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17 novembre 2012

Apocalisse 2, 8-11

Lettera alla chiesa di Smirne

Note esegetiche e omiletiche

a cura del Past. Heiner Bludau



Testo biblico
8 «All'angelo della chiesa di Smirne scrivi: Queste cose dice il primo e l'ultimo, che fu morto e tornò in vita: 9 "Io conosco la tua tribolazione, la tua povertà (tuttavia sei ricco) e le calunnie lanciate da quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana. 10 Non temere quello che avrai da soffrire; ecco, il diavolo sta per cacciare alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita. 11 Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Chi vince non sarà colpito dalla morte seconda".


Esegesi

Il contesto

            "La struttura del libro corrisponde alle istruzioni che ha ricevuto il veggente Giovanni (1,19). Deve scrivere ciò che ha visto (= l'apparizione del Cristo asceso ai Cieli, 1,9-20), ciò che accade al momento (= le sette lettere, capp. 2-3) e ciò che avverrà in seguito (= capp. 4-22). Viene quindi mandato un messaggio di ammonimento alle comunità dell'Asia Minore (capp. 2-3) e poi vengono rappresentati gli avvenimenti escatologici nella loro varietà (capp. 4-22)" (Lohse p. 8).
            Le sette lettere, delle quali fa parte anche la lettera alla chiesa di Smirne, sono però correlate con il primo capitolo per quanto riguarda il loro contenuto. In 1,4-8 leggiamo che tutta l'Apocalisse è rivolta "alle sette chiese che sono in Asia" (v. 4). Nella visione 1,9-20 queste comunità vengono menzionate per nome. I singoli aspetti del Cristo visto da Giovanni nella visione ritornano all'inizio delle rispettive lettere. (Confronta per esempio 1,17s. "io sono il primo e l'ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli" con 2,8: "Queste cose dice il primo e l'ultimo, che fu morto e tornò in vita").
            "Ogni "lettera" riflette la specifica situazione geografica, culturale e religiosa della città cui essa è destinata e, inoltre, anche le condizioni nelle quali la congregazione di quella città si trovava in quel momento. Eppure, detto questo, si deve notare che nessuna delle epistole dei capp. 2-3 è una lettera indipendente indirizzata a una sola chiesa. L'Apocalisse è una composizione unitaria indirizzata, come ogni epistola, a tutte le chiese" (Boring p. 105). Lo si vede in modo particolarmente evidente dalla struttura uniforme delle lettere. "Le sette lettere sono tutte costruite allo stesso modo:
a) Formula: "All'angelo della chiesa di …,   scrivi …";
b) Autopresentazione del Cristo, con la formula: "Queste cose dice", seguita da allusioni che permettono di identificare in lui il Cristo della visione del cap.1;
c) apprezzamento per gli aspetti positivi della comunità cui è indirizzato il messaggio (manca nel settimo messaggio);
d) parole di condanna di peccati specifici (mancano nel secondo e nel sesto messaggio);
e) invito al pentimento, o a perseverare nella buona condotta; f) minacce e/o promesse;
g) formula di chiusura e promesse per "chi vince" (Corsani, pp. 47s).
            "Ireneo riferisce che l'Apocalisse di Giovanni è stata scritta verso la fine del regno di Domiziano (81-96 d.C.) (Contro le eresie V,30,3). Questa data viene confermata dal libro di Giovanni. Sono già avvenute delle persecuzioni (cfr. 6,9-11), ma nuove sofferenze e un conflitto tremendo con l'autorità romana per le comunità cristiane devono ancora venire
(cfr. cap. 13). (…) Nel momento in cui Domiziano, primo degli imperatori romani a farlo, chiede di essere venerato come una divinità già in vita da tutti i suoi sudditi, il veggente Giovanni rivolge il suo messaggio come parola di consolazione e di ammonimento alle comunità fortemente oppresse dell'Asia Minore" (Lohse p. 6).




Il contenuto dei versetti 8-11

v 8
            Il Cristo della visione di Giovanni (1,12 ss.) gli affida l'incarico di scrivere ai sette angeli delle sette comunità. "Chi si intende con i sette angeli? Secondo il parere di alcuni si dovrebbe pensare ai capi delle comunità, quindi ai loro vescovi. A parte il fatto, però, che questi altrimenti non vengono mai chiamati angeli, è dubbio il fatto se già allora ci fosse l'ufficio di un vescovo che stava da solo a capo delle comunità (episcopato monarchico). Quindi si tratta veramente di angeli, e le lettere a loro indirizzate (capp. 2-3) sono allo stesso tempo indirizzate alle comunità sulla terra. Così come ogni singolo, secondo il parere diffuso, ha un angelo protettore (Mt 18,10) … così a ogni comunità è assegnato un angelo che allo stesso tempo rappresenta la comunità" (Lohse p. 22).
            Smirne (oggi Izmir), a circa 60 chilometri a nord di Efeso sulla costa occidentale dell'Asia Minore, era una città portuale e commerciale benestante con una lunga storia e un'antica tradizione culturale (tra l'altro è considerata una delle città dove operò il poeta Omero). La presente lettera è la prima testimonianza della presenza di una comunità cristiana in questo luogo. Policarpo di Smirne, del cui martirio probabilmente avvenuto intorno al 156 riporta un antico documento, era forse già attivo nella comunità al tempo di Giovanni poiché alla fine della sua vita dice di sé di aver servito Cristo per 86 anni. Ireneo di Lione fu suo allievo; Ignazio di Antiochia gli ha rivolto una lettera dopo averlo conosciuto personalmente a Smirne. La città al tempo di Giovanni è quindi in procinto di diventare un importante centro della chiesa cristiana.
            Di fronte a Smirne Cristo si presenta come "il primo e l'ultimo, che fu morto e tornò in vita". "Gesù inizia il suo messaggio agli abitanti di Smirne ricordando loro la sua propria sofferenza e morte" (Stefancovic p. 119).

v 9
            "Io conosco" come 2,2; 2,19; 3,1 ecc. Il risorto conosce la situazione della comunità. Diversamente dalle altre lettere, qui ciò di cui Cristo è a conoscenza non sono "le tue opere", ma "la tua tribolazione". Ciò che caraterizza la situazione a Smirne non è il comportamento positivo o negativo della comunità, bensì le sue tribolazioni. Quindi neanche c'è un rimprovero come invece c'è verso le altre comunità, tranne che per Filadelfia ("ho questo contro di te" 2,4; 2,14; 2,20).
            La tribolazione consiste da una parte in "la tua povertà". "Il termine ptocheia designa … l'essere nella condizione del mendicante. La misera condizione di Smirne è tale però solo sul piano sociologico perché il Cristo, con una improvvisa rettifica di quello che ha appena detto e dando vita a qualcosa che si avvicina all'ossimoro, esclama: "Ma (in realtà) tu sei ricco!", dove la richezza è quella evangelica della fede" (Biguzzi p. 110). Verso la comunità di Laodicea Cristo al contrario dice: "Tu dici: "Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!". Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo" (3,17).
            D'altro canto la tribolazione consiste in "le calunnie lanciate da quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana". Per la parola greca blasphemia la traduzione "le calunnie" è forse troppo blanda. Presa alla lettera avviene infatti una vera e propria blasfemia quando viene offesa la comunità. Parte da coloro "che dicono di essere Giudei e non lo sono". Chi si intende con ciò? "Essi potrebbero essere la porzione giudeo-cristiana della comunità di Smirne in rotta di collisione con la parte etnico-cristiana, oppure la locale sinagoga, che magari cercava di opporsi all'espansionismo cristiano. – La seconda ipotesi è più probabile per i seguenti motivi: le battaglie ad intra di Giovanni di Patmos sono condotte conto i filopagani (cfr. i nicolaiti e i gezabeliti), e non contro chi in qualche misura si ispirava alla legge mosaica e alla circoncisione; Giovanni stesso sembra essere un giudeo-cristiano che ha grande dimestichezza con l'AT e addirittura conosce l'ebraico (cfr. Ap 9,11; 16,16), tanto da far pensare che parli in greco ma pensi in ebraico; … La dura espressione "sinagoga di satana" probabilmente designa dunque la locale comunità giudaica. È "di satana" perché in tutta l'Apocalisse satana è l'implacabile nemico …" (Biguzzi p. 110). Nella relazione sul martirio di Policarpo, circa 60 anni più tardi, gli ebrei vengono menzionati espressamente come accusatori e complici dell'esecuzione. Jacques Doukhan, uno studioso avventista di tradizione ebraica, cerca di spostare il peso dell'affermazione "che dicono di essere Giudei e non lo sono" dall'accusa contro gli ebrei all'idea che hanno di se stessi i cristiani: "Questo linguaggio è assai significativo. Testimonia del fatto che i primi cristiani si consideravano ebrei a tutti gli effetti. Negli ambienti cristiani, oggi, l'accusa suona come un: "voi non siete dei veri cristiani, siete una chiesa di Satana". In quel tempo, i cristiani si sentivano più vicini agli ebrei che non ai pagani. L'antisemitismo cristiano non era ancora nato. Gettati in prigione o in pasto ai leoni dai pagani, calunniati dai fratelli ebrei, i cristiani si trovavano a essere i diseredati della terra" (Doukhan p. 43).

v 10
            "Non temere" non ha nessun parallelo nelle altre lettere ma anche in queste si ammonisce (cfr. 2,5; 2,16; 2,25 ecc.). La comunità non deve temere "quello che avrai da soffrire". In concreto viene annunciato che "il diavolo sta per cacciare alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni". "Alcuni saranno gettati in prigione, sottratti brutalmente alla loro comunità e sarà scatenata una tribolazione di 10 giorni, cioè di corta durata, in ogni caso misurata da Dio, che circoscrive il potere di Satana (come appare in modo molto marcato nel prologo di Giobbe)" (Brütsch p. 35). Rinaldi precisa l'espressione "in prigione": "Se si tiene presente che nell'antichità greco-romana la prigione non costituiva, come presso noi moderni, una punizione in se stessa, ma era, invece, ritenuta soltanto l'anticamera del processo o dell'esecuzione, allora ci si convincerà che qui il termine prigione è simbolico e sta ad indicare la condizione di chi è perseguitato" (p. 90).
            Di fronte a questi eventi la comunità viene esortata: "Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita". Brütsch ricorda (1940/42, traduzione italiana del 1949!) l'abuso che è stato fatto di queste parole (p. 35). Tuttavia: "Questo versetto è stato popolare in tutti i tempi, a giudicare dalle iscrizioni trovate nelle catacombe di Roma. ... La maggior parte delle persone intende questo versetto come se si dicesse: rimani fedele ... Ma letteralmente il testo dice: «divieni fedele fino alla morte»" (ibid.). "A quelli che sigillano con la morte la loro professione di fede viene promessa la corona della vita (cfr. Giacomo 1,12). Con ciò non si intendono le corone che vengono assegnate ai vincitori delle gare sportive (1 Corinzi 9,24; Filippesi 3,14 etc.) o a uomini benemeriti (1 Pietro 5,4) poiché qui si pensa a un dono celeste cosicché nella promessa riecheggia in forma tenue e modificata la vecchia immagine secondo la quale gli dei della luce portano una corona con i raggi. I pii beati alla fine saranno ornati con una corona di raggi (3,11; 4,4.10; 12,1; 14,14). La comunità ebraica di Qumran si aspetta che alla fine i figli della verità godranno "della gioia eterna nella vita eterna" e che riceveranno "una corona della magnificenza assieme a un vestito d'onore nella luce eterna"
(1 QS IV, 7f.)." (Lohse p. 27).

