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05 maggio 2012





Giovanni 15, 1-8

La vite e i tralci

Predicazione di Aldo Palladino

Il testo biblico
1 «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiuolo. 2 Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più. 3 Voi siete già puri a causa della parola che vi ho annunciata. 4 Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me. 5 Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla. 6 Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano. 7 Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto. 8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli.


Introduzione
Il tema di questo brano è la vita di relazione, di comunione che noi credenti siamo chiamati ad avere con il Signore Gesù Cristo.  È il primo di tre insegnamenti che Gesù comunica ai suoi discepoli. Il secondo lo troviamo nei vv. 11-17, che ci parla della relazione d'amore degli uni con gli altri, e il terzo insegnamento ci fornisce istruzioni e avvertenze su come comportarci con quella parte della società, pagana e incredula, che mostra ostilità verso i credenti (18-16:4).
Sono insegnamenti che costituiscono una sorta di testamento spirituale che Gesù lascia ai suoi prima della sua morte e che, è bene sottolinearlo, riguarda anche ognuno di noi.
Il tema della comunione è affrontato in più parti nel Nuovo Testamento. Qui l'evangelista Giovanni ci parla del rapporto dei discepoli/credenti con Gesù con la metafora della vite e dei tralci. Il cap. 10 dello stesso vangelo ci presenta la vita di comunione del Pastore con le sue pecore. L'apostolo  Paolo ci offre invece l'immagine del corpo e delle sue membra (1 Cor. 12: 12-27; Rom. 12: 4-5), raffigurazioni della vita della chiesa nella sua espressione di unità e di comunione.

La vigna Israele
Nell'Antico Testamento la vigna rappresenta il popolo di Israele.
In Is. 5:1-7 c'è la storia del rapporto tra Dio, il vignaiolo, e questa vigna, piantata sopra una fertile collina, curata, amata. Ma era un amore a senso unico, perché quella vigna anziché produrre uva per corrispondere alle aspettative del vignaiolo, diede come frutto dell'uva selvatica, acerba, immangiabile.
In Osea 10:1, la vigna Israele, moltiplica i suoi altari e la sua idolatria.
Per Geremia, Israele è una vigna scelta, ma che si è inselvatichita ed è divenuta sterile (Ger. 2:21; 8:13).
Il profeta Ezechiele paragona Israele ad una vigna feconda, poi inaridita e bruciata (Ez. 19: 10-14; 15: 1-8).
Nel Salmo 84: 9-16, la vigna piantata dal Signore, un tempo rigogliosa, è ora indifesa e preda dei passanti che la spogliano, del cinghiale del bosco che la devasta.
Dunque, nell'A.T. l'immagine della vigna ci parla di un popolo che ha abbandonato il suo Dio e che non dà i frutti desiderati. Ma questa condizione non è senza speranza, poiché i profeti promettono che verrà un giorno in cui la vigna rifiorirà sotto la custodia vigilante di Dio (Is. 27:2-3) e Israele sarà restaurato.
Anche Il salmista Asaf (80: 9-17) invoca l'intervento di Dio per salvare la vigna Israele.
L'attesa escatologica ha la sua soluzione, ma non sarà Israele a realizzare la promessa dei profeti. Non sarà un popolo, ma una persona: Gesù Cristo.

La vite e i tralci
Nei vangeli, il tema della vigna, di Israele, è affrontato in modo nuovo operando una sostituzione. La vigna Israele è sostituita dalla vite Gesù Cristo. Gesù è il vero Israele che dà a Dio ciò che l'Israele corrotto e infedele non è riuscito a dare. Infatti, il nostro testo inizia dicendo: " Io sono la vera vite", che ci ricorda le altre affermazioni: "Io sono il pane della vita" (Gv, 6: 35); "Io sono il buon Pastore" (Gv. 10:11); "Io sono la porta" (Gv. 10:7); "Io sono la via, la verità, la vita" (Gv. 14:6); "Io sono la luce del mondo" (Gv. 8: 12); "Io sono la risurrezione e la vita" (Gv. 11: 25). E sempre nel vangelo di Giovanni troviamo queste due espressioni: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io sono" (Gv. 8: 28) e ancora: "Ve lo dico fin d'ora, prima che accada, perché quando sarà avvenuto, crediate che Io sono" (Gv. 13: 19).
Ma se Gesù è la vera vite, Dio è il vignaiuolo. E, dunque, se la vita e l'azione di Gesù dipendono dalle cure amorevoli del Padre, la vita dei tralci dipende dallo stretto legame che li unisce alla vite. Così i discepoli e tutti i credenti in Cristo rappresentano i tralci che portano frutto solo in quanto uniti alla vite.
Il rapporto di dipendenza tralcio – vite – vignaiuolo è il fondamento di un'opera che non fallirà e che produrrà effetti benefici nella chiesa, nella società, nel mondo intero. "Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figlio Unigenito affinchè chiunque crede il lui non perisca ma abbia vita eterna (Gv. 3, 16).
Il frutto che i tralci recano è l'uva gustosa e succulenta da cui si estrarrà il vino, simbolo della gioia. È un frutto che scaturisce senza alcuno sforzo da parte del tralcio, perché l'opera è di Dio e di Gesù Cristo e l'unico lavoro che il tralcio deve fare è di permettere che la linfa fluisca con facilità per alimentare il frutto.
Dei tre attori, vignaiuolo – vite – tralcio, i primi due sono attivi, mentre il terzo, il tralcio è in un certo senso figura passiva, perché ha soltanto un ruolo ricettivo e si limita a produrre il frutto per cui è stato creato. Come dicevo, c'è dunque un evidente rapporto di dipendenza del tralcio. Ma noi credenti (tralci) realizziamo effettivamente questa dipendenza da Gesù Cristo, la vera vite?

