Giovanni 2, 1-11
Gesù tramuta l'acqua in vino
di Aldo Palladino
Il testo biblico
1 Tre giorni dopo, ci fu un matrimonio in Cana di Galilea, e la madre di Gesù era là. 2 Anche Gesù fu invitato con i suoi discepoli al matrimonio. 3 Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». 4 Gesù le disse: «Che c'è fra me e te, o donna? L'ora mia non è ancora venuta». 5 Sua madre disse ai servitori: «Fate tutto quel che vi dirà». 6 C'erano là sei recipienti di pietra, del tipo adoperato per la purificazione dei Giudei, i quali contenevano ciascuno due o tre misure. 7 Gesù disse loro: «Riempite d'acqua i recipienti». Ed essi li riempirono fino all'orlo. 8 Poi disse loro: «Adesso attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. 9 Quando il maestro di tavola ebbe assaggiato l'acqua che era diventata vino (egli non ne conosceva la provenienza, ma la sapevano bene i servitori che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo e gli disse: 10 «Ognuno serve prima il vino buono; e quando si è bevuto abbondantemente, il meno buono; tu, invece, hai tenuto il vino buono fino ad ora».
11 Gesù fece questo primo dei suoi segni miracolosi in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui.
Tre giorni dopo l'incontro con Natanaele, al quale Gesù aveva detto: "Tu vedrai cose maggiori di queste" (1, 50), l'evangelista Giovanni ci fornisce la testimonianza di un fatto che egli stesso cataloga come il " primo dei suoi segni miracolosi" (11), il primo dei 35 segni miracolosi (seméia) di Gesù riferiti nei Vangeli ( per il secondo segno vedasi 4, 54).
Il simbolismo del vino buono di Gesù
Per comprendere in profondità il gesto di Gesù occorre avere conoscenza della simbologia del vino, che può arricchire con nuovi significati tutto l'episodio.
Il vino, nella vita quotidiana del popolo d'Israele, costituiva il nutrimento della terra che "rallegra il cuore dell'uomo" (Salmo 104,15; Giudici 9,13). Esso era utile a rafforzare l'amicizia, a festeggiare l'amore, a rallegrare la convivialità (Giobbe 1,18) e in generale a celebrare momenti di felicità della vita umana.
Nella vita cultuale, invece, rappresentava l'offerta di libagione per i sacrifici (Esodo 29,40; Numeri 15, 5.10) e costituiva una delle primizie da offrire ai sacerdoti (insieme al frumento, l'olio e la tosatura delle pecore) (Numeri 18, 12; Deuteronomio 18,4).
Nella predicazione dei profeti, l'assenza di vino era segno di giudizio, mentre la sua abbondanza era segno di benedizione o di approvazione (Amos 9,14; Osea 2,24; Geremia 31,12; Isaia 25,6; Gioele 2,19; Zaccaria 9,17).
Dunque, si può comprendere come la mancanza di vino nella festa di nozze a Cana sarebbe stato vissuto come un atto di scortesia per tutti i convitati e, al limite, come presagio di giudizio da parte di Dio. E Gesù mai avrebbe voluto che due giovani innamorati, nel giorno inaugurale della loro vita coniugale, avessero vissuto male questo inizio. Anche se la sua ora non era ancora venuta (4), la sua presenza carica di speranza messianica, ridondante pace e serenità, non si sarebbe potuta conciliare con una caduta di gioia e di felicità durante la festa di nozze. È per questo che egli interviene e ordina che fossero riempite d'acqua le sei giare di pietra "del tipo adoperato per la purificazione dei Giudei". Di pietra perché, a differenza della terracotta, la pietra era repellente alle impurità.
Il lavoro frenetico dei servi, che ubbidiscono prontamente a Gesù, accumulano nelle giare circa seicento litri d'acqua che, man mano che viene servita a tavola con dei recipienti, diventa vino prelibato, eccellente, tanto che il maestro di cerimonia chiama lo sposo per complimentarsi con lui non solo per la qualità del vino, ma anche per la strategia di averlo tirato fuori in un quel preciso momento del banchetto.
Gesù, il vero Sposo del banchetto nuziale
Questo brano può essere segnalato per il messaggio che l'evangelista Giovanni raccoglie attraverso tutti gli elementi della narrazione, dagli oggetti alle persone ivi presenti, dalle parole alle azioni dei singoli personaggi, Gesù compreso.
Le sei giare di pietra senza acqua rappresentano l'imperfezione del giudaismo, una religione senza più vita e ormai alla fine della sua funzione. La legge ridotta al rispetto formale delle norme cultuali, delle prescrizioni sacrificali, ormai consacrati in una tradizione stanca, non esprime più la vita di Dio né una spiritualità capace di creare un rapporto intimo con Dio. È necessario immettere nuova vita, nuovo zelo, infondere una gioia più intensa nella comunità giudaica e in tutta l'umanità, che solo un vino nuovo e genuino può dare. Questo vino, buono e bello (dal greco kàlos), che non può essere contenuto in otri vecchi per la forza prorompente dalla sua vivacità ed effervescenza (Mt. 9,17), è raffigurato dal Vangelo di Gesù Cristo, dalla nuova alleanza. Questo vino nuovo è il fondamento della nuova relazione dello Sposo per la sua Sposa.
Il profeta Osea ci aveva parlato dell'amore di Dio per la sua sposa infedele, che riconduce a sé in una nuova relazione di fedeltà e di amore: "Perciò, ecco, l'attrarrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Di là le darò le sue vigne e la valle di Acor come porta di speranza; là mi risponderà come ai giorni della sua gioventù... Io ti fidanzerò a me per l'eternità; ti fidanzerò a me in giustizia e in equità, in benevolenza e in compassioni. Ti fidanzerò a me in fedeltà, e tu conoscerai il Signore" (Osea 2, 14-15.19-20).
E il profeta Isaia (25,6) ci aveva preannunciato il giorno in cui il Signore avrebbe preparato un banchetto per tutti i popoli con cibi succulenti e vini raffinati.
Il vino della Cena del Signore
Per la felicità della Sua Sposa, Gesù dona non un vino qualsiasi, ma il suo vino, frutto di un ministero d'amore, contrassegnato dalla sua divinità e dalla sua umanità. Il vino della Santa Cena si delinea sullo sfondo della narrazione e prefigura la missione del servo dell'Eterno. Egli raccoglie le speranze dell'antica alleanza e le realizza col dono della sua vita per l'intera umanità. " In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia" (Ef. 1,7).
Un segno di cambiamento
Gesù tramuta l'acqua in vino. Fino a quel momento nessuno aveva mai visto una cosa simile. Si, c'è nel lontano passato l'acqua dell'Egitto diventata sangue (Esodo 7,14-25), un giudizio divino verso l'ostinato faraone.
Qui Gesù compie un gesto con cui reca benedizione a tutti e manifesta la sua gloria.
Il cambiamento non è solo nell'acqua che diventa vino.
Il cambiamento è in Maria, che di fronte alla parola di Gesù: "L'ora mia non è ancora venuta" (4) esce di scena, si mette da parte dicendo ai servitori: "Fate tutto quello che vi dirà" (5).
Ma cambiano i servitori, che in quel momento vedono Gesù come il nuovo Signore (Padrone), e da Lui prendono ordini in totale ubbidienza.
Cambia il maestro di cerimonia, che accresce il suo stupore per la novità del vino più buono apparso sulle tavole.
Cambiano i discepoli, che da quel momento credono al Signore.
Tutti gli invitati cambiano, perché diventano la Sposa del Signore, per l'eternità, oggetti dell'amore di Dio in Cristo.
Di fronte a tanto, anche noi, moderni destinatari di una non comune testimonianza evangelica, iniziamo dentro di noi quel cammino di fede, che nasce dalla rimozione della nostra incredulità. Noi stessi, come tutti gli invitati alla festa di nozze, siamo cambiati. Gesù è lì ad annunciare il passaggio dall'antica alleanza al nuovo patto fondato su questo vino nuovo immesso nell'umanità. Egli è la chiave di svolta di questo cambiamento. Tutti sono chiamati a credere in Cristo e ad accogliere la salvezza e la vita nuova.
Palladino Aldo
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