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20 gennaio 2011

Matteo 4,12-23

 

Inizio del ministero di Gesù
e chiamata dei primi discepoli

 

Note esegetiche e omiletiche

 

a cura del Past. Luca Maria Negro
 

Il testo biblico

12 Gesù, udito che Giovanni era stato messo in prigione, si ritirò in Galilea.

13 E, lasciata Nazaret, venne ad abitare in Capernaum, città sul mare, ai confini di Zabulon e di Neftali,

14 affinché si adempisse quello che era stato detto dal profeta Isaia:

15 «Il paese di Zabulon e il paese di Neftali, sulla via del mare, di là dal Giordano, la Galilea dei pagani,  

16 il popolo che stava nelle tenebre, ha visto una gran luce; su quelli che erano nella contrada e nell'ombra della morte una luce si è levata».

17 Da quel tempo Gesù cominciò a predicare e a dire: «Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino».

18 Mentre camminava lungo il mare della Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone detto Pietro, e Andrea suo fratello, i quali gettavano la rete in mare, perché erano pescatori.

19 E disse loro: «Venite dietro a me e vi farò pescatori di uomini».

20 Ed essi, lasciate subito le reti, lo seguirono.

21 Passato oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni, suo fratello, i quali nella barca con Zebedeo, loro padre, rassettavano le reti; e li chiamò.

22 Essi, lasciando subito la barca e il padre loro, lo seguirono.

23 Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando il vangelo del regno, guarendo ogni malattia e ogni infermità tra il popolo.

 

 

Commento esegetico

 

v. 12

 "Udito che": i Vangeli sinottici fanno iniziare il ministero di Gesù dopo che è terminato quello di Giovanni, mentre il quarto Vangelo (cfr. 3,24) lascia intendere un periodo di ministero simultaneo.

"Era stato messo in prigione": letteralmente "era stato consegnato" (paredòthe), termine che è tipico degli annunci della passione (17,22; 20,18; 26,2). Il verbo al passivo è probabilmente un passivo divino: "La passione di Gesù obbedisce al piano di salvezza di Dio, come pure l'arresto di Giovanni" (Hare 44); Gesù comincia la sua attività pubblica nel momento in cui Dio mette fine a quella di Giovanni (Bonnard 47).

"Si ritirò": si potrebbe intendere come "si rifugiò" (cfr.2,14.22, fuga in Egitto e ritiro in Galilea piuttosto che a Betlemme). "La decisione di Gesù di fare della regione della Galilea e del lago di Genezareth il luogo della sua attività, ha visto opposizione nei circoli degli ebrei pii, soprattutto in Giudea e a Gerusalemme" (Grundmann 105); tracce di questa opposizione sono visibili in particolare nel Vangelo di Giovanni (1,46; 7,3-5.41-42.52). La Galilea era malvista per vari motivi: terra semi-pagana in cui la Torà non è presa sul serio, regione di teste calde da cui era nato il movimento zelota (cfr. Flavio Giuseppe).

 

v. 13

"Lasciata Nazaret": Gesù abbandona la sua "patria" (13,54) e si trasferisce a Cafarnao, città di frontiera tra gli stati di Filippo e di Erode Antipa, e che diventerà la "sua" città (9,1). Matteo è l'unico ad esplicitare che Gesù si trasferisce a Cafarnao, ma non spiega il perché; sui burrascosi rapporti con i nazareni sappiamo da Luca 4. I dettagli geografici del v. 13 sono destinati a introdurre la citazione dell'Antico Testamento; al tempo stesso sottolineano il carattere "misto" e di confine della regione in cui Gesù opera: sulla via del mare (di Galilea, anche se in Isaia la via maris si riferiva al Mediterraneo); ai "confini" (ma potrebbe significare semplicemente "nel territorio") di Zabulon e Neftali, tribù deportate in Assiria al tempo di Isaia; la "Galilea delle genti" (Galilaìa ton ethnòn; in ebraico: Ghelil ha-gojim, letteralmente curva delle genti).

 

v. 14

Secondo il procedimento tipico di Matteo, il fatto viene spiegato alla luce della citazione biblica che segue.

 

v. 15-16

La citazione di Isaia 8,23 – 9,1 non corrisponde esattamente né al testo masoretico né alla traduzione dei Settanta. In particolare, il popolo che "camminava" nelle tenebre diventa in Mt un popolo che "giaceva", "sedeva" nelle tenebre (o laòs o kathémenos en skotìa) – possibile allusione alla situazione spirituale del popolo. Il verbo non è al futuro, come nei LXX ("una luce brillerà per voi") ma al passato, come in ebraico. "E' la luce del Messia (lumen Christi): la semplice venuta di Gesù in Galilea, il suo passaggio per fare il bene, la sua visita che risana, sono una 'luce grande' per tutto il 'popolo' (termine che, in Matteo e nei LXX indica usualmente il popolo ebraico) ma anche per le 'genti'" (Mello 96-7).

Si può notare qui il carattere al tempo stesso ebraico e universalista di Matteo: il popolo ebraico e le "genti" sono presenti all'orizzonte di Gesù sin dall'inizio del suo ministero (anzi sin dalla nascita: cfr. i magi). "Il ministero di Gesù si rivolge in primo luogo alle pecore perdute della casa d'Israele (10,6; 15,24) ma in un contatto intimo e profetico con i pagani" (Bonnard 48).

 

v. 17

"Cominciò a predicare": il biblista ebreo André Chouraqui preferisce tradurre con "gridare" (dalla radice ebraica qara) e nota che "la stessa radice si trova in arabo, dove significa 'gridare, declamare, proclamare', in particolare nel Corano dove è essenzialmente il grido di Allah , ripreso dalla voce di Muhammad" (Chouraqui 84).

Il contenuto del messaggio è identico a quello del Battista (3,2). "La differenza qui non è nel messaggio ma in colui che lo proclama: il futuro diventa un presente. Nella persona di Gesù il regno ha fatto irruzione nel mondo. Si tratta dell'oggi di Dio. Quando Dio parla, nessun ritardo è permesso" (de Diétrich 28).

"Ravvedetevi": Chouraqui traduce "Fate ritorno": più che di penitenza, si tratta di un ritorno di tutto l'essere a D-o e alla sua Torà" (Chouraqui 84).

"Il regno dei cieli è vicino": letteralmente "si è avvicinato il regno dei cieli". L'espressione "indica un evento che ha già avuto luogo nel tempo, e i cui effetti perdurano" (Mello 97). L'espressione "regno dei cieli" è un semitismo tipico di Matteo (ebraico: malkut ha-shamajim), una metafora per evitare di pronunciare il nome divino; al tempo stesso l'espressione indica che Dio "esercita un dominio che si contrappone ai regni 'della terra' o del 'mondo' (4,8)… Vuol dire che Dio regna, e regna efficacemente nella storia, non sulle nubi" (Mello 97).

 

v. 18-22

Suzanne de Diétrich prosegue così il suo commento ("nessun ritardo è permesso…"): "E' ciò che attesta, magnificamente, la vocazione dei primi discepoli. Alla sola parola del maestro essi lasciano tutto, il loro mestiere, la loro famiglia" (de Diétrich 28). Nel testo greco la parola "subito" (euthéos) è in posizione enfatica, sia al v. 20 che al v. 22 (non: "lasciate subito le reti" ma "subito lasciando le reti", "subito lasciando la barca"). "Riteniamo questo subito che caratterizza, per tutti i tempi, l'obbedienza della fede" (de Diétrich 28).

In effetti il racconto della vocazione in Matteo (ripreso con pochi cambiamenti da Marco) è diverso da Luca e Giovanni, dove la chiamata è in qualche modo "preparata" (Luca colloca la guarigione della suocera di Pietro prima del racconto della vocazione; in Giovanni Andrea viene convinto a seguire Gesù da Giovanni il Battista e a sua volta persuade suo fratello). In Matteo "non c'è alcun tentativo di preparazione in vista dell'avvenimento…. Gesù chiama con autorità irresistibile… Nel perentorio 'Seguimi!' è implicita una profonda percezione teologica, formulata dal quarto vangelo in Giov. 15,16: 'Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi'… In tutta la nostra ricerca, siamo stati cercati. Colui che abbiamo scelto è colui che ci ha scelto per primo" (Hare 46).

Pescatori di uomini: "L'immagine utilizzata da Gesù è suggestiva: non si tratta più di tirar fuori dei pesci dalle profondità del mare, ma di tirar fuori degli uomini dagli abissi del peccato e della morte, di prenderli nella grande rete di Dio!" (de Diétrich, ibidem). E' un immagine che va fatta risalire a Gesù stesso, anche se compare in Ger. 16,16, ma in un senso negativo.

La rete che Pietro e Andrea stanno gettando al momento della chiamata è un amfìblestron, piccola rete che viene gettata con entrambe le mani e subito ritirata. Alcuni commentatori hanno visto in questo tipo di rete "l'immagine della rapidità e dell'autorità con cui la parola di Gesù, e poi quella degli apostoli, raccoglierà gli uomini per il regno; la punta sarebbe la seguente: voi sarete altrettanto abili e efficaci come pescatori di uomini" (Bonnard 50).

E' interessante notare che la chiamata di Gesù sia in un certo senso "collettiva", nel senso che si rivolge qui a due coppie di fratelli (il che non esclude chiamate individuali, ovviamente, come quella di Matteo, 9,9). Gesù chiama a due a due, e a due a due manda in missione (in Marco 6,7, dettaglio però omesso da Matteo; cfr. comunque Mt 21,1).

 

v. 23

Gesù percorre "tutta la Galilea". La sua itineranza costituisce un aspetto importante del suo ministero: "il suo scopo non è di fare qualche passo con un piccolo gruppo di discepoli, come i rabbini, né di raccogliere dei puri nel deserto come il Maestro degli Esseni; egli intende rivolgersi a tutto il suo popolo in tutto il paese" (Bonnard 51). Il sommario dell'attività di Gesù – con l'ordine 1) insegnamento, 2) evangelizzazione, 3) guarigione (didàskonkerùssontherapeùon) riflette una preoccupazione tipicamente matteana: "Per Matteo, l'insegnamento di Gesù è molto più importante dei suoi miracoli. In realtà ha precedenza persino sulla predicazione dell'evangelo del regno. Il primo vangelo non è tanto un manuale di evangelizzazione, quanto piuttosto un trattato sulla vita della chiesa. Matteo è profondamente preoccupato dello stato di confusione della chiesa… Per il benessere della chiesa si deve dare l'enfasi principale all'insegnamento di Gesù sulla vita nel regno" (Hare 47).

Chouraqui continua a proporre qui una traduzione originale: "Egli grida l'annuncio del regno": "L'annuncio traduce meglio l'ebraico bessora, piuttosto che il termine 'evangelo' il cui senso è diventato restrittivo" (Chouraqui 87).

 

Piste per la predicazione

a)    Centrando la predicazione sui vv. 12-17 si potrebbe fare una riflessione sulla scelta della "Galilea delle genti" da parte di Gesù. Di fronte a Gesù stavano tre possibilità: avrebbe potuto continuare la predicazione di Giovanni il Battista nel deserto (o fondare una comunità monastica come quella di Qumran); avrebbe potuto partire dal "centro" del potere politico e religioso, cioè Gerusalemme; e invece Gesù sceglie una terza opzione, quella di una terra di confine, una periferia, una frontiera… Gesù sceglie di parlare alle pecore perdute d'Israele e al tempo stesso prefigura la missione ai pagani. Anche oggi le nostre chiese sono tentate dalla scelta del "deserto" (rinchiudersi in se stesse come isole felici fuori dal mondo) e da quella di "partire dal centro" (ad esempio privilegiando una presenza culturale ad alto livello e trascurando il servizio agli ultimi). Siamo invece chiamati a "predicare in Galilea", a fare delle nostre chiese non templi gerosolimitani né monasteri nel deserto ma delle "Capernaum", città aperte, sul mare e sui confini.

b)    Centrando la predicazione sulla vocazione dei primi discepoli, la scelta più classica è quella di predicare a) sull'autorità con cui Gesù chiama, b) sulla prontezza con cui il credente è chiamato a rispondere, c) sull'efficacia che è promessa alla nostra missione se, come Pietro e suo fratello, siamo capaci di gettare l'amfìblestron con la stessa prontezza del gesto dei pescatori galilei…

c)    Una terza opzione, sempre sui vv. 18-22, potrebbe essere quella di riflettere sulle circostanze della chiamata: a) il carattere comunitario della chiamata (a due a due; non siamo dei guerrieri solitari ma chiamati ad essere una "squadra" al servizio dell'evangelo del regno); b) il carattere "laico" della chiamata (che non avviene in un luogo sacro ma in uno spazio laico, quotidiano, là dove la gente vive e lavora; le stesse parole di Gesù sono profondamente "laiche" – non dice ai fratelli vi farò diventare santi o sacerdoti o maestri, ma "pescatori di uomini" che mettono le loro capacità "piscatorie" [non in senso papale!] al servizio del Regno dei cieli); c) una chiamata che viene rivolta al centro della vita (dei giovani nel pieno della loro attività professionale; cfr. la riflessione di Bonhoeffer sul fatto che "Dio non è un tappabuchi; Dio non deve essere riconosciuto solamente ai limiti delle nostre possibilità, ma al centro della vita" (Bonhoeffer 382-3).

 

Luca Maria Negro

 

Bibliografia

  • Alberto Mello, Evangelo secondo Matteo, edizioni Qiqajon, Comunità di Bosé, Magnano 1995.
  • Suzanne de Diétrich, Mais moi je vous dis. Commentaire de l'Evangile de Mathieu, Delachaux et Niestlé, Neuchâtel 1965.
  • Pierre Bonnard, L'Evangile selon Saint Matthieu, Delachaux et Niestlé, Neuchâtel 1970.
  • Douglas R. A. Hare, Matteo, Claudiana, Torino 1993.
  • André Chouraqui, Matyah (L'Evangile selon Matthieu), Paris, Jean-Claude Lattès 1992.
  • Walter Grundmann, Das Evangelium nach Matthäus, Evangelische Verlagsanstalt Berlin 1981.
  • Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa, Cinisello Balsamo, Paoline 1988.

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