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10 febbraio 2010

1 Corinzi 13,1-13 “La via per eccellenza”: l’Agápe


Note esegetiche e omiletiche

a cura di Aldo Palladino

 

 

Il testo biblico

1 Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. 2 Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. 3 Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente. 

4 L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, 5 non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, 6 non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; 7 soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.

8 L'amore non verrà mai meno. Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno; e la conoscenza verrà abolita; 9 poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; 10 ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito. 11 Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. 12 Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto.

13 Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l'amore.

 

Letture bibliche di appoggio

Mc. 9, 31-38; Col. 3, 12-17

 

Introduzione

Quest'inno all'agápe (tradotto con il termine amore o con quello di carità – da cháris, grazia), pare sia stato scritto da Paolo in un altro momento della sua vita e inserito a questo punto dell'epistola ai Corinzi per il suo contenuto appropriato che ben si adattava a completare un lungo ragionamento sull'umanità rinnovata dall'opera di Gesù Cristo.

Il paganesimo idolatra, le varie scuole di pensiero filosofiche, stoiche e gnostiche, lo stesso giudaesimo che riteneva che Israele fosse il vero popolo di Dio e che i profeti, invece, accusavano di averne disonorato il nome (Rm. 2,24 che cita Is. 52,5), sono per Paolo il tradimento della vera e autentica umanità. Tant'è che la sua teologia, che nasce dall'esperienza sulla via di Damasco, dalla nuova visione che egli ha di Gesù, ridefinisce sia la fede in Dio, sia l'idea di storia della salvezza, sia l'idea di uomo, pagano o giudeo, di comunità, di speranza, di carità e fornisce nuove proposizioni per essere cristiani autenticamente umani e/o umani autenticamente cristiani.

Gesù Cristo è il centro, il punto focale, il fondamento del suo pensiero e della sua stessa vita. Ai pagani presenta il culto del vero Dio, rivelato in Gesù Cristo, ai filosofi la vera conoscenza di Dio attraverso la conoscenza di Gesù Cristo ed agli ebrei annunzia che Gesù è il Cristo, il Messia, e che vero ebreo è colui che lo è nel cuore, nello spirito e non nella lettera.

Dunque, a Corinto Paolo svolse un'intensa attività pastorale che lo portò a svolgere una lunga catechesi sul kérygma fondamentale della fede (1 Cor. 11,23-27; 15,1-8). Si impegnò in un'opera di sensibilizzazione etica (1 Cor. 5-6) e di formazione della comunità cristiana in modo che esprimesse ordinatamente i diversi carismi personali nell'unità dello Spirito e per l'edificazione della chiesa (1 Cor. 12-14).

Ma dopo aver predicato, insegnato e fornito indicazioni per una ordinata vita comunitaria, forse anche per una sua "filosofia" della vita, Paolo ci mette davanti quest'inno all'amore, che definisce "la via per eccellenza" (1 Cor. 12, 31).

È una "via", perché è un cammino da percorrere e da praticare, ed è "per eccellenza", perché è il dono dei doni, il dono perfetto senza il quale ogni altro (lingue, guarigioni, miracoli, conoscenza, profezia), pur espressione dello Spirito, è incompleto o assolutamente senza valore.

Evidentemente l'amore di cui parla Paolo non è quello naturale, sempre imperfetto e parziale, ma è l'amore alto, sublime, divino, qual è l'amore di Dio manifestato in Cristo Gesù. Amore gratuito, immeritato, che rinunzia alla vita del Figlio per amor nostro e per la vita del mondo (Gv. 3,16).

 

Note esegetiche

Il brano può essere così diviso:

1)      vv. 1-3: il primato dell'amore;

2)      vv. 4-7: la qualità dell'amore (natura e opere);

3)      vv. 8-13: la durata eterna dell'amore.

 

Il primato dell'amore

1 Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. 2 Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. 3 Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente.

In una comunità rissosa come quella di Corinto, lacerata

a)      da contrasti tra forti e deboli, ricchi e poveri, più spirituali e meno spirituali, da divisioni che sfociavano in gruppi di tifosi di Paolo, Apollo, Cefa, Cristo (1 Cor. 1, 12),

b)      da contese interne per la corsa al primato personale facendo valere il proprio dono come migliore di quello posseduto dagli altri (gerarchia dei doni utilizzata a fini personali);

e inserita in una società dalle forti tensioni sociali, culturali, religiose, l'apostolo Paolo per ben tre volte argomenta sull'essenzialità dell'amore, perché:

1)      senza amore, anche se abbiamo un linguaggio umano o angelico produciamo solo un rumore, fastidioso come quello del rame (più esattamente un bronzo, una lega di rame e stagno di poco valore) risonante (echeggiante, dal greco ēcheō ) o stridente come quello del cembalo;

2)      senza amore, ogni nostro discorso profetico, ancorché forbito e ispirato, ogni nostra sapienza umana e divina o anche la forza miracolosa della fede che può operare grandi cose, ci rende un nulla;   

3)      senza amore, tutte le nostre opere di misericordia, caritatevoli (elemosine), di dedizione o di rinuncia totale fino a dare tutto per i poveri o, addirittura, fino a sacrificare il nostro corpo per un presunto ideale, tutto questo non ha nessun valore.

L'accento è posto, dunque, non sui destinatari ma sugli autori delle parole e delle azioni, ai quali Paolo fa sapere che se dietro l'uso dei doni c'è l'esaltazione di se stessi o il desiderio di primeggiare ogni loro attività è vanificata. In effetti, il criterio per essere importanti o primi è quello del servizio, di mettersi a disposizione degli altri per aiutare e fare il bene, con umiltà e modestia, come anche Gesù ha insegnato (Mt. 20,26-28).

 

La qualità dell'amore (natura e opere)

4 L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, 5 non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, 6 non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; 7 soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.

Abbiamo qui la descrizione dell'amore, della sua natura e delle sue opere in quindici verbi, di cui sette sono espressi in positivo e otto in negativo. L'amore è definito in ciò che è e ciò che non è, in ciò che fa e in ciò che non fa. Sono qui esplicitati sentimenti umani alcuni dei quali riconosciamo solo come segni di contraddizione della vita dei Corinzi - e dunque della nostra vita -, perché la presentazione di quest'amore evidenzia i limiti della comunità di Corinto come pure la nostra incapacità di realizzarlo pienamente. Anzi, in molte di queste espressioni ci riconosciamo nel suo esatto contrario.

Lo scrittore Kafka nei suoi dialoghi con l'amico Gustav Janouch osservava: "Amore è tutto ciò che aumenta, allarga, arricchisce la nostra vita, verso tutte le altezze e tutte le profondità. L'amore non è un problema, come non lo è un veicolo; problematici sono soltanto il conducente, i viaggiatori, la strada".

 

 

L'amore:

è paziente, ma noi non siamo pazienti nei confronti di certe persone (la pazienza - makrotymia -  è la capacità di subire un torto e non ricambiare con la stessa moneta);

è benevolo, ma noi non sappiamo reagire con bontà verso chi ci tratta male;

non invidia, ma quante volte abbiamo desiderato le cose che altri hanno (!);

non si gonfia, ma noi ci supervalutiamo e con superbia vogliamo affermare noi stessi;

non si comporta in modo sconveniente, ma talvolta il nostro comportamento infrange le forme e diventa indecoroso o indecente;

non cerca il proprio interesse, ma noi siamo i maestri dell'egoismo;

non s'inasprisce (o non si adira), ma noi talvolta/spesso perdiamo le staffe;

non addebita il male (o non sospetta il male), ma noi siamo sempre pronti a pensar male degli altri, a tenere il conto del male degli altri, cioè a serbare rancore;

non gode dell'ingiustizia, ma molti italiani di un certo orientamento politico dinanzi ai barconi stracolmi di povera gente che sta sfuggendo alla fame e/o alla guerra incitano a sparare per respingerla e farla tornare indietro. E molti altri, a Rosarno, plaudivano alla cacciata dei lavoratori neri nel disprezzo totale della dignità e dei bisogni di quegli uomini e di quelle donne.   

L'amore:

gioisce con la verità, si compiace della verità, perché l'amore si coniuga con la verità (Salmo 85,10);

soffre ogni cosa, dal significato del verbo greco stegō = coprire, nascondere coprendo, nel senso di nascondere e coprire ciò che è poco piacevole nell'altro;

crede ogni cosa, perché in tutte le circostanze vede i lati positivi;

spera ogni cosa, perché è rivolto al futuro e ci pone in attesa della pienezza del Regno di Dio.  

sopporta ogni cosa, cioè persevera con forza d'animo attraversando e superando ogni difficoltà e opposizione.      

 

La durata eterna dell'amore

8 L'amore non verrà mai meno. Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno; e la conoscenza verrà abolita; 9 poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; 10 ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito. 11 Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. 12 Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto.13 Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l'amore.

L'argomentazione dell'apostolo Paolo per sostenere la durata dell'amore sopra ogni altra virtù è fondata sull'idea che tutti i doni cui tenevano in particolar modo i Corinzi sarebbero cessati. La stessa idea è rappresentata con l'immagine del bambino che per diventare adulto deve lasciare dietro di sé le cose da bambino. Paolo fa anche presente ai Corinzi che anche la realtà presente, che essi vedono come attraverso uno specchio [a quei tempi lo specchio era un pezzo di rame lucido ma pur sempre opaco], dunque imperfetta e indiretta, dovrà essere abbandonata per aprirsi alla nuova realtà dell'incontro con Dio, faccia a faccia, di persona (Mt 5,8; Ap.22,4), quando "lo vedremo come egli è" (1 Gv. 3,2).

