Translate

06 febbraio 2025

Mosè e il pruno ardente

Esodo 3,1-14

Mosè e il pruno ardente

Meditazione a cura di Aldo Palladino

Il testo biblico

1 Mosè pascolava il gregge di Ietro suo suocero, sacerdote di Madian, e, guidando il gregge oltre il deserto, giunse alla montagna di Dio, a Oreb. 2 L'angelo del SIGNORE gli apparve in una fiamma di fuoco, in mezzo a un pruno[1]. Mosè guardò, ed ecco il pruno era tutto in fiamme, ma non si consumava. 3 Mosè disse: «Ora voglio andare da quella parte a vedere questa grande visione e come mai il pruno non si consuma!» 4 Il SIGNORE vide che egli si era mosso per andare a vedere. Allora Dio lo chiamò di mezzo al pruno e disse: «Mosè! Mosè!» Ed egli rispose: «Eccomi». 5 Dio disse: «Non ti avvicinare qua; togliti i calzari dai piedi, perché il luogo sul quale stai è suolo sacro». 6 Poi aggiunse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abraamo, il Dio d'Isacco e il Dio di Giacobbe». Mosè allora si nascose la faccia, perché aveva paura di guardare Dio. 7 Il SIGNORE disse: «Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni. 8 Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei. 9 E ora, ecco, le grida dei figli d'Israele sono giunte a me; e ho anche visto l'oppressione con cui gli Egiziani li fanno soffrire. 10 Or dunque va'; io ti mando dal faraone perché tu faccia uscire dall'Egitto il mio popolo, i figli d'Israele».11 Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire dall'Egitto i figli d'Israele?» 12 E Dio disse: «Va', perché io sarò con te. Questo sarà il segno che sono io che ti ho mandato: quando avrai fatto uscire il popolo dall'Egitto, voi servirete Dio su questo monte».

 

Introduzione

In questo episodio incontriamo la figura di Mosé nei panni di un pastore che pascola le pecore, non sue ma di suo suocero Ietro, sacerdote di Madian. Prima di questa attività, Mosè aveva vissuto nella corte di Faraone dove "fu istruito in tutta la sapienza degli Egiziani e divenne potente in parole e opere" (Atti 7,22), quindi allevato e cresciuto come un principe. Tuttavia, nel suo cuore rimaneva un ebreo, essendo figlio di un uomo della casa di Levi (2,1). Evidentemente conosceva le sue origini. E quando un giorno andò a far visita ai suoi fratelli ebrei vide un egiziano maltrattare con percosse un israelita. Ne prese le difese, intervenne e uccise quell'egiziano. Lo aveva fatto non solo per solidarietà etnica ma anche per un forte senso di giustizia perché non tollerava i soprusi e le violenze dei forti sui deboli. Ma la sua azione (assassinio e occultamento di cadavere) lo costrinse a fuggire nel deserto perché ricercato dal faraone.

Nel paese di Madian, fu accolto in famiglia da Ietro perché anche qui aveva difeso le sue figlie da pastori violenti e presuntuosi che impedivano a quelle ragazze di attingere acqua dal pozzo per abbeverare il gregge. Mosè aveva respinto quei pastori e si era personalmente occupato di abbeverare le pecore. La fiducia di Ietro fu piena a tal punto che gli diede in moglie sua figlia Sefora, da cui poi ebbe un figlio che chiamò Ghersom (= straniero). Un secondo  figlio fu chiamato Eliezer (= Dio è il mio aiuto) (1 Cron. 23,15).                                                                                                                                

In un certo senso, dopo la vita in Egitto, Mosè aveva trovato una nuova stabilità. Non è più un   principe, ma un pastore. Il deserto diventa la sua scuola, un luogo di formazione e riflessione.           Come spesso accade, Dio usa le nostre esperienze, anche quelle dolorose, per prepararci al compito che vuole affidarci.

 L'incontro con Dio al pruno ardente    

Un giorno, dopo aver attraversato il deserto, Mosè si diresse col gregge sul monte Oreb (Sinai) e mentre pascolava il gregge vide qualcosa di straordinario: un pruno che bruciava ma non si consumava. Si avvicinò e udì la voce di Dio chiamarlo per nome: "Mosè, Mosè!". Questo momento segnò un punto di svolta nella sua vita. Dio gli ordinò di togliersi i sandali, poiché era su suolo sacro e gli disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe" (3,6). Soltanto dopo questa rivelazione Mosè, che inizialmente ha mostrato curiosità e stupore, prova un sentimento di paura.    Penso che anche noi avremmo avuto paura dinanzi a quell'epifania divina.                                        

Mosè si sente chiamare due volte per nome. Dio sa tutto di lui. Altri episodi biblici ci raccontano di come molti personaggi biblici siano chiamati per nome due volte.                                                              In Gen.22,1 Dio chiama «Abramo, Abramo» quando gli chiede di sacrificare suo figlio Isacco.               In 1 Sam. 3,10, Dio chiama il giovane Samuele per nome due volte il giovane nella notte: «Samuele, Samuele». Anche qui siamo di fronte ad una svolta della storia di Israele: finito il periodo confuso dei Giudici, sta per aprirsi il periodo della monarchia, che comporterà un nuovo avvicinarsi di Dio al suo popolo.                                                                                                                                                           In Lc. 22, 31, quando Gesù predice il rinnegamento di Pietro, gli dice: "Simone, Simone...".                   In Atti 9,4, Gesù dice: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?" quando chiama alla conversione e al suo servizio il futuro apostolo delle genti.                                                                                                   Infine, in Lc. 10, 41: «Marta, Marta tu ti affanni e sei agitata per molte cose, ma una cosa sola è necessaria», cioè l'ascolto della parola di Gesù così come aveva scelto Maria.

