Matteo 8,18-27
LA FEDE NELLA TEMPESTA
Predicazione del Professore e Pastore emerito
Paolo Ricca
«Gesù sali sulla barca e i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta, che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva. Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi, alzatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia. I presenti furono presi da stupore e dicevano: «Chi è mai costui, al quale i venti e il mare ubbidiscono?».
Perché la scelta di questo episodio ha potuto essere così veloce? Per le tante affinità e analogie tra l'esperienza fatta dai discepoli e da Gesù in quella occasione e quella che facciamo noi, assediati dal coronavirus. Ecco le analogie maggiori che, come si dice ricorrendo a un francesismo, "saltano subito agli occhi".
1. La prima è questa: Siamo tutti nella stessa barca, compreso Gesù."Tutti" vuol dire proprio "tutti". Tutti i discepoli ma anche Gesù corrono lo stesso pericolo: se la barca dovesse capovolgersi per l'urto violento delle onde tutti rischiano di essere inghiottiti dalle acque. Così noi tutti siamo in pericolo: tutti possiamo essere contagiati: tutti corriamo rischio di morire.
2. Seconda analogia: la barca, l'unica barca per tutti, per loro (Gesù e i discepoli) e per noi, è nella tempesta. Una vera tempesta, non solo raccontata, ma vissuta. Una tempesta di fuori, ma anche una tempesta di dentro. È come se l'agitazione delle onde si trasferisse nell'agitazione degli animi. Questa agitazione produce ripensamenti, riflessioni critiche e autocritiche. Varrebbe la pena - se ne avessimo il tempo - di farne una rassegna, anche sommaria. Constateremmo che, improvvisamente, siamo pieni di buoni propositi: ora vogliamo finalmente rispettare l'ambiente, essere un po' meno consumisti e spreconi, cioè un po' meno pericolosi per il nostro habitat; forse, per paura del virus, stiamo diventando tutti un po' più saggi; addirittura il nostro premier Conte ha detto che, finita l'emergenza «saremo tutti migliori»! Speriamo, ma chi lo sa? Comunque è vero che, volenti nolenti, stiamo imparando o reimparando tante cose, stiamo - così sembrerebbe - ricuperando alcuni valori. Questi sono i possibili frutti buoni della tempesta dentro che tutti, in un modo o nell'altro, stiamo vivendo, come riflesso della tempesta fuori,
3. Terza analogia: la tempesta sorge improvvisa, senza segni premonitori, quando nessuno se la aspettava.Se ci fosse stato qualche segno - ad esempio qualche nuvolone nero in cielo - che una tempesta si sarebbe presto scatenata, Gesù e i discepoli non si sarebbero imbarcati, non avrebbero iniziato la traversata del lago. Così il virus è giunto senza preavviso tanto che, all'inizio, quasi tutti ne hanno sottovalutato la gravità e pericolosità, paragonandolo a una semplice influenza, solo un po' più seria. Comunque il virus ci ha colti tutti impreparati non solo sul piano sanitario, non solo sul piano psicologico ed emotivo, ma anche sul piano spirituale. Anche la Chiesa è stata colta di sorpresa, e si è dimostrata del tutto impreparata, tanto che non sa che cosa pensare né che cosa dire. Non sa, o non osa o non vuole interpretare il fenomeno, si limita a dare qualche consiglio dettato più che altro dal buon senso, come quello di non sciupare il tempo che la clausura forzata ci mette a disposizione. D'accordo, ma non c'è bisogno di una Chiesa per arrivare fin lì. Da una Chiesa si ha il diritto di aspettarsi qualcosa di più e di meglio.
4.Infine, la quarta analogia: qui Gesù dorme.E' l'unica volta in tutto l'Evangelo che si parla di un Gesù addormentato, anche perché il Salmo 121 dice di Dio: "Ecco colui che protegge Israele non sonnecchierà né dormirà" (v. 4). Qui invece Gesù dorme. Questo sonno è veramente una cosa stupenda e dobbiamo ammirare e lodare il coraggio degli evangelisti di riportare fedelmente questo fatto più unico che raro, che non può essere stato inventato. C'è chi sostiene che negli evangeli non c'è nulla di storico, cioè di realmente accaduto, è tutto un'invenzione, tutto una favola, una fantasia. Ecco. Un Gesù addormentato in mezzo alla tempesta nessun discepolo avrebbe osato inventarlo! Se c'è un passo che illustra al meglio la veracità e storicità degli evangeli è proprio questo! Gesù, dunque dorme, dorme davvero, dorme profondamente. Non lo sveglia neppure la tempesta, non lo svegliano il fragore delle onde né il rumore del vento; lo svegliano i discepoli disperati. Ora questo sonno di Gesù è di una attualità impressionante. È proprio quello che pensano tanti nostri contemporanei: "Dio dorme". Quando uno dorme è come se non ci fosse anche se c'è. Anche in Lutero troviamo una preghiera breve ma altamente drammatica pronunciata in un momento critico della sua vita: «O Dio, perché non intervieni? Forse che dormi? No, ti nascondi soltanto». Nessuno oggi prega così, neppure nelle Chiese, e comunque i nostri contemporanei pensano non che Dio si nasconda, ma che non esista, o, appunto, che dorma. Ma, a differenza dei discepoli, non pensano neppure di svegliarlo.
Come vedete, queste quattro analogie sono reali, ed è per questo che questo episodio, assolutamente singolare nella storia di Gesù, mi è venuto subito in mente mentre cercavo un passo biblico che ci potesse aiutare a capire che cosa ci sta succedendo e come potremo vivere questa emergenza, ma anche oltre emergenza. Si tratta però, ora, di cogliere il messaggio dell'episodio e del testo. E per poterlo cogliere dobbiamo anzitutto fare un passo indietro, cioè tornare indietro di qualche versetto e leggere il brano precedente che funziona benissimo come introduzione al nostro episodio. Leggiamo dunque nello stesso capitolo 8, i versetti dal 18 al 22 (versione CEI/Gerusalemme), il brano intitolato: «Le esigenze della sequela di Gesù» oppure «Come seguire Gesù»
Vedendo Gesù una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all'altra riva. Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, io ti seguirò dovunque andrai». Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». E un altro dei discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia i morti seppellire i loro morti».
Avete capito il nesso tra i due brani e perché Matteo ha collocato l'episodio della tempesta sedata subito dopo il brano su «Come seguire Gesù», nel quale vediamo due candidati al discepolato, che vogliono seriamente seguire Gesù - «Ti seguirò dovunque tu andrai» dice addirittura il primo - ma Gesù avverte entrambi sulla difficoltà di essere suoi discepoli: il discepolo di Gesù avrà una vita itinerante, randagia, e dovrà rompere certi vincoli sacri come quello di seppellire i propri cari perché c'è una urgenza maggiore: annunciare il Regno di Dio vicino. Ma se è difficile essere discepoli di Gesù in generale, fuori dalla tempesta, tanto più lo è nella tempesta, e l'episodio della tempesta sedata è una specie di fotografia dal vivo di questa difficoltà. I due brani parlano dello stesso tema: la difficoltà di essere discepoli di Gesù. Ecco perché Matteo li ha accostati e messi in successione uno dopo l'altro. Noi ci occupiamo della difficoltà di essere discepoli di Gesù nella tempesta: in quella scatenata venti secoli fa sul lago di Galilea, e in quella scatenata oggi dal coronavirus.
Ma ora chiediamoci: qual è il messaggio di questo episodio? Possiamo tentare di riassumerlo in quattro punti.
Il primo è che la tempesta viene, fa parte della natura, della storia e della vita.
Il secondo è che non si sa né da dove viene né perché.
Il terzo è che Gesù è nella tempesta e la placa.
Il quarto è che la tempesta rivela che i discepoli sono (vale forse la pena, per una volta, riferire la parola originale greca, anche se Gesù - come sappiamo - parlava aramaico!) oligòpistoi: olìgos, ingreco, significa «piccolo», «poco», «scarso»; pìstis significa «fede», «fiducia», «fedeltà», quindi oligòpistoi significa appunto «gente di poca fede», «con una fede piccola». Chi sono questi oligòpistoi? Sono i discepoli, che rappresentano la chiesa; gli oligòpistoi siamo noi. La chiesa con la fede piccola è quella che crede, sì, ma nella tempesta ha più paura che fede. Vediamo un po' più da vicino ciascuno di questi punti.
1. Il primo è una semplice constatazione: nell'esperienza umana c'è anche la tempesta!Non c'è solo il cielo sereno e il mare calmo, c'è anche il cielo scuro e il mare in tempesta. Ci sono tempeste nella natura, nella storia collettiva, nella storia individuale e familiare, ce ne sono nella Chiesa e nella società. Ce ne sono nella vita di ciascuno di noi, di ogni creatura vivente. La tempesta viene in tanti modi esteriori e interiori, aggredendo il corpo oppure l'anima, oppure la psiche, oppure gli affetti e i sentimenti. Non c'è niente da fare, non la si può evitare, bisogna imparare a fronteggiarla. Nessuna vita ne è esente. Bisogna saperlo. La tempesta fa parte di questo mondo e di questa vita. Non c'è da stupirsi e nemmeno da scandalizzarsi. Se accettiamo questa vita dobbiamo sapere che con ogni probabilità ci troveremo anche noi in qualche tempesta. Anche se sono eccezionali, fanno però parte, purtroppo, della normalità della vita.
2. Da dove viene la tempesta? Chi la manda? Chi la provoca? Da dove viene il virus? Chi è colpevole? Chi è responsabile? E perché viene?Naturalmente, per quanto concerne il coronavirus, sappiamo bene che ci sono evidenti responsabilità umane che hanno a che fare con l'inquinamento atmosferico, con la crisi ambientale e con i grandi squilibri che essa provoca nelle relazioni tra tutti gli organismi vegetali, animali e umani - e di questa crisi siamo tutti in varia maniera responsabili. Questo va detto e sottolineato, e mi sembra che su questo punto c'è consenso generale e tutti, o almeno molti, stanno recitando il necessario mea culpa: speriamo che sia sincero e conduca a un vero e duraturo ravvedimento che finora non c'è stato, per la salvezza del pianeta. Se però, aldilà di queste serissime ragioni contingenti e cause accertate, andiamo più a fondo e cerchiamo di scoprire le ragioni ultime di questa pandemia, che un giornalista molto bravo e serio non ha esitato a definire «la prima vera guerra mondiale della storia umana», perché, aggiunge, «il virus è mondiale», se cioè ci chiediamo come mai l'uomo è così folle o incosciente o cinico da distruggere con le sue mani il suo habitat, seminando la morte intorno a sé come nessun altro essere vivente ha mai fatto, e se ci poniamo interrogativi di questo genere, non è più tanto facile rispondere.
Per quanto concerne la tempesta sul lago di Galilea, non si capisce né da dove viene né perché. Non viene certo dagli uomini, non dai discepoli, non da Gesù, non dalla folla delusa perché Gesù se ne è andato. Forse che viene da Dio? C'è chi lo sostiene: Dio manderebbe delle calamità per far rinsavire un'umanità che sembra non capire altri discorsi. Io non credo affatto che sia così. Vale la pena, a questo proposito, riferire quanto scrive Dietrich Bonhoeffer in una lettera dal carcere di Tegel, a Berlino, dov'era rinchiuso dall'aprile del 1943 (la lettera è del 18 dicembre di quell'anno). L'affermazione è questa: "È vero che non tutto ciò che accade è semplicemente 'volontà di Dio', ma in fondo non accade nulla senza la volontà di Dio (Matteo10,29), cioè in ogni avvenimento, anche il più infelice, passa un sentiero che porta a Dio». Che cosa vuol dire? Vuol dire due cose molto semplici e molto belle:
- la prima è che per Dio non tutto ciò che accade è semplicemente "volontà di Dio": il Male non è volontà di Dio, la disperazione e la morte non sono volontà di Dio; Dio vuole il Bene, essendone l'origine, e non il Male, che è ciò che egli ha sempre e radicalmente escluso, cacciato dal suo orizzonte. Perciò Dio non manda nessun virus in giro per il mondo a distruggere quello che lui ha creato; Dio è fonte di vita, non di morte.
- La seconda cosa che Bonhoeffer dice è che di ogni avvenimento, anche del più infelice, non devi tanto chiederti: «Da dove viene?» quanto piuttosto: «Dove mi può portare?», perché in ogni avvenimento c'è un sentiero che porta a Dio e la volontà di Dio è proprio questa: che attraverso quello che accade, noi andiamo a lui.
Certo, so bene che nella Bibbia ci sono anche altre testimonianze, altre esperienze di fede. C'è la parola di Gesù che Bonhoeffer stesso cita: «Neppure un solo passero cade in terra senza il volere di Dio» (Matteo 10,29). C'è Dio che permette a Satana di mettere alla prova la fede di Giobbe, quindi - si direbbe - autorizza il diavolo a fare il male, quindi sembra che Dio non crea il male, ma lo permette. C'è la famosa affermazione del profeta Isaia, che riporta queste parole di Dio: «Io formo la luce e creo le tenebre; do il benessere, creo l'avversità, io, il Signore, sono colui che fa tutte queste cose» (Isaia 45,7). C'è anche il Salmo 107 dove leggiamo che Dio «suscita la tempesta che solleva le onde» (v.25), anche se poi la placa, «la riduce al silenzio e le onde si calmano» (v.29). Ci sono queste esperienze di fede ed è giusto tenerne conto. Ma se crediamo in Dio attraverso Gesù, così come appare nello specchio della sua vita e della sua opera, allora scopriamo che Dio non è mai alleato del Male ma sempre suo avversario, non patteggia mai con il Male ma lo esclude sempre e radicalmente; il male è proprio questo = ciò che Dio esclude. Dio per far rinsavire l'umanità non manda un virus, ma ha mandato Gesù. In ogni tempo e in ogni situazione manda sempre e solo lui.
Concludendo questo secondo punto, possiamo dire: anche se dovesse risultare che siamo noi i maggiori responsabili di questa pandemia, restano tante domande aperte, tanti perché? senza risposta. In mezzo a questi interrogativi, sappiamo che in ogni avvenimento, anche il più infelice come certamente è questo, c'è un sentiero che porta a Dio.
3. Il terzo punto è questo: Gesù è nella barca e quando si scatena la tempesta anche lui è nella tempesta. Questa è una grande parabola di Dio: Gesù, qui più che altrove, rivela Dio come Dio-con-noi. Ricordate l'altro nome che l'angelo diede a Gesù annunciando a Giuseppe la sua nascita: egli sarà chiamato "Emmanuele" che tradotto vuol dire "Dio con noi" (Matteo 1,23). Questo è Gesù: Dio con noi, nella nostra barca, e se la barca è nella tempesta, anche lui è nella tempesta. Non fuori, non accanto, non lontano, non altrove. Gesù vuol dire questo, che Dio non è senza di noi e noi non siamo senza di lui. Gesù dunque - il Dio con noi - è nella barca e nella tempesta, ma dorme. Sommo paradosso! Perché dorme? Per disinteresse? Per negligenza? Per incoscienza? No, dorme perché non ha paura, a differenza dei discepoli che invece hanno paura. Chi ha paura non può dormire. Chi non ha paura, perciò può anche dormire. Leggiamo nella Bibbia che, dopo aver creato la terra e i cieli e tutto ciò che esiste, e aver formato l'uomo e la donna, il settimo giorno Dio si riposò «da tutta opera che aveva fatta» (Genesi 2,2). La Bibbia non lo dice, ma se, durante il suo riposo, avesse fatto anche un sonnellino, non ci sarebbe stato niente di male! Dio può anche dormire. È Dio anche quando dorme! E ha creato un mondo e un uomo che stanno in piedi da soli! Gesù dunque dorme perché non ha paura. Non ha paura perché il suo nome è Dio-con-noi; non ha paura perché è sicuro di Dio. È sicuro che Dio, che ha creato il mare e il vento, può anche placare entrambi. Ed è talmente sicuro che sia così, che lo fa lui nel nome di Dio. È lui il Dio-con-noi, in lui è Dio che «sgrida il mare e il vento », che subito si calmano, «e si fece gran bonaccia» (v.26). Tanto che i presenti si meravigliano e chiedono: «Che uomo è mai questo che anche i venti e il mare gli obbediscono?» È Gesù, il cui secondo nome è Emmanuele, che tradotto vuol dire: "Dio-con-noi".
