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22 gennaio 2017


Giovanni 4, 46-54

Guarigione del figlio di un ufficiale

Predicazione di Aldo Palladino


Il testo biblico
46 Gesù dunque venne di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino.
Vi era un ufficiale del re, il cui figlio era infermo a Capernaum. 47 Come egli ebbe udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, andò da lui e lo pregò che scendesse e guarisse suo figlio, perché stava per morire. 48 Perciò Gesù gli disse: «Se non vedete segni e miracoli, voi non crederete». 49 L'ufficiale del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». 50 Gesù gli disse: «Va', tuo figlio vive». Quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detta, e se ne andò. 51 E mentre già stava scendendo, i suoi servi gli andarono incontro e gli dissero: «Tuo figlio vive». 52 Allora egli domandò loro a che ora avesse cominciato a stare meglio; ed essi gli risposero: «Ieri, all'ora settima, la febbre lo lasciò». 53 Così il padre riconobbe che la guarigione era avvenuta nell'ora che Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive»; e credette lui con tutta la sua casa.
54 Gesù fece questo secondo segno miracoloso, tornando dalla Giudea in Galilea.


Un discorso sulla fede
     Questo episodio rientra tra i tanti "racconti di guarigione" che troviamo nei vangeli. Ma, come sappiamo, tali racconti, che rimangono impressi nella nostra mente per le guarigioni compiute da Gesù, intendono sempre fare un discorso sulla fede. Infatti, l'evangelo di Giovanni, nei suoi primi capitoli, mette in evidenza la fede di varie persone come:
-       Natanaele, che dice a Gesù: "Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele" (Gv. 1,49);
-       i discepoli, che avevano creduto in Gesù in occasione della trasformazione dell'acqua in vino a Cana (Gv. 2,11);
-       la Samaritana che testimoniava ai suoi compaesani se quel Gesù che aveva incontrato non fosse il Cristo (Gv, 4,29) e, infine,
-       i compaesani della Samaritana, che chiesero a Gesù di restare con loro due giorni per poterlo ascoltare, e al  termine di quei due giorni (un vero catechismo) "credettero a motivo della sua parola e dicevano alla donna: "Non è più a motivo di quello che tu ci hai detto, che crediamo; perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi [Gesù] è veramente il Salvatore del mondo (Gv. 4, 41-42).
L'apostolo Paolo ci ricorda che "la fede viene dall'udire, e l'udire viene dalla parola di Cristo" (Rom. 10,17), cioè che la fede nasce quando ci si mette all'ascolto della parola di Dio, quando si ode una predicazione, una testimonianza e lo Spirito Santo agisce nei modi e nei tempi che neanche immaginiamo.
Per questo Gesù ha detto in tante occasioni: chi ha orecchie per udire, oda!
E l'ascolto implica sempre tre aspetti:
1)    fare silenzio, dentro e fuori di te;
2)    essere attenti e presenti, cioè di essere sì in silenzio ma non con la testa altrove;
3)    essere aperti, pronti a ricevere la Parola di Dio e a lasciare agire quella Parola in noi.
L'esperienza che fonda la fede è quella del credente che dice: "Io ho udito la tua Parola, perciò ho creduto". La fede nasce sempre da un incontro, occasionale o voluto.
Ognuno di noi potrebbe raccontare la storia, l'evento, la circostanza in cui per la prima volta ha udito parlare del Signore o ha letto qualche racconto biblico che ha fatto fiorire la propria fede in Gesù Cristo.
     Ricordo di un fratello che amava raccogliere le storie di conversione per  collezionarle preziosamente in un quaderno. Ed era felice di poterle leggere ad altri perché sapeva che quello era un modo per nutrire la fede di altri credenti e per incoraggiarli a proseguire il loro cammino col Signore.
È quello che ha fatto Giovanni quando ha scritto questo episodio. L'ha scritto per i suoi lettori, per nutrire la loro fede, ed anche la nostra.


Segni, non miracoli
Come dicevo, è un discorso sulla fede, più che il resoconto di una guarigione.
I gesti di Gesù che troviamo negli evangeli anche se rispondono ad un bisogno reale di qualcuno rimandano sempre ad altro, a una realtà che trascende il gesto miracoloso. Ed è per questo che in Giovanni non troveremo mai la parola "miracoli". Giovanni parla di "segni" (Gv. 2,11; 4,54) con l'intenzione ben precisa di indicare, di "segnalare" qualcosa di più grande.
Segni indicatori, come i cartelli stradali, che ci indicano di andare oltre.  

