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28 agosto 2010

Atti 16, 11-40

Prime conversioni a Filippi

 

Riflessione biblica di Aldo Palladino

 

         Filippi, città della Macedonia

Fu fondata nel 356 a.C. da Filippo II, re di Macedonia e padre di Alessandro Magno. Da lui deriva il suo nome. Giunti in questa città, Paolo e i suoi collaboratori (Sila, Timoteo e Luca) non perdono tempo: in giorno di sabato, si recano in un luogo dove alcune donne si riunivano per la preghiera (13). Il testo biblico recita: "…e, postici a sedere, parlavamo alle donne che erano là radunate" (13). Da questo si deduce che in Filippi non vi fosse una sinagoga, altrimenti Paolo vi si sarebbe recato, com'era solito fare, e che non vi fossero molti ebrei perché, com'è nella tradizione ebraica, la sinagoga può sorgere solo dove sono presenti per lo meno dieci uomini ebrei.

 

  Lidia, la prima donna europea convertita al cristianesimo

Frutto di quell'evangelizzazione è Lidia, che Luca descrive con poche ma indicative note: donna di Tiatiri (Asia Minore), commerciante di tessuti tinti (la porpora), credente ebrea che celebrava Dio e che stava ad ascoltare le parole di Paolo. Il testo afferma  che "il Signore aprì il suo cuore" (14).

Quando è il Signore, non l'uomo, che fa breccia nel nostro cuore la nostra vita ha una svolta (conversione) e tutto cambia. I nostri pensieri, le nostre parole, il nostro comportamento sono rinnovate dalla nuova vita in Cristo.

A Lidia succede la stessa cosa: è pronta a ricevere il battesimo con tutta la sua famiglia e mette a disposizione la sua casa e i suoi beni (15). La sua fede produce comunione, solidarietà fraterna, condivisione dei beni e ospitalità.

 

         Capi d'accusa contro gli apostoli

I versetti 20-21 ci mostrano i capi d'accusa mossi contro gli apostoli:

a)  "sono Giudei";

b)  "turbano la nostra città";

c)  "predicano usanze, che a noi che siamo Romani non è lecito di accettare o di osservare".

La prima affermazione ci fa comprendere quanto fosse diffuso nell'impero romano l'antisemitismo. "Sono Giudei" non è una constatazione, ma è una forma di denigrazione verso un popolo giudicato diverso da tutti gli altri.

La seconda accusa è di turbativa dell'ordine pubblico.

La terza è la diffusione d'idee strane che sovvertono usi e costumi dei Romani.

Anche se il proselitismo era vietato dalla religione ufficiale, la preoccupazione diffusa tra la popolazione era che la predicazione dell'evangelo ledeva interessi e privilegi di quanti facevano fortuna intorno all'evento religioso e liberava uomini e donne da ogni forma di schiavitù e di assoggettamento alla classe dominante.

                                                                                 

         In prigione, sotto stretta sorveglianza

Così, gli apostoli, che vogliono procurare la vera libertà, sono tolti dalla società, perché considerati sovvertitori dell'ordine costituito, frustati duramente [il v. 33 evidenzia che le piaghe devono essere curate] e messi in catene, mentre coloro che schiavizzano e opprimono sono liberi di agire. Nulla di nuovo sotto il sole: molti anni prima il profeta Isaia denunciava la presenza di chi chiamava il male bene (5,20); tutto il profetismo era una continua esortazione ad abbandonare il male e a ricercare il bene. Oggi, non siamo tutti chiamati a fare altrettanto?

 

         Il carceriere di Filippi

Per evitare che si liberino con i loro poteri straordinari, il carceriere rinchiude Paolo e Sila nel luogo più interno della prigione e si assicura che abbiano i piedi legati. Ha fatto il suo dovere e può stare tranquillo. Ha la certezza che da quella condizione nessuno li può trarre fuori. Nel cuore della notte, Paolo e Sila, pur sofferenti per le percosse subite, hanno la forza di cantare e pregare, ad alta voce, tanto che "i prigionieri li udivano" (25). La loro fede è in azione e li rassicura in quella difficoltà. È la fede che confida nell'aiuto del Signore e che sa attendere. Così il Signore viene e interviene con un terremoto liberatorio. "Le porte (della prigione) si aprirono e le catene di tutti si sciolsero" (26). 

Svegliatosi, quando il carceriere si rende conto che i prigionieri potevano essere fuggiti e che egli era passibile di morte (12,19), non vede altra soluzione che togliersi la vita con la spada (27). Ma Paolo lo ferma e gli ordina ad alta voce: "Non farti alcun male, perché siamo tutti qui».

 

La lotta tra il bene e il male è antica quanto l'uomo. Tutta la storia umana è un'alternanza di eventi in cui al male si risponde col male, alla violenza con violenza. Gesù rompe questa spirale e reca col suo evangelo il messaggio straordinario dell'amore perfino dei nostri nemici. Egli contrappone l'amore all'odio. Proposta che sconvolge e che disarma, che ancora oggi, di fronte ai fallimenti di soluzione dei conflitti umani, è e rimane l'unica risposta alle umane tragedie.

Paolo e Sila non fuggono né colgono l'occasione per vendicarsi con il carceriere, ma sono lì per aiutarlo.

"Che devo fare per essere salvato?» (30), chiede il carceriere di Filippi, sconvolto da tutti questi eventi. E Paolo e Sila non tardano nella risposta, immediata e utile alla vita di quest'uomo: "Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu e la casa tua (la tua famiglia)" (31). Così avvenne.

              

                                                 Aldo Palladino

1 commento:

Anonimo ha detto...

La ringrazio per Blog intiresny