Lettera alla chiesa di Smirne
Note esegetiche e omiletiche
a cura del Past. Heiner Bludau
Testo biblico
8 «All'angelo della chiesa di Smirne  scrivi: Queste cose dice il primo e l'ultimo, che fu morto e tornò in vita: 9 "Io  conosco la tua tribolazione, la tua povertà (tuttavia sei ricco) e le calunnie  lanciate da quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una  sinagoga di Satana. 10 Non temere quello che avrai da soffrire;  ecco, il diavolo sta per cacciare alcuni di voi in prigione, per mettervi alla  prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e  io ti darò la corona della vita. 11 Chi ha orecchi ascolti ciò che  lo Spirito dice alle chiese. Chi vince non sarà colpito dalla morte seconda".
Esegesi
Il contesto
            "La struttura del  libro corrisponde alle istruzioni che ha ricevuto il veggente Giovanni (1,19).  Deve scrivere ciò che ha visto (= l'apparizione  del Cristo asceso ai Cieli, 1,9-20), ciò che accade al momento (= le sette lettere,  capp. 2-3) e ciò che avverrà in seguito (= capp. 4-22). Viene quindi mandato un  messaggio di ammonimento alle comunità dell'Asia Minore (capp. 2-3) e poi  vengono rappresentati gli avvenimenti escatologici nella loro varietà (capp.  4-22)" (Lohse p. 8).
            Le sette lettere, delle quali fa  parte anche la lettera alla chiesa di Smirne, sono però correlate con il primo capitolo  per quanto riguarda il loro contenuto. In 1,4-8 leggiamo che tutta l'Apocalisse  è rivolta "alle sette chiese che sono in Asia" (v. 4). Nella visione 1,9-20  queste comunità vengono menzionate per nome. I singoli aspetti del Cristo visto  da Giovanni nella visione ritornano all'inizio delle rispettive lettere.  (Confronta per esempio 1,17s. "io sono il primo e l'ultimo, e il vivente. Ero morto,  ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli" con 2,8: "Queste cose dice il primo  e l'ultimo, che fu morto e tornò in vita").
            "Ogni "lettera" riflette la  specifica situazione geografica, culturale e religiosa della città cui essa è  destinata e, inoltre, anche le condizioni nelle quali la congregazione di  quella città si trovava in quel momento. Eppure, detto questo, si deve notare  che nessuna delle epistole dei capp. 2-3 è una lettera indipendente indirizzata  a una sola chiesa. L'Apocalisse è una composizione unitaria indirizzata, come  ogni epistola, a tutte le chiese" (Boring p. 105). Lo si vede in modo  particolarmente evidente dalla struttura uniforme delle lettere. "Le sette  lettere sono tutte costruite allo stesso modo: 
a) Formula:  "All'angelo della chiesa di …,   scrivi  …"; 
b)  Autopresentazione del Cristo, con la formula: "Queste cose dice", seguita da  allusioni che permettono di identificare in lui il Cristo della visione del  cap.1; 
c) apprezzamento  per gli aspetti positivi della comunità cui è indirizzato il messaggio (manca  nel settimo messaggio); 
d) parole di  condanna di peccati specifici (mancano nel secondo e nel sesto messaggio); 
e) invito al  pentimento, o a perseverare nella buona condotta; f) minacce e/o promesse; 
g) formula di  chiusura e promesse per "chi vince" (Corsani, pp. 47s).
            "Ireneo riferisce che l'Apocalisse  di Giovanni è stata scritta verso la fine del regno di Domiziano (81-96 d.C.)  (Contro le eresie V,30,3). Questa data viene confermata dal libro di Giovanni.  Sono già avvenute delle persecuzioni (cfr. 6,9-11), ma nuove sofferenze e un  conflitto tremendo con l'autorità romana per le comunità cristiane devono  ancora venire 
(cfr. cap. 13). (…)  Nel momento in cui Domiziano, primo degli imperatori romani a farlo, chiede di  essere venerato come una divinità già in vita da tutti i suoi sudditi, il  veggente Giovanni rivolge il suo messaggio come parola di consolazione e di  ammonimento alle comunità fortemente oppresse dell'Asia Minore" (Lohse p. 6).
Il contenuto dei versetti 8-11
v 8
 Smirne (oggi Izmir), a circa 60 chilometri a nord di Efeso sulla costa  occidentale dell'Asia Minore, era una città portuale e commerciale benestante  con una lunga storia e un'antica tradizione culturale (tra l'altro è considerata  una delle città dove operò il poeta Omero). La presente lettera è la prima  testimonianza della presenza di una comunità cristiana in questo luogo.  Policarpo di Smirne, del cui martirio probabilmente avvenuto intorno al 156  riporta un antico documento, era forse già attivo nella comunità al tempo di  Giovanni poiché alla fine della sua vita dice di sé di aver servito Cristo per  86 anni. Ireneo di Lione fu suo allievo; Ignazio di Antiochia gli ha rivolto  una lettera dopo averlo conosciuto personalmente a Smirne. La città al tempo di  Giovanni è quindi in procinto di diventare un importante centro della chiesa  cristiana.
            Smirne (oggi Izmir), a circa 60 chilometri a nord di Efeso sulla costa  occidentale dell'Asia Minore, era una città portuale e commerciale benestante  con una lunga storia e un'antica tradizione culturale (tra l'altro è considerata  una delle città dove operò il poeta Omero). La presente lettera è la prima  testimonianza della presenza di una comunità cristiana in questo luogo.  Policarpo di Smirne, del cui martirio probabilmente avvenuto intorno al 156  riporta un antico documento, era forse già attivo nella comunità al tempo di  Giovanni poiché alla fine della sua vita dice di sé di aver servito Cristo per  86 anni. Ireneo di Lione fu suo allievo; Ignazio di Antiochia gli ha rivolto  una lettera dopo averlo conosciuto personalmente a Smirne. La città al tempo di  Giovanni è quindi in procinto di diventare un importante centro della chiesa  cristiana.
            Di fronte a Smirne Cristo si  presenta come "il primo e l'ultimo, che  fu morto e tornò in vita". "Gesù inizia il suo messaggio agli abitanti di  Smirne ricordando loro la sua propria sofferenza e morte" (Stefancovic p. 119).
v 9
            "Io conosco" come 2,2; 2,19; 3,1 ecc. Il risorto conosce la  situazione della comunità. Diversamente dalle altre lettere, qui ciò di cui  Cristo è a conoscenza non sono "le tue opere", ma "la tua tribolazione". Ciò che caraterizza la situazione a Smirne  non è il comportamento positivo o negativo della comunità, bensì le sue  tribolazioni. Quindi neanche c'è un rimprovero come invece c'è verso le altre  comunità, tranne che per Filadelfia ("ho questo contro di te" 2,4; 2,14; 2,20).
            La tribolazione consiste da una  parte in "la tua povertà". "Il  termine ptocheia designa … l'essere  nella condizione del mendicante. La misera condizione di Smirne è tale però  solo sul piano sociologico perché il Cristo, con una improvvisa rettifica di  quello che ha appena detto e dando vita a qualcosa che si avvicina  all'ossimoro, esclama: "Ma (in realtà) tu sei ricco!", dove la richezza è  quella evangelica della fede" (Biguzzi p. 110). Verso la comunità di Laodicea Cristo  al contrario dice: "Tu dici: "Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno  di niente!". Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile,  povero, cieco e nudo" (3,17).
            D'altro canto la tribolazione  consiste in "le calunnie lanciate da  quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di  Satana". Per la parola greca blasphemia  la traduzione "le calunnie" è forse troppo blanda. Presa alla lettera avviene  infatti una vera e propria blasfemia quando viene offesa la comunità. Parte da  coloro "che dicono di essere Giudei e non lo sono". Chi si intende con ciò?  "Essi potrebbero essere la porzione giudeo-cristiana della comunità di Smirne  in rotta di collisione con la parte etnico-cristiana, oppure la locale  sinagoga, che magari cercava di opporsi all'espansionismo cristiano. – La  seconda ipotesi è più probabile per i seguenti motivi: le battaglie ad intra di Giovanni di Patmos sono  condotte conto i filopagani (cfr. i nicolaiti e i gezabeliti), e non contro chi  in qualche misura si ispirava alla legge mosaica e alla circoncisione; Giovanni  stesso sembra essere un giudeo-cristiano che ha grande dimestichezza con l'AT e  addirittura conosce l'ebraico (cfr. Ap 9,11; 16,16), tanto da far pensare che  parli in greco ma pensi in ebraico; … La dura espressione "sinagoga di satana"  probabilmente designa dunque la locale comunità giudaica. È "di satana" perché  in tutta l'Apocalisse satana è l'implacabile nemico …" (Biguzzi p. 110). Nella  relazione sul martirio di Policarpo, circa 60 anni più tardi, gli ebrei vengono  menzionati espressamente come accusatori e complici dell'esecuzione. Jacques  Doukhan, uno studioso avventista di tradizione ebraica, cerca di spostare il  peso dell'affermazione "che dicono di essere Giudei e non lo sono" dall'accusa  contro gli ebrei all'idea che hanno di se stessi i cristiani: "Questo  linguaggio è assai significativo. Testimonia del fatto che i primi cristiani si  consideravano ebrei a tutti gli effetti. Negli ambienti cristiani, oggi,  l'accusa suona come un: "voi non siete dei veri cristiani, siete una chiesa di  Satana". In quel tempo, i cristiani si sentivano più vicini agli ebrei che non  ai pagani. L'antisemitismo cristiano non era ancora nato. Gettati in prigione o  in pasto ai leoni dai pagani, calunniati dai fratelli ebrei, i cristiani si  trovavano a essere i diseredati della terra" (Doukhan p. 43).
