La domanda
Come si può spiegare l'origine del male? Tra tanti altri, Agostino ha molto riflettuto e combattuto con questa domanda, formulando tre ipotesi di risposta: il male è una fuoriuscita dall'ordine divino, oppure è sempre esistito, oppure è causato da Dio. Agostino propende per la prima ipotesi, ma soprattutto tende a negare che il male abbia una vera consistenza in sé, che sia cioè una vera e propria creatura: dovrebbe essere una creatura di Dio, che è il Creatore di ogni cosa, ma non può esserlo, perché Dio ha creato solo cose buone e non può averne creato una cattiva, come è il male. Agostino tende quindi a definire il male come privazione di bene. Resta però aperta la domanda: perché l'uomo compie il male? Dove sta la sua libertà di non compierlo? Perché Dio tenta Abramo, se sa già che cosa farà Abramo? O non lo sa («ora so che tu temi Dio» - Genesi 22,12)? È possibile pensare che il male non abbia consistenza, e che il principio del male, di per sé, non esista? Il male sarebbe solo distanza da Dio? Se è così, perché Dio permetterebbe questa distanza e in definitiva all'uomo di compiere il male? Agostino cerca di spiegare la libertà dell'uomo, ma, per questo, presuppone la fede cristiana. Ma per chi non ha la fede in Cristo o vive all'interno di altre fedi (diverse religioni o forme di etica) che succede? Saremmo sempre salvati e/o liberi?
Un lettore di Roma
La risposta
Sono dieci le domande contenute in questa lettera, ma potrebbero essere cento o anche di più, e nascono tutte dall'unica domanda - quella iniziale, che è diventata il titolo di questo dialogo, e alla quale forse non c'è risposta. Ci sono domande che restano senza risposta affinché il problema che le suggerisce resti aperto e l'uomo non si stanchi di affrontarlo, anche se non riesce a venirne a capo. Per dare un'idea della complessità della questione possiamo riferirci a un frammento dei Soliloquia di Agostino, che qui dialoga con la Ragione (la sua), dunque con se stesso, intorno alla ricerca della verità. Ecco il frammento:
Ragione. Rispondi adesso a questo: pensi possa accadere che il falso non esista?
Agostino. Come potrei pensare ciò, dal momento che raggiungere la verità è così difficile da potersi dire che l'esistenza del falso è quasi più ammissibile dell'esistenza del vero?
Da queste battute di un dialogo che occupa tutta l'opera, sembrerebbe che il falso esista. Ma la Ragione osserva che «nessuna cosa è falsa se non c'è nessuna alla quale appaia tale», e conclude che «la falsità non è nelle cose, ma nei sensi». In fin dei conti è l'uomo che ha creato le nozioni di vero e di falso. Ritorna perciò la domanda: il vero e il falso sono realtà oggettive, che esistono in sé, o sono invece realtà soggettive che l'uomo stabilisce e utilizza per descrivere, in base al suo discernimento, la realtà e orientarsi in essa? Che siano realtà più soggettive che oggettive risulta dal fatto che una stessa cosa può essere giudicata vera dagli uni e falsa da altri. E comunque, il falso (sia che esista in sé, sia che esista solo nel discernimento umano) ha un'esistenza propria oppure è solo un'assenza di verità? Il vero e il falso sono due principi autonomi che si fronteggiano in continuazione cercando ciascuno di prevalere sull'altro, o esiste solo la verità, mentre la falsità o la menzogna sono solo la negazione o la contestazione della verità?
Questa serie di interrogativi è quella che, mutatis mutandis e con qualche variante, accompagna ogni riflessione sul male, sulla sua origine e sulla sua consistenza: tutti, in un modo o nell'altro, ne facciamo l'esperienza, e per tutti è «il problema dei problemi». Affrontandolo, sia pure solo per sommi capi, occorre anzitutto fare una distinzione fondamentale: molto del male presente nel mondo è causato dall'uomo, e non ha alcun senso (è solo un comodo alibi) addebitarlo a Dio. Auschwitz non l'ha creato né comandato Dio, l'ha deciso e realizzato l'uomo. La morte per denutrizione di milioni di bambini non è colpa di Dio, ma nostra. Le guerre continue che insanguinano la terra non sono opera di Dio, ma nostra. E così via. Ma anche se l'uomo, e lui soltanto, è responsabile di un bel po' del male presente oggi nel mondo, resta pur sempre aperta la domanda: come mai l'uomo fa il male anziché il bene, e ne fa così tanto e quasi, si direbbe, con gusto, e inventandone sempre nuove forme? Perché l'uomo sembra affascinato più dal male che dal bene? Perché l'uomo, che pure teme il male, non ne è solo vittima, ma anche autore e complice? Ma accanto al male di cui solo l'uomo è responsabile, c'è indubbiamente nel nostro mondo una parte non piccola di male, di cui l'uomo non è responsabile - tragedie personali e familiari (Giobbe) o collettive (tsunami) - che suscitano in tutti, credenti e non credenti, innumerevoli «perché? ». Perché il male? Perché si abbatte su di me? Da dove viene? Da Dio? Sarebbe un suo castigo? O una prova? Ma Dio ricorre davvero a questi mezzi crudeli? Se non viene da Dio, viene dal Caso? Ma allora il Caso esiste - un Caso indipendente da Dio? O viene dal Destino, che esisterebbe anch'esso indipendentemente da Dio? Che senso può avere tutto questo?
