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15 novembre 2024

Romani 14,1-13




Romani 14,1-13

Accoglienza e tolleranza nella diversità

Meditazione di Aldo Palladino

Il testo biblico

1 Accogliete colui che è debole nella fede, ma non per sentenziare sui suoi scrupoli.
2 Uno crede di poter mangiare di tutto, mentre l'altro, che è debole, mangia verdure. 3 Colui che mangia di tutto non disprezzi colui che non mangia di tutto; e colui che non mangia di tutto non giudichi colui che mangia di tutto, perché Dio lo ha accolto. 4 Chi sei tu che giudichi il domestico altrui? Se sta in piedi o se cade è cosa che riguarda il suo padrone; ma egli sarà tenuto in piedi, perché il Signore è potente da farlo stare in piedi. 5 Uno stima un giorno più di un altro; l'altro stima tutti i giorni uguali; sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente. 6 Chi ha riguardo al giorno, lo fa per il Signore; e chi mangia di tutto, lo fa per il Signore, poiché ringrazia Dio; e chi non mangia di tutto fa così per il Signore, e ringrazia Dio. 7 Nessuno di noi infatti vive per se stesso, e nessuno muore per se stesso; 8 perché, se viviamo, viviamo per il Signore; e se moriamo, moriamo per il Signore. Sia dunque che viviamo o che moriamo, siamo del Signore. 9 Poiché a questo fine Cristo è morto ed è tornato in vita: per essere il Signore sia dei morti sia dei viventi. 10 Ma tu, perché giudichi tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi tuo fratello? Poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio; 11 infatti sta scritto: «Come è vero che vivo», dice il Signore, «ogni ginocchio si piegherà davanti a me, e ogni lingua darà gloria a Dio». 12 Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio. 13 Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; decidetevi piuttosto a non porre inciampo sulla via del fratello, né a essere per lui un'occasione di caduta.

Introduzione e contesto

Leggendo le lettere dell'apostolo Paolo, comprendiamo come Paolo avesse colto nell'Evangelo di Gesù Cristo che predicava la più alta forma di liberazione da tabù e inibizioni varie. La sua emancipazione era così alta che quando si trovava con i Giudei viveva in modo giudaico e quando si trovava con i Gentili si adattava al loro modo di vivere. Egli sapeva benissimo che molti cristiani non erano emancipati come lui, tuttavia verso di loro non ha mai usato parole di giudizio o di condanna perché il credente più maturo nella fede deve saper accogliere colui che è ancora debole nella fede o non ancora emancipato su alcuni aspetti della vita.  In questo capitolo 14 della Lettera ai Romani, Paolo si rivolge ai membri della chiesa di Roma, multietnica e multiculturale, esortandoli a non giudicarsi reciprocamente e a vivere in pace e armonia, nonostante le loro differenze, e ad evitare conflitti dovuti a divergenze sulle pratiche religiose.

 

Il problema

In una comunità, come quella di Roma del I secolo, dove coesistevano Ebrei e Gentili, era all'ordine del giorno confrontarsi e scontrarsi sulle diverse pratiche religiose o sulle tradizioni seguite dai due gruppi di credenti. Nel nostro testo, Paolo cita due aspetti della vita quotidiana da cui nascevano incomprensioni e conflitti: il cibo e i giorni di festa da osservare. Gli Ebrei convertiti tendevano a osservare ancora la legge mosaica, incluse le norme alimentari e il rispetto dei giorni di festa ebraici. Dall'altra parte, i cristiani Gentili non sentivano la stessa responsabilità di rispettare queste tradizioni e vivevano una fede più libera da tali costumi. Questa diversità aveva il potenziale di creare divisioni. La tentazione era quella di giudicare e di escludere chi praticava la fede in modo diverso. I credenti "deboli", come li definisce Paolo, erano coloro che continuavano a osservare le tradizioni ebraiche, mentre i "forti" erano coloro che si sentivano liberi da tali osservanze, avendo compreso la libertà che Cristo aveva portato. Paolo, però, non prende parte in questo dibattito; piuttosto, egli esorta entrambe le parti a non giudicarsi e a non disprezzarsi.

 L'insegnamento dell'apostolo Paolo

Paolo invita i cristiani a "ricevere" chi è "debole nella fede" (v. 1) e a non fare delle differenze un motivo di discussione. Per lui, la diversità non è una debolezza da correggere, ma un'opportunità per rafforzare l'amore e l'accoglienza reciproca. Infatti, l'accoglienza è un tema chiave in questo brano. Paolo non incoraggia solo la tolleranza passiva, ma una vera e propria apertura verso l'altro. Per esempio, se uno è convinto di poter mangiare tutto e l'altro si sente di mangiare solo vegetali, entrambi sono accolti da Dio e nessuno dei due ha il diritto di giudicare l'altro. Paolo ricorda alla chiesa romana che "ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio" (v. 12) e che non siamo chiamati a giudicare i nostri fratelli o le nostre sorelle.

 L'insegnamento di Paolo applicato a noi oggi. Se trasponiamo il messaggio di Paolo al contesto contemporaneo, vediamo che i problemi che possono dividere la chiesa sono diversi: interpretazioni teologiche, preferenze di culto, di liturgia e tipo di musica, le opinioni politiche o sociali. Anche oggi, i cristiani possono facilmente cadere nella tentazione di giudicare chi pratica la fede in modo diverso o ha una visione diversa su questioni che riguardano la morale o la vita comunitaria.

 1. La necessità di un cuore accogliente.Come cristiani, siamo chiamati ad avere un cuore accogliente verso tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle, a prescindere dalle loro differenze. Questo tipo di accoglienza, però, richiede un cuore trasformato, capace di vedere nell'altro non una minaccia, ma un dono. La chiesa di oggi può imparare molto da questa prospettiva: accogliere coloro che hanno percorsi diversi e rispettare la libertà di ogni credente, sapendo che l'amore di Dio trascende ogni differenza.

 2. L'importanza dell'umiltà. Paolo ci ricorda che ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio. È Dio, e non noi, il giudice ultimo. Questo richiamo all'umiltà è fondamentale, poiché ci libera dalla presunzione di essere "superiori" o "più spirituali" di altri. La vera umