Michea 6:6-8
Dio vuole te
Predicazione di Aldo Palladino
Il testo biblico
6 Con che cosa verrò in presenza del SIGNORE
e mi inchinerò davanti al Dio eccelso?
Verrò in sua presenza con olocausti,
con vitelli di un anno?
7 Gradirà il SIGNORE le migliaia di montoni,
le miriadi di fiumi d'olio?
Dovrò offrire il mio primogenito per la mia trasgressione,
il frutto delle mie viscere per il mio peccato?
8 O uomo, egli ti ha fatto conoscere ciò che è bene;
che altro richiede da te il SIGNORE,
se non che tu pratichi la giustizia,
che tu ami la misericordia
e cammini umilmente con il tuo Dio?
Chi è Michea
Nella Bibbia, Michea è uno dei dodici profeti "minori" (minori non perché meno importanti, ma perché più brevi). Il suo nome, dall'ebraico "Micayahu", significa "chi è come Yahweh?".
Era chiamato il Morestita, perché era nato a Moreset (1:1,14), città della Giudea a 40 km. a sud-ovest di Gerusalemme. Era contemporaneo del profeta Isaia col quale ha in comune le profezie sulla distruzione del Regno del nord, Israele, da parte dell'Assiria e sulla sconfitta del Regno del Sud, Giuda, ad opera dei Babilonesi.
Svolse il suo ministero tra gli anni 750-689 a.C., durante i regni di Iotam, Acaz, ed Ezechia.
È un profeta di cui si sa poco. Di lui si ricorda in modo particolare il passo che profetizza la nascita di Gesù a Betlemme, Efrata, (importante la specifica di Efrata, perché all'epoca esistevano due Betlemm) (5:1), che Matteo cita nel suo vangelo (Mt. 2:5-6).
Attualità del libro
Il libro di Michea tuttavia ha avuto un grande impatto sulla vita pubblica dei nostri giorni.
Jimmy Carter, nel suo discorso d'insediamento come presidente degli Stati Uniti, nel gennaio 1977, citò il testo di Michea 6:8:
"O uomo, egli ti ha fatto conoscere ciò che è bene;
che altro richiede da te il SIGNORE,
se non che tu pratichi la giustizia,
che tu ami la misericordia
e cammini umilmente con il tuo Dio?".
"O uomo, egli ti ha fatto conoscere ciò che è bene;
che altro richiede da te il SIGNORE,
se non che tu pratichi la giustizia,
che tu ami la misericordia
e cammini umilmente con il tuo Dio?".
Nel 1959, l'Unione Sovietica fece dono all'ONU di una scultura di bronzo raffigurante un uomo che trasforma una spada in un vomere, un aratro, alla base della quale c'era incisa la frase "Dalle nostre spade fabbricheremo vomeri", che è una parafrasi dei passi biblici di Michea 4:3: "Dalle loro spade fabbricheranno vomeri, dalle loro lance, roncole…" e Isaia 2:4: "trasformeranno le loro spade in vomeri d'aratro, e le loro lance in falci".
Sono dei testi in cui c'è una splendida descrizione di un aspetto del Regno di Dio, come regno di pace e di giustizia.
Domanda e risposta
Il testo biblico di Michea su cui riflettiamo contiene in sostanza una domanda e una risposta.
La domanda, detta con altre parole, potrebbe essere questa: "Che cosa vuole da me il Signore?" Per meglio dire: cosa devo fare, oggi, per piacere al Signore? Così parafrasata la domanda, ci rendiamo conto che il personaggio Michea e il suo messaggio sono attualissimi, perché riguarda ognuno di noi, in particolar modo come credenti.
Cosa devo fare per piacere al Signore? Una domanda che presuppone che Dio voglia qualcosa da noi. Che cosa vuole Dio da noi?
Il pellegrino giudeo fa tre ipotesi, che sono chiari nel testo:
1) fare offerte di vitelli o di montoni (sacrifici di animali);
2) spargere fiumi d'olio (offerta di oggetti);
3) sacrificare il proprio primogenito (addirittura un sacrificio umano!).
C'è dunque un'idea strana di Dio, perché qui c'è qualcuno che pensa che Dio possa essere avvicinato facendogli dei doni, sacrificando animali o addirittura esseri umani, un figlio o una figlia (pratica quest'ultima assolutamente vietata nell'AT, come ci mostrano alcuni episodi narrati (Gen. 22, Abramo e Isacco).
L'uomo da sempre ha pensato di poter addomesticare Dio o di carpirne il favore attraverso una sorta di baratto: io ti do questo e tu mi dai qualcosa in cambio, la tua approvazione, il tuo aiuto. Per non parlare di quelli che per sentirsi protetti da Dio, se ne facevano delle statue e delle immagini, degli amuleti da tenere in casa o da portare addosso.
