Translate

24 ottobre 2021


                                            Matteo 10, 34-39

 

Predicazione di Aldo Palladino

24 Ottobre 2021 - Tempio Valdese di C.so Vittorio Emanuele II, n. 23 

 

Il testo biblico

34 Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. 35 Perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; 36 e i nemici dell'uomo saranno quelli stessi di casa sua. 37 Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me. 38 Chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me. 39 Chi avrà trovato la sua vita la perderà; e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.Il testo biblico di oggi si trova all'interno del cosiddetto "discorso missionario" di Gesù, il secondo dei cinque grandi discorsi incastonati nel vangelo di Matteo in cui Gesù prepara i suoi discepoli alla missione. Li manda in coppia a  predicare l'evangelo e dà loro anche le istruzioni da osservare durante il loro ministero itinerante: l'equipaggiamento da portare, a chi rivolgere la predicazione, predicare che il regno dei cieli è vicino, dove cercare ospitalità e come relazionarsi con le persone che li ospitano o che li rifiutano. Il consiglio che Gesù dà è di "viaggiare leggeri", che tradotto in chiave moderna suggerisce di vivere in modo semplice, liberi dagli eccessi del materialismo. Ma nello stesso discorso Gesù li avverte che la loro vita non sarebbe stata facile: "Ecco - dice -, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi…guardatevi dagli uomini; perché vi metteranno in mano ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia" (Mt. 10, 16-18).                        

Anche nel vangelo di Giovanni li mette in guardia con un analogo avvertimento: "Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me…Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi"(Gv. 15,18.20).

Come sono vere queste parole di Gesù! Infatti ancora oggi, secondo un'indagine di Porte Aperte, sono oltre 340 milioni nel mondo i cristiani che sperimentano un livello alto di persecuzione e discriminazione a causa della propria fede (cioè 1 cristiano su 8), soprattutto in Africa e nei paesi mediorientali.                        

Ed è per questo che Gesù raccomanda loro di essere "prudenti come i serpenti e semplici come le colombe". Prudenti, cioè giudiziosi e assennati, e semplici, letteralmente "non miscelati" (come si diceva del vino e dei metalli), cioè puri, senza falsità, e schietti.  

È in questo contesto che si colloca il nostro testo, che inizia con l'affermazione: "Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada" (v.34). 

Che cosa hanno pensato i discepoli quando hanno udito queste parole? E come reagiamo noi dinanzi a questa affermazione? Ma soprattutto, dinanzi a questo testo che crea un certo imbarazzo come questo, che genera domande, la domanda più pertinente è: "Ma Gesù cosa intende dire con queste parole, cosa vuole dirci questo testo?". 

Certamente i discepoli avranno pensato: "Ma come, Maestro!? Ci hai sempre parlato di pace e ci hai detto: 

-       "Beati quelli che s'adoperano alla pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt.5,9);

-       "Vi lascio pace; vi do la mia pace. Io non vi do come il mondo dà" (Gv.14,27).                                                                                                       E abbiamo sempre creduto fermamente alle parole del profeta Isaia (9,5; 11,1 e ss) che descriveva il Messia come Principe della pace e il suo Regno di giustizia e pace, ma anche all'apostolo Paolo che ha solennemente affermato che Gesù Cristo è la nostra pace (Ef. 2,14), che dobbiamo "cercare le cose che contribuiscono alla pace…" (Rom. 14,19).

Ed ora ci dici che non sei venuto a mettere pace sulla terra, ma spada!"

     E noi, credenti del XXI secolo, non pensiamo forse che tutto sommato i discepoli hanno ragione a pensarla così? Non è forse il cristianesimo la religione della pace, della bontà, dell'amore? Non siamo noi chiamati ad essere degli strumenti e costruttori di pace?

Si tratta quindi solo di comprendere che questa frase di Gesù va interpretata in senso metaforico e non letterale, perché se l'interpretiamo in senso letterale il nostro testo risulterebbe in palese contrasto con l'insegnamento di Gesù che invitava il suo discepolo persino a porgere l'altra guancia a chi lo schiaffeggiava (5,39).        

Sarebbe anche in contrasto con le parole pronunciate da Gesù nel giardino del Getsemani quando a un discepolo che prende la spada e recide l'orecchio del servo del sommo sacerdote dice senza esitazione: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada periranno» (26,51-52)?

 

Qual è, allora, il significato vero dell'evocazione della spada sulle labbra di Gesù?                                                                                                        

Gesù non si riferisce alla spada come strumento di guerra da mettere nelle mani dei discepoli, non è un invito alla guerra o alla crociata. È un simbolo piuttosto di separazione e di divisione, perché la sua presenza nel mondo e la sua parola scatenano ostilità, opposizione, conflitti e perfino persecuzioni da parte dei suoi avversari, verso di lui e verso i suoi discepoli.  È la lealtà alla persona di Gesù Cristo che determina l'ostilità degli avversari. Ogni discepolo cristiano deve sapere che quello è il prezzo della sua fede in Cristo e della sua sequela.  

