Romani 14,1-13
Accoglienza e tolleranza nella diversità
Meditazione di Aldo Palladino
Il testo biblico
1 Accogliete colui che è debole nella fede, ma non per sentenziare sui suoi scrupoli.
2 Uno crede di poter mangiare di tutto, mentre l'altro, che è debole, mangia verdure. 3 Colui che mangia di tutto non disprezzi colui che non mangia di tutto; e colui che non mangia di tutto non giudichi colui che mangia di tutto, perché Dio lo ha accolto. 4 Chi sei tu che giudichi il domestico altrui? Se sta in piedi o se cade è cosa che riguarda il suo padrone; ma egli sarà tenuto in piedi, perché il Signore è potente da farlo stare in piedi. 5 Uno stima un giorno più di un altro; l'altro stima tutti i giorni uguali; sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente. 6 Chi ha riguardo al giorno, lo fa per il Signore; e chi mangia di tutto, lo fa per il Signore, poiché ringrazia Dio; e chi non mangia di tutto fa così per il Signore, e ringrazia Dio. 7 Nessuno di noi infatti vive per se stesso, e nessuno muore per se stesso; 8 perché, se viviamo, viviamo per il Signore; e se moriamo, moriamo per il Signore. Sia dunque che viviamo o che moriamo, siamo del Signore. 9 Poiché a questo fine Cristo è morto ed è tornato in vita: per essere il Signore sia dei morti sia dei viventi. 10 Ma tu, perché giudichi tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi tuo fratello? Poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio; 11 infatti sta scritto: «Come è vero che vivo», dice il Signore, «ogni ginocchio si piegherà davanti a me, e ogni lingua darà gloria a Dio». 12 Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio. 13 Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; decidetevi piuttosto a non porre inciampo sulla via del fratello, né a essere per lui un'occasione di caduta.
Introduzione e contesto
Leggendo le lettere dell'apostolo Paolo, comprendiamo come Paolo avesse colto nell'Evangelo di Gesù Cristo che predicava la più alta forma di liberazione da tabù e inibizioni varie. La sua emancipazione era così alta che quando si trovava con i Giudei viveva in modo giudaico e quando si trovava con i Gentili si adattava al loro modo di vivere. Egli sapeva benissimo che molti cristiani non erano emancipati come lui, tuttavia verso di loro non ha mai usato parole di giudizio o di condanna perché il credente più maturo nella fede deve saper accogliere colui che è ancora debole nella fede o non ancora emancipato su alcuni aspetti della vita. In questo capitolo 14 della Lettera ai Romani, Paolo si rivolge ai membri della chiesa di Roma, multietnica e multiculturale, esortandoli a non giudicarsi reciprocamente e a vivere in pace e armonia, nonostante le loro differenze, e ad evitare conflitti dovuti a divergenze sulle pratiche religiose.
Il problema
In una comunità, come quella di Roma del I secolo, dove coesistevano Ebrei e Gentili, era all'ordine del giorno confrontarsi e scontrarsi sulle diverse pratiche religiose o sulle tradizioni seguite dai due gruppi di credenti. Nel nostro testo, Paolo cita due aspetti della vita quotidiana da cui nascevano incomprensioni e conflitti: il cibo e i giorni di festa da osservare. Gli Ebrei convertiti tendevano a osservare ancora la legge mosaica, incluse le norme alimentari e il rispetto dei giorni di festa ebraici. Dall'altra parte, i cristiani Gentili non sentivano la stessa responsabilità di rispettare queste tradizioni e vivevano una fede più libera da tali costumi. Questa diversità aveva il potenziale di creare divisioni. La tentazione era quella di giudicare e di escludere chi praticava la fede in modo diverso. I credenti "deboli", come li definisce Paolo, erano coloro che continuavano a osservare le tradizioni ebraiche, mentre i "forti" erano coloro che si sentivano liberi da tali osservanze, avendo compreso la libertà che Cristo aveva portato. Paolo, però, non prende parte in questo dibattito; piuttosto, egli esorta entrambe le parti a non giudicarsi e a non disprezzarsi.
