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13 novembre 2016

Romani 8, 16-25 La gloriosa speranza dei figli di Dio

Romani 8, 16-25
La speranza gloriosa dei figli di Dio

Predicazione di Aldo Palladino

16 Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio. 17 Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere glorificati con lui.
18 Infatti io ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev'essere manifestata a nostro riguardo. 19 Poiché la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio; 20 perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l'ha sottoposta, 21 nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio. 22 Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; 23 non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo. 24 Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? 25 Ma se speriamo ciò che non vediamo, l'aspettiamo con a pazienza.

La domanda: "Come andrà a finire?"
Alcuni giorni fa mi è capitato tra le mani un libro degli anni novanta della Claudiana dal titolo "Quark, caos e cristianesimo", scritto da un docente di Fisica matematica all'Università di Cambridge, un certo John Polkinghorne, poi diventato un teologo anglicano. "È un libro lucido ed originale, per chi crede e chi non crede, che invita alla riflessione sul modo in cui procedono la scienza e la fede religiosa, ognuna nel proprio campo, in vista di un superamento di barriere e di schemi precostituiti, tipici del nostro tempo" (dalla presentazione del libro). Ciò che ha attirato la mia attenzione in questo libro è che l'autore nella parte finale si fa una domanda semplice ma sempre coinvolgente, una di quelle domande che ognuno di noi si è fatta chissà quante volte. La domanda è: "Come andrà a finire?". Si, "come andrà a finire", perché – egli dice – che il nostro universo, iniziato con il Big Bang, una grande esplosione iniziale, finirà con il Big Crunch, letteralmente una grande frantumazione. Tutta la materia dell'universo precipiterà in un crogiuolo cosmico e tutto finirà. Ma vorrei tranquillizzarvi. Questo non accadrà né oggi né domani, ma fra dieci miliardi di anni. Cosi dicono gli esperti.

La stessa domanda "Come andrà a finire" credo si possa intravedere anche nel testo biblico che abbiamo letto. Sono parole che l'apostolo Paolo rivolge ai credenti di Roma, a quelli del suo tempo e di tutti i tempi, annunciando che la storia della fede e della vita cristiana è segnata da una grande speranza: la vittoria finale di Dio. E questa vittoria porta con sé la manifestazione della gloria di Dio. I credenti – dice Paolo - in quanto figli di Dio sono eredi di Dio e coeredi di Cristo e dunque partecipano al destino di Cristo crocifisso e glorificato. I credenti percorrono lo stesso cammino di sofferenza di Gesù Cristo e a loro è promessa la partecipazione alla gloria di Cristo, alla gloria di Dio (16-17).
Così scriveva l'apostolo Paolo in un'altra sua lettera: "Ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro, ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte, ma allora conoscerò pienamente" (1 Cor. 13,12). E qui in un certo senso riafferma con toni escatologici (la teologia delle cose ultime) che "la sofferenza del tempo presente non è paragonabile alla gloria che dev'essere manifestata a nostro riguardo" (18).
Anche l'evangelista Giovanni si è espresso con termini simili: "Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand'egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com'egli è" (I Giov. 3,2).

Il credente tra sofferenza e fiducia in Dio
Avrete notato la contrapposizione tra "ora" e "allora". La divisione del tempo è chiara: ora la sofferenza, ma un giorno gloria, quella del mondo nuovo di Dio.
Questo è il messaggio di consolazione che Paolo rivolge ai credenti perseguitati a motivo della loro fede in Cristo e che l'evangelo indirizza ai poveri in spirito, agli afflitti, ai mansueti, ai misericordiosi, ai puri di cuore (Mt. 5,1-11), ai sofferenti per motivi di giustizia, a tutti coloro che in obbedienza a Dio hanno scelto di rifiutare ogni compromesso con il male, a chi rischia la propria vita come offerta di sacrificio per la causa della verità.
Nelle parole di Paolo c'è una certezza di fede di chi alza la testa e guarda avanti senza giocherellare con mille ipotesi e con tanti dubbi, perché crede profondamente che Dio è Dio e che i suoi disegni di salvezza e di redenzione di questa umanità non potranno essere bloccati o fermati. Ostacolati si, ma non bloccati. Anche il cammino del credente, pur contrassegnato da contraddizioni e incoerenze, potrà subire rallentamenti, momentanee battute d'arresto, ma non potrà essere fermato, perché attraverso i secoli la fede vince, perché riposta e fondata nel Signore Gesù Cristo, che con la sua risurrezione ha vinto il mondo (Giov. 16,33), le potenze del male, compresa la morte.

La creazione tra sofferenza e attesa di liberazione
Ma in questo testo l'originalità del pensiero dell'apostolo Paolo non si limita soltanto alla sofferenza nella dimensione dell'esistenza umana ma include anche la sofferenza della creazione, del creato animato e non animato.
Quali sono le cause di tale sofferenza? Le cause che rinveniamo nel testo sono due:
  1. la creazione è stata sottoposta alla vanità (v. 20);
  2. la creazione è schiava della corruzione (v. 21).
E la conseguenza è che la creazione geme ed è in travaglio (v.22).

1.     la creazione è stata sottoposta alla vanità (v. 20).
Vale a dire che essa non è eterna. Oggi è, domani non sarà più. Tutto è provvisorio, fugace, passeggero, tansitorio. Vi è in essa un senso di incompiuto, d'imperfetto, di vuoto. Le generazioni si susseguono e passano, le civiltà sorgono e tramontano, si costruisce e si demolisce; le ricchezze vengono accumulate  e alla fine si dissolvono. Il tempo passa e consuma ogni cosa.
L'Ecclesiaste, nell'Antico Testamento, dopo aver considerato i tempi, i piaceri, la vita degli uomini e del creato diceva "Vanità delle vanità, tutto è vanità" (Eccl. 1,2),
      
2.     la creazione è schiava della corruzione (v. 21).
Cioè schiava della corruzione dell'uomo che con le sue scelte nefaste e la sua brama di autonomia e di potere, che la Scrittura chiama peccato, si è sottratto alla relazione con Dio e ha trascinato il creato nel suo stesso destino. Così, l'uomo da quel momento ha dovuto procurarsi il frutto con affanno della terra e a mangiare il pane con sudore del suo volto (Gen. 3,17-19). Ed è per questo che:
3.     la creazione geme ed è in travaglio (v. 22),
espressione che ricorda la donna che soffre le doglie del parto ma che prova una gioia infinita alla nascita della sua creatura. In questa metafora sta tutta la storia umana, storia di sofferenza e di lotta alla ricerca del superamento della sua finitudine e di appagamento del desiderio di felicità che da sempre abita l'umano.
 
La creazione geme ed è in travaglio. Oggi più che mai possiamo dare un nome ai sospiri, ai gemiti e al travaglio della creazione. L'uomo negli ultimi decenni ha perpetrato ogni tipo di violenza sulla natura per trovare sostegno e vita. Ha distrutto vaste aree della terra, ha tagliato boschi e foreste, ha distrutto migliaia di specie di animali e vegetali, ha avvelenato fiumi, laghi, mari ed oceani, ha inquinato terra e aria. Nella sua follia ha strappato i raccolti dalla terra e poi li ha distrutti per mantenere alti i prezzi sul mercato, mentre milioni di persone morivano e muoiono di fame.  Ha usato pesticidi che producono malattie mortali. Ha distrutto popoli e tribù, ha creato materie pericolose. E potremmo continuare a fare un lungo elenco delle devastazioni, degli abusi, delle violenze contro natura.

Fratelli e sorelle, Il cuore dell'uomo non troverà guarigione e riposo finché non avrà ristabilito il suo giusto rapporto con Dio. Uscire dalla vanità, dalle false illusioni, liberarsi dallo spirito di onnipotenza e ricercare Dio, il grande Assente di questa società, questo è l'unico modo per ritrovare se stessi, la propria umanità e riscoprire una vita di senso.
Dio non deve essere il superfluo della nostra vita, né il passatempo che riempie il tempo libero per gente per bene e non ha nella nostra vita una funzione ornamentale e decorativa. No, Dio è Dio, creatore dei cieli e della terra, il Signore che ha autorità su tutto e su tutti, al quale dobbiamo dare lode e gloria già fin da ora.

La salvezza tra il "già" e il "non ancora"
Nel nostro testo, alla vanità e alla schiavitù della corruzione della creazione, Paolo oppone:
a)     la liberazione della creazione dalla schiavitù per entrare nella libertà dei figli di Dio (v. 22); che con altre parole significa che la natura, che segue il destino dell'uomo, aspetta di  godere della libertà donata ai figli di Dio, libertà che è la condizione per servire responsabilmente in questo mondo e per annunciare il nuovo mondo che viene.

b)    la speranza della redenzione (v. 23).

Speranza, redenzione, ci parlano dell'azione di Dio per noi. Egli non se ne sta seduto solitario su un trono altissimo al di sopra del creato, ma è presente nella creazione partecipe dei suoi timori e dei suoi gemiti. La croce innalzata sul Golgota è il segno evidente dell'intervento di Dio nella storia dell'umanità e la risurrezione di Gesù Cristo dalla tomba l'emblema di una vittoria già prefigurata e anticipo di quel Regno di pace e di giustizia oggetto della nostra speranza.
Certo, la fede non garantisce l'immunità dalla sofferenza ma ci permette di affrontare le avversità e le intemperie della vita, la malattia, le disgrazie, il lutto e la morte non più da soli ma con la solidarietà e la consolazione di Gesù Cristo, nostro Signore, Fratello e Amico di viaggio.
Per la sua opera noi credenti abbiamo "già" gustato la salvezza anche se siamo "ancora" in attesa della piena realizzazione delle promesse annunciate.
Questa attesa, Fratelli e Sorelle, non deve essere un alibi per rifugiarci nel futuro e per disinteressarci dell'oggi. L'apostolo Paolo con le sue parole non ha voluto estraniarci dal mondo, ma ci ha dato parole di speranza per il cammino operoso e paziente del tempo presente. La sua "teologia dell'attesa" non è mai astrazione dalla realtà quanto l'affermazione della sua "teologia dell'impegno" in cui noi credenti siamo chiamati ad essere responsabilmente precursori e messaggeri del Regno di Dio che viene.
Alla domanda "Come andrà a finire", noi oggi rispondiamo additando la Croce, la tomba vuota e il Cristo Risorto, che sono il fondamento di tutta la nostra vita, di quella che stiamo vivendo e di quella che ci è stata promessa. Amen.

                                                                                               Aldo Palladino



Predicazione nel Tempio valdese di Torino
C.so Vittorio Emanuele II, 23
Domenica 13 novembre 2016  

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