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23 gennaio 2013



Michea 6, 6-8
Quel che il Signore esige da noi

Predicazione di Aldo Palladino




Il testo biblico
"Quale offerta porteremo al Signore, al Dio Altissimo, quando andremo ad adorarlo? Gli offriremo in sacrificio vitelli di un anno? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio? Gli daremo in sacrificio i nostri figli, i nostri primogeniti per ricevere il perdono dei nostri peccati?
In realtà il Signore ha insegnato agli uomini quel che è bene, quel che esige da noi: praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio."

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La riflessione su questo testo biblico del profeta Michea ci è stata suggerita dalle comunità cristiane Dalit dell’India, nazione in cui ancora oggi la popolazione è divisa in classi sociali, in caste.
Per capire come si è affermata questa cultura che ha stratificato la società dell’India e il perché delle sofferenze del popolo Dalit, bisogna sapere che il sistema delle caste deriva dal pensiero induista secondo cui Brahma, l’aspetto creatore di Dio, creò gli uomini dalle varie parti del suo corpo, generando le caste:
  • dalla bocca di Brahma sono originati  i sacerdoti e conoscitori dei testi religiosi e della scienza ("brahmini"). A loro è associato il colore bianco;
  • dalle sue braccia sono nati i guerrieri, i principi e i governanti ("kshatriya"). A loro è associato il colore rosso;
  • dal ventre gli agricoltori, i commercianti, gli artigiani e i pastori ("vaishya"). A loro è associato il colore giallo;
  • dai piedi i servi ("shudra"). A loro è associato il colore nero.
Infine, i Dalit, sono originati dalla polvere che copriva i suoi piedi. A loro non è associato nessun colore.
Per questo i Dalit ancora oggi sono considerati i “fuori casta”, relegati ai margini della società perché considerati “rifiuti umani”, “intoccabili” in senso dispregiativo, contaminati e contaminanti, al di fuori di ogni idea di purità. Inoltre, sono politicamente sotto-rappresentati, economicamente sfruttati, soggiogati culturalmente e fortemente discriminati per la loro fede cristiana, privati dei loro diritti per il solo fatto di non essere induisti o buddisti. Le statistiche ci dicono che quasi l’80% dei cristiani indiani è di origine Dalit.
Perché i nostri fratelli cristiani Dalit ci hanno suggerito di meditare sul testo di Michea?
Perché il profeta Michea denunzia ad alta voce la mancanza di responsabilità dei capi del regno di Giuda verso il popolo, la corruzione che mina ogni rapporto sociale, lo strapotere dei più forti sui più deboli e sui più poveri, l’idolatria presente sotto forma di culti stranieri, e condanna la sicurezza dei leader religiosi e politici che si illudono di non perdere mai la protezione di Dio. (Alcuni di questi temi li stiamo vivendo anche nel nostro paese).
Ma la predicazione del profeta Michea non è solo denunzia e condanna. Egli indica, infatti, quel che Dio si aspetta dal suo popolo.

Che cosa l’uomo religioso vuol dare a Dio
Nel nostro testo è ben indicato che cosa Dio vuole dal suo popolo, da te, da me, da noi, dalla Chiesa, dalla società civile ad ogni livello di responsabilità. Infatti, alla domanda “quale offerta porterò al Dio Altissimo quando andrò ad adorarlo?”, notiamo nel testo due risposte. La prima è del  “pio” giudeo, la seconda è quella del profeta che, mosso dallo Spirito, rivela il pensiero di Dio. 
Il pellegrino giudeo fa tre ipotesi, che sono chiare nel testo:
1)     fare offerte di vitelli o di montoni (sacrifici di animali);
2)     spargere fiumi d’olio (offerta di oggetti);
3)     sacrificare il proprio primogenito (addirittura un sacrificio umano!).
C’è dunque un’idea strana di Dio, perché qui c’è qualcuno che pensa che Dio possa essere avvicinato facendogli dei doni, sacrificando animali o addirittura esseri umani, un figlio o una figlia (pratica quest’ultima assolutamente vietata nell’AT, che la considerava in abominio all’Eterno, mentre era seguita presso i popoli pagani limitrofi ad Israele).
L’uomo religioso da sempre ha pensato di poter addomesticare Dio o di carpirne il favore attraverso una sorta di baratto: io ti do questo e tu mi dai qualcosa in cambio, la tua approvazione, il tuo aiuto. Per non parlare di quello che per sentirsi protetto da Dio, se ne faceva delle statue e delle immagini, degli amuleti da tenere in casa o da portare addosso.
Dobbiamo purtroppo confessare che anche qui da noi è ancora diffusa una certa religiosità pagana.

Quel che Dio esige dall’uomo
Alle tre cose che l’uomo vuole fare per Dio, Dio contrappone tre affermazioni con cui chiede all’uomo tre comportamenti:
  1. di praticare la giustizia;
  2. di ricercare la bontà ovvero di amare la misericordia;
  3. di vivere o di camminare umilmente con Dio.
Sono tre aspetti della conversione dell’uomo, del cambiamento totale del suo modo di pensare, tre modi di essere nel suo rapporto con Dio e, di conseguenza, con il prossimo.
1.   Praticare la giustizia ha una valenza di carattere spirituale e sociale perché riguarda il giusto rapporto con Dio e un sano rapporto col prossimo.
2.   Il secondo aspetto della conversione dell’uomo è di amare la misericordia. Il termine usato da Michea (hesed) indica un amore con un forte elemento di fedeltà, come quello che c’è tra marito e moglie (2:19, benevolenza), tra due persone che si amano o tra due veri amici. Dunque, amare la misericordia significa avere un rapporto con Dio vissuto con amore e fedeltà e di avere un atteggiamento di bontà verso il prossimo.
3.    Il terzo aspetto, quello di camminare umilmente con Dio, esorta l’uomo a orientare la sua vita quotidiana seguendo Dio. È l’appello che troviamo nei vangeli dove Gesù invita delle persone a seguirlo e a imitare la sua vita.
Camminare con Dio o davanti a Dio significa che noi credenti non dobbiamo        rimanere fermi, perché ci è stata indicata una direzione, un senso di marcia, e ci è stato promesso che in questo cammino non siamo soli. Inoltre, ci è chiesto di camminare umilmente, cioè in sottomissione e ubbidienza al Signore e senza forme di potere dell’uno sull’altro. 
In questa Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ci ritroviamo a pregare per tutti i Dalit del mondo, perché non ci siano più divisioni nel mondo e tra noi cristiani, a cantare e meditare la Parola di Dio, e proviamo dunque a ripartire, dopo qualche battuta d’arresto del movimento ecumenico, perché dobbiamo insieme:
-         dichiarare la nostra unità in Cristo, che è l’unico Capo del Corpo, della Chiesa;
-         testimoniare l’amore di Dio per tutta l’umanità.
Dunque, la parola che Dio ci rivolge attraverso il profeta Michea è un richiamo a mettere al centro della nostra vita l’uomo, la persona umana, a cui occorre dare piena dignità e riconoscimento dei diritti fondamentali dell’esistenza: giustizia, libertà, pace. La Chiesa di Cristo non deve dimenticare che la sua missione evangelizzatrice ha due obiettivi:
·        la predicazione e la diffusione della parola di Dio;
·  la liberazione dell’uomo da ogni forma di schiavitù morale, spirituale e sociale promuovendo, nei luoghi dove la dignità della persona umana è minacciata o negata, tutte le iniziative possibili, legislative e sociali, per appoggiare, sostenere e affermare tale dignità.
Compito della Chiesa non è quello di autocelebrarsi in riti e cerimonie di qualsiasi genere, né di andare a braccetto coi potenti o con i poteri forti, ma di camminare con i poveri del mondo, con i diseredati, gli emarginati, i senza-voce, i disprezzati e con tutti coloro che hanno il cuore e la mente rivolti al Regno di Dio che viene.

                                                                                               Aldo Palladino


22 gennaio 2013 - Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani
Predicazione nel Tempio Battista
Via Viterbo, 114 – Torino

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