4. E così giungiamo al quarto, ultimo punto: nella tempesta i discepoli hanno paura.Hanno tutti paura. Non c'è n'è nemmeno uno - ad esempio il solito Pietro, sempre in prima fila - nemmeno uno che non abbia paura. Sono tutti oligòpistoi, così gli chiama Gesù, secondo Matteo, che è l'unico a adoperare questo termine che, come ho già detto, vuol dire «di poca fede» o «con fede piccola», «che crede poco», crede sì, ma poco. Questa parola nell'evangelo di Matteo, è sempre e solo riferita ai discepoli. Sono loro che credono poco, è la loro caratteristica principale. Credono sempre poco, e nella tempesta diventa chiaro quanto poco credono.
I discepoli rappresentano la Chiesa. È la Chiesa che crede poco: la tempesta, il virus, rivela la sua piccola fede. Per questo balbetta, non sa che cosa dire, non riesce a interpretare quello che sta succedendo, non aiuta la gente a capire. Non riesce a fare quello che, ad esempio, fece Agostino nel V secolo: quando Alarico, re dei Vandali, nel 410 conquistò Roma, segnando il tramonto definitivo della grande civiltà greca e romana, con il crollo dell'impero, sembrava vicina la fine del mondo, con la regressione drammatica dalla civiltà alla barbarie. Allora si poneva la grande domanda: la storia umana ha un senso oppure no? Procede verso una meta oppure gira eternamente a vuoto su se stessa, distruggendo quello che aveva creato? In quel frangente Agostino comincia a scrivere la Città di Dio. Possiamo immaginarlo idealmente seduto sulle macerie di una civiltà in rovina, scruta l'incerto futuro, ma fa decisamente posto alla speranza cristiana, che non sarà delusa perché non è un'illusione. Agostino legge la storia della sua generazione e quella dell'umanità nelle storie della Bibbia, interpreta il suo tempo nella luce dei tempi di Dio. Alarico conquista Roma, ma Dio costruisce unacivica, una comunità che ci sarà ancora quando Alarico non ci sarà più. Oggi non sembra che ci sia un Agostino, purtroppo, non sembra ci sia un Agostino che ci aiuti a capire che cosa ci sta succedendo.
La Chiesa crede poco. Così stando le cose, comprendiamo perché è così difficile essere discepoli di Gesù nella tempesta: perché nella tempesta bisognerebbe credere di più, e invece proprio la tempesta rivela la nostra piccola fede. Può sembrare grande quando il mare è calmo ma, in realtà, è piccola anche allora. La gente «di poca fede» è quella che crede in Dio quando il mare è calmo e comincia a dubitare quando il mare è agitato. Crediamo sempre troppo poco, questa è la verità. Perciò, concludendo, possiamo senz'altro associarci alla supplica dei discepoli a Gesù che dorme dicendo: «Signore, salva, siamo perduti!» (v.25), salvaci dalla tempesta, salvaci dal virus, ma salva anche la nostra piccola fede, l'unica - sembra - di cui siamo capaci!
Paolo Ricca
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