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16 ottobre 2014


Matteo 22, 15-22

Il tributo a Cesare

Riflessione di Aldo Palladino




Il testo biblico
15 Allora i farisei si ritirarono e tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nelle sue parole.
16 E gli mandarono i loro discepoli con gli erodiani a dirgli: «Maestro, noi sappiamo che sei sincero e insegni la via di Dio secondo verità, e non hai riguardi per nessuno, perché non badi all'apparenza delle persone. 17 Dicci dunque: Che te ne pare? È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?» 18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, disse: «Perché mi tentate, ipocriti? 19 Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli porsero un denaro. 20 Ed egli domandò loro: «Di chi è questa effigie e questa iscrizione?» 21 Gli risposero: «Di Cesare». E Gesù disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio». 22 Ed essi, udito ciò, si stupirono e, lasciatolo, se ne andarono.

***
Contesto
Secondo Matteo e Marco, gli oppositori di Gesù segnalati in questo episodio sono  Farisei ed Erodiani. Secondo Luca sono spie inviate dagli Scribi e dai capi dei sacerdoti, tutti gruppi che mal sopportavano l'occupazione romana, ma che la ritenevano un male necessario fin tanto che Roma non interferisse nella loro pratica religiosa. Solo gli Erodiani svolgevano attività non religiosa, ma meramente politica, visto che miravano a stabilire un governo di successori di Erode il Grande.
Tuttavia, pur nella loro diversità, questi gruppi qui sono accomunati dalla medesima intenzione di eliminare Gesù con provocazioni tendenziose per farlo cadere in contraddizione.

Domanda-trabocchetto degli oppositori di Gesù
Ecco, dunque, dopo parole di finta adulazione, l'astuta domanda: "È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?", che potrebbe essere anche così espressa:  "Secondo la Torah è giusto pagare il tributo a Cesare?". Ora tutti sapevano che ogni cittadino doveva pagare il tributo all'imperatore romano. Si trattava del tributum capitis o capitazione, che a differenza dell'imposta fondiaria e di altre tasse, dazi e gabelle, era dovuto da tutti quale atto di assoggettamento di ogni persona del popolo d'Israele al dominatore romano. Quindi la domanda è palesemente capziosa, oltretutto posta con una terminologia che in ebraico ha valore prescrittivo. Inoltre, il tempo e il luogo in cui questi fatti avvenivano, cioè l'approssimarsi della Pasqua – segno di liberazione e libertà per il popolo d'Israele – e nell'atrio del tempio di Gerusalemme, luogo dove in passato sono nate rivolte popolari (come quella di Giuda Galileo), intese a proclamare la sottomissione a Dio e non al potere romano, potevano indurre a configurare come sediziosa quella riunione.
Dunque, la domanda che viene rivolta a Gesù sembra non avere alcuna scappatoia. Se Gesù avesse risposto che bisognava pagare il tributo a Cesare sarebbe stato dichiarato come vile collaborazionista dei Romani e quindi traditore del suo popolo; se avesse risposto che non bisognava pagarlo, sarebbe stato dichiarato ribelle e sobillatore del popolo contro la legge romana.

La risposta di Gesù
Gesù, conoscendo "la loro malizia", con una prontezza di spirito chiede di fargli vedere "una moneta del tribuno", un denaro d'argento. Ciò presuppone che Gesù non abbia mai visto una moneta romana, che reca su una faccia la testa dell'imperatore Tiberio Cesare, con la corona d'alloro sul capo, segno della sua divinità, e sull'altra l'iscrizione "Tiberius Caesar Divi Augusti filius Augustus" (Tiberio Cesare, Figlio del Divino Augusto), dichiarato "Pontefice Massimo", cioè sommo sacerdote di un potere pagano. È ipotizzabile che, come vero e pio ebreo, Gesù non abbia voluto infrangere il secondo comandamento: "Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra" (Esodo 20, 4) ed anche la tradizione rabbinica, che vietava di farsi sculture e immagini di ogni tipo, né di possederle e persino di guardarle sulle monete.
Parola chiave è "immagine", in Esodo come anche in Genesi 1,27, nel racconto della creazione: "Dio creò l'uomo a sua immagine, lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina".
Chi è immagine di Dio non deve farsi false immagini di altre divinità né deve essere sottomesso ad altre immagini di Dio. Dunque, l'uomo appartiene al suo creatore, a Dio, e solo a Lui deve essere sottomesso. A Dio solo va reso il culto e l'adorazione!

"Di chi è quell'immagine e quell'iscrizione?" chiede Gesù. "Di Cesare" rispondono i presenti.
L'immagine dell'imperatore spetta all'imperatore che l'ha fatta coniare, che si è divinizzato con la sua immagine e ha bestemmiato Dio con la scritta su una moneta, ma l'essere umano, che è immagine di Dio, appartiene a Dio. È per questo motivo che Gesù afferma: " Restituite  a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio"[Restituite è l'esatta traduzione; non è corretto tradurre con "Date"].  
In questo modo Gesù costringe coloro che lo interrogano a darsi da soli una risposta se pagare o meno il tributo a Cesare, ma quello che più gli interessa è insegnare che prima di tutto ciò che conta nella vita è la fedeltà, l'ubbidienza e la sottomissione a Dio. Perché Tiberio, come qualsiasi re della terra, regna con l'autorizzazione di Dio e finché Dio lo vuole.
È evidente che il testo in esame non deve essere inteso come pretesto per non pagare le tasse o per opporsi allo Stato. Non dobbiamo fraintendere l'insegnamento di Gesù, perché non vuole escludere la nostra responsabilità civile, ma vuole solo affermare che la nostra obbedienza prioritaria a Dio include e trascende qualunque altro dovere.

                                                                        Aldo Palladino




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