v 11
            "Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese" (chiamata da Boring: "l'esortazione ad ascoltare e ubbidire" p. 109) e la formula "Chi vince..." (Boring: "la promessa escatologica per i vittoriosi" p. 110) appaiono così anche in 2,7 e in 2,17; a partire dalla lettera alla chiesa di Tiatiri la loro sequenza è invertita. A proposito dell'esortazione Boring scrive: "Questa formula conclusiva è uno dei pochi casi nell'Apocalisse in cui il liguaggio profetico di Giovanni riecheggia le parole del Gesù storico, oppure dove le parole di Gesù sono state adattate, nei vangeli sinottici, ai modelli letterari correnti dei profeti cristiani che parlavano nel suo nome (cfr. Mt. 11,15; 13,9.43; Mc 4,9.23; Lc. 8,8; 14,35). […] si può notare come Giovanni non faccia alcuna distinzione tra Cristo risorto e l'opera dello Spirito; ciò che Gesù risorto dice è quanto lo Spirito dice alle chiese" (p. 110). Il contenuto della promessa escatologica nel caso di Smirne è: "Chi vince non sarà colpito dalla morte seconda". Il dono della vita, che è simboleggiato dalla corona, non viene più tolto ai fedeli. Della "morte seconda" si parla di nuovo verso la fine dell'Apocalisse: 20,6.14; 21,8. "Questa espressione che deriva dall'ebraismo indica l'esclusione della resurrezione dei morti ovvero l'invio alla dannazione eterna" (Lohse p. 27).

Spunti per il sermone
            La situazione della comunità di Smirne viene descritta dalla prospettiva del Cristo risorto. Questa prospettiva corregge la percezione umana di se stessi. Riassumendo ne risulta una doppia affermazione: 1) siete in una situazione molto peggiore di quanto immaginate.
2) allo stesso tempo siete protetti e salvati in modo inimmaginabile. (Secondo Johannes Hampel, Hören und fragen E 3+4, Neukirchen Vluyn 1981, pp. 418-425).
            Che cosa potrebbe significare questo per noi? Potremmo riflettere sul fatto se stimiamo in modo corretto la nostra situazione (nella chiesa e nella società). Soprattutto, però, ci possiamo chiedere se far valere l'affermazione "non temere" per il nostro sguardo verso il futuro. Come deve essere una fede in grado di farlo? La comunità di Smirne è una testimone lontanissima, ma concreta di una tale fede. Per noi, però, la ricezione della "corona della vita" al di là della (prima) morte probabilmente non è più un punto di riferimento convincente. "So schön wie hier kanns im Himmel gar nicht sein!" (Più bello di qui in cielo non può essere) è il titolo del diario pubblicato nel 2009 che ha scritto il regista e artista tedesco Christoph Schlingensief durante la sua malattia di cancro. Forse si avvicina di più alla nostra fede quanto ha formulato Dietrich Bonhoeffer alla fine del 1942: "Io credo che Dio può e vuole far nascere il bene da ogni cosa, anche dalla più malvagia. Per questo ha bisogno di uomini che sappiano servirsi di ogni cosa per il fine migliore. Io credo che in ogni situazione critica Dio vuole darci tanta capacità di resistenza quanta ci è necessaria. Ma non ce la dà in anticipo, affinché non facciamo affidamento su noi stessi, ma su lui soltanto. In questa fede dovrebbe essere vinta ogni paura del futuro".

                                                                                                Heiner Bludau


Bibliografia
Giancarlo Biguzzi: Apocalisse, introduzione e commento, Milano (Paoline) 2005.
M. Eugene Boring: Apocalisse (titolo originale: Revelation, John Knox Press 1989), Torino (Claudiana) 2008.
Carlo Brütsch: L’Apocalisse (titolo originale: L’Apocalypse de Jesus Christ, Ginevra 19401, 19423), Torre Pellice (Claudiana) 1949.
Bruno Corsani: l’Apocalisse, guida alla lettura, Torino (Claudiana) 1987.
Jacques Doukhan: Il grido del cielo, Studio profetico dell’Apocalisse di Giovanni (titolo originale: Le cri du ciel, Dammarie-lès-Lys (Francia) 1996), Impruneta Fl. (ADV) 2001. Eduard Lohse: Die Offenbarung des Johannes, Göttingen (Vandenhoeck & Ruprecht) 19713. Giancarlo Rinaldi: Le sette lettere dell’Apocalisse di Giovanni, problemi storici e testimonianze archeologiche, Napoli (Casa Editrice Nazarena) 1984.
Ranko Stefancovic: Revelation of Jesus Christ, Commentary on the Book of Revelation, Berrien Springs, Michigan (Andrews University Press) 2002.


Testi di appoggio
(secondo il lezionario luterano per la penultima domenica dell’anno): Geremia 8,4-7; Romani 8,18-23 (24-25); Matteo 25,31-46.

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