creazione della donna

 

La prima comunità umana

Nel suo progetto Dio aveva contemplato la nascita di una comunità umana costituita da un uomo e da una donna. "Non è bene che l'uomo sia solo; io gli farò un aiuto che sia adatto a lui" (18). Gli animali, ancorché utili, non potevano essere un aiuto per l'uomo (20), perché appartenevano ad un altro ordine. Il dominio che gli era stato affidato sulla natura era si gratificante, ma non bastava a rimuovere l'ansia della sua solitudine. L'uomo aveva bisogno di una figura umana in cui poter riflettere e riconoscere la sua stessa immagine, che potesse stare di fronte a lui o che gli corrispondesse come suo simile.  

Dunque, l'uomo (ish) riconosce che la donna (isshah) "è ossa delle mie ossa, carne della mia carne" (23). E' chiamata donna perché è stata tratta dall'uomo, terrena come lui, della sua stessa natura, una creatura preziosa e di pari importanza e valore agli occhi di Dio.

 

Il valore di due 

L'uomo e la donna costituiscono il principio della comunità umana. Secondo l'ordine creazionale tale comunità ha come fondamento la famiglia, costituita da persone di sesso diverso, maschile e femminile, da un uomo e una donna (24). Essi sono chiamati a ricoprire ruoli e responsabilità proprie di fronte a Dio e alla società, esprimendo un'unità funzionale, materiale e spirituale.

Ben esprime la forza di due persone l'Ecclesiaste: "Due valgono più di uno solo…se l'uno cade, l'altro rialza il suo compagno" (Ec 4:9-12). Due, peraltro, è il numero minimo delle persone che formano la comunità ecclesiale. Infatti, Gesù disse: "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro" (Mt 18:20).

La nudità

"L'uomo e sua moglie erano entrambi nudi e non ne avevano vergogna" (25).
Nel giardino di Dio si vive in totale libertà e in una perfetta relazione di fiducia. Non c'è il sospetto, l'invidia, l'interesse personale, lo sfruttamento e il soggiogamento dell'altro. La nudità è segno di purezza e di innocenza. L'assenza di vergogna manifesta una vita senza male e senza complessi di colpa, perché è una vita vissuta alle condizioni e nei limiti fissati da Dio. Questa prima comunità umana vive sotto il segno del patto di essere "come una sola carne" (24).
                                                                                                                                                                                                                                                                  

                                                                                                                              

Genesi 3: 1-7
Tentazione e seduzione


Il testo biblico
1 Il serpente era il più astuto di tutti gli animali dei campi che Dio il SIGNORE aveva fatti. Esso disse alla donna: «Come! Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino?» 2 La donna rispose al serpente: «Del frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare; 3 ma del frutto dell'albero che è in mezzo al giardino Dio ha detto: "Non ne mangiate e non lo toccate, altrimenti morirete"». 4 Il serpente disse alla donna: «No, non morirete affatto; 5 ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male».
6 La donna osservò che l'albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che l'albero era desiderabile per acquistare conoscenza; prese del frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne mangiò. 7 Allora si aprirono gli occhi ad entrambi e s'accorsero che erano nudi; unirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture.

Il costo del desiderio
La libertà che Dio ha concesso all'uomo in Eden è una libertà limitata, condizionata. L'uomo può disporre di tutto a condizione di non mangiare del frutto dell'albero che dà la conoscenza del bene e del male. Questo è il limite imposto alla vita dell'uomo. La trasgressione di tale proibizione produce la morte (2:17), prima spirituale poi fisica.
Nella scena che il testo ci presenta, il serpente mette in dubbio l'ordine divino e ne distorce il senso. Così la proibizione di Dio viene attenuata, addolcita, strumentalmente reinterpretata: "Come! Dio vi ha detto…(2) No, non morirete affatto… i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male" (4-5). Il serpente fa intravedere che Dio vuol tenere solo per sé il potere della conoscenza del bene e del male, volendo solo Lui essere Dio.
L'attività del serpente antico è finalizzata a sedurre (condurre a sé) la donna e l'uomo, a portare le persone a pensarla come lui con ogni forma di inganno e di diabolica perversione. è evidente che fa leva sulle debolezze della natura umana fondate sul desiderio di potere, di successo, di immortalità. "La donna osservò che l'albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che era desiderabile per acquistare conoscenza" (6). Quel desiderio sbagliato produsse  la disubbidienza a Dio e, dunque, la morte, un limite posto alla vita umana. 

