Michea 6, 6-8
Quel che il Signore esige da noi
Predicazione di Aldo Palladino
Il testo biblico
"Quale offerta porteremo al Signore, al Dio Altissimo, quando andremo ad adorarlo? Gli offriremo in sacrificio vitelli di un anno? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio? Gli daremo in sacrificio i nostri figli, i nostri primogeniti per ricevere il perdono dei nostri peccati?
In realtà il Signore ha insegnato agli uomini quel che è bene, quel che esige da noi: praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio."
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La
riflessione su questo testo biblico del profeta Michea ci è stata suggerita dalle
comunità cristiane Dalit dell’India, nazione in cui ancora oggi la popolazione
è divisa in classi sociali, in caste.
Per
capire come si è affermata questa cultura che ha stratificato la società
dell’India e il perché delle sofferenze del popolo Dalit, bisogna sapere che il
sistema delle caste deriva dal pensiero induista secondo cui Brahma, l’aspetto
creatore di Dio, creò gli uomini dalle varie parti del suo corpo, generando le
caste:
- dalla bocca di Brahma sono originati i sacerdoti e conoscitori dei testi
religiosi e della scienza ("brahmini"). A loro è associato il
colore bianco;
- dalle sue braccia sono nati i guerrieri, i
principi e i governanti ("kshatriya"). A loro è associato
il colore rosso;
- dal ventre gli agricoltori, i commercianti, gli artigiani e
i pastori ("vaishya").
A loro è associato il colore giallo;
- dai piedi i servi ("shudra"). A loro è associato il colore
nero.
Infine, i Dalit, sono originati dalla polvere che copriva i suoi
piedi. A loro non è associato nessun colore.
Per
questo i Dalit ancora oggi sono considerati i “fuori casta”, relegati ai
margini della società perché considerati “rifiuti umani”, “intoccabili” in
senso dispregiativo, contaminati e contaminanti, al di fuori di ogni idea di
purità. Inoltre, sono politicamente sotto-rappresentati, economicamente
sfruttati, soggiogati culturalmente e fortemente discriminati per la loro fede
cristiana, privati dei loro diritti per il solo fatto di non essere induisti o
buddisti. Le statistiche ci dicono che quasi l’80% dei
cristiani indiani è di origine Dalit.
Perché i nostri fratelli cristiani Dalit ci hanno
suggerito di meditare sul testo di Michea?
Perché il profeta Michea denunzia ad alta voce la mancanza
di responsabilità dei capi del regno di Giuda verso il popolo, la corruzione
che mina ogni rapporto sociale, lo strapotere dei più forti sui più deboli e
sui più poveri, l’idolatria presente sotto forma di culti stranieri, e condanna
la sicurezza dei leader religiosi e politici che si illudono di non perdere mai
la protezione di Dio. (Alcuni di questi temi li stiamo vivendo anche nel nostro
paese).
Ma la predicazione del profeta Michea non è solo
denunzia e condanna. Egli indica, infatti, quel che Dio si aspetta dal suo
popolo.
Che
cosa l’uomo religioso vuol dare a Dio
Nel nostro testo è ben indicato che cosa Dio vuole dal
suo popolo, da te, da me, da noi, dalla Chiesa, dalla società civile ad ogni
livello di responsabilità. Infatti, alla domanda “quale offerta porterò al Dio
Altissimo quando andrò ad adorarlo?”, notiamo nel testo due risposte. La prima
è del “pio” giudeo, la seconda è quella
del profeta che, mosso dallo Spirito, rivela il pensiero di Dio.
Il pellegrino giudeo fa tre ipotesi, che sono chiare
nel testo:
1)
fare offerte di
vitelli o di montoni (sacrifici di animali);
2)
spargere fiumi d’olio
(offerta di oggetti);
3)
sacrificare il
proprio primogenito (addirittura un sacrificio umano!).
C’è dunque un’idea strana di Dio, perché qui c’è
qualcuno che pensa che Dio possa essere avvicinato facendogli dei doni,
sacrificando animali o addirittura esseri umani, un figlio o una figlia
(pratica quest’ultima assolutamente vietata nell’AT, che la considerava in
abominio all’Eterno, mentre era seguita presso i popoli pagani limitrofi ad
Israele).
L’uomo
religioso da sempre ha pensato di poter addomesticare Dio o di carpirne il
favore attraverso una sorta di baratto: io ti do questo e tu mi dai qualcosa in
cambio, la tua approvazione, il tuo aiuto. Per non parlare di quello che per
sentirsi protetto da Dio, se ne faceva delle statue e delle immagini, degli
amuleti da tenere in casa o da portare addosso.
Dobbiamo
purtroppo confessare che anche qui da noi è ancora diffusa una certa
religiosità pagana.
Quel
che Dio esige dall’uomo
Alle
tre cose che l’uomo vuole fare per
Dio, Dio contrappone tre affermazioni con cui chiede all’uomo tre comportamenti:
- di praticare la giustizia;
- di ricercare la bontà ovvero
di amare la misericordia;
- di vivere o di camminare
umilmente con Dio.
Sono
tre aspetti della conversione dell’uomo, del cambiamento totale del suo modo di
pensare, tre modi di essere nel suo
rapporto con Dio e, di conseguenza, con il prossimo.
1. Praticare
la giustizia ha una valenza di carattere spirituale e sociale perché riguarda
il giusto rapporto con Dio e un sano rapporto col prossimo.
2. Il
secondo aspetto della conversione dell’uomo è di amare la misericordia. Il
termine usato da Michea (hesed)
indica un amore con un forte elemento di fedeltà, come quello che c’è tra
marito e moglie (2:19, benevolenza), tra due persone che si amano o tra due
veri amici. Dunque, amare la misericordia significa avere un rapporto con Dio
vissuto con amore e fedeltà e di avere un atteggiamento di bontà verso il
prossimo.
3. Il
terzo aspetto, quello di camminare umilmente con Dio, esorta l’uomo a orientare
la sua vita quotidiana seguendo Dio. È l’appello che troviamo nei vangeli dove
Gesù invita delle persone a seguirlo e a imitare la sua vita.
Camminare con Dio o davanti a Dio
significa che noi credenti non dobbiamo rimanere fermi, perché ci è stata
indicata una direzione, un senso di marcia, e ci è stato promesso che in questo
cammino non siamo soli. Inoltre, ci è chiesto di camminare umilmente, cioè in
sottomissione e ubbidienza al Signore e senza forme di potere dell’uno
sull’altro.
In
questa Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ci ritroviamo a pregare
per tutti i Dalit del mondo, perché non ci siano più divisioni nel mondo e tra
noi cristiani, a cantare e meditare la Parola di Dio, e proviamo dunque a
ripartire, dopo qualche battuta d’arresto del movimento ecumenico, perché
dobbiamo insieme:
-
dichiarare
la nostra unità in Cristo, che è l’unico Capo del Corpo, della Chiesa;
-
testimoniare
l’amore di Dio per tutta l’umanità.
Dunque,
la parola che Dio ci rivolge attraverso il profeta Michea è un richiamo a
mettere al centro della nostra vita l’uomo, la persona umana, a cui occorre
dare piena dignità e riconoscimento dei diritti fondamentali dell’esistenza:
giustizia, libertà, pace. La Chiesa di Cristo non deve dimenticare che la sua
missione evangelizzatrice ha due obiettivi:
·
la
predicazione e la diffusione della parola di Dio;
· la
liberazione dell’uomo da ogni forma di schiavitù morale, spirituale e sociale promuovendo,
nei luoghi dove la dignità della persona umana è minacciata o negata, tutte le
iniziative possibili, legislative e sociali, per appoggiare, sostenere e
affermare tale dignità.
Compito
della Chiesa non è quello di autocelebrarsi in riti e cerimonie di qualsiasi
genere, né di andare a braccetto coi potenti o con i poteri forti, ma di camminare
con i poveri del mondo, con i diseredati, gli emarginati, i senza-voce, i
disprezzati e con tutti coloro che hanno il cuore e la mente rivolti al Regno
di Dio che viene.
Aldo Palladino
22 gennaio 2013 - Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani
Predicazione nel Tempio Battista
Via Viterbo, 114 – Torino