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26 gennaio 2021

 

           Marco 5, 1-20

                                                                       L'indemoniato di Gerasa

                                                                     Un commento di Aldo Palladino

Il testo biblico

1 Giunsero all'altra riva del mare, nel paese dei Geraseni. 2 Appena Gesù fu smontato dalla barca, gli venne subito incontro dai sepolcri un uomo posseduto da uno spirito immondo, 3 il quale aveva nei sepolcri la sua dimora; nessuno poteva più tenerlo legato neppure con una catena. 4 Poiché spesso era stato legato con ceppi e con catene, ma le catene erano state da lui rotte, e i ceppi spezzati, e nessuno aveva la forza di domarlo. 5 Di continuo, notte e giorno, andava tra i sepolcri e su per i monti, urlando e percotendosi con delle pietre. 6 Quando vide Gesù da lontano, corse, gli si prostrò davanti 7 e a gran voce disse: «Che c'è fra me e te, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Io ti scongiuro, in nome di Dio, di non tormentarmi». 8 Gesù, infatti, gli diceva: «Spirito immondo, esci da quest'uomo!» 9 Gesù gli domandò: «Qual è il tuo nome?» Egli rispose: «Il mio nome è Legione perché siamo molti». 10 E lo pregava con insistenza che non li mandasse via dal paese. 11 C'era là un gran branco di porci che pascolava sul monte. 12 I demòni lo pregarono dicendo: «Mandaci nei porci, perché entriamo in essi». 13 Egli lo permise loro. Gli spiriti immondi, usciti, entrarono nei porci, e il branco si gettò giù a precipizio nel mare. Erano circa duemila e affogarono nel mare. 14 E quelli che li custodivano fuggirono e portarono la notizia in città e per la campagna; la gente andò a vedere ciò che era avvenuto. 15 Vennero da Gesù e videro l'indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che aveva avuto la legione; e s'impaurirono. 16 Quelli che avevano visto raccontarono loro ciò che era avvenuto all'indemoniato e il fatto dei porci. 17 Ed essi cominciarono a pregare Gesù che se ne andasse via dai loro confini.

18 Com'egli saliva sulla barca, l'uomo che era stato indemoniato lo pregava di poter stare con lui. 19 Gesù non glielo permise, ma gli disse: «Va' a casa tua dai tuoi, e racconta loro le grandi cose che il Signore ti ha fatte, e come ha avuto pietà di te». 20 Ed egli se ne andò e cominciò a proclamare nella Decapoli le grandi cose che Gesù aveva fatte per lui. E tutti si meravigliavano.

 

Testi biblici paralleli: Mt. 8,28-34 e Lc. 8,26-39

 

     Il vangelo di Marco è il più antico tra i vangeli sinottici, per cui è legittimo chiedersi dove Marco abbia attinto questa storia. Molti studiosi hanno sostenuto che abbia attinto alla tradizione, altri che abbia costruito integralmente questa storia a fini apologetici della divinità di Gesù e c'è chi pensa sia una storia reale ma non vera. È verosimile che Marco si sia ispirato a Isaia 65,1-4 in cui viene denunciata la venerazione dei morti e l'impurità del popolo d'Israele con le immagini delle tombe e dei cibi impuri come atti di ribellione contro Dio. Nondimeno, è un racconto ricco di insegnamenti che delinea il carattere salvifico e liberatorio di Gesù nei confronti di quanti ha incontrato lungo le vie della Palestina e di coloro che odono, ascoltano e ricevono il suo evangelo.

     Gesù, dunque, attraversa il Lago di Tiberiade o Mar di Galilea e sbarca nel territorio pagano della Decapoli (ΔεκάπολιςDekápolis, "dieci città"), abitato nel corso della storia dai greci e poi anche dagli occupanti romani. Quindi è una popolazione prevalentemente di gentili, di pagani considerati impuri.

     Non c'è accordo nei manoscritti greci sulla località del racconto. Matteo parla di Gadara (8,28), Luca cita Gerasa (8,26) seguendo la linea di Marco (5,1). Sono due città molto distanti dal Lago di Tiberiade che mal si conciliano con il racconto dei porci che precipitarono nel lago.

Origene, invece, che individua la località in Gergesa, riferisce del paese dei Gergeseni o dei Ghirgasei di Genesi 10,16.

Ma nel 1928, scavi archeologici avrebbero identificato il luogo del precipizio dei porci nella località di Mogà Adla nel territorio della città di Kursi che con Gerasa (o Kerasa) aveva in comune tre lettere (KRS). Ci sarebbe stata,quindi, una errata interpretazione di quelle lettere.

 Incontro con l'indemoniato e sua descrizione (vv. 1-5)

     Appena la barca approda sull'altra riva, Gesù scende dalla barca. Non si sa se siano scesi anche i discepoli, che non compaiono in tutto l'episodio. E subito gli va incontro un uomo. Marco dà una sommaria descrizione di quest'uomo: è "posseduto da uno spirito immondo" (v. 2), vive e dimora tra i sepolcri della necropoli (i sepolcri erano grotte scavate nelle colline rocciose), era stato legato con ceppi e catene (v. 3-4) per contenerlo e ridurlo all'impotenza ma lui le aveva rotte con la sua forza inaudita; trascorre i giorni tra i sepolcri e sui monti; inoltre urlava e si percuoteva con delle pietre (v. 5).

Possiamo farci un'idea di quest'uomo: è un uomo demente, un pazzo, tanto inavvicinabile e intrattabile che la comunità lo ha emarginato e allontanato dai luoghi della società "normale" per non avere niente a che fare con lui. È un uomo solo, che tutti schivano, che non ha rapporti con la vita civile. Infatti, trascorre il suo tempo tra i sepolcri e i monti, notte e giorno.

Incontro con gli spiriti (vv. 6-10)

Alla vista di Gesù, l'indemoniato si rivolge a Gesù dicendo: «Che c'è fra me e te, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Io ti scongiuro, in nome di Dio, di non tormentarmi». È una formula di riconoscimento della figura di Gesù come Figlio di Dio, della sua divinità e del suo potere di guarigione e salvezza.

     Ma perché l'indemoniato chiede di non essere tormentato? Perché gli spiriti che lo possedevano e lo dominavano sanno bene che la sola presenza di Gesù è l'irruzione della luce nel mondo delle tenebre, è la fine della schiavitù, la vita nuova che irrompe per liberare dai ceppi e dalle catene spirituali tutti coloro che vivono come morti viventi, è l'ora della liberazione dei prigionieri e della punizione degli spiriti carcerieri. Gesù, dunque, rappresenta la rovina e la fine di quegli spiriti, che a ragione sono profondamente turbati per l'imminente giudizio di Dio. Gesù, infatti, chiede allo spirito immondo di uscire da quell'uomo. Qualunque sia la malattia, fisica o mentale, Gesù non tollera la condizione disumana di quell'uomo, che la sua dignità sia lesa e che l'immagine di Dio in lui sia oscurata da poteri tenebrosi.

     Ed è per questo motivo che Gesù gli chiede: «Qual è il tuo nome?». Gesù entra in relazione con quell'uomo con una domanda che è l'inizio della guarigione. Domanda di riconoscimento e di rispetto: «Dimmi, come ti chiami?». Il vero nome di quell'uomo non ci viene mai rivelato. Per tutti era un pazzo, un indemoniato, un forsennato da cui stare alla larga, che deve stare il più lontano possibile. Lui stesso non dice a Gesù il suo nome, ma rivela il nome di chi lo possiede. Il suo nome è Legione, perché è posseduto da una legione di spiriti (da notare che qui c'è un riferimento al dominio e all'oppressione romana che con le sue legioni avevano il controllo della Palestina).

 La punizione degli spiriti (vv.11-13)

     Dunque, Gesù vuole sapere da quell'uomo chi è e come si chiama. Ma gli risponde uno spirito, a nome di tutti gli altri spiriti, che prega Gesù di non mandarli via dal paese, ma di farli entrare in un branco di circa duemila porci dove trovare una nuova dimora. Gesù autorizza il loro trasferimento nei porci. Ma anche i porci, che forse mal tolleravano la presenza degli spiriti, impazziscono e precipitano nel mare. È la fine degli spiriti.

 La reazione degli abitanti della città (vv. 14-17)

     Il fatto è di una tale eccezionalità che non può essere tenuto nascosto. I mandriani dei porci si prodigano a raccontarlo dappertutto, in città e per le campagne, e scatenano la curiosità degli abitanti che vanno a rendersi conto dell'accaduto all'indemoniato e ai porci. Essi constatano una realtà completamente cambiata: l'indemoniato è una persona completamente normale, seduto, tranquillo e pacifico, sano di mente e i porci non ci sono più. Di fronte a questo scenario sono afferrati da un sentimento di paura che contagia tutti. La preoccupazione aumenta tanto che pregano Gesù di andar via. Stupisce il fatto che non una loro parola di ringraziamento e neanche di stupore sia rivolta a Gesù per la guarigione dell'indemoniato. Il testo ci indica solo il loro desiderio che Gesù vada via.

     Come mai questa reazione verso Gesù? È molto probabile che il timore degli abitanti fosse di ordine economico, perché la perdita di tanti porci costituiva un danno non indifferente arrecato all'economia della Decapoli. Dunque Gesù è visto più come una minaccia che come un guaritore.

Un uomo nuovo, inviato in missione (vv. 17-20)

     L'ex indemoniato, ormai guarito e ricondotto alla vita sociale, prega Gesù di potere stare sempre lui. Ma Gesù ha per quest'uomo altri progetti. Il compito che gli affida è di raccontare alla sua famiglia, ai suoi parenti e a tutti quelli che incontra le grandi cose che Gesù ha fatte e come il Signore abbia avuto pietà di lui. Dunque, è un incarico di testimone dell'amore di Gesù e della sua potenza di guarigione e di salvezza. E la sua testimonianza meraviglia tutti.

 L'insegnamento

     Il racconto di miracolo o di esorcismo parla ad ognuno di noi. D'alta parte tutto l'evangelo di Marco è rivolto ai suoi discepoli ovvero ad una comunità cristiana di origine pagana. Quindi è un vangelo rivolto oggi a tutte le persone che possono trarre un insegnamento personale. Gesù, infatti, è venuto tra noi che abitiamo la nostra "Decapoli" di impurità, di peccato, di contraddizioni, di violenze, cioè un mondo abitato da forze negative, diaboliche, che sono presenti nella nostra vita. È venuto incontro a noi per liberarci da tutti i mali da cui siamo afflitti e che tormentano la nostra umanità.

     Noi siamo l'indemoniato a cui Gesù vuole restituire la dignità di uomo libero, liberato dalle catene del pregiudizio, dai falsi moralismi e dalla legione di fantasmi che costringono a vivere come morti viventi, in una vita preclusa alla bellezza, alla relazione solidale e civile con la comunità sociale.

     L'incontro di Gesù con l'indemoniato ha conseguenze strabilianti: è un incontro di cambiamento e trasformazione. Come le tenebre si dissolvono quando arriva la luce così gli spiriti non possono sopportare la sua presenza. Quando Gesù entra nella nostra vita anche noi siamo trasformati e rinnovati. C'è una sorta di guarigione del cuore e della mente che investe il nostro rapporto con Dio e con il prossimo. Non c'è più spazio per i nostri interessi personali, ma ciò che prevale è l'ubbidienza al Signore e il perseguimento del bene comune, la convivenza pacifica, la solidarietà, la condivisione, la giustizia sociale.

Dunque, l'opera di Gesù per la salvezza del mondo appare qui, in questo racconto, in modo incontrovertibile. Molte forze ostili gli si oppongono ma il suo disegno di grazia, di perdono e d'amore per tutti gli uomini non può essere fermato.

     Il racconto ha anche la finalità, come avvenuto per l'indemoniato, di indicarci la via della missione e dell'apostolato dopo essere stati da lui guariti, rinnovati, salvati. Nessuno può rimanere indifferente, ma tutti siamo chiamati a testimoniare e a raccontare  "le grandi cose che il Signore ti ha fatte, e come ha avuto pietà di te" (vv. 19-20).

                                                                                        Aldo Palladino

                                                                                                               

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