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31 luglio 2011



Matteo 14:13-21
Moltiplicazione dei pani per cinquemila uomini

Predicazione di Aldo Palladino


Tempio Valdese
 C.so Vittorio Emanuele II, 23
Torino

Il testo biblico
13 Udito ciò, Gesù si ritirò di là in barca verso un luogo deserto, in disparte; le folle, saputolo, lo seguirono a piedi dalle città. 14 Gesù, smontato dalla barca, vide una gran folla; ne ebbe compassione e ne guarì gli ammalati.
15 Facendosi sera, i suoi discepoli si avvicinarono a lui e gli dissero: «Il luogo è deserto e l'ora è già passata; lascia dunque andare la folla nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16 Ma Gesù disse loro: «Non hanno bisogno di andarsene; date loro voi da mangiare!» 17 Essi gli risposero: «Non abbiamo qui altro che cinque pani e due pesci». 18 Egli disse: «Portatemeli qua». 19 Dopo aver ordinato alla folla di accomodarsi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi verso il cielo, rese grazie; poi, spezzati i pani, li diede ai discepoli e i discepoli alla folla. 20 Tutti mangiarono e furono sazi; e si portarono via, dei pezzi avanzati, dodici ceste piene. 21 E quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, oltre alle donne e ai bambini.

***

Nei Vangeli ci sono ben sei racconti di moltiplicazione dei pani, due in Matteo, due in Marco, uno in Luca e uno nel vangelo di Giovanni.
Perché la chiesa primitiva ha posto tanta enfasi su tali racconti? Quale messaggio intendeva diffondere?
Lo possiamo capire, credo, se analizziamo il testo nei suoi tre punti essenziali, che sono:
1. la compassione di Gesù;
2. il dialogo tra Gesù e i discepoli;
3. il miracolo della moltiplicazione dei cinque pani e dei due pesci.

1. La compassione di Gesù
Il nostro testo si apre con la cattiva notizia della morte di Giovanni Battista. Gesù viene informato dai suoi discepoli che Giovanni Battista è stato decapitato e che essi hanno recuperato il suo corpo per seppellirlo (14:12). Possiamo dunque immaginare il dolore di Gesù e la tensione accumulata da lui e dai suoi discepoli per questa grande perdita. Ed è per questo che Gesù sente il bisogno di ritirarsi in disparte con i suoi discepoli, in un luogo deserto, per pregare e per recuperare le forze con un po' di riposo (Mc. 6:31). Prendono una barca e quando arrivano all'altra sponda, ad attenderlo c'è un'immensa folla di cinquemila uomini, che con le donne e i bambini, arriva a circa 15-20 mila persone.
Il nostro testo mette in evidenza che Gesù ne ebbe compassione e ne guarì i malati.
L'evangelista Marco, prendendo in prestito le parole del profeta Ezechiele (34:1-16), spiega il motivo della compassione di Gesù per la folla, dicendo sono "come pecore che non hanno pastore" (6:34) - espressione assente in Matteo - che è un forte critica di Gesù ai governanti di Israele, ai capi politici e religiosi che al bene del popolo anteponevano il proprio benessere, i propri privilegi, il proprio potere utilizzando a proprio vantaggio un sistema fondato sulle tradizioni, sulla ritualità, sull'osservanza esteriore e formale delle prescrizioni legali.
È quello che avviene anche oggi: vi sono quelli che amano l'economia, la politica, la filosofia, la storia, la psicologia e qualsiasi altra disciplina più della gente. Tutti affermano e sventolano le soluzioni per fronteggiare e risolvere i problemi e le crisi ricorrenti, ma avere compassione e agire di conseguenza è altra cosa.
Compassione è un termine che deriva dal latino cum patire e significa soffrire con, stare dalla parte di chi soffre e rispondere ai suoi bisogni. Ebbene, Gesù mostra di stare dalla parte di quella gente.
Gesù per amore di quella folla rinunzia al suo riposo, al suo momento di preghiera senza recriminare, (come forse avremmo fatto noi) e giudica che è prioritario l'aiuto a quelle persone.
Appare evidente che è Gesù che ha compassione, non i discepoli, che sembrano infastiditi da quella folla. 
Come per i discepoli, anche per noi oggi una marea di persone che invoca aiuto fa scattare dentro di noi quella linea di confine tra accoglienza e respingimento, come accade a Lampedusa o in altre parti della terra dove si fugge dalla guerra, dalla fame, dalle malattie, e scatena quell'increscioso dibattito su quale posizione tenere verso quella gente.
A Gesù di fronte alla folla non passa neanche per la mente se accogliere o respingere: egli si sente toccato nel cuore delle sue viscere, nel cuore della sua messianicità, e agisce per curare, guarire, aiutare. Il suo obiettivo è la salvezza e il bene dell'uomo.
La vita di Gesù è permeata profondamente da quella saggezza che si fonda sui due pilastri del doppio comandamento: amare Dio e amare il prossimo, amare il Padre che lo ha mandato e il prossimo, cioè "colui che ti sta vicino", accanto, di fronte, che tu puoi guardare negli occhi, provando sentimenti ed emozioni. Gesù ci insegna, dunque, a mettere al centro del nostro cuore e di ogni nostra attività l'essere umano, che deve essere accolto, amato, aiutato, salvato, perché possa trovare le risposte ai bisogni fondamentali della sua vita. 