Oggi più che mai, oltre a tutti i miti costruiti dalla cultura moderna e contemporanea, dobbiamo ammettere che abbiamo coltivato il mito dell'autonomia alimentando un certo grado di autosufficienza e di indipendenza. Abbiamo pensato - e questa tentazione è ancora attuale - di poter vivere da soli al di fuori di forme di aggregazione sia ecclesiali che sociali. L'idea di poter vivere una "fede fai da te" o una vita in piena indipendenza alimenta i sogni di una pseudo libertà che ci farebbe vivere da buoni religiosi senza andare in chiesa o da buoni cittadini senza alcuna partecipazione attiva alla vita civile e sociale.
La crisi attuale che stiamo vivendo, prima di essere economica e finanziaria, è una crisi etica e spirituale, perché ha le sue radici nell'egoismo esasperato, in un eccesso di individualismo, nella ricerca di un tornaconto personale senza alcun obiettivo di realizzazione del bene comune. È la crisi del modello di società solida, solidale, fondata sui principi di sussidiarietà e solidarietà, di giustizia sociale, che è stato sostituito da un nuovo modello di società che il sociologo Zigmunt Bauman  definisce "società liquida", in cui non ci sono punti di riferimento e dove tutto cambia velocemente a tal punto che non riusciamo a stare dietro ai cambiamenti.

Gesù, nel nostro brano, ci ammonisce con le parole "senza di me non potete far nulla" (v. 5), che ha il significato che Gesù Cristo e il suo messaggio evangelico devono costituire il  modello guida della nostra vita cristiana, della nostra testimonianza e del nostro agire in chiesa e fuori della chiesa, perché, come un tralcio non può dare frutto se non è attaccato alla vite, così il credente se non dimora in Gesù Cristo e nella sua parola. Infatti, conoscenza e sequela di Gesù Cristo significano riempire di senso la propria vita e trasmettere agli altri non solo parole ma anche atti di amore, di generosità, di condivisione e solidarietà, dentro un più grande progetto di fraternità, di unità e riconciliazione dei popoli della terra.
Il risultato della vita di Dio, il vignaiuolo, attraverso la mediazione della vite, Gesù, produce inizialmente frutto, poi l'azione della potatura e della cura di Dio produce più frutto (v. 2). Infine, dimorare, essere perseveranti e ubbidienti a Cristo produce molto frutto (v.5). La fruttuosità è garantita non dall'azione del tralcio, perché nessun discepolo è perfetto, ma dall'intervento di cura di Dio. Il tralcio ha bisogno di essere continuamente mondato/potato (v.2), perché il raccolto sia più abbondante.

 Dunque, questo brano del vangelo di Giovanni è un invito a scegliere ogni giorno di vivere con la mente e con il cuore con Cristo Gesù, meditando la sua Parola e pregando.
Ciò non significa vivere ripiegati su se stessi o ammantati di una spiritualità fine a se stessa, ma implica operare scelte anche difficili, talvolta controcorrente, per realizzare la volontà di Dio e la diffusione del Regno che Gesù ci ha annunciato.
L'apostolo Paolo, al vertice della sua maturità spirituale, disse: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Galati 2, 20).
La vita cristiana non è una tecnica o uno stile. È unicamente la conseguenza di un rapporto che consente a Gesù Cristo di essere il Signore nella vita di una persona. È lo Spirito della vita di Cristo che fa funzionare la vita cristiana.
Il Signore ci chiama a dimorare in Lui e nella sua Parola, a riconoscere la sua autorità e la sua presenza.
La dipendenza da Cristo ci insegna che non possiamo vivere da soli e che abbiamo bisogno di Lui, degli uni e degli altri, formando una comunità solidale, giusta, libera, dove l'amore va incontro ai bisogni di tutti.
Il Signore disse: "Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto sia permanente" (Giovanni 15, 16).


                                                                                        Aldo Palladino

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