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19 novembre 2009

Matteo 25,31-46: Il giudizio sulle nazioni





Matteo, 25, 31-46
Il giudizio sulle nazioni
Predicazione di Aldo Palladino
Domenica, 15 novembre 2009
Tempio Valdese
C.so Vittorio Emanuele II, 23 - Torino

Il testo biblico
31 «Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso. 32 E tutte le genti saranno riunite davanti a lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri; 33 e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli della sua destra: "Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v'è stato preparato fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; 36 fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi". 37 Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? 39 Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?" 40 E il re risponderà loro: "In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me". 41 Allora dirà anche a quelli della sua sinistra: "Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli! 42 Perché ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi deste da bere; 43 fui straniero e non m'accoglieste; nudo e non mi vestiste; malato e in prigione, e non mi visitaste". 44 Allora anche questi gli risponderanno, dicendo: "Signore, quando ti abbiamo visto aver fame, o sete, o essere straniero, o nudo, o ammalato, o in prigione, e non ti abbiamo assistito?" 45 Allora risponderà loro: "In verità vi dico che in quanto non l'avete fatto a uno di questi minimi, non l'avete fatto neppure a me". 46 Questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna».


Gesù si identifica con i poveri della terra
     Spero che nessuno di voi avverta un certo disagio dinanzi a questo testo, che inizia evocando la scena escatologica del giudizio finale. Per tranquillizzarvi vi dico subito che questo brano non è una minaccia per nessuno di noi, ma è un serio e forte invito rivolto a tutti, cristiani e non cristiani, a riempire di significati la nostra fede, la nostra vita.
Questo testo si colloca nella tematica concernente l'attesa del tempo della fine, già presente nel discorso profetico di Gesù, al cap. 24 di Matteo, e nelle parabole delle dieci vergini e dei talenti, al cap. 25, dove tutte le nostre domande trovano la risposta con parole di Gesù che sono un richiamo alla vigilanza e al servizio.
     Il pensiero giudaico, al tempo di Gesù, era permeato dall'idea del giudizio finale. L'apocalittica giudaica, consacrata in quella letteratura che nasce nel cosiddetto periodo iintertestamentario, dal 200 a.C. al 100 d.C., era un'interpretazione della storia con immagini, simbologie, metafore - spesso accompagnati dal racconto di eventi sconvolgenti e catastrofici nel cielo e sulla terra - riguardanti il destino dell'uomo e del mondo, l'attesa messianica di un regno di pace e di giustizia.
I vangeli ci parlano di questo Regno che è giunto tra noi e in noi nella persona di Gesù. Anzi, Gesù è colui che annuncia, proclama, incarna il Regno stesso.
Gesù parla spesso ai suoi ascoltatori del suo Regno e della venuta. Egli annuncia più volte la venuta in gloria del Figlio dell'Uomo, che siederà sul trono (Mt. 19,28), alla destra di Dio (Mt. 26,64), nella gloria del Padre suo (Mt.16,27). E qui, nel nostro brano, di nuovo si parla del Figliuol dell'uomo che viene "nella gloria con tutti gli angeli" e prende posto "sul suo trono glorioso" (31), simbolo di regalità e della funzione di giudice supremo.
Questo titolo di Figliuol d'uomo viene attribuito a Gesù 81 volte nei Vangeli e solo altre 4 volte negli altri scritti del N.T. Esso proviene da un'espressione usata dal profeta Daniele (7,13), in cui uno simile a un figlio d"uomo (in ebraico: come un uomo o come figura umana) riceve potere e dominio sui popoli della terra. 
Noi sappiamo che Egli sarà umiliato, nella morte sulla croce, ma quella sarà per lui la via della vittoria sul peccato e sulla morte. La sua risurrezione è la via della sua gloria (Gv 12,23; 13,31). 
Dunque, il nostro testo si apre con una scena di giudizio.

Domande che nascono dal testo  
Ma quali domande solleva il nostro testo? Io penso che voi abbiate molte domande da fare. Ma io penso a quattro domande in particolare:
1.Chi sono le genti convocate a giudizio?
2.Qual è il criterio con cui vengono giudicati i popoli e le nazioni?
3.Quale valore attribuire alle opere di misericordia fatte dall'uomo?
4.Chi sono coloro che ereditano il regno di Dio?

Cominciamo con la prima domanda:
Chi sono le "genti" convocate a giudizio?
Le genti (gr. panta ta ethné) sono tutti i popoli delle nazioni, credenti e non credenti, che hanno ricevuto il mandato di comparizione e che, giunti dinanzi al giudice supremo, ricevono il giudizio. La separazione delle pecore dai capri (cioè gli eletti e i reprobi) deriva dal profeta Ezechiele 34,17, ma è un'immagine parabolica.

La seconda domanda è:
     Qual è il criterio con cui vengono giudicati i popoli e le nazioni?
Per rispondere a questa domanda prima permettetemi di raccontarvi un storia tratta dai racconti dei Padri del deserto.
     In una comunità dei Padri del deserto, correva voce che un padre anziano della comunità vedesse continuamente Gesù. I fratelli più giovani, dunque, un giorno andarono da lui e gli chiesero: "Abbà, vorremmo vedere Gesù, come lo vedi tu!". E l'Abbà rispose che per vedere Gesù avrebbero dovuto attraversare il deserto e giungere su una montagna dove egli avrebbe fatto vedere loro Gesù. L'indomani, all'alba, si misero in cammino diretti a quella montagna. E mentre attraversavano il deserto quei giovani incontrarono  un povero, ferito, assetato e affamato, ma essi non si fermarono, presi dall'idea di giungere presto sulla montagna. Per lo stesso sentiero del deserto passò anche il frate anziano il quale, alla vista di quel povero, si fermò, si prese cura di lui, gli dette da bere e da mangiare, poi lo prese con sé e lo portò sulla montagna. Lì, i giovani che l'attendevano chiesero subito: "Abbà, ci fai vedere Gesù?" E l'Abbà anziano disse: "Ecco Gesù", mostrando loro quel povero che nel deserto essi avevano ignorato e lasciato nella sua sofferenza.
Questo aneddoto ci insegna che per i Padri del deserto c'è una perfetta identificazione di Gesù con i tutti i bisognosi.
Questo dice Gesù nel nostro testo: "In verità vi dico che in quanto l'avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me".
E i minimi fratelli del Signore sono coloro - donne, bambini, uomini - che muoiono per fame, per malattie incurabili per mancanza di medicine, che muoiono per mancanza d'acqua; sono coloro ai quali non sono riconosciuti i diritti fondamentali dell'esistenza e che sono sfruttati senza alcun rispetto per la dignità umana; sono quelli che non contano, che non hanno voce, gli esclusi e i dimenticati dalla società.
     Nella Scrittura è forte l'immedesimazione di Dio con i poveri come metro dei rapporti sociali. Nel libro dei Proverbi è scritto: ""Chi opprime il povero offende il suo Creatore, chi ha pietà del misero lo onora" (Pr. 14,31); "chi deride il povero offende il suo Creatore" (Pr. 17,5). A Saulo da Tarso che va a perseguitare i cristiani di Damasco, Gesù dice: "Perché mi perseguiti?" (At. 9,4), identificandosi personalmente con gli oppressi.
Conclude Giovanni: "Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello" (1 Gv 4,20-21).
Agostino d'Ippona scrive, in un suo commento sull'episodio del giovane ricco che non diede i suoi beni ai poveri: "...nessuno esiti a dare ai poveri; nessuno pensi che a ricevere sia colui di cui vede la mano. In realtà riceve Colui che ha dato ordine di donare".
Dice Clemente Alessandrino: "Se qualcuno ti appare povero o cencioso o brutto o malato..., non ritrarti indietro...; dentro a questo corpo abitano in segreto il Padre e il Figlio suo che per noi è morto e con noi è risorto".
Blaise Pascal (1623-1662), in punto di morte, chiese che gli fosse portato innanzi un povero, per venerare in lui Cristo stesso.
Che questa parola rimanga impresso nei nostri cuori: "In verità vi dico che in quanto l'avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me".

E veniamo alla terza domanda:
Quale valore attribuire alle opere di misericordia fatte dall'uomo?
     Questo testo non è in contrapposizione alla giustificazione per grazia mediante la fede, che Lutero e tutti i riformatori hanno evidenziato come uno degli insegnamenti centrali della rivelazione, perché, come abbiamo letto: "È per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù d'opere affinché nessuno se ne vanti."  (Ef. 2, 8-9). La salvezza non è una merce di scambio: io faccio delle buone opere e in cambio tu mi garantisci la salvezza. La salvezza non si contratta. Dio non è un commerciante di prodotti che ci garantiscono un futuro di felicità e l'eternità. Dio è il nostro Padre celeste che dona tutto quello che ha per la sua creatura, che ci viene incontro, che si avvicina a noi e si dona in Cristo Gesù. 
     Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che l'apostolo Paolo dice che senza amore, senza carità non siamo nulla (1 Cor. 13) e che Giacomo afferma che la fede senza le opere è morta ( Giac. 2, 14-18).
     Fare opere di misericordia non è solo un atto di carità. Significa dare un valore diverso ai minimi fratelli di Gesù. Essi non sono dei poveretti che hanno bisogno del nostro aiuto. Sono nostri fratelli, carne della nostra carne. Essi sono la nostra umanità, la nostra realtà. E quello che facciamo verso di loro non è per calcolo, né per interesse, né per "farsi un tesoro nel cielo" (Mt. 19,21), ma è per vero amore, come espressione del nostro essere uomini e donne. Quelli che vivono in questo modo sono chiamati giusti.
La fede, dunque, è qualificata dalle nostre opere.

La quarta domanda è:
Di chi sta parlando il nostro testo, dei cristiani o dei pagani?
Io sono convinto che il testo parli dei pagani ma che sia un forte avvertimento alla fede dei cristiani.
     Il pastore Aldo Comba ha scritto nel suo libro "Le parabole di Gesù": "Se parla dei Cristiani, il significato è che non basta lodarlo a parole dicendo "Signore, Signore!" ma bisogna anche soccorrere i bisognosi. Ma probabilmente egli parla dei pagani. (…). Il pagano che non ha mai sentito pronunziare il nome di Gesù l'ha tuttavia ogni giorno davanti agli occhi nella persona del povero; e se egli accoglie il bisognoso, accoglie, senza saperlo, il Messia stesso. La mera ignoranza del nome di Gesù non è un impedimento alla salvezza per chi ama il prossimo… tanto è grande il potere dell'amore! La vera discriminante non è dunque tra chi accetta o meno una dottrina, ma tra chi pratica e chi non pratica l'amore del prossimo".
È un richiamo al doppio comandamento dell'amore: "Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo è: "Ama il prossimo tuo come te stesso"  (Mt. 22,37-39).
     Alla fine del nostro testo c'è la condanna dei reprobi, dei malvagi, che vengono giudicati per il loro peccato di omissione. Essi non hanno né veduto né assistito i minimi della terra.
Che il Signore ci aiuti a far risplendere la nostra luce tirandola fuori da sotto il recipiente.
È scritto:"Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei Cieli" (Mt 5:16). Amen.
                                                                                               
Aldo Palladino

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