L'insegnamento dell'apostolo Paolo
Paolo invita i cristiani a "ricevere" chi è "debole nella fede" (v. 1) e a non fare delle differenze un motivo di discussione. Per lui, la diversità non è una debolezza da correggere, ma un'opportunità per rafforzare l'amore e l'accoglienza reciproca. Infatti, l'accoglienza è un tema chiave in questo brano. Paolo non incoraggia solo la tolleranza passiva, ma una vera e propria apertura verso l'altro. Per esempio, se uno è convinto di poter mangiare tutto e l'altro si sente di mangiare solo vegetali, entrambi sono accolti da Dio e nessuno dei due ha il diritto di giudicare l'altro. Paolo ricorda alla chiesa romana che "ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio" (v. 12) e che non siamo chiamati a giudicare i nostri fratelli o le nostre sorelle.
L'insegnamento di Paolo applicato a noi oggi. Se trasponiamo il messaggio di Paolo al contesto contemporaneo, vediamo che i problemi che possono dividere la chiesa sono diversi: interpretazioni teologiche, preferenze di culto, di liturgia e tipo di musica, le opinioni politiche o sociali. Anche oggi, i cristiani possono facilmente cadere nella tentazione di giudicare chi pratica la fede in modo diverso o ha una visione diversa su questioni che riguardano la morale o la vita comunitaria.
1. La necessità di un cuore accogliente.Come cristiani, siamo chiamati ad avere un cuore accogliente verso tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle, a prescindere dalle loro differenze. Questo tipo di accoglienza, però, richiede un cuore trasformato, capace di vedere nell'altro non una minaccia, ma un dono. La chiesa di oggi può imparare molto da questa prospettiva: accogliere coloro che hanno percorsi diversi e rispettare la libertà di ogni credente, sapendo che l'amore di Dio trascende ogni differenza.
2. L'importanza dell'umiltà. Paolo ci ricorda che ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio. È Dio, e non noi, il giudice ultimo. Questo richiamo all'umiltà è fondamentale, poiché ci libera dalla presunzione di essere "superiori" o "più spirituali" di altri. La vera umiltà si manifesta nella capacità di lasciare che sia Dio a lavorare nei cuori, senza interferire con giudizi o pregiudizi.
3. La libertà nella fede e il rispetto delle coscienze. Un altro principio importante è la libertà nella fede, accompagnata dal rispetto della coscienza altrui. Paolo insegna che ciascuno deve essere convinto "nella propria mente" (v. 5). Questo significa che ogni credente ha la responsabilità di discernere e vivere la propria fede con sincerità, senza sentirsi forzato a uniformarsi alle opinioni altrui. Nella chiesa di oggi, il rispetto per le opinioni e per le coscienze dei nostri fratelli e sorelle è una pratica che onora Dio.
4. Non essere motivo di inciampo. Paolo è chiaro nel dire che non dobbiamo diventare motivo di inciampo per gli altri. In questo caso, Paolo richiama i "forti" a prendersi cura dei "deboli". Chi ha una maggiore libertà di coscienza non dovrebbe usarla in modo da ferire la sensibilità di chi non si sente altrettanto libero. L'amore, infatti, si manifesta anche nella rinuncia a qualcosa che, pur essendo lecito, potrebbe diventare un problema per l'altro.
Unità nella diversità: un dono e una sfida
L'unità nella diversità è una delle più grandi sfide per la chiesa. Spesso, l'unità viene confusa con l'uniformità, ma Paolo ci mostra che la vera unità si fonda su Cristo, non sulle pratiche. Quando i credenti imparano ad accogliersi reciprocamente, anche nelle differenze, testimoniano l'amore di Dio in modo potente. Questa accoglienza è una forza che rende la chiesa più inclusiva e capace di mostrare il volto di Cristo.
Conclusione
Il messaggio di Romani 14:1-13 è estremamente attuale. In una società che è sempre più polarizzata e divisiva, anche la chiesa può cadere nel rischio di giudicare, escludere o criticare chi ha una visione diversa. Paolo ci invita invece a costruire una comunità fondata sull'amore, sull'umiltà e sul rispetto reciproco. Se ogni credente impara a non giudicare il proprio fratello o la propria sorella, a rispettare la libertà di coscienza altrui e a essere motivo di edificazione, la chiesa diventerà un luogo di pace, dove ogni membro si sentirà accolto e amato.
Palladino Aldo