MISERICORDIA PER TUTTI!
33 Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie! 34 Infatti «chi ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi è stato suo consigliere? 35 O chi gli ha dato qualcosa per primo,
sì da riceverne il contraccambio?» 36 Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen.
Testi di appoggio: Ef. 2,11-18; Rom. 11,25-31
Il primo versetto del testo di oggi afferma che siamo tutti disubbidienti alla volontà di Dio. Ma proprio tutti? Si, tutti e tutte. Disubbidiente è il biblico popolo d’Israele, disubbidienti sono i pagani, disubbidiente sono io e disubbidiente sei anche tu, fratello e sorella. Nessun essere umano ha fatto e farà mai completamente la volontà di Dio. Paolo ce lo ricorda nella sua lettera ai Romani; “ Non c’è nessun giusto, neppure uno” (Rom. 3,10), perché “tutti hanno peccato … e sono privi della gloria di Dio” (Rom 3, 23; 5,21). Ma il nostro testo non si ferma qui ma continua affermando che Dio dal nostro stato di disubbidienza (greco: apéitheia), di ribellione e di peccato ha plasmato il suo strumento di grazia e di perdono per fare misericordia (greco: éleos) a tutti e a tutte. Noi, destinati al giudizio e alla condanna siamo stati amati da Dio, perdonati o, come dice Paolo, siamo stati “giustificati per la sua grazia mediante la redenzione che è in Cristo Gesù (Rom. 3,23-24). Questa è la bella notizia, l’evangelo, che l’apostolo Paolo ci dà e che qui troviamo esposta in forma di un inno, un inno di lode scritto dal profondo dell’anima per trasmetterci la sua testimonianza e la sua gioia incontenibile di avere compreso un segreto nascosto (greco: mysterion) che ora ci rivela, cioè il disegno di Dio di riconciliare con Sé tutti gli esseri umani. Noi, portati per nostra natura ad essere separati da Dio, siamo chiamati a ritrovare la nostra unità in Dio e scoprirne la giustizia che è essenzialmente amore, misericordia e perdono per tutti e tutte, perché “Dio è amore” (I Giov. 4, 8b).
Questa universale misericordia che Paolo ci svela in questo brano, che si presenta come un inno, ci porta a due riflessioni:
1. la prima riflessione è che il piano di Dio per fare misericordia a tutti nasce da lontano, quando Dio chiama Abramo e gli fa tre promesse: 1) la promessa di una terra; 2) la promessa di fare di lui una grande nazione; 3) la promessa che attraverso lui tutte le famiglie della terra saranno benedette (Gen. 12,1-3). Infatti, nel libro della Genesi Dio dice ad Abramo: "In te saranno benedette tutte le famiglie della terra" (Gen 12,3)... "Tu diventerai padre di una moltitudine di nazioni" (Gen. 17,4-5)..."Io ti colmerò di benedizioni e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare" (<gen. 22,17); e il patto con Abramo viene confermato anche ad Isacco (Gen. 26,24) e a Giacobbe (Gen. 28, 13-14; 35,11-12; 48,3-4) con le stesse promesse e benedizioni.
Anche nei libri profetici, nei libri storici e negli scritti sapienziali troviamo parole di misericordia nonostante le molte infedeltà d’Israele e le tante violazioni del patto con l’Eterno.
Ma è nell’epistola ai Romani che l’apostolo Paolo ci spiega, nei capp. 9-10-11, come Dio abbia deciso di donare anche ai popoli pagani la sua misericordia, la sua grazia. Dio distoglie il suo volto dal popolo di Israele che ha indurito il suo cuore e ha rifiutato Gesù come il Messia promesso e volge il suo sguardo misericordioso verso tuti gli altri popoli della terra. L’indurimento di Israele diventa dunque motivo di grazia, grazia per i gentili, i popoli pagani che si convertono all’Evangelo. Il progetto di Dio, dice Paolo, passa dall’elezione di Israele al suo indurimento per salvare i pagani i quali, una volta convertiti all’Evangelo predicheranno la salvezza in Cristo Gesù anche ad Israele.
Per questo motivo, Paolo invita i cristiani a non essere superbi e a non pensarsi superiori a Israele: lui ci ricorda che siamo noi che discendiamo da Israele e non viceversa e i nostri destini e le nostre speranze sono intrecciate indissolubilmente. Noi siamo come un ulivo selvatico impiantato nel tronco di un ulivo domestico e traiamo la linfa vitale da quel tronco: “sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te” (11:18). A noi tutto questo sembra tutto strano, artificioso, incomprensibile, ma dobbiamo sforzarci di capire Paolo che ha compreso la grandezza della visione di Dio, che non ha mai amato muri, barriere, filo spinato, separazioni, contrapposizioni, ma il suo proposito eterno è stato quello di riscattare tutta l'umanità lacerata dal peccato, dalla violenza, dall'inimicizia, dalle guerre, dalle devastazioni per elevarla all'unità della fede e per creare un solo popolo riconciliato con Dio mediante la croce, come abbiamo letto in Efesini 2, 11-18.
I confini di Dio non sono quelli di Israele, ma sono quelli dell'intera umanità. E l'immagine di Dio che Paolo ci rivela è quella di un Dio che va oltre confine, che sposta continuamente il confine fino agli estremi limiti della terra.
Credo che anche noi, come credenti, come comunità di credenti, come chiese, siamo chiamati a uscire dai nostri "confini", uscire dai nostri schemi mentali, liberarci dei tanti paradigmi rigidi e precostituiti e perseguire una comunione allargata in cui "non c'è qui né Giudeo né Greco; non c'è né schiavo né libero; non c'è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù" (Gal. 3,28).
Non capiremo mai il pensiero di Dio se continueremo nella nostra vita a rimanere chiusi in noi stessi e a focalizzarci sulle distinzioni "noi" e "loro", a diventare giudici implacabili di chi ci sta intorno e guardare gli altri dall'alto in basso, a sentirci migliori degli altri, con una verità più vera di quella degli altri.
La storia cristiana è piena di laceranti contrasti, d'invettive, di scomuniche, di antipatie storiche e di vecchie ferite: neri e bianchi, cattolici e protestanti, cattolici e ortodossi, ebrei e cristiani, gli uni contro gli altri pronti a difendere la "propria" verità in nome di Dio e a usarla per giudicare, condannare, soggiogare, se non per eliminare fisicamente l'altro. Gesù nei vangeli rifiuta ogni forma di ostilità basata sul pregiudizio e interpone la forza della parola e del dialogo verso tutti. Questa è la via per affrontare, gestire e risolvere i conflitti presenti in ogni ambito della vita umana e costruire delle relazioni umane in cui, a partire dall'ascolto, sia fondamentale riconoscere, rispettare la dignità dell'altro e rispondere ai suoi bisogni materiali e spirituali.
Certo, il Signore non abolisce le differenze, ma ci chiama a saperle valorizzare, perché nessuno si possa vantare e inorgoglire per la propria condizione, e a saperle accogliere come ricchezza che si aggiunge alla nostra vita.
C'è bisogno oggi di imparare la strategia e la progettualità di Dio per la salvezza di questo mondo. C'è bisogno di nutrirci della misericordia, della grazia, dell'amore di Dio in Gesù Cristo per essere a nostra volta misericordiosi, pieni di grazia e di bontà verso tutti.
Dinanzi al peccato dell'uomo e alla sua disubbidienza, Dio non si è fermato, ma ha tratto dal male il bene.
Questo è il primo motivo della lode di Paolo: Dio fa misericordia a tutti e a tutte.
2. la seconda riflessione è che con il suo inno di lode Paolo intende celebrare la "profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio".
Karl Barth, nel suo commento all'epistola ai Romani, a questo riguardo sostiene che la profondità di Dio, della sua ricchezza, della sua sapienza e della sua conoscenza, è inscrutabile e insondabile. L'Iddio nascosto (Deus absconditus) è rivelato in Cristo Gesù (Deus revelatus), questo è il contenuto dell'epistola ai Romani (1,16-17). Al "si" di Dio, l'uomo nulla può aggiungere. "Quello che si contempla razionalmente nelle opere di Dio è la sua invisibilità (Rom. 1,20) e nella profondità di Dio viene scrutata la sua inscrutabilità (1 Cor. 2,10)".
Allo stesso modo, anche i suoi giudizi sono inscrutabili e le sue vie ininvestigabili, perché è scritto nel libro del profeta Isaia: "I miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie le mie vie" (Is. 55,8).
La vita intima di Dio è sempre un mistero per ciascuno di noi. E razionalmente non comprendiamo molte sue scelte: il perché dell'elezione, della reiezione e perfino del fare misericordia a tutti.
Lo stesso Giona non condivise il fatto che Dio "si pentì del male che aveva minacciato di fare" ai Niniviti, dicendo: "Sapevo che tu sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all'ira e di gran bontà e che ti penti del male minacciato". Ma Dio è Dio e fa quello che vuole per il bene della sua creatura.
Nessuno conosce il suo pensiero e nessuno può dargli consiglio (Gb 41,11). Nessuno può pretendere di essere un consigliere di Dio, cioè di saperne più di lui; e nessuno può pretendere di avere qualcosa da offrire a Dio per averne un contraccambio, cioè di essere più ricco di lui. No, non è possibile. La profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio sono qualcosa di troppo grande per noi. Dio sa, noi no, noi non sappiamo, non sappiamo quasi niente di Dio.
E allora? Dobbiamo disperarci? Dio ci lascia brancolare nel buio? Paolo non sembra affatto disperato, anzi, Paolo conclude questo inno con una breve frase che contiene una specie di confessione di fede e una lode: Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. Dio è il sovrano di tutte le cose, la Causa prima, la Causa effettiva e la Causa finale di tutto.
Paolo ci dice che tutto esiste perché viene da Dio.
Anche noi.
Anche tu, fratello e sorella, esisti perché vieni da Dio, che ti ha dato la vita, grazie a lui che ti ha non solo creato, ma anche redento in Cristo per vivere una vita alla sua gloria, cioè una vita piena di senso e di speranza.
Per tutto questo, Paolo ha motivo di chiudere tutta la sua esposizione con una dossologia finale (doxa, gloria): A Lui sia la gloria in eterno! E noi tutti e tutte possiamo dire insieme: "Amen!"
Aldo Palladino
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