Bisogno di guarigione e fede razionale
Andare oltre. Per andare dove? Dove ci vuole portare l'evangelista Giovanni attraverso questo racconto? Egli certamente non vuole sminuire né dimenticare il dramma di un padre, angosciato per il figlio malato che sta per morire, né vuole svalorizzare quello che questo padre fa quando viene a conoscenza che Gesù è a Cana di Galilea: mettersi in cammino, percorrere circa trenta chilometri da Capernaum (o Cafarnao) a Cana pur di incontrare Gesù e chiedergli di scendere a Capernaum, a casa sua per guarire suo figlio da morte certa.
Attraverso questa narrazione, siamo condotti a comprendere il livello della nostra fede, ma anche la qualità della nostra fede, come il padre della nostra storia che non sta cercando la fede, ma solo la guarigione del figlio, o che forse ha un barlume di fede non autentica perché fondata sull'attesa soltanto di un miracolo.
È significativa la parola di Gesù nel nostro testo: "Se non vedete segni e miracoli, voi non crederete" (v. 48). Gesù sa che è diffusa la tendenza tra il popolo a fondare la fede sui miracoli, una fede strumentale, forse razionale e materialista,che nasce dall'aver visto e potuto toccare con mano i risultati di un'opera prodigiosa, come la fede di Tommaso che disse: «Se io non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nel segno dei chiodi e la mia mano nel suo costato, io non crederò» (Gv. 20,25).
Ma alla frase scostante di Gesù, quel padre non s'arrende e con tono di imprecazione, di preghiera, si rivolge a Gesù, chiamandolo Signore: " Signore, scendi prima che il mio bambino muoia" (v. 49).

Gesù salva, libera e guarisce
"Signore, scendi". Non è solo una discesa geografica. Possiamo percepire il grido di un uomo che chiede a Gesù di andare incontro alla disperazione di un padre. Gesù è Dio che scende tra gli uomini, per rivolgersi con simpatia e compassione a coloro ai quali non si rivolge nessuno: ai deboli, ai malati, agli emarginati. Scende dal cielo per affrontare il dramma di un'umanità incapace di fare il bene, immersa nel peccato, nelle  guerre, nel desiderio di dominio e di potere.
Gesù è il "pane disceso dal cielo" (Gv. 6,51) per il nostro nutrimento spirituale, per la nostra vita. Egli è venuto per distruggere la morte e tutti i nemici dell'uomo e, dunque, non poteva permettere che la morte sottraesse alla vita un bambino di un uomo che in tutta umiltà gli aveva chiesto di intervenire.
Gesù agisce e dice:" Va', tuo figlio vive!". "Ritorna a casa, tuo figlio è guarito ed è vivo". Gesù non va a Capernaum, ma col solo potere della sua Parola libera il bambino dalle catene della malattia e lo guarisce. Lo ha fatto per pietà, per solidarietà umana, per andare incontro ad un bisogno reale.
Ma l'obiettivo vero di Gesù era la conversione di quel padre, perché non avesse una fede che si appoggiasse sui miracoli, ma confidasse ciecamente nella sua parola, nella sua autorità. Il vero miracolo di tutto il racconto, dunque, è la fede vera in Gesù che nasce in quest'uomo quando ascolta la parola di Gesù ed ubbidisce a quella parola, come testimonia il versetto 50: "Quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detta, e se ne andò".  Andò via con l'unica garanzia della parola di Gesù, che verificherà aver avuto efficacia nel momento in cui fu pronunziata. E il risultato finale è che "credette lui con tutta la sua casa" (v. 53).

Fratelli e sorelle,
non abbiamo bisogno di cercare miracoli, apparizioni, visioni, sogni premonitori per credere. Abbiamo invece bisogno della Parola di Dio e di una fede ben riposta in Gesù Cristo per non cadere nell'errore di avere una vaga idea di Dio e per saper riconoscere i segni miracolosi della presenza del Signore nella nostra vita.
In un mondo che ai nostri giorni esalta l'autonomia dell'uomo e la sua autosufficienza, il compito di noi credenti è di rimanere saldamente aggrappati a "Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta" (Ebrei 12, 2). Amen.

                                                                               Aldo Palladino





Predicazione nella Sala valdese
Via Tommaso Villa, 71 – Torino
Domenica, 22 gennaio 2017

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