L'esortazione

Qualunque sia l’interpretazione che si dà del serpente, esso è figura in ogni caso di tutto ciò che induce l’uomo a separarsi da Dio o a sottrarsi alla sua sovranità.  Gesù, tuttavia, ci dice che “il diavolo (= colui che divide) è un omicida (altri traducono mentitore) fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui…è bugiardo e padre della menzogna” (Gv.8:44). E conclude: “Chi è da Dio ascolta le parole di Dio” (Gv 8:47).

La fedeltà alla parola di Dio rimane anche per noi, oggi, una sfida a resistere a tutte le tentazioni e alle seduzioni di questa società secolarizzata. Il pericolo è di essere travolti dal vortice delle mode e dalle filosofie pagane e idolatriche dei nostri tempi. L’esperienza in Eden dei nostri progenitori è un solenne avvertimento a non abbassare la guardia e a restare saldamente vincolati alla rivelazione dell’amore di Dio manifestato in Cristo Gesù.

                                                                                         

 

Genesi  3:8-24
Il primo processo giudiziario

Il testo biblico
18 Poi Dio il SIGNORE disse: «Non è bene che l'uomo sia solo; io gli farò un aiuto che sia adatto a lui». 19 Dio il SIGNORE, avendo formato dalla terra tutti gli animali dei campi e tutti gli uccelli del cielo, li condusse all'uomo per vedere come li avrebbe chiamati, e perché ogni essere vivente portasse il nome che l'uomo gli avrebbe dato. 20 L'uomo diede dei nomi a tutto il bestiame, agli uccelli del cielo e ad ogni animale dei campi; ma per l'uomo non si trovò un aiuto che fosse adatto a lui. 21 Allora Dio il SIGNORE fece cadere un profondo sonno sull'uomo, che si addormentò; prese una delle costole di lui, e richiuse la carne al posto d'essa. 22 Dio il SIGNORE, con la costola che aveva tolta all'uomo, formò una donna e la condusse all'uomo. 23 L'uomo disse: «Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Ella sarà chiamata donna perché è stata tratta dall'uomo». 24 Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne.
25 L'uomo e sua moglie erano entrambi nudi e non ne avevano vergogna.

 

Atto d'accusa e difesa (8-13)

Dopo aver trasgredito il comandamento di Dio di non mangiare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male, Adamo e la sua donna "aprirono gli occhi… s'accorsero che erano nudi…si nascosero dalla presenza di Dio" (7-8). Dio va nel giardino per incontrarli, come aveva sempre fatto, ma questa volta non li trova. "Dove sei?, dice ad Adamo. Dio sa quello che è accaduto, ma interroga Adamo perché confessi il suo peccato. Un Dio severo e duro avrebbe immediatamente condannato il colpevole, ma qui Dio mostra di essere un giudice misericordioso lasciando ad Adamo e alla donna uno spazio di libertà per difendersi. Adamo critica Dio di avergli dato la donna e questa, a sua volta, addossa le responsabilità al serpente ingannatore.
Quest'ultimo non viene interrogato. Non ha diritto di parola dinanzi a Dio, perché il maligno non ha attenuanti, mai.     

 

Sentenza con condanne; cambio di residenza

La colpa di tutti è stata accertata. Vi sono gradi di responsabilità dei vari protagonisti; tutti hanno peccato contro Dio. E la pena comminata è la morte. Ma constatiamo subito che la morte non è immediata. L'uomo che vive contro Dio o senza Dio prima muore spiritualmente poi fisicamente. La sua vita sarà piena di dolori, fatiche, sofferenza, precarietà, di lotte di predominio degli uni sugli altri, di disordine, di guerre. Alla fine torna alla terra da cui è stato tratto. La sentenza dice: "…perché sei polvere e polvere ritornerai" (18).
Le varie condanne sono elencate nei vv. 14-19. L'allontanamento dal giardino e il cambio di residenza di Adamo ed Eva sono descritte nei vv. 20-24.
L'apostolo Paolo ci ricorda che "per mezzo di un sol uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato" (Ro 5:12). Ed afferma che: "Il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore"(Ro 6:23).
Anche se la nostra vita sulla terra è un attraversare "la valle dell'ombra della morte" Dio è sempre con noi (Sl 23:4). Egli ci ha donato il suo Unigenito Figlio, Cristo Gesù, che sulla croce ha preso su di sé tutti i nostri peccati e ci ha donata la vita eterna. Il progetto di Dio di vivere con gli uomini si realizza definitivamente per le perfezioni di Cristo.

A noi ora, come alle origini, ci viene chiesto fede, fiducia in Lui. Hai tu fede?
                                                                                                 
                                                                         Aldo Palladino

Nota dell'autore
Questi brevi commenti biblici ed sono stati pubblicati sul periodico "Per l'ora che passa", edito da Casa della Bibbia- Torino