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12 luglio 2010

 

Salmo 38

La supplica del malato


Breve riflessione di Aldo Palladino







Il testo biblico
1 O Signore, non rimproverarmi nella tua ira,
non punirmi nel tuo furore!
2 Poiché le tue frecce mi hanno trafitto
e la tua mano è scesa su di me.
3 Non c'è nulla d'intatto nel mio corpo a causa della tua ira;
non c'è requie per le mie ossa a causa del mio peccato.
4 Poiché le mie iniquità sorpassano il mio capo;
sono come un grave carico, troppo pesante per me.
5 Le mie piaghe sono fetide e purulente
per la mia follia.
6 Sono curvo e abbattuto,
triste vado in giro tutto il giorno.
7 I miei fianchi sono infiammati,
e non v'è nulla d'intatto nel mio corpo.
8 Sono sfinito e depresso;
ruggisco per il fremito del mio cuore.
9 Signore, ti sta davanti ogni mio desiderio,
i miei gemiti non ti sono nascosti.
10 Il mio cuore palpita, la mia forza mi lascia;
anche la luce dei miei occhi m'è venuta meno.
11 Amici e compagni stanno lontani dalla mia piaga,
i miei stessi parenti si fermano a distanza.
12 Tende lacci chi desidera la mia morte,
dice cose cattive chi mi augura del male,
e medita inganni tutto il giorno.
13 Ma io mi comporto come un sordo che non ode,
come un muto che non apre bocca.
14 Sono come un uomo che non ascolta,
nella cui bocca non ci sono parole per replicare.
15 In te spero, o Signore;
tu risponderai, o Signore, Dio mio!
16 Io ho detto: «Non si rallegrino di me;
e quando il mio piede vacilla, non s'innalzino superbi contro di me».
17 Perché io sto per cadere,
il mio dolore è sempre davanti a me.
18 Io confesso il mio peccato,
sono angosciato per la mia colpa.
19 Ma quelli che senza motivo mi sono nemici sono forti,
quelli che m'odiano a torto si sono moltiplicati.
20 Anche quelli che mi rendono male per bene
sono miei avversari,
perché seguo il bene.
21
 O Signore, non abbandonarmi;
Dio mio, non allontanarti da me;
22
 affrèttati in mio aiuto,
o Signore, mia salvezza!

oooOooo

Il lebbroso                                                                                                            
Il malato che prega con le parole di questo salmo molto probabilmente era un lebbroso. La lebbra, si sa, era una malattia che in oriente comportava l’allontanamento dal contesto sociale. I vangeli ci dicono che il lebbroso viveva ai margini dei villaggi e aveva l’obbligo di segnalare la sua presenza a chi stava per avvicinarsi. Dunque, il lebbroso era un uomo che sentiva il peso della solitudine e dell’abbandono, perché espulso dalla società civile. In più, per la distorta mentalità corrente, che considerava la malattia e la sofferenza come la retribuzione e il giudizio di Dio su uno stato di peccato personale (teoria della retribuzione), il malato sentiva l’ostilità e l’inimicizia del mondo circostante e lo sdegno di Dio contro di lui.                                                                                                     Così si giustificano le parole di questo salmo: “Le tue frecce mi hanno trafitto, su di me si è abbattuto la tua mano. Non c’è nulla d’intatto nel mio corpo a causa della tua ira; non c’è requie per le mie ossa a causa del mio peccato…Le mie piaghe son fetide e purulente per la mia ferita (peccatrice)" (2-5).                                                                               
                       
                     


Dall’esterno all’interno                                                                                   
Quando incontra la malattia, l’uomo trasferisce nell’interiorità la sua sofferenza. Negazione o rifiuto della malattia, rabbia, accettazione della stessa malattia, depressione, rassegnazione, supplica, sono le fasi dell’umana reazione di fronte al male che ha aggredito il corpo. Anche il nostro salmista non si sottrae a tali meccanismi. Questa è la ragione per cui alla fine dei suoi lamenti e ragionamenti non gli rimane che confessare il suo peccato e invocare l’aiuto di Dio: “In te spero, o Signore; tu risponderai, o Signore, Dio mio!…O Signore, non abbandonarmi; Dio mio, non allontanarti da me; affrettati in mio aiuto, o Signore, mia salvezza!” (15, 21-22).
Non aspettiamo che sia una malattia a indurci a invocare il soccorso di Dio!
                                                                                                                                 Aldo Palladino

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