Il racconto della vocazione di Mosè è uno degli episodi più potenti della Bibbia, carico di significati teologici e psicologici. Dio chiama al suo servizio ma come rispondiamo noi? Spesso rispondiamo come Mosè.

L'Inadeguatezza di Mosè e la Chiamata di Dio

La prima reazione di Mosè alla chiamata divina è la paura e il dubbio. "Chi sono io?" non è solo una domanda retorica, ma un'espressione della sua fragilità interiore. Mosè, cresciuto alla corte del Faraone ma poi costretto alla fuga in Madian, è un uomo segnato dall'esilio e dalla perdita di identità. Egli si sente inadeguato a svolgere il compito che Dio gli affida, cioè liberare il popolo d'Israele dalla schiavitù.                                                                                                                                                       Da un punto di vista psicologico, questa incertezza di Mosè rispecchia la paura dell'uomo davanti alle grandi responsabilità. Spesso l'essere umano, di fronte a un compito difficile, si rifugia nell'autosvalutazione: "Non sono capace", "Non sono abbastanza bravo". Questo atteggiamento può derivare da esperienze passate negative, dalla paura del fallimento o dalla tendenza a confrontarsi con standard irraggiungibili.                                                                                                                              Ma la risposta di Dio a Mosè è fondamentale: "Io sarò con te" (Es 3,12). Dio non cerca persone perfette, ma chi si affida a Lui. La vocazione non dipende dalle capacità umane, ma dalla presenza di Dio che guida e sostiene. Teologicamente, questo insegna che la missione divina non è basata sui meriti umani, ma sulla grazia di Dio. Mosè è chiamato non per le sue competenze, ma perché Dio ha deciso di agire attraverso di lui.

Il Nome di Dio: "Io Sono Colui che Sono"

Quando Mosè chiede a Dio quale sia il Suo nome, la sua domanda non è solo una richiesta di identificazione. Nell'antica cultura ebraica, il nome esprimeva l'essenza e l'identità di una persona. Chiedere il nome di Dio significa cercare di comprendere chi Egli sia veramente.                                   La risposta divina: "Io Sono Colui che Sono" (Es 3,14) è una delle dichiarazioni più profonde della Bibbia. Teologicamente, esprime l'eternità e l'autosufficienza di Dio. Egli non dipende da nessuno, non è soggetto a mutamenti. Dio è l'Essere per eccellenza, Colui che esiste da sempre e che sostiene tutta la realtà.                                                                                                                                   Psicologicamente, questa rivelazione risponde anche al bisogno umano di certezze. Mosè, nel suo senso di inadeguatezza, ha bisogno di una garanzia che Dio sarà con lui. Il nome divino non è solo un'affermazione metafisica, ma un incoraggiamento: Dio è e sarà sempre presente. Questo è fondamentale per l'uomo che vive momenti di crisi e insicurezza. Sapere che Dio è colui che esiste in ogni tempo e situazione dà forza e coraggio.

Mosè e l'esperienza universale della vocazione

La chiamata di Mosè non è un evento isolato, ma riflette un'esperienza comune a molti. Nella vita, tutti ci troviamo di fronte a sfide che sembrano superiori alle nostre forze. Sentirsi inadeguati è naturale, ma la Bibbia insegna che Dio non sceglie i più forti, bensì coloro che si affidano a Lui.                       Inoltre, la rivelazione del nome divino insegna che Dio non è una figura lontana, ma Colui che accompagna l'uomo nella sua missione. La presenza di Dio dà forza a chi si sente debole e inadeguato. L'incontro di Mosè con il pruno ardente mostra che Dio è un fuoco che brucia ma non consuma, un simbolo della Sua presenza costante e vivificante.                                                                           Dunque, la vocazione di Mosè è una storia di paura e fiducia, di dubbio e conferma. La sua domanda "Chi sono io?" rappresenta il timore umano di non essere all'altezza, mentre la risposta di Dio "Io sarò con te" e la rivelazione del Suo nome offrono la certezza che la forza non viene da noi, ma da Dio.           Questa narrazione ha un valore universale: chiunque si trovi a dover affrontare una grande responsabilità può rispecchiarsi in Mosè. Le insicurezze non devono paralizzare, ma spingere a confidare in Dio. Egli non abbandona coloro che chiama, ma li sostiene con la Sua presenza eterna e fedele. "Io Sono Colui che Sono" è una promessa: Dio è con noi, sempre.

                                                                                                             Aldo Palladino



[1] Altre traduzioni dicono "roveto". 

Nessun commento: