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03 marzo 2013

Genesi 15: 1-12. 17-18


PROVARE A DIRE: " IO CREDO"

Predicazione del Pastore Stefano D'Amore

Il testo biblico
1 Dopo questi fatti, la parola del SIGNORE fu rivolta in visione ad Abramo, dicendo: «Non temere, Abramo, io sono il tuo scudo, e la tua ricompensa sarà grandissima». 2 Abramo disse: «Dio, SIGNORE, che mi darai? Poiché io me ne vado senza figli e l'erede della mia casa è Eliezer di Damasco». 3 E Abramo soggiunse: «Tu non mi hai dato discendenza; ecco, uno schiavo nato in casa mia sarà mio erede».
4 Allora la parola del SIGNORE gli fu rivolta, dicendo: «Questi non sarà tuo erede; ma colui che nascerà da te sarà tuo erede». 5 Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda il cielo e conta le stelle se le puoi contare». E soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». 6 Egli credette al SIGNORE, che gli contò questo come giustizia.
7 Il SIGNORE gli disse ancora: «Io sono il SIGNORE che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti questo paese, perché tu lo possegga». 8 Abramo chiese: «Dio, SIGNORE, da che cosa posso conoscere che ne avrò il possesso?» 9 Il SIGNORE gli rispose: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un montone di tre anni, una tortora e un piccione». 10 Egli prese tutti questi animali, li divise nel mezzo e pose ciascuna metà di fronte all'altra; ma non divise gli uccelli. 11 Or degli uccelli rapaci calarono sulle bestie morte, ma Abramo li scacciò.
12 Al tramonto del sole, un profondo sonno cadde su Abramo; ed ecco uno spavento, una oscurità

profonda cadde su di lui.
17 Or come il sole fu tramontato e venne la notte scura, ecco una fornace fumante e una fiamma di fuoco passare in mezzo agli animali divisi.
18 In quel giorno il SIGNORE fece un patto con Abramo, dicendo: «Io do alla tua discendenza questo paese, dal fiume d'Egitto al gran fiume, il fiume Eufrate;…


Sarà capitato anche a voi, in una notte tersa, magari in una zona poco abitata, di alzare lo sguardo e guardare il cielo stellato. Ci si sente improvvisamente immersi in una realtà più vasta di noi. È di una bellezza indescrivibile, ma può dare anche una sensazione di capogiro: è qualcosa che impressiona, è anche qualcosa in cui ci si può perdere. Proprio le stelle, che i viaggiatori usavano per orientarsi, che erano il "tom-tom" di un tempo, che dovrebbero aiutare a capire come proseguire il cammino, proprio in quelle stelle ci possiamo perdere. Il segno della promessa di Dio può anche disorientare.
E forse dovremmo avere il coraggio di dircelo, a volte: Dio ci disorienta.
A volte abbiamo l'impressione che ci sia stato un tempo in cui tutto andava da sé. Non ci si chiedeva se Dio esistesse o meno. Non ci si chiedeva se ascoltasse o meno le nostre preghiere, se rispondesse o se restasse muto. Oggi non è così e le domande che tutti prima o poi si fanno sono molte: è ragionevole credere in Dio e nella sua Parola? Le sue promesse sono serie, sono realizzabili? Che senso ha pregare? Come posso aspettare per anni, per decenni, un qualcosa che mi liberi magari da una vita in cui il dolore, la sofferenza sono quotidiani e assillanti?

Questo capitolo della Genesi non ci dà risposte e non ci dà delle prove, ma ci racconta la storia di un uomo, che aveva tutte le ragioni per dubitare, ma che ha creduto.
A quest'uomo senza figli e a sua moglie, sterile, Dio indica il cielo stellato per promettere una discendenza incalcolabile. Le promesse di Dio sembrano fuori dalla realtà: come può Abramo fidarsi di una promessa che la realtà smentisce totalmente. La sterilità persiste, la promessa tarda ad avverarsi.
La promessa, che tra l'altro sono due promesse: terra e discendenza. La benedizione le include tutte e due. Le due cose sono inscindibili: la terra senza eredi non serve, gli eredi senza eredità non vivono. Per questo il vero problema che affligge Abramo è il fatto di non avere figli.
La fede di Abramo nasce da una mancanza. Abramo riconosce che da solo non è completo. La fede nasce nell'ammettere che qualcosa ti manca, che non sei completo, che qualcosa non va. E credere significa anche prendere coscienza delle cose che ci mancano. Chi si crede completo è sufficiente solamente a se stesso, chi si crede completo e "arrivato" non ha bisogno di sperare, non ha bisogno di affidarsi a nessuno: si è fatto da solo e può continuare a farlo.
Abramo credette al Signore: oggi può sembrare il comportamento di un credulone, la rassegnazione di chi non ha altro posto dove sbattere la testa e la sua ultima spiaggia è sperare nel miracolo divino. Oggi ci può apparire così perché forse non riusciamo a comprendere il senso profondo che ha avere fiducia in Dio. Perché a noi dipendere dagli altri in fondo ci fa paura, ci preoccupa, ci infastidisce: autonomia, individualismo, lo sappiamo, sono parte di noi! Credere a qualcuno è per noi oggi dipendere da lui, in un rapporto che mi limita, che mi svaluta.
Abramo credette al Signore: il verbo ebraico è il verbo 'mn da cui deriva "Amen", quella parola che usiamo a conclusione, a sigillo, delle nostre preghiera. Che significa: confidare, avere stabilità, rimanere, stare stabili, basarsi su qualcuno o qualcosa, affidarsi, riconoscere come vero, affermare, credere. Ecco, Abramo non disse "ok, dai, proviamoci ancora una volta", ma Abramo disse amen al Signore.
Credere è un atto di fiducia, significa ancorarsi a Dio. Rischiare tutto su una persona per molti versi misteriosa come Dio, ed è per questo che la fe¬de non può perdere del tutto il sapore della paura e del sospetto.
Abramo consente a Dio non di essere un semplice interruttore della luce da accendere o spegnere quando serve, ma consente a Dio di essere il senso di tutta la sua vita.
Abramo dà fiducia a Colui che gli rinnova la promessa. Crede nella possibilità per Dio di trasformare un presente sterile concreto, in un futuro fecondo. E non arriva alla certezza per convincimento o grazie ad una attenta analisi della realtà, ma arriva a credere perché catturato dalla potenza di Dio e della sua promessa.
Abramo "abita" la promessa, fa della promessa di Dio la propria casa, la propria strada e sperimenta quanto può essere fecondo questo modo di stare al mondo, che non è un chiedere e ricevere, ma è un rapporto più impegnativo e continuo.
Ma lo fa con trasparenza, senza ingenuità, esprimendo dubbi e preoccupazioni. E a volte lo scoraggiamento diventa protesta e sfocia addirittura nell'accusa a Dio: "tu non mi hai dato discendenza". Sulla base di questa relazione, limpida, che non è fatta di cose tenute dentro di sé, ma di espressione, anche della rabbia e dell'inquietudine, fatta di ammissione di quello che ti manca (e che ti lacera il cuore perché ti manca!), sulla base di questa relazione possiamo provare a dire anche noi: "io credo".
Abramo ci dice che non c'è coercizione nella fede in Dio. È possibile stare faccia a faccia con Dio, dubitare, contestare, e respingere le rassicurazioni.
Ma questa fase ha anche un tempo ed è anche necessario ascoltare la risposta di Dio per "ancorarsi" ad essa. 
Una cosa mi ha colpito, ed è la cosa che più ci separa, forse, da Abramo è che prima di tutto questo, Abramo è partito. È stato chiamato, ha ascoltato e sentito la chiamata: la promessa che Dio gli ha fatto dà il via e fonda il viaggio di Abramo e Sara.
Prima ancora di chiederci se noi crediamo alle Sue promesse forse la vera domanda è "qual è la promessa che fonda il nostro viaggio?" "quali sono le promesse che Dio ci rivolge oggi?". Prima ancora di crederci, "siamo in grado di ascoltarle e riconoscerle?".
Abitare la promessa di Dio e non la nostra, questa è forse la difficoltà più grande: comprendere quale sia la Sua promessa, riuscire a identificarla, a distinguerla dai nostri desideri, i nostri progetti, le nostre convinzioni. In ogni contesto: dalla nostra vita familiare alle discussioni sulla finanze.
Ho la sensazione che il vero punto sia questo: la comunicazione. Forse viviamo in un tempo in cui più di tutto è la nostra comunicazione con Dio ad essere in crisi. Lo dicevamo all'inizio, non possiamo farne a meno: siamo razionali, siamo individualisti, siamo pretenziosi.
Sembra tanto la scena che tutti voi avrete vissuto (da una parte o dall'altra) del genitore in una stanza e del figlio adolescente chiuso in camera. Comunicazione interrotta. In quei momenti non è radicalmente in discussione il legame, l'amore, ma tutto il rapporto è messo in crisi e si vive malissimo perché manca la comunicazione. E l'orgoglio (nostro di sicuro, ma magari anche di Dio!) blocca i canali. E le parole non escono, e l'incomprensione aumenta.
C'è da inventarsi qualcosa, un modo per riaprire la porta della camera e sedersi a tavola, un modo per ascoltare che forse di là ci stanno chiamando ma noi abbiamo alzato troppo il volume della musica…
Come si supera tutto questo? 
Come si possono cogliere le promesse che Dio ci rinnova? Come si può superare lo sconforto che viene dal fatto che l'attesa della realizzazione della promessa, a volte è troppo lunga? Si perché la sensazione umana è che se qualcosa non si avvera subito non si avvererà mai. E il nostro istinto ci porta a volerla realizzare noi, se non vediamo risultati. E su questo siamo in buona compagnia…Abramo stesso le prova tutte: con il nipote Lot, con il servo Eliezer, con Ismaele. Ma la promessa di Dio era diversa, evidentemente.
Come si supera tutto questo? 
Agostino diceva: "Uno zoppo sulla via va avanti meglio di chi corre fuori strada". Zoppicare sulla via… "Abitare" la promessa di Dio, affidarsi, ancorarsi, a Dio. A quel Dio che mi invita ad un rapporto schietto ma allo stesso tempo fiducioso.  
A quel Dio che da parte sua si impegna in questo rapporto.
Quei versetti così strani che descrivono un rituale un po' sanguinolento hanno in realtà un senso profondo. Rappresentano la stipulazione di un patto, una specie di firma di un contratto: i due contraenti, passando in mezzo agli animali divisi e sanguinolenti, si auguravano la stessa sorte (lo squartamento) nel caso avessero violato il patto.
Ma allora questo è un contratto molto particolare: noterete che è solamente Dio a passare nel mezzo, e questo conferma che in questo patto, chi vuole compromettersi di più è Dio stesso. Abramo riceve una promessa senza che da lui sia preteso nulla in cambio. Noi continuiamo a credere che con il nuovo patto, in Gesù Dio sia venuto per incarnare il suo amore, la sua giustizia, il suo perdono e per donarci tutto questo gratis.
Se vogliamo, Dio sceglie di esporsi maggiormente. Mentre noi continueremo semplicemente a non essere fedeli, a cercare di avverare a modo nostro le promesse, a poterci giustificare per tutto questo perché siamo fatti così, Dio invece si impegna ad essere fedele, con il rischio anche di essere giudicato da noi incapace di esserlo fino in fondo.