Con tutti i distinguo che l'accostamento richiede, anche molti credenti usano la Scrittura come se avessero nelle mani un talismano che emana influenze magiche, miracolose e consolatorie, o che ci fa sentire più sicuri e protetti, o che, come alcuni fanno, come un sedativo che aiuta a vincere l' insonnia.
Nel romanzo Il dottor Zivago di B. Pasternàk c'è un racconto che è un esempio di questo modo di usare la Bibbia. Di un soldato caduto in battaglia dice: "Al collo aveva appeso un cordoncino, a mo' di amuleto, un pezzo di stoffa in cui era cucito un foglio logoro e consumato nelle piegature. Ne spiegò i lembi che si staccavano e si sbriciolavano. Vi erano trascritti alcuni passi del salmo 90 (cioè il 91 della nostra versione) con quelle varianti e contaminazioni che il popolo introduce nelle preghiere…Nel salmo si dice: "Colui che riposa nell'aiuto dell'Altissimo…" [il verso continua: "…riposa all'ombra dell'Onnipotente"]. Pasternàk dice anche: "Il testo di quel salmo era ritenuto miracoloso per tener lontani i proiettili. Già i combattenti della guerra imperialistica lo portavano addosso come talismano. Passarono i decenni e molto più tardi cominciarono a portarlo, cucito nell'abito, gli arrestati, mentre lo ripetevano a memoria i reclusi, quando venivano chiamati dai giudici istruttori per gli interrogatori notturni".
Niente di male in tutto questo, ma bisogna essere consapevoli che un libro, sia pure la Bibbia, in sé non ha nulla di magico, perché è solo strumento o veicolo della rivelazione di Dio. Non bisogna confondere il contenente con il contenuto. Ciò che ha valore inestimabile è Dio, che ti incontra attraverso la rivelazione affidata a uomini [e donne] sospinti dallo Spirito Santo (2 Pt 1:21). Per questo il credente non adora il Libro. Noi adoriamo Dio in spirito e in verità (Gv 4:24).
Ma, tornando al nostro passo, nel v. 8, la domanda iniziale torna: "Che altro chiede da te il Signore?". E finalmente arriva la risposta, che è una grande sorpresa: nessuna cosa! Il pio giudeo credeva che Dio volesse qualche cosa da lui, ma si sbagliava perché Dio vuole lui. Dio vuole l'uomo, un uomo nuovo che sia testimone, ambasciatore e protagonista della vita del Regno di Dio.
La conversione dell'uomo
Alle tre cose che l'uomo vuole fare per Dio, Dio contrappone tre affermazioni con cui chiede all'uomo:
- di praticare la giustizia;
- di amare la misericordia;
- di camminare umilmente con Dio.
Sono tre aspetti della conversione dell'uomo, del cambiamento totale del suo modo di pensare e di essere nel suo rapporto con Dio e con il prossimo.
Da un'attenta lettura delle profezie di Michea si ricavano notizie sulla diffusa ingiustizia sociale ed economica. I proprietari terrieri di notte escogitano piani per accrescere le loro ricchezze togliendo terreni e case ai piccoli agricoltori (Michea 2:1-2) ; le donne e i bambini sono sfrattati dalle loro abitazioni (2:9); i capi politici esercitavano il potere per sfruttare il popolo per il tornaconto personale, perché amavano il male e odiavano il bene (3:1-3). La manodopera era sfruttata per costruzioni edilizie (3:10). Nei tribunali c'era una corruzione dilagante (3:11). Anche i sacerdoti si erano venduti per avidità di guadagno (3:5,11) e continuavano a sostenere che Dio era in mezzo a loro (3:11). Una situazione di peccato che Michea denunzia ad alta voce incontrando una forte opposizione (2:6-11).
Da questo, dunque, comprendiamo che praticare la giustizia per Dio ha una valenza di carattere sociale, perché riguarda i rapporti col prossimo.
Il secondo aspetto della conversione dell'uomo è di amare la misericordia. Il termine usato da Michea (hesed) indica un amore con un forte elemento di fedeltà, come quello che c'è tra marito e moglie (2:19, benevolenza) o tra due veri amici. Dunque, amare la misericordia significa avere un rapporto con Dio vissuto con amore e fedeltà.
Il terzo aspetto, quello di camminare umilmente con Dio, esorta l'uomo a orientare la sua vita quotidiana seguendo Dio. È l'appello che troviamo nei vangeli dove Gesù invita delle persone a seguirlo.
Camminare con Dio, con Gesù, non significa che saremo al riparo dai momenti difficili della vita, ma che avremo le consolazioni del Signore e la forza per superarli, con la certezza che il Signore è accanto a noi nel nostro cammino.
Il Salmo 23: 4 ci ricorda: "Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte, io non temerei male alcuno perché tu sei con me".
Leggere Salmo 50: 7-23
Aldo Palladino
Domenica, 15 maggio 2011
Chiesa Cristiana Evangelica
C.so Gramsci 24
Torre Pellice (TO)
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