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24 marzo 2009


Vangelo di Giovanni 20, 20-26
LA CROCE,SEME PER UN GRANDE RACCOLTO


 

di Aldo Palladino

 

Chiesa Valdese di Via Nomaglio, 8 - Torino

Domenica, 22 marzo 2009

 

Il testo biblico

20 Or tra quelli che salivano alla festa per adorare c'erano alcuni Greci. 21 Questi dunque, avvicinatisi a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, gli fecero questa richiesta: «Signore, vorremmo vedere Gesù». 22 Filippo andò a dirlo ad Andrea; e Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù.

23 Gesù rispose loro, dicendo: «L'ora è venuta, che il Figlio dell'uomo dev'essere glorificato. 24 In verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto. 25 Chi ama la sua vita, la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna. 26 Se uno mi serve, mi segua; e là dove sono io, sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l'onorerà.

 

Letture bibliche d'appoggio al testo: Salmo 84; 2 Cor. 1,3-7

 

 

Il contesto

Quest'episodio è raccontato soltanto dall'evangelo di Giovanni per colmare una lacuna narrativa dei Sinottici, ma soprattutto per arricchire gli eventi della Passione.

L'attenzione della folla era cresciuta intorno a Gesù per i suoi miracoli, tant'è che molti Giudei, che avevano visto le cose fatte da Gesù, credettero in lui (Gv. 11,45). Molti erano stati presenti alla risurrezione di Lazzaro e ne rendevano testimonianza (Gv. 12,17). Altri, invece, "andarono dai farisei e raccontarono loro quello che Gesù aveva fatto" (Gv. 11,46).

Farisei e capi sacerdoti avevavo maturato forti preoccupazioni ed anche grande irritazione per l'azione di Gesù e dicevano: "Ecco, il mondo gli corre dietro" (Gv. 12,19). E Caiafa aveva detto nel sinedrio: "Voi non capite nulla, e non riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione". Parola che Giovanni riporta perché la considera profetica (Gv. 11, 50-51).

 

Vedere Gesù

Nel nostro testo, dei Greci [e non "ellenisti", che sono ebrei della diaspora], forse persone convertite o perlomeno simpatizzanti, che si trovavano a Gerusalemme in prossimità della festa della Pasqua,  esprimono il desiderio di "vedere Gesù", che nel linguaggio giovanneo significa che desiderano conoscerlo più in profondità.

Dunque, parlano prima con Filippo, forse perché Filippo era un nome greco o perché probabilmente conosceva il greco, o perché aveva avuto contatti con i Greci della Decapoli. E Filippo parla ad Andrea [il "primo chiamato" dei discepoli, come amano ricordare i teologi ortodossi nel loro dialogo con Roma, fondandosi su Gv. 1, 41-42], e insieme decidono di portare questa richiesta a Gesù. Qui i discepoli fanno da filtro come in altre occasioni (Lc. 18,15-16).

Non sembra che Gesù abbia incontrato i Greci o, se li ha incontrati, non risponde loro direttamente, perché la sua risposta è rivolta ai discepoli. È certo però che la risposta fa riflettere.

Cosa dice Gesù nella sua risposta?

Credo che Gesù dica a tutti quelli che sono animati da curiosità di vederlo che è giunta l'ora in cui lo vedranno nel momento della sua glorificazione (Gv. 12, 23; 13, 1; 17, 1), cioè nel segno più grande della sua vita: la morte per la redenzione dell'intera umanità. L'ora della sua morte è per Gesù l'ora della sua gloria. È il kairòs del venerdì santo e della Pasqua. È come se Gesù dicesse: " Volete vedere e sapere chi sono io? Ebbene, per sapere chi sono io e conoscere me e il mio evangelo dovete attendere la mia croce e la mia risurrezione".

In un'altra occasione, già agli scribi e ai farisei che un giorno gli avevano chiesto: "Maestro, noi vorremmo vederti fare un segno", Gesù rispose: " Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona" (Mt. 12,38-39). Segno della sua morte.

Se vuoi vedere Gesù, se vuoi conoscere tutto di lui devi andare ai piedi della croce e visitare una tomba vuota!

 

Il significato della morte di Gesù

Ai suoi discepoli Gesù indica che sta arrivando il momento finale, la sua "ora". Ma anche in questa occasione non manca di far capire a loro il senso profondo del suo sacrificio. La metafora è eloquente ed esplicativa del perché va alla morte. Egli parla della necessità che un granello di frumento cada nella terra per morire, perché solo se muore quel seme porta frutto. 

Gesù è il granello di frumento. Solo se il frumento muore può nascere una spiga e dunque tanti chicchi nuovi che rappresentano il raccolto del Signore.

Dunque, la metafora che Gesù presenta è il messaggio fondamentale dell'Evangelo: morire per dare vita ad altri; è l'amore oblativo, l'amore che dà se stesso per generare vita. Siamo dinanzi ad un paradosso: morendo si vive, vivendo si muore; chi perde la sua vita perché la mette a disposizione del prossimo, la conserverà in vita eterna; chi dona se stesso ritrova se stesso.

Questo non è un gioco di parole ma è l'essenza dell'evangelo che sovverte ogni nostro principio di convivenza umana.

Noi siamo portati a vivere per noi stessi; Gesù vive per il bene e la salvezza del mondo.

Noi vogliamo innalzare ed esaltare noi stessi; Gesù si abbassa ed esalta la volontà del Padre suo.

Noi pensiamo alla ricchezza ed al nostro benessere; Gesù non persegue l'amore del denaro e si fa povero per arricchire gli altri.

Nella natura ciò che prevale è l'istinto di autoconservazione e la regola che ne è alla base è:  mors tua vita mea. E l'uomo nel corso della storia ha vissuto sovente con questa regola animalesca. Gesù insegna invece la regola mors mea vita tua, per sacrificare se stessi per amore dell'altro, per donare senza pensare ad un interesse personale.

Gesù insegna a sapersi svuotare e rinunziare ad ogni tipo d'idolatria. Svuotarsi per dipendere unicamente da Dio. Farsi ubbidienti al Padre per produrre frutti alla gloria di Dio.   

In fondo, il comandamento di Gesù è: " …che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha amore più grande di quello di dar la sua vita…" (Gv. 15, 12-13).

 

Imparare a "morire"

Gesù ci insegna il significato della sua morte, ma ci dice anche che noi dobbiamo imparare a morire.

La società moderna ha tentato attraverso lo sviluppo economico neoliberale e tecnologico di rendere l'uomo più indipendente e autonomo, tale da non dipendere più da nessuno. Il modello di vita che ci prospetta e che ci costruisce ci costringe a rinchiuderci in noi stessi, nelle nostre case, e ci fa vivere tutti più soli, indifesi, pieni di paure, con la prospettiva che ognuno si risolva i propri problemi, da soli senza ricorrere all'altro. Questo progetto di vita ci rende tutti disumani. 

Gesù dice: "Chi ama la sua vita, la perde". Chi si chiude in se stesso e ama la sua vita solo per se stesso, in un amore egocentrico che serve a curare solo i propri interessi, rovinerà o distruggerà la sua vita. Calvino traduce: "Mettre en perdition", come in tal senso compare in vari loghìa di Gesù (Mt. 10, 39; 16, 25; Mc. 8, 35; Lc. 9, 24; 17, 33). 

Dunque, non si può fare a meno di riscoprire cosa è la vera vita di cui parla Gesù.

È la vita che va vissuta con lo sguardo rivolto al suo modello, alla sua parola e alla sua vittoria definitiva. È la vita vissuta alla sequela di Cristo, tenendo ben saldi i principi di solidarietà, che fa prevalere non il singolo individuo ma la comunità, che realizza una società fraterna e riconciliata, dove ci si mette al servizio non per realizzare se stessi individualmente, ma per procacciare giustizia, pace, verità verso tutti gli uomini.

Nel corso della storia, molti hanno udito e accolto questa parola del Signore ed hanno risposto con l'impegno della propria vita, che quasi sempre si è conclusa col martirio: Antonio Banfo e Willy Jervis davanti al plotone di esecuzione, Jacopo Lombardini nella camera a gas, Dietrich Bonhoeffer alla forca. Sophie e Fritz Scholl davanti al boia di Monaco, l'ortodosso Pavel Florenskij fucilato a Leningrado dopo anni nel Gulag, Martin Luther King davanti al suo assassino, Simone Weil, cristiana senza battesimo morta nel sanatorio di Ashford con l'anima consumata dalla tragedia della storia, della Shoah. L'elenco di uomini e donne che sono stati tribolati, ridotti all'estremo, perseguitati e uccisi, perché hanno voluto essere coerenti con la propria fede e con gli ideali di giustizia e libertà per la salvezza di tutti noi, potrebbe continuare.

Anche noi siamo chiamati, cominciando dalle cose piccole della nostra quotidianità, a vivere la parola del Signore, che alla fine ci onorerà con la sua approvazione: "Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore" (Mt. 25,21).

 

Aldo Palladino

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