La spada dunque è una metafora di separazione e divisione (Lc. 12,51; Ebr. 4,12). Questo significato è rafforzato dalle parole di Gesù che dice: "Perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell'uomo saranno quelli stessi di casa sua"(v.35-36).

Dalla chiesa primitiva fino ai nostri giorni la storia è piena di personaggi più noti e meno noti (Francesco d'Assisi, Pietro Valdo, Lutero e tanti altri) le cui vite sono state raggiunte e trasformate dall'evangelo della grazia e dell'amore di Dio in Gesù Cristo, che tuttavia ha generato separazioni, divisioni, lacerazioni e contrasti anche nelle famiglie e in tanti paesi.                    

     Ricordo di un mio amico, che negli anni sessanta, fu ripudiato dalla sua famiglia e cacciato di casa perché si era iscritto alla Facoltà valdese di Teologia per diventare pastore protestante. Fu poi accolto in casa dal Nonno che lo aiutò a realizzare la sua vocazione. Divenne poi pastore luterano.

     Singolare è anche la storia di Galeazzo Caracciolo, marchese di Vico del Gargano che, nel 1551, dopo aver ascoltato le predicazioni di Ochino e di Vermigli, dopo una tormentata crisi spirituale, lascia moglie e sette figli per andare a Ginevra  dove il pensiero della Riforma era insegnato da Giovanni Calvino e Teodoro di Beza. Il fatto fece scalpore perché Galeazzo era pronipote del Papa Paolo IV e sua moglie nipote. A Ginevra contribuì a fondare la chiesa Evangelica Italiana dove vi erano molti esuli italiani.

Gesù certamente non predicava la dissoluzione della famiglia, perché egli vuole l'unione di tutti nella Verità (Gv. 17,17-23), ma la scelta di seguirlo significava relativizzare i legami affettivi naturali per entrare nella nuova dimensione della famiglia spirituale. 

Le parole di Gesù sono molto dure: "Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me" (v.37).  Genitori e figli sono gli affetti più cari, gli affetti per chi ci ha generato e per chi noi abbiamo a nostra volta generato.  Per i genitori e per i figli si fa di tutto. Ma Gesù ci chiede di amarlo ancora di più, ci chiede che i legami affettivi non siano un ostacolo per il dono di sé a Cristo. Gesù non ci chiede di non amare i membri della nostra famiglia, ma ci diede di amarlo più dei membri della nostra famiglia.

Sotto questo punto di vista, anche la chiesa, se vista come una famiglia spirituale non è una famiglia in sostituzione della famiglia naturale, chiusa e ristretta, ma una famiglia di ordine diverso, aperta e accogliente, composta da persone che si riconoscono in un patto di grazia e d'amore per testimoniare il Signore Gesù Cristo.

Dunque, dare a Gesù il primo posto nel proprio cuore, prima degli affetti naturali e sacrificando il proprio io, è la prima condizione richiesta a chi vuole essere suo discepolo.

La seconda condizione è nelle sue parole: ""Chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me" (v.38). Gesù non ci dice di prendere la sua croce, perché essa è unica, non replicabile e non ripetibile, anche se il discepolo deve essere pronto al martirio pur di testimoniare la propria fede. Ma la croce che Gesù ci invita a prendere è quella dell'impegno e della responsabilità di mettere nelle sue mani la nostra vita, sapendo che Egli darà un senso nuovo, più alto e significativo alla nostra esistenza. 

Sono due condizioni che ci spaventano, davvero pesanti, dure da accettare e che ci fanno sentire inadeguati. Ma le parole di Gesù scuotono fortemente le nostre coscienze perché ci fanno sentire molto distanti dalla radicalità della vita di Gesù. Le sue parole, dunque, dobbiamo accoglierle come un'esortazione, uno stimolo a vincere il clima di rassegnazione, pigrizia, disincanto e di stanchezza che talvolta riscontriamo nelle nostre comunità.                                           

Dunque, è vitale tornare a vivere nella comunità dei credenti come nella "nuova famiglia" che Gesù ci ha indicato e consacrare la nostra vita a Lui con rinnovato spirito di servizio e con fedeltà, sapendo che non rispondere alla chiamata di Gesù a seguirlo - perché rimaniamo attaccati alla nostra vecchia vita - significa perdere l'opportunità di scoprire la bellezza, la profondità e il grande valore della vera vita che Gesù ci offre (v.39).

Amen.

 

                                                                       Aldo Palladino

Nessun commento: