Critica al culto in Israele
Note esegetiche e omiletiche a cura di Aldo Palladino
Il testo biblico
21 "Io odio, disprezzo le vostre feste,
non prendo piacere nelle vostre assemblee solenni.
22 Se mi offrite i vostri olocausti e le vostre offerte, io non le gradisco;
e non tengo conto delle bestie grasse che mi offrite in sacrifici di riconoscenza.
23 Allontana da me il rumore dei tuoi canti!
Non voglio più sentire il suono delle tue cetre!
24 Scorra piuttosto il diritto come acqua
e la giustizia come un torrente perenne!"
Inquadramento storico del libro di Amos
È lo stesso libro a fornirci nella
soprascritta (1,1) tre elementi che ci consentono di collocare temporalmente il
ministero profetico di Amos sulla scena religiosa e politica d'Israele:
- il primo ci segnala che Amos è stato
attivo durante il regno di Geroboamo II (787-747 a.C.), re di Israele. La sua
predicazione è tradizionalmente collocata nella seconda metà del regno di
Geroboamo II.
- Il secondo aggiunge che nel regno del
Sud (Giuda) regna Uzzia (presumibilmente 787-736 a.C.);
- il terzo ci informa che Amos ha operato
"due anni prima del terremoto", da cui si deduce che l'attività
profetica di Amos è stata molto breve, al massimo di un anno circa. Il periodo
più probabile sembra essere quello compreso tra il 760 e il750 a.C.
Sotto Geroboamo
II, Israele è una piccola isola di benessere che vive la sua ora di libertà,
l'ultima, in un clima di pace e di prosperità analogo a quello conosciuto sotto
il regno del grande Salomone. L'Egitto è ripiegato su se stesso, altre potenze
sono senza potere e l'unica minaccia, quella dell'Assiria, il grande nemico di
domani di cui si intuisce la violenza espansionistica è impegnata su altri fronti,
soprattutto con gli Aramei di Damasco, ai quali impedisce l'espansione verso
sud, verso Israele e Giuda.
Per un decennio, Israele gode di grande
tranquillità che completa processi di integrazione delle popolazioni nomadi
attraverso il passaggio da un'economia fondata sulla pastorizia ad un'economia
agricola. Infine, attiva un processo di urbanizzazione e favorisce un forte
sviluppo economico: si intensifica il commercio, cresce il benessere degli
ambienti economicamente più agiati e parallelamente si estende la corruzione,
si dissolvono gli antichi rapporti di fratellanza e di eguaglianza, sostituiti
da rapporti sempre più rigidi di dominio e di sfruttamento di una classe
sull'altra.
La persona di Amos
Amos è il primo profeta, il più antico,
ed è anche il primo profeta scrittore. Pur
essendo nato a Tekòa, nel regno di Giuda, Amos ha predicato nel regno del Nord
(1,1; 7,12), fatto rarissimo
vista la concorrenza che c'è sempre stata tra i due regni. Anche se i due
regni condividono la stessa lingua, ci sono gelosie e lotte intorno ad alcuni
luoghi sacri e santuari. All'epoca di Amos il santuario reale di Bethel esiste
da duecento anni e si trova in concorrenza con quello di Gerusalemme (Am 7,
10-13 e 1 Re 12, 26-33). È per questo che Amos è stato accolto male in
Israele. Il suo intervento è visto come un'intrusione straniera, oltre al
fatto che la sua profezia disturba l'ordine sociale. I suoi oracoli sono tutti diretti,
senza eccezioni, contro il regno del Nord (1,1b), pronunciati presumibilmente
soprattutto nella capitale, Samaria (3,9-4,3; 6,1-11), e in Bethel (7,10-17;
cfr. 4,4 s.5,4 s.).
Tekòa, la città natale
di Amos, è situata a una quindicina di Km. a sud-est di Gerusalemme situata
nella zona di terra dove finisce quella coltivata e inizia il deserto di Giuda.
La sua posizione geografica ha consentito ad Amos una doppia attività agricola
che lo ha reso economicamente indipendente anche quando era
profeta. Era allevatore di una mandria di bovini e pastore di ovini, come è
desumibile da 1,1 e 7,14, ma anche coltivatore di sicomòri, che ben
prosperavano per il favorevole clima caldo della pianura del Giordano.
L'appartenenza di Amos al mondo della pastorizia non rappresenta semplicemente una collocazione sociologica, ma in un certo senso una determinazione spirituale. Le grandi figure della storia sacra d'Israele sono pastori: i patriarchi, Mosè, in tempi ancora recenti Davide stesso. Il fatto che Amos sia pastore significa nel contesto d'Israele non una appartenenza a classi sociali disagiate, ma alla tradizione più autentica della fede; non evoca pensieri di ordine economico ma di natura spirituale, non è un povero ma un credente. E come tale conosce i problemi che si stavano ponendo alla fede della sua gente.
L'appartenenza di Amos al mondo della pastorizia non rappresenta semplicemente una collocazione sociologica, ma in un certo senso una determinazione spirituale. Le grandi figure della storia sacra d'Israele sono pastori: i patriarchi, Mosè, in tempi ancora recenti Davide stesso. Il fatto che Amos sia pastore significa nel contesto d'Israele non una appartenenza a classi sociali disagiate, ma alla tradizione più autentica della fede; non evoca pensieri di ordine economico ma di natura spirituale, non è un povero ma un credente. E come tale conosce i problemi che si stavano ponendo alla fede della sua gente.
Non ci è dato di
sapere come sia finita la sua attività profetica, se sia stato espulso dal
Nord, come fa presumere Amos 7,10-17, o se sia stato deportato, o se abbia
subìto il martirio in Bethel (come narrano le Vitae
Prophetarum del I secolo
d.C.).
Il messaggio profetico di Amos
Come già scritto, Amos
opera durante il regno di Geroboamo II, cioè durante un periodo economicamente
e politicamente stabile in cui il benessere socio-economico è per pochissimi, mentre
il popolo è in condizioni disastrose.
L'intervento di Amos è coraggioso e
dirompente. Infatti egli predica:
a) contro il lusso e la ricchezza dei
potenti. Egli non condanna la ricchezza in quanto tale, ma la ricchezza che
porta la classe benestante a inorgoglirsi (6,8), ad allontanarsi da Dio, a
rallegrarsi di avere conquistato potenza con l’uso della forza (6,13);
b) contro l'oppressione: usura, falsi pesi
e misure, pegni, corruzione dei tribunali, costringere il povero a vendersi
(8,4-6);
c) contro il culto: i nobili continuano i
loro culti (Am. 4,4 e Am. 5, 21-24) senza alcun segno di ravvedimento.
Esegesi del testo
21-23: «Io
odio, disprezzo le vostre feste, non prendo piacere nelle vostre assemblee
solenni. 22 Se mi offrite i vostri olocausti e le vostre offerte, io non le
gradisco; e non tengo conto delle bestie grasse che mi offrite in sacrifici di
riconoscenza. 23 Allontana da me il rumore dei tuoi canti! Non voglio più
sentire il suono delle tue cetre!»
La pericope
5,21-27 contiene la più aspra critica di Amos al culto, rifiutato in apertura
del testo con verbi duri e dalla carica emotiva molto forte come “odio",
"disprezzo" delle feste, "non prendo piacere" nelle vostre
assemblee solenni. In seguito, il rifiuto del culto si estende a olocausti,
sacrifici e alla musica per indicare il culto nella sua totalità. Anche
l'aggettivo "vostre" indica la distanza di Dio da quella religiosità
asfittica in forte antitesi a "diritto e giustizia" del v. 24. Quelle
feste, assemblee, offerte e quei riti non Lo raggiungono e non Lo toccano. Il
culto di Israele non giunge più a Dio perché è degenerato in un servizio a se
stessi. Senza "diritto e giustizia" nessun culto è gradito a Dio.
Israele celebra Dio, ma non si accorge che Dio non è presente alla festa. L'assenza
di Dio rende il culto inefficace, inutile e Israele è apparentemente vivo, anzi
non è soltanto votato alla morte, bensì è già morto e quindi oggetto del
lamento funebre che il profeta intona in 5,1 s., 16 s. e 18 s.
24: «Scorra piuttosto il diritto come
acqua e la giustizia come un torrente perenne!».
È ciò che Dio si
aspetta da Israele, non come un grosso sforzo o un’impresa eccezionale bensì
come l’espressione naturale della fede del suo popolo. "Diritto e
giustizia" per Amos e per tutti gli altri profeti non sono fini che
determinano la condotta, bensì prima di tutto doni di Dio che Israele può
valorizzare e promuovere o invece ostacolare, anzi perfino "alterare,
sovvertire, cambiare" (5,7; 6,12). L'esercizio di tali doni è utile per
risolvere conflitti nella comunità, esercitando il diritto, e per fondare un
atteggiamento dei singoli individui che orienti la condotta verso il
miglioramento della comune convivenza, la realizzazione del bene comune e per
tali fini abbia una considerazione particolare per i deboli e i poveri.
Nell'Antico Testamento "giustizia" è un concetto relazionale; non
esiste una gradazione della giustizia, parziale o approssimativa, bensì
soltanto una giustizia attuata o una giustizia assente. In questa ottica
succede che nel concetto di giustizia azione e conseguenza conincidano; la
giustizia denota dunque, in pari maniera, l’azione che promuove la comunione e
anche il bene comune che essa produce. Questo benessere, tuttavia, non è, in
ultima analisi, opera dell’uomo, bensì è il favore di Dio (J.Jeremias). Dunque,
la giustizia è condizione di ogni prosperità in ogni tempo e in ogni luogo. Per
questo essa è paragonata a un "torrente perenne".
Spunti per la predicazione
A) Profezia di Amos e crisi sociale
Il diritto come acqua e la giustizia
come un torrente perenne, inesauribile, possente. Queste parole di Amos
hanno attraversato molti secoli e sono giunte sino a noi come parola di Dio che
rivela, nell'affermazione del diritto e nell'applicazione della giustizia, il
suo comandamento. Martin Luther King nel suo famoso discorso del 28 agosto
1963, "I have a dream", davanti al Lincoln Memorial di Washington,
fece riecheggiare le parole di Amos, diventate impulso della fede profetica e
fondamento della critica profetica dei sistemi sociali che trascurano e violano
questo comandamento di Dio.
Le stesse parole sono riportate "sul
muro esterno di una sinagoga di St. Paul, una città che si affaccia sul fiume
Mississippi, e i passanti non possono fare a meno di afferrare che diritto e
giustizia devono avere la forza dell'acqua del loro fiume" (James
Limburg).
Anche la chiesa deve avere, oggi, il
coraggio di annunciare la Parola di Dio come il ruggito di un leone (Amos 1,2;
3,8) quando i diritti fondamentali di ogni essere umano sono violati, quando la
giustizia e la libertà sono negate, quando la legalità è compromessa a tutti i
livelli, quando i poveri sono indifesi e abbandonati a se stessi. Dio non
sa cosa farsene di un culto autoreferenziale, finalizzato a se stesso o ripiegato
su stesso, o di una predicazione di tipo psicologico che miri al benessere
dell'uditore, che lo "faccia sentire bene" o "che lo
tranquillizzi". Abbiamo bisogno al contrario di chiese “profetiche” che annunciano e promuovono il regno di Dio di
cui parlava Gesù, non per un mondo futuro o per un'altra inesistente entità, ma
per questo mondo; chiese “profetiche” che stimolino
"fame e sete di giustizia" (Mt. 5,6) adottando non solo quel linguaggio
della fede che ha senso se contiene riferimenti riconoscibili alla nostra attuale
esperienza nel mondo, ma anche assumendo
quelle iniziative come quelle che si sono concretizzate nei corridoi umanitari
e in varie altre forme di aiuto e di accoglienza della Diaconia; chiese
“profetiche” che sappiano “ruggire” dinanzi allo scandaloso dramma di 805
milioni di persone che oggi nel mondo soffrono di denutrizione, 3 miliardi di
persone che vivono con meno di 2 euro al giorno, e diverse centinaia di milioni
senza neppure un euro al giorno. Per non parlare della distanza tra paesi
poveri e paesi ricchi che aumenta sempre di più.
Nel libro del
profeta Isaia (il terzo), troviamo uno dei brani più belli della Bibbia ebraica
sull'importanza della giustizia. È quello di Isaia 58,5-7: "È forse
questo il digiuno di cui mi compiaccio, il giorno in cui l'uomo si umilia?
Curvare la testa come un giunco, sdraiarsi sul sacco e sulla cenere, è dunque
questo ciò che chiami digiuno, giorno gradito al Signore? Il digiuno che io gradisco non è
forse questo: che si spezzino le
catene della malvagità, che si sciolgano i legami del giogo, che si lascino
liberi gli oppressi e che si spezzi ogni tipo di giogo? Non è forse
questo: che tu divida il tuo pane con chi ha fame, che tu conduca a casa tua
gli infelici privi di riparo, che quando vedi uno nudo tu lo copra e che tu non
ti nasconda a colui che è carne della tua carne?".Si tratta di un
appello appassionato al cuore della comunità, un richiamo a ritrovare la vera
umanità rimpiazzando gli interessi egoistici, freddi e calcolatori, con atti di
bontà e amore che ricostruiscono la vera solidarietà sociale.
Un altro
testo forte, che deve illuminare il nostro cammino, è quello di Michea 6,8 in
cui alla domanda: "Con che cosa verrò in presenza del Signore?" la
risposta è: "Che altro chiede da te il Signore, se non che tu pratichi la giustizia, che tu ami
la misericordia e cammini umilmente con il tuo Dio". La risposta a
sorpresa è che Dio non vuole nessuna cosa affatto! Dio non vuole oggetti, ma vuole te, la sua
creatura, vuole un popolo, una chiesa, con un cuore e una mente rinnovata
dall'amore che Egli ha manifestato in Cristo Gesù. Amore verso Dio e amore
verso il prossimo, due comandamenti da cui "dipendono tutta la legge e i
profeti" (Mt. 22,34-40).
B) Profezia di Amos e crisi spirituale
Sovente ci spieghiamo le crisi sociali
ricorrendo ad analisi di tipo sociologico o politico o economico. Ma il
dissesto, la disgregazione sociale, che vede i ricchi sempre più ricchi e i
poveri sempre più poveri o che si esprime con forme di violenza e di intolleranza
verso coloro che sono fuggiti dai proprî paesi a motivo della guerra, della
fame o altro, ha una motivazione più profonda: la rottura delle relazioni tra
gli uomini e Dio.
Amos ha rivolto parole di condanna e
di giudizio a Israele e ai popoli vicini perché la loro oppressione, la loro
ingiustizia, è innanzitutto il segno della loro infedeltà e idolatria, che si
accompagnano al rifiuto della parola profetica. E la chiesa, oggi, non può
sottrarsi a denunciare, sempre e dovunque, a gran voce l’ingiustizia nel mondo
e a protestare contro ogni forma di repressione della libertà e dei diritti
umani. Se non lo fa solleva un inquietante interrogativo sulla sua vera
vocazione e sulla finalità della sua missione.
L’apostolo Paolo scrive: “Il frutto della luce consiste in tutto ciò
che è bontà, giustizia e verità esaminando che cosa sia gradito al Signore. Non
partecipate alle opere infruttuose delle tenebre; piuttosto denunciatele” (Ef. 5,9-11).
E Pietro ci esorta: “Abbiamo
inoltre la parola profetica più salda: farete bene a prestarle attenzione, come
a una lampada splendente in luogo oscuro, fino a quando spunti il giorno e la
stella mattutina sorga nei vostri cuori” (2 Pt. 1,19).
Dunque, predicare la Parola di/su Dio
con convinzione e con potenza è l'unica strada possibile per risvegliare le
coscienze e aiutarle a ricercare o ritrovare la via del ravvedimento da errori e
peccati. Nel secolo scorso lo hanno fatto grandi pensatori come Pavel
Florenskij, Dietrich Bonhoeffer, Simone Weil, Albert Schweitzer. Anche in
questo nostro tempo Dio susciterà dei profeti, perché Egli sempre effonde il suo
Spirito per illuminare questo mondo.
Aldo Palladino
Bibliografia
Jorg Jeremias. Amos. Paideia Editrice; 1995.
Giorgio Tourn. Amos, profeta della giustizia. Claudiana; 1972.
Romeo Cavedo. Profeti. San Paolo; 1995.
James Limburg. I dodici profeti. Claudiana; 2005.
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