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15 novembre 2017

LUCA 16, 1-8

PARABOLA DELL'AMMINISTRATORE
DISONESTO MA AVVEDUTO

Breve riflessione di Aldo Palladino




Il testo biblico
1 Gesù diceva ancora ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un fattore, il quale fu accusato davanti a lui di sperperare i suoi beni. 2 Egli lo chiamò e gli disse: "Che cos'è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché tu non puoi più essere mio fattore". 3 Il fattore disse fra sé: "Che farò, ora che il padrone mi toglie l'amministrazione? Di zappare non sono capace; di mendicare mi vergogno. 4 So quello che farò, perché qualcuno mi riceva in casa sua quando dovrò lasciare l'amministrazione". 5 Fece venire uno per uno i debitori del suo padrone, e disse al primo: "Quanto devi al mio padrone?" 6 Quello rispose: "Cento bati d'olio". Egli disse: "Prendi la tua scritta, siedi, e scrivi presto: cinquanta". 7 Poi disse a un altro: "E tu, quanto devi?" Quello rispose: "Cento cori di grano". Egli disse: "Prendi la tua scritta, e scrivi: ottanta". 8 E il padrone lodò il fattore disonesto perché aveva agito con avvedutezza; poiché i figli di questo mondo, nelle relazioni con quelli della loro generazione, sono più avveduti dei figli della luce.

   Non ci sorprende molto la figura di questo amministratore disonesto, perché siamo assuefatti alle continue notizie che i giornali dei nostri giorni ci riferiscono di personaggi corrotti che fanno di tutto per trarre vantaggi economici personali in modo illecito e illegale dalla gestione della cosa pubblica o dall'amministrazione di un patrimonio, di un bilancio aziendale o altro. Più sorpreso di noi è stato certamente, nel testo del racconto, il proprietario dell'azienda agricola quando alcuni gli riferiscono che il suo amministratore, l'uomo di sua fiducia al quale aveva affidato la conduzione dell'azienda, "sperperava i suoi beni" (v. 2). Il proprietario chiama l'amministratore a rendere conto di tutto il suo operato e gli comunica senza mezzi termini il licenziamento. Ma prima di andar via quell'amministratore, sapendo di andare incontro ad uno status sociale di sicura povertà, visto che non sapeva fare altro (v. 3), chiama i debitori del suo padrone  e condona loro parte dei rispettivi debiti. Il suo scopo è quello di farsi amiche delle persone che in futuro lo possano accogliere ed aiutare. In un certo senso, l'attività di questo amministratore è incentrata qui a organizzare e a progettare il suo futuro.
Il paradosso di questa parabola sta nel fatto che "il padrone lodò il fattore disonesto, perché aveva agito con avvedutezza" (v. 8). Come interpretare questo atteggiamento del padrone? Come mai il padrone, che poco prima comunica il licenziamento del suo uomo di fiducia, ora lo loda per la sua avvedutezza, saggezza, furbizia?
È evidente che Gesù non ha approvato la condotta disonesta di quel mascalzone! A nessuno deve passare per la testa che Gesù abbia giustificato il comportamento fraudolento di quell'uomo! Gesù però coglie in quell'uomo un elemento che trasferisce sul piano spirituale alla condotta della comunità dei suoi discepoli e di quanti si pongono alla sua sequela: la capacità di saper agire prontamente sul da farsi quando la propria fede è minacciata, quando il pericolo è lì a ostacolare la tua missione o qualsiasi progetto di espansione del Regno di Dio. Noi credenti siamo chiamati ad essere "prudenti come i serpenti e semplici come le colombe" (Mt. 10,16) e ad essere più saggi e avveduti di quelli del mondo (v. 8). Capacità di decisione, determinazione nella progettualità della nostra missione, chiarezza dei nostri obiettivi da raggiungere, sono elementi che Gesù loda perché rappresentano il livello di coinvolgimento che noi sentiamo e pratichiamo per la diffusione della sua Parola.
"Quanto allo zelo, non siate pigri, siate ferventi nello spirito, servite il Signore" (Rom. 12,11).

                                                                                                                     Aldo Palladino

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