La storia di quest'uomo, che aveva tutte le ragioni per dubitare, ma che ha creduto, sia anche la nostra: quando la voce non si sente, quando l'aridità persiste, quando l'attesa è lunga. Che questa storia sia anche la nostra: quando hai paura, e non riesci a capire se dopo di te continuerà ad esistere la tua chiesa; quando qualcosa ti manca, anche se quel qualcosa sono alcune migliaia di euro per chiudere un bilancio.
Che questa storia possa essere anche la nostra, perché possiamo alzare anche noi lo sguardo, per cambiare prospettiva, per non camminare a viso basso, per farsi stupire dalla novità e da quanto è grande la grazia e il mondo fuori da sé. Alzare lo sguardo per non sentirsi autosufficienti, per riconoscere che siamo liberi se siamo catturati dalla potenza di Dio, per cogliere dietro ogni cifra, dato o statistica, qual è la promessa che fonda il nostro viaggio; perché il segno della sua promessa, quel cielo stellato, sia di nuovo una mappa che ci aiuta ri-orientarci.
E perché il nostro "amen", sia il nostro piccolo-grande segno del fatto che, nell'incertezza, vogliamo ancorarci a Colui che ha scelto di stare in mezzo a noi.
Amen.

                                                                                                                  Stefano D'Amore

Domenica 24 febbraio 2013 - Corso Vittorio E. II, 23
Predicazione tratta dal sito www.torinovaldese.org

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