Translate

03 aprile 2008


Goffredo VARAGLIA

(1507 – 1558)

 

450° ANNIVERSARIO

29 marzo 1558 – 29 marzo 2008

 

 

 

Nacque nel 1507 a Busca, non lontano da Cuneo. Suo padre, ufficiale del Duca di Savoia, aveva partecipato alla sanguinosa crociata contro i Valdesi del Pragelato nel 1488-89.

Orientato fin da ragazzo alla vita religiosa, il Nostro Goffredo entrò a 14 anni nell'Ordine dei Francescani osservanti nel convento di Busca.

Dopo un lungo tirocinio e vari anni di studio a Torino, nel 1528 fu ordinato sacerdote nella cattedrale della città dal vicario del cardinale Cybo.

Quando Matteo da Bascio e altri tre frati fondarono un nuovo Ordine francescano ancora più rigoroso, che sarà detto dei cappuccini, Goffredo vi aderì con entusiasmo accettandone le condizioni di vita estreme, al limite delle capacità umane.

Intorno al 1536 fu scelto tra i dodici predicatori inviati in ogni regione d'Italia. Divenne amico di Bernardino Ochino che nel 1538 e poi ancora nel 1541 sarà eletto generale dell'Ordine ed ebbe certo con lui molte conversazioni chiarificatrici. Seguendo il consiglio del suo generale, Goffredo iniziò a "leggere assiduamente nell'eccellentissimo libro della croce". Fu allora che il messaggio della salvezza per sola grazia cominciò a far breccia nel suo cuore. Anni dopo dirà:

 

"quand'ero cappuccino e credevo di avere per la mia povertà e per altri voti meriti d'avanzo, non lasciavo cosa da fare per divenire santo e comprarmi il paradiso. Ora tutto questo era finito".

 

Nel 1542, quando Bernardino Ochino dovette fuggire a Ginevra per salvarsi dall'Inquisizione, Goffredo fu inquisito e sospettato di opinioni eretiche. Dovette abiurare e fu detenuto per cinque anni a Roma sotto il controllo dell'Inquisizione. Infine fu perdonato ma venne espulso dall'Ordine e fu ammesso come prete secolare.

Nel 1556 Goffredo fu assunto come cappellano personale dal più potente cardinale di curia, Carlo Carafa, nipote del papa Paolo IV, un tipico principe rinascimentale privo di ogni remora morale.

Varaglia seguì il cardinale alla corte di Parigi per una importante missione diplomatica. Al ritorno, durante una sosta a Lione, "non potendo resistere agli stimoli della mia coscienza", Goffredo abbandonò il cardinale, i suoi ricchi benefici e si rifugiò a Ginevra.

Qui fu bene accolto da Calvino e iniziò un periodo di intenso studio della Bibbia e dei principi della Riforma. Dopo la necessaria preparazione Varaglia fu inviato come pastore di lingua italiana alle Valli valdesi del Piemonte. Giunse in Angrogna il 26 maggio 1557 e iniziò subito a predicare in italiano nel tempio del Ciabàs per gli evangelici di S. Giovanni e di Bibiana. Le sue prediche forti, appassionate e dense di verità cristiana ebbero grande risonanza. Per ascoltarlo molti accorrevano anche dalla pianura e da località lontane.

Nel mese di novembre ricevette un invito: venire a Busca per un contraddittorio con il frate osservante Angelo Malerba. Pur rendendosi conto del pericolo, Goffredo accettò volentieri lieto di rivedere la sua cittadina natìa. Ma al ritorno fu arrestato a Barge e poi trasferito a Torino, rinchiuso nelle tetre carceri del Castello. Qui iniziò un lungo processo condotto dai rappresentanti del Parlamento e dall'Inquisitore. Gli Atti ci sono stati conservati.

L'imputato si difese energicamente dando dimostrazione della sua profonda cultura. Si fece ogni sforzo per convincerlo ad abiurare, ma Varaglia rimase fermo sulle proprie posizioni. Venne quindi condotto nella cattedrale per la cerimonia della degradazione.

 

 

 

 

 

 

La mattina del 25 marzo 1558 Goffredo fu condotto al patibolo eretto in Piazza Castello. Qui gli fu concesso di parlare alle oltre 10.000 persone presenti spiegando le ragioni per cui era condannato.

Terminò recitando il Padre Nostro e il Credo.

Infine fu strangolato e il suo corpo bruciato sul rogo. Secondo Jean Crespin una colomba bianca volteggiò sopra il fuoco come segno e testimonianza dell'innocenza del condannato.

Le parole di Goffredo e il suo coraggio fecero un'enorme impressione sui presenti.

 

L'11 novembre del 2000 il Comune di Torino pose  in Piazza Castello di fronte a via Garibaldi, una lapide a ricordo di Goffredo Varaglia, pastore valdese.

Nel 450° anniversario di questo rogo della fede ci auguriamo che la memoria dell'intolleranza e della crudeltà ci aiuti a costruire una società in cui le differenze, anche religiose siano apprezzate e non demonizzate. Il dialogo e il rispetto dei diritti umani sia la cifra di un presente che non dimentica un passato doloroso e violento. Non si può costruire un futuro nuovo senza fare i conti con la storia di ieri.

 

 

Per saperne di più:

 

Carlo Papini, Il processo di G. Varaglia (1557-58) e la Riforma in Piemonte, Claudiana, Torino, 2003

Renato Giuliani, Una vita e un martirio da non dimenticare, Edizioni Passeggio, Mantova, 2007.

 

 

Nessun commento: