DOMANDA & RISPOSTA
E
LA NOSTRA CONFUSIONE
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La domanda | |
Dopo aver frequentato la chiesa per moltissimi anni ho scoperto di sapere poco sullo Spirito Santo. Ho cominciato così a leggere varie cose e la mia confusione invece di diminuire è aumentata. Ho sempre pensato che il dono dello Spirito Santo si ricevesse nel momento in cui si giungesse a credere in Cristo in quanto la fede è un dono dello Spirito di Dio, così come la consapevolezza di riconoscere il proprio peccato. Ma ascoltando altri credenti vengo a sapere che non c'è consenso sul momento in cui il dono dello Spirito è dato. La domanda è la seguente: quando si riceve il dono dello Spirito Santo e qual è il segno che lo accompagna?
Un lettore del Settimanale Riforma del 30 luglio 2010, nella rubrica Dialoghi con Paolo Ricca
Risposta del teologo Paolo Ricca
Questa lettera è un campanello d'allarme. Qui c'è un cristiano che, stando a quello che ci dice, dopo aver frequentato la chiesa «per moltissimi anni» (non precisa però quale chiesa: quella cattolica? Una chiesa evangelica? Ma quale?), scopre di «sapere poco» sullo Spirito Santo. Non dice come lo ha scoperto; sarebbe interessante saperlo; comunque lo ha scoperto. Molti non lo scoprono mai, perché non si pongono mai la domanda: «Che cosa so dello Spirito Santo?». Se la ponessero, scoprirebbero forse che anche loro «sanno poco» dello Spirito Santo – questo grande Sconosciuto. In verità sappiamo tutti poco dello Spirito Santo e rassomigliamo un po' a quei dodici discepoli di Efeso che, alla domanda: «Riceveste voi lo Spirito Santo quando credeste?», risposero candidamente:«Non abbiamo neppure sentito dire che ci sia lo Spirito Santo» (Atti 19,2). Noi non siamo così indietro: sappiamo qualcosa sullo Spirito, leggiamo nella Bibbia tante cose su di Lui, celebriamo ogni anno Pentecoste, confessiamo lo Spirito come Dio nel Credo, ma forse si tratta spesso di una conoscenza astratta, teorica, più un sapere che un vivere. E non è neppure un sapere concorde,come ha potuto constatare il nostro lettore. Già 18 secoli fa Origene, luminare della scuola di Alessandria d'Egitto, lamentava l'incertezza della dottrina ecclesiastica sulla Spirito Santo. E il prof. Vittorio Subilia, della Facoltà valdese di Teologia, osservava a sua volta, giusto cinquant'anni fa, che quella incertezza «è lungi dall'essere superata».
Ma non si tratta solo di incertezza nella dottrina; si tratta forse più ancora di un deficit di esperienza dello Spirito. Forse è questa la vera ragione per cui abbiamo l'impressione di «sapere poco» dello Spirito Santo: perché non occupa un posto centrale nella nostra esperienza di fede. Perché ho detto che questa lettera è un campanello d'allarme? Perché temo che non sia solo il nostro lettore, e altri con lui, a «saper poco» dello Spirito Santo, ma che ne sappia poco la Chiesa nel suo insieme. Ed è proprio perché la Chiesa stessa ne sa poco, che non è stata in grado, neppure in «moltissimi anni», di trasmettere al nostro lettore né una conoscenza organica né, soprattutto,una viva esperienza dello Spirito Santo. E sono in molti a pensare che la nascita e la rapida diffusione mondiale, in poco più di un secolo, del movimento pentecostale sia una sorta di rivincita dello Spirito, la cui funzione,realtà e potenza è stata troppo a lungo trascurata dal cristianesimo storico in tutte le sue espressioni. Non pretendo, per parte mia, di sapere sullo Spirito Santo molto di più del «poco» che ne sa il nostro lettore. Cercherò comunque di rispondere alle sue domande, che in sostanza sono tre: 1) Che cos'è, o meglio chi è lo Spirito Santo? 2) Quando lo si riceve? 3) Quale segno accompagna la sua venuta?
1. Chi è lo Spirito Santo? La risposta non è difficile: è Dio. Per questo è molto inquietante che qualcuno (cristiano o Chiesa) «sappia poco» dello Spirito Santo, perché sapere poco dello Spirito Santo significa sapere poco di Dio. Ma è possibile che un cristiano o la Chiesa stessa sappiano poco di Dio? Sì, è possibile. Le autorità religiose che hanno condannato a morte Gesù e che erano a capo di quella che possiamo considerare la Chiesa del tempo, sapevano poco di Dio. È accaduto tante volte anche dopo e può accadere sempre di nuovo. Come un corpo può essere senz'anima, un otre senza vino, un portamonete senza soldi, una lettera senza spirito, un fodero senza coltello (sono immagini di Lutero), così un cristiano e una Chiesa possono essere senza Spirito. Dunque, lo Spirito Santo è Dio.
Ma Dio in che modo? Dio come? È Dio dentro di noi. Il Padre è Dio sopra di noi, il Figlio è Dio con noi e per noi, lo Spirito è Dio dentro di noi. «Non sapete voi che siete il tempio di Dio, e che lo Spirito abita dentro di voi?» (I Corinzi 3,16). «Spirito Santo vuol dire che Dio non si accontenta di essere sopra noi come Signore, e con noi e per noi come Salvatore; vuole essere anche dentro di noi come Maestro interiore e Guida della nostra vita. Lo Spirito viene da fuori, ma non resta fuori, entra dentro; non viene da dentro, ma entra dentro. Questo è certamente meraviglioso: Dio, tanto grande che «i cieli e i cieli dei cieli non lo possono contenere» (I Re 8,27), si fa tanto piccolo da poter essere ospitato dentro una singola creatura; egli, che è il nostro tempio nel quale «viviamo, ci muoviamo e siamo» (Atti 17, 28), fa di ciascuno di noi il suo tempio nel quale si degna stabilire la sua dimora, come dice Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l'amerà, e noi verremo a lui e dimoreremo presso di lui» (Giovanni 14,23). Non si tratta di una visita fugace, ma di una dimora stabile. Ecco dunque in poche battute essenziali che cosa diciamo quando diciamo «Spirito Santo»: diciamo Dio che viene dentro l'uomo per starci.
2. Come lo si riceve? Non si sa. Per quanto invocato e atteso possa essere, nulla e nessuno possono obbligarlo a venire, né, una volta venuto, incamerarlo e tenerlo al guinzaglio. Non a caso nella Bibbia lo Spirito è spesso paragonato al vento (in greco la stessa parola «pnéuma» vuol dire sia «Spirito» sia «vento»). «Il vento soffia dove vuole e tu ne odi la voce, ma non sai da dove viene né dove va» (Giovanni 3,8), perché è libero, non lo puoi controllare, né te ne puoi appropriare: viene come dono e come grazia, senza mai diventare proprietà – tanto meno proprietà esclusiva – del cristiano o della Chiesa. Come nessuno è proprietario del vento, così nessuno lo è dello Spirito. Se il vento vuol dire libertà, il vento come metafora dello Spirito vuol dire che lo Spirito è Dio in libertà. Lo è tanto che dove arriva lo Spirito arriva la libertà, come dice l'apostolo Paolo: «Dove è lo Spirito del Signore, ivi è libertà» (II Corinzi 3,18).
Proprio per questo non si può dire quando si riceve lo Spirito. Gesù lo aveva promesso ai discepoli più volte e in molti modi, senza però precisare quando sarebbe accaduto. Il nostro lettore pensa che lo Spirito venga quando «si giunge a credere in Cristo». Io direi che quando si giunge alla fede, lo Spirito ha già lavorato a lungo, segretamente,nell'intimo della persona, per portarla alla fede. Lo Spirito viene non con la fede, ma prima della fede, affinché la fede venga. Quando ancora non crediamo, lo Spirito è già all'opera dentro di noi, a nostra insaputa. Le vie dello Spirito sono tante e misteriose, nella Chiesa e fuori, nei credenti e nei non credenti. Questa è la libertà di Dio, la grande, meravigliosa libertà di Dio. Credere nello Spirito significa credere in questa libertà, amarla, lodarla e viverci il più possibile dentro.
3. Quale segno accompagna la venuta dello Spirito? Il nostro lettore parla di«segno» al singolare, come se ce ne fosse uno solo, ma a me pare che una caratteristica dello Spirito sia proprio di produrre molti «segni», che manifestano la sua presenza. Già a Pentecoste non ci fu solo il segno del «vento impetuoso che soffia», ma anche quello del fuoco: le «lingue come di fuoco» (Atti 2,3) che si posarono su ciascuno dei presenti. Il libro degli Atti indica ripetutamente il «parlare in lingue» come primo segno della venuta dello Spirito, anche se poi l'apostolo Paolo, che pure sapeva «parlare in lingue», dirà di preferire la profezia, cioè la predicazione alla glossolalìa, cioè il «parlare in lingue», perché «chi parla in altre lingue edifica se stesso, ma chi profetizza edifica l'assemblea» (I Corinzi 14,4). Perciò quando l'apostolo stende un elenco sommario (e solo indicativo) delle varie «manifestazioni» dello Spirito, che sono appunto i segni della sua presenza e azione, mette la glossolalìa all'ultimo posto (I Corinzi 12,10), pur annoverandola tra gli autentici segni dello Spirito. Ma, ripeto, i segni sono tanti, sia sul piano dei«carismi», cioè dei doni dello Spirito, sia sul piano del «frutto dello Spirito» illustrato, a esempio, in Galati 5,22.
Se ora dovessi dire quali sono, secondo me, i segni maggiori della presenza e dell'azione dello Spirito, indicherei questi cinque.
[a] Il primo è senza dubbio la confessione di fede in Cristo:«Nessuno può dire: Gesù è il Signore! Se non per lo Spirito Santo» (I Corinzi12,3). Quindi la fede è, sì, segno dello Spirito, ma non la fede che uno si tiene per sé, ma quella che uno confessa pubblicamente. Il segno dello Spirito è confessare Cristo davanti agli uomini. [b] Il secondo segno è la coscienza filiale rispetto a Dio, perché lo Spirito «attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio» (Romani 8,16). Il nostro spirito ci attesta che siamo figli dei nostri genitori, o di una storia, o del nostro tempo, o del caso, o di nessuno. Lo Spirito Santo ci attesta che siamo figli di Dio. E come tali godiamo della «gloriosa libertà dei figli di Dio» (Romani 8,21). Abbiamo detto che lo Spirito è Dio in libertà. Possiamo dire che è altrettanto l'uomo in libertà. [c] Il terzo segno (ma potrebbe anche essere il secondo, e persino il primo) è l'amore, perché la libertà figlia dello Spirito è in primo luogo la libertà di amare. Dove c'è amore, «il vento soffia». [d] Il quarto segno è quello che il Nuovo Testamento chiama «santità» o «santificazione». Difatti lo Spirito è chiamato «Spirito di santità» (Romani1,4) e il cristiano è chiamato alla salvezza «mediante la santificazione nello Spirito» (II Tessalonicesi 2,13). La grande opera dello Spirito nella vita del credente è di immettervi le energie della risurrezione e della vita nuova, affinché qualche cosa della novità di Cristo veda la luce in questo mondo, qui ed ora. [e] Infine, lo Spirito è, nel Nuovo Testamento, il «segno della fine» di tutte le cose. Il giorno di pentecoste l'apostolo Pietro citò il passo di Gioele, aggiungendovi le parole «negli ultimi giorni» (Atti 2, 17), che nel passo di Gioele non ci sono. Entrare nel mondo dello Spirito significa sapere non tanto «che tempo fa» quanto «in che tempo viviamo» e adeguare a questo tempo finale il nostro agire, comportandoci «non da stolti, ma da savi» (Efesini 5, 15).
Paolo Ricca*
* Già Professore di Storia della Chiesa alla Facoltà Valdese di Teologia di Roma
Tratto dalla rubrica Dialoghi con Paolo Ricca del settimanale Riforma del 30 luglio 2010
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21 gennaio 2014
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