Nel lontano 1959 il prof. Vittorio Subilia, allora docente di Teologia sistematica presso la Facoltà valdese di Teologia, scrisse un bel volumetto (ristampato nel 1987, ma oggi purtroppo esaurito), intitolato appunto Il problema del male. Vi si espongono, in sintesi, i tre principali tentativi di risposta alla grande, antica, eterna domanda Unde malum? ( = Da dove viene il male?).
1. Il primo è la risposta dualista. Non c'è un solo Dio, ce ne sono due, o meglio, c'è un Dio e un Anti-Dio, il Dio del bene e l'Anti-Dio del male. Essi si contendono il governo del mondo e l'anima dell'uomo: la storia umana e l'anima umana sono il loro campo di battaglia. Il male presente nel mondo non viene quindi da Dio, ma dall'Anti-Dio, che è una potenza negativa, tenebrosa, distruttrice, che Dio combatte, ma non controlla. Questa risposta ha il vantaggio di cancellare il sospetto che Dio sia autore o complice del male, ma ha lo svantaggio di limitare e relativizzare la signoria di Dio sul creato che invece, secondo la testimonianza della Scrittura, è piena e unica. Gesù è il Signore, non un Signore.
2. Un secondo tentativo di risposta è quello che consiste nella negazione del male, o meglio nella negazione che quello che ci appare come male, lo sia veramente. È un pensiero che si trova già nella filosofia greca antica, ad esempio in Eraclito, che affermava: «Non si riconoscerebbe la parola giustizia se non esistesse l'ingiustizia», e ancora: «La malattia fa dolce la salute, il male fa dolce il bene, il riposo fa dolce il moto». Insomma, senza il male non esisterebbe neppure il bene. In campo cristiano viene subito in mente Agostino, giustamente citato dal nostro lettore, per il quale il male non ha consistenza propria, è semplicemente una assenza di bene (in latino privatio boni). E molti secoli più tardi, nella seconda metà del Seicento, Leibniz dirà che questo è il migliore dei mondi possibili e che il male non è altro che l'imperfezione della creatura che, proprio perché creatura, non può eguagliare la perfezione del Creatore. Molti altri filosofi e teologi della modernità hanno sostenuto tesi analoghe, che per ragioni di spazio non possiamo qui esporre. Che cosa pensare di questa posizione? Essa ha il vantaggio di invitarci a non considerare unicamente il male in sé, isolandolo da tutto il resto, come se fosse l'unica realtà presente, quasi dimenticando il bene che pure esiste. Ma ha il grave svantaggio di sottovalutare l'ampiezza e la gravità del male, la sua enorme forza di attrazione e distruzione, la profondità del suo radicamento nell'animo umano e nelle strutture della società, i danni e la quantità incalcolabile di sofferenze che provoca nell'umanità ma anche nel mondo animale e nella natura. Sarebbe davvero bello se il male fosse solo una assenza di bene. Purtroppo non è così. La dottrina di Agostino - sia detto con tutto il rispetto - è una scorciatoia.
3. Un terzo tentativo di risposta è l'esatto contrario del precedente e consiste, per dirlo in estrema sintesi, nella negazione del bene. In che senso? Non nel senso di negare che ci siano nel mondo, nella natura, nella storia e nell'esperienza umana delle cose buone e belle, dei momenti felici, dei valori positivi per i quali valga la pena impegnarsi e anche sacrificarsi: è evidente che queste cose belle ci sono. Ma sono provvisorie, fugaci, destinate a scomparire, forse solo apparenti. Si potrebbe dire così: il male è permanente, il bene è apparente. La vita può anche essere bella, ma finisce nella morte, cioè nella sua negazione. Ci sono nel mondo sprazzi di bene, ma il male sembra prevalere. Il bene esiste, ma è perdente. Occorre avere il coraggio di prenderne atto e trarre le debite conseguenze. Questa, a grandi linee, è la posizione. Che cosa pensarne? Essa ha il vantaggio di prendere sul serio il male, come effettivamente bisogna fare. Ma ha il grave torto di prenderlo talmente sul serio da esserne quasi ipnotizzata. Dichiarando in anticipo la vittoria del male, sottovaluta pericolosamente il valore della battaglia contro di esso, che invece va affermato e sostenuto con forza.
Altre posizioni dovrebbero essere presentate, come quella accennata dal nostro lettore che collega l'apparizione del male (sotto forma di peccato) alla libertà di cui l'uomo è dotato: c'è il male perché l'uomo è libero di farlo. Qui però non si spiega l'origine del male, si constata solo la sua esistenza e si dice che l'uomo è libero di farlo. Ma non è che il male esista perché l'uomo lo fa, ma l'uomo lo fa perché il male esiste. Se non esistesse, non potrebbe farlo. Il problema non è risolto, è solo spostato.
È tempo di concludere e la conclusione è questa: alla domanda del nostro lettore non c'è una risposta convincente, quanto meno non ne ho una. Il male non viene da Dio (che non lo fa), neppure dall'uomo (che lo fa), è una grande forza negativa e distruttiva, che però non è Dio, ma sotto Dio. Gesù non l'ha spiegata, l'ha combattuta frontalmente e radicalmente. La risposta è dunque questa: non cercare soluzioni teoriche che non ci sono, ma lottare con tutte le forze, interiori ed esteriori, e con tutti i mezzi, contro il male nelle sue svariatissime forme, cominciando dalla più insidiosa: il male che si presenta come bene.
Paolo Ricca
Tratto dalla rubrica Dialoghi con Paolo Ricca del Settimanale "Riforma" n. 16 del 22 aprile 2011
1 commento:
Premessa:distinguiamo il male dovuto all'uomo(ammesso che esista il libero arbitrio)da quello degli eventi naturali.
Ecco le mie riflessioni
La sofferenza interroga,chiede ragione.Cosa facciamo? ha detto Papa Francesco rivolto a Dio dopo il terremoto del Centro-Italia.Sembra un modo soft di chiedere:Perché?Ma il credente non chiede perché.Davanti a eventi come questo che interrogano la risposta l'ha dato Kierkegaard e altri prima di lui:credo quia absurdum,credo perché é assurdo.È l'unica risposta possibile:il piano di Dio per il mondo contiene anche l'assurdo.Il credo é la fede di Abramo che é disposto al sacrificio del figlio per ubbidire al comando di Dio(di cui parla Kierkegaaad)e il credo di chi accetta che un Dio sommamente buono crea un mondo in cui c'è la sofferenza degli innocenti(spunto delle mie riflessioni)
Nel mondo animale vige la legge della giungla.Il forte sopprime il debole per domare la fame.Che dignità ha la gazzella che tenta invano di sfuggire al leone?Le stelle che esplodono che si spengono lentamente come il nostro sole,la Terra che ogni tanto si da una scrollata in attesa del prossimo meteorite(sembra che un meteorite ha prodotto un tale cataclisma da far sparire i dinosauri)
Cosa c'è di ammirevole in tutto questo?Sarebbe questo il disegni intelligente,l'orologio che richiama l'orologiaio?Dove é la somma benevolenza,il fine buono del creato,l'armonia di cui parlano alcuni grandi filosofi del passato?O per complicare le cose dobbiamo tirare in scena Il Maligno che interferisce nei piani di Dio?
Oppure tutto é conseguenza del peccato originale?l'uomo che vuole essere simile a Dio che disubbidisce,la punizione la cacciata,la caduta.Ma la gazzella quale é il suo peccato originale?
O paga per quello dell'uomo?La sofferenza degli innocenti é il prezzo per il peccato originale?Il bambino orfano che soffre per la perdita della madre perita nel terremoto?O anche l'innocenza é andata perduta nella caduta?Dura da accettare anche per chi crede che il Dio dei Cristiani a un certo punto della storia si é incarnato per soccorrere la sua creatura prediletta,quella creata a "sua immagine e somiglianza"per redimerla dal peccato.E prima?E poi perché proprio 2000 anni fa e proprio in Palestina?Già il Popolo eletto,la Terra Promessa.Perché non gli Eschimesi e la Groenlandia?Difficile da capire.
Acquisita la fede alla nascita,ambiente cattolico(subito il battesimo altrimenti in caso di decesso é il Limbo)prima o poi non é possibile non farsi queste domande e ci si accorge che la fede non é quella che credevamo aver acquisito in modo quasi naturale ma é un grande problema,un problema molto serio.Allora é impossibile non avvertire un profondo disagio,un disorientamento,le certezze vacillano:é il momento in cui si crede perché é assurdo o si perde quella che credevamo essere la fede.E un bel mattino ci si sveglia agnostici.Ma é un brutto risveglio:vivere senza le certezze perdute,le preghiere recitate in modo mnemonico sin da piccoli,ma anche la fede vissuta quella che aiuta nei momenti difficili,l'antidoto alla disperazione come diceva il Manzoni.Tutto é piu complicato e anche qui c'è un prezzo da pagare .Anche senza l'interlocutore rimane l'assurdo della sofferenza degli innocenti:la vita é una lotteria.Inutile chiedere perché perché non ci sono risposte.il metro con cui ci misuriamo é quello della nostra coscienza e sappiamo quanto é cultura-dipendente.Il famoso"senza Dio tutto é permesso"di Dostoevskj.È una grande sfida ad é ineluttabile.E l'uomo é fragile,poter contare solo sulle proprie forze é un carico di responsabilità forse troppo pesante,arrischia di soccombere.
Che dire?Ammirare i credenti dalla fede cristallina(ma quanti sono?),quelli non sfiora ti dal dubbio forse perché quelle domande non se le fanno mai (in ogni caso accettano l'assurdo che chiamano mistero)ma che riescono a vivere sereni nelle tempeste della vita anche se peccatori incalliti?Che dalla tante confessioni forse i calli li hanno sulle ginocchia
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