v 10
            "Non temere" non ha nessun parallelo nelle altre lettere ma anche in queste si ammonisce (cfr. 2,5; 2,16; 2,25 ecc.). La comunità  non deve temere "quello che avrai da  soffrire". In concreto viene  annunciato che "il diavolo sta per  cacciare alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova, e avrete una  tribolazione per dieci giorni". "Alcuni saranno gettati in prigione,  sottratti brutalmente alla loro comunità e sarà scatenata una tribolazione di  10 giorni, cioè di corta durata, in ogni caso misurata da Dio, che circoscrive  il potere di Satana (come appare in modo molto marcato nel prologo di Giobbe)"  (Brütsch p. 35). Rinaldi precisa l'espressione "in prigione": "Se si tiene  presente che nell'antichità greco-romana la prigione non costituiva, come  presso noi moderni, una punizione in se stessa, ma era, invece, ritenuta  soltanto l'anticamera del processo o dell'esecuzione, allora ci si convincerà  che qui il termine prigione è simbolico e sta ad indicare la condizione di chi  è perseguitato" (p. 90).
            Di fronte a questi eventi la  comunità viene esortata: "Sii fedele  fino alla morte e io ti darò la corona della vita". Brütsch ricorda (1940/42, traduzione italiana del 1949!)  l'abuso che è stato fatto di queste parole (p. 35). Tuttavia: "Questo versetto  è stato popolare in tutti i tempi, a giudicare dalle iscrizioni trovate nelle  catacombe di Roma. ... La maggior parte delle persone intende questo versetto  come se si dicesse: rimani fedele ... Ma letteralmente il testo dice: «divieni fedele fino alla morte»"  (ibid.). "A quelli che sigillano con la morte la loro professione di fede viene  promessa la corona della vita (cfr. Giacomo 1,12). Con ciò non si intendono le  corone che vengono assegnate ai vincitori delle gare sportive (1 Corinzi 9,24;  Filippesi 3,14 etc.) o a uomini benemeriti (1 Pietro 5,4) poiché qui si pensa a  un dono celeste cosicché nella promessa riecheggia in forma tenue e modificata  la vecchia immagine secondo la quale gli dei della luce  portano una corona con i raggi. I pii beati alla fine saranno ornati con  una corona di raggi (3,11; 4,4.10; 12,1; 14,14). La comunità ebraica di Qumran  si aspetta che alla fine i figli della verità godranno "della gioia eterna  nella vita eterna" e che riceveranno "una corona della magnificenza assieme a  un vestito d'onore nella luce eterna" 
(1 QS IV, 7f.)."  (Lohse p. 27).
v 11
            "Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle  chiese" (chiamata da Boring: "l'esortazione ad ascoltare e  ubbidire" p. 109) e la formula "Chi  vince..." (Boring: "la promessa escatologica per i vittoriosi" p. 110)  appaiono così anche in 2,7 e in 2,17; a partire dalla lettera alla chiesa di  Tiatiri la loro sequenza è invertita. A proposito dell'esortazione Boring  scrive: "Questa formula conclusiva è uno dei pochi casi nell'Apocalisse in cui  il liguaggio profetico di Giovanni riecheggia le parole del Gesù storico,  oppure dove le parole di Gesù sono state adattate, nei vangeli sinottici, ai  modelli letterari correnti dei profeti cristiani che parlavano nel suo nome  (cfr. Mt. 11,15; 13,9.43; Mc 4,9.23; Lc. 8,8; 14,35). […] si può notare come  Giovanni non faccia alcuna distinzione tra Cristo risorto e l'opera dello  Spirito; ciò che Gesù risorto dice è quanto lo Spirito dice alle chiese" (p.  110). Il contenuto della promessa escatologica nel caso di Smirne è: "Chi vince  non sarà colpito dalla morte seconda".  Il dono della vita, che è simboleggiato dalla corona, non viene più tolto ai fedeli.  Della "morte seconda" si parla di nuovo verso la fine dell'Apocalisse: 20,6.14;  21,8. "Questa espressione che deriva dall'ebraismo indica l'esclusione della resurrezione  dei morti ovvero l'invio alla dannazione eterna" (Lohse p. 27).
Spunti  per il sermone
            La situazione della comunità di  Smirne viene descritta dalla prospettiva del Cristo risorto. Questa prospettiva  corregge la percezione umana di se stessi. Riassumendo ne risulta una doppia  affermazione: 1) siete in una situazione molto peggiore di quanto immaginate. 
2) allo stesso  tempo siete protetti e salvati in modo inimmaginabile. (Secondo  Johannes Hampel, Hören und fragen E 3+4, Neukirchen Vluyn 1981, pp. 418-425).
            Che cosa potrebbe  significare questo per noi? Potremmo riflettere sul fatto se stimiamo in modo  corretto la nostra situazione (nella chiesa e nella società). Soprattutto,  però, ci possiamo chiedere se far valere l'affermazione "non temere" per il  nostro sguardo verso il futuro. Come deve essere una fede in grado di farlo? La  comunità di Smirne è una testimone lontanissima, ma concreta di una tale fede.  Per noi, però, la ricezione della "corona della vita" al di là della (prima)  morte probabilmente non è più un punto di riferimento convincente. "So  schön wie hier kanns im Himmel gar nicht sein!" (Più bello  di qui in cielo non può essere)  è il titolo del diario pubblicato nel 2009 che ha scritto il regista e artista  tedesco Christoph Schlingensief durante la sua malattia di cancro. Forse si  avvicina di più alla nostra fede quanto ha formulato Dietrich Bonhoeffer alla  fine del 1942: "Io credo che Dio può e vuole far nascere il bene da ogni cosa,  anche dalla più malvagia. Per questo ha bisogno di uomini che sappiano servirsi  di ogni cosa per il fine migliore. Io credo che in ogni situazione critica Dio  vuole darci tanta capacità di resistenza quanta ci è necessaria. Ma non ce la  dà in anticipo, affinché non facciamo affidamento su noi stessi, ma su lui  soltanto. In questa fede dovrebbe essere vinta ogni paura del futuro".
                                                                                                 Heiner Bludau
Bibliografia
Giancarlo Biguzzi:
Apocalisse, introduzione e commento, Milano (Paoline) 2005. 
M. Eugene Boring:
Apocalisse (titolo originale: Revelation, John Knox Press 1989), Torino
(Claudiana) 2008. 
Carlo Brütsch:
L’Apocalisse (titolo originale: L’Apocalypse de Jesus Christ, Ginevra 19401,
19423), Torre Pellice (Claudiana) 1949. 
Bruno Corsani:
l’Apocalisse, guida alla lettura, Torino (Claudiana) 1987. 
Jacques Doukhan:
Il grido del cielo, Studio profetico dell’Apocalisse di Giovanni (titolo
originale: Le cri du ciel, Dammarie-lès-Lys (Francia) 1996), Impruneta Fl. (ADV)
2001. Eduard Lohse: Die Offenbarung des Johannes, Göttingen (Vandenhoeck
& Ruprecht) 19713. Giancarlo Rinaldi:
Le sette lettere dell’Apocalisse di Giovanni, problemi storici e testimonianze
archeologiche, Napoli (Casa Editrice Nazarena) 1984. 
Ranko Stefancovic: Revelation of Jesus Christ, Commentary on the
Book of Revelation, Berrien Springs, Michigan (Andrews University Press) 2002.
Testi di
appoggio
(secondo il
lezionario luterano per la penultima domenica dell’anno): Geremia 8,4-7; Romani
8,18-23 (24-25); Matteo 25,31-46.

 
 
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