2. Il dialogo tra Gesù e i discepoli
Dopo una giornata passata a guarire i malati e a insegnare per saziare la fame spirituale della folla, verso sera i discepoli intendono porre un limite all'attività di Gesù. Mi sembra di udire le parole dei discepoli: "Maestro, si è fatto tardi; è ora di smettere di predicare, di guarire e rispondere alle sollecitazioni di tutti. Questa gente ha bisogno di andare nei villaggi vicini a comprarsi qualcosa da mangiare! Riprenderai il tuo sermone domani!"
Un intervento legittimo e umano, direi ragionevole quello dei discepoli, che vogliono mettere un limite tra sermone e pasto, tra fede e le esigenze reali della vita, tra spirito e corpo. Ma non è così per il Signore. Gesù inaugura il tempo nuovo della solidarietà di Dio con gli uomini e ci insegna a riconoscere la nostra vocazione. Egli dice: "Date voi loro da mangiare!".
Ed ecco, dunque, la differenza tra i discepoli e Gesù: i discepoli utilizzano il verbo "comprare"secondo un'economia di mercato in cui ciascuno pensa ai propri bisogni personali. Io posso permettermi di acquistare quello che voglio. E chi non può si arrangi! Perché la logica dell'economia di mercato è fredda e indifferente ai problemi dell'altro.
Gesù, invece, utilizza il verbo "dare": "Date voi loro da mangiare", perché la sua visione della vita si inquadra nella logica o nell'economia del dono, che va incontro ai bisogni dell'altro.
E perché dobbiamo pensare all'altro? Perché siamo "figli" dello stesso Padre. E dico "figli" perché bisogna ricordare "come la parola "figlio" – in latino filius – si collega alla famiglia etimologica della parola felo, che significa appunto, "poppare". Figlio (filius) è dunque per definizione colui che è nutrito" (S. Natoli, La felicità di questa vita; Oscar Saggi Mondadori, pag.10).
Sorelle e fratelli, secondo i dati della FAO, 831 milioni di persone vivono in uno stato cronico di denutrizione. Ogni giorno 24.000 persone muoiono di fame, incluso, ogni minuto, un bambino sotto i cinque anni di età. Per contro, vi sono degli individui che hanno accumulato una ricchezza maggiore di alcuni stati: la somma totale dei beni dei 15 individui più ricchi del mondo è maggiore del PIL di tutti i paesi africani sub-sahariani messi insieme!
Se è vero che "l'uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca di Dio" (Dt. 8:3) è pur vero che il pane è essenziale alla vita dell'uomo.
Compito della chiesa – lo sappiamo – è quello di trasmettere il vangelo di Gesù Cristo, ma la chiesa non deve mai diventare una chiesa introversa, ripiegata sul solo evangelo, sul kérigma, sull'annuncio, perché essa deve saper coniugare annuncio e diaconìa, pane spirituale e pane materiale.
"Date voi loro da mangiare!" interpella le nostre coscienze "in un mondo dove una persona su sei ha problemi di denutrizione, o quasi, e una su tre è sovralimentata (e siamo voi e io !) e morirà per aver mangiato troppo… La fame nel mondo e il problema ambientale dovrebbero, in seguito e a motivo dell'annunzio dell'evangelo, essere la nostra prima preoccupazione e ispirare le nostre funzioni suppletive. È un errore dire che è soltanto una questione politica, per mettersi così il cuore in pace" (Alphonse Maillot in I miracoli di Gesù. Claudiana – Torino, pag. 125).
Il messaggio dunque di questo testo è forte e smuove le nostre coscienze atrofizzate e narcotizzate da una cultura che è figlia delle logiche di mercato fondate su un esasperato individualismo e su uno sfrenato egoismo edonistico: non possiamo, come credenti, permettere che il mondo sia diviso in due, tra chi ha il pane e chi non lo ha. Il pane, l'acqua, le risorse della terra sono per tutti e non solo per alcuni.

3. Il miracolo della moltiplicazione dei pani
L'atto miracoloso della moltiplicazione dei pani e dei pesci è lasciato intuire ma non è descritto. Il testo ne descrive il risultato finale, affermando: "Tutti mangiarono e furono sazi". Non solo, ma "si portarono via, dei pezzi avanzati, dodici ceste" (20). Non una parola di stupore e di meraviglia! Anzi, sembra che la folla non si sia accorta del miracolo. Il pane è distribuito dai discepoli ed essi soltanto sono in grado di valutare l'accaduto.
Noi ne facciamo una valutazione in chiave teologica per affermare l'importanza della condivisione e della comunione, perché è evidente che Gesù, come vero Pastore che cura il suo gregge e come Pane della vita, veda in quella folla una comunità raccolta, bisognosa di essere nutrita, spiritualmente e materialmente.
Tutti i racconti riportano una terminologia tipicamente eucaristica, perché Gesù alza gli occhi al cielo, benedice, rende grazie, spezza i pani, che vengono distribuiti a tutti.
Il pane non può essere tenuto per sé, può soltanto essere condiviso e la chiesa lo riceve come un dono che suscita il ringraziamento, ma anche la denuncia e la lotta affinché il "pane" non manchi in tante parti del mondo.
 "Tutti mangiarono e furono sazi" (v.20). "L'abbondanza del banchetto a cui Gesù invita non dimentica nessuno, include ogni sua creatura, perché senza questa inclusione non può esserci la gioia del Regno annunciato.
I discepoli che volevano mandar via la gente pensando al loro pane sono stoppati da Gesù che li invita a condividere l'ospitalità eucaristica in cui tutti sono suoi ospiti per questa grande festa dell'abbondanza" (E. Gerne) e del dono.
La moltiplicazione dei pani genera un cambiamento di mentalità. I discepoli, nell'atto di distribuzione del pane, comprendono l'importanza di essere dei donatori.
Penso che anche noi siamo cambiati, perché le nostre mani umane, chiuse e contratte, mani paralizzate e rinsecchite, oggi si dischiudono e lasciano cadere ciò che prima stringevano con avidità ed egoismo. Più che a ricevere abbiamo imparato a donare.
Certo, possiamo donare soltanto cinque pani e i due pesci, che rappresentano le poche risorse umane. Ma sappiamo che tutto ciò che mettiamo a disposizione del Signore diventa un potenziale enorme che può affrontare le ostilità del deserto e la durezza del cuore dell'uomo.
Il testo dice che "si portarono via, dei pezzi avanzati, dodici ceste piene" (20). Dodici, simbolo di pienezza e di universalità, che ci indica l'universalità della chiamata del mondo intero alla misericordia e al dono ineffabile di Cristo Gesù. Le ceste di avanzi mostrano la sovrabbondanza del dono di Dio, che noi non siamo autorizzati a sprecare per evitare che altri rimangano nella fame.
La lezione che viene da questo episodio, dunque, è di non vivere più egoisticamente, chiusi e ripiegati su noi stessi come se ognuno di noi fosse il centro intorno al quale ruota la storia del mondo. Gesù mette in atto un movimento di liberazione individuale e attraverso quel pane condiviso ci trasforma in comunità. Il suo progetto è fare della storia umana una storia di salvezza portandola a convergere verso la comunione, la condivisione e la solidarietà. Per affermare il Regno di Dio, questa è l'unica strada da percorrere,.

                                                                                                Aldo Palladino

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