Solo allora, finito l'antico ordine del mondo, tutti i doni spirituali, la conoscenza e ogni realtà contingente verranno meno. Sono eterne – dice Paolo - soltanto la fede, la speranza e l'amore. Ma la domanda sulla funzione della fede e della speranza nel nuovo ordine è legittima: "Ci sarà ancora bisogno di credere e sperare? E a che scopo?". Molte sono le risposte, ma è probabile che Paolo non abbia voluto qui dare "una sfumatura escatologica senza riferimento alla precedente contrapposizione tra l'agape che è eterna e i doni dello Spirito che sono caduchi".

C'è da dire, inoltre, che le tre virtù teologali nel Nuovo Testamento sono sempre presentate insieme, come a formare un'unità (Rom. 5,2-5; Gal. 5,5 s.; Col. 1,4 s.; 1 Tess. 1,3; 5,8; Ebr. 6,10-12; 1 Pt. 1,21 s.).

Infine, Paolo chiude il suo inno ponendo l'amore al vertice di tutti i doni e di tutte le virtù, fede e speranza comprese, perché l'amore dà senso a tutto.

     

 

 

Spunti per la predicazione

 

Teologia cristocentrica

Il tema dell'amore affascina sempre. Le storie d'amore nell'arte cinematografica, nella poesia, nella letteratura, nella musica, sono sempre accattivanti e coinvolgenti, perché riproducono la nostra vita piena di sentimenti ed emozioni contrastanti, di desideri espressi o repressi, di ideali annunciati e mai raggiunti, di bisogni veri o presunti. La nostra vita si nutre d'amore in genere per un bisogno naturale di essere amati più che di amare. Eppure l'amore, in tutte queste ricerche, è celebrato più come un problema che come una risorsa. Di troppo amore si soffre e si muore, di poco o di nessun amore ci si ammala o si deperisce. Insomma, non si sa mai qual è il punto in cui si realizza un perfetto equilibrio per un amore sano, giusto, maturo.

"Per l'apostolo Paolo esiste un solo amore (A. Schlatter), di modo che non ha più significato la tradizionale polemica per determinare se nel cap. 13 con amore s'intenda l'amore di Dio verso gli uomini o l'amore per Dio oppure l'amore per il prossimo" (Wendland).

Quando parliamo d'amore sarà meglio non parlare solo di noi, ma soprattutto di Gesù Cristo e della sua croce; dunque non parliamo né di nostre virtù e capacità umane né di un'opera dell'uomo naturale, ma dell'opera dell'amore di Dio per l'umanità manifestata in suo Figlio. L'inno all'amore di Paolo è teologia cristocentrica e non un discorso prettamente antropologico.

Tuttavia la cristologia paolina fonda la sua ecclesiologia; la chiesa a cui egli si rivolge dovrebbe manifestare il superamento delle distinzioni tra essere umani e affermare rapporti d'amore al posto di sospetto e sfiducia reciproca, come segno dell'azione dello Spirito di Dio (Col 1,8).

La via per eccellenza è un nuovo cammino che Paolo prospetta alla comunità di cristiani ebrei e cristiani gentili, uniti per costruire una nuova famiglia in Cristo Gesù senza muri e senza barriere etniche, culturali, religiose e di sesso (Ga. 3,28). Questo è il progetto di Dio, da sempre, per la chiesa e per il mondo.

 

Sequela

Ma come si realizza quest'inno all'amore, come si concreta questa via per eccellenza, questo progetto di Dio? D. Bonhoeffer risponde che amore e sequela sono un tutt'uno.

Karl Barth precisa che "nell'azione dell'amore" l'uomo agisce come partner di Dio e non "come una marionetta". Il partner risponde ad una chiamata ad uscir fuori "rinunciando all'idea sbagliata di appartenere a se stesso". Infatti, Gesù disse: "Chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio e del vangelo, la salverà" (Mc. 10,39). Perché l'uomo, laico o religioso, deve abbandonare l'idea di un individualismo esasperato ed egoista per far posto alla realizzazione di una comunità globale aperta, solidale, con una nuova visione della vita e del mondo come quella che Gesù Cristo ci ha mostrato. Sequela è vivere questa nuova visione; è mettersi in cammino seguendo le orme di Gesù e amare come lui ha amato.

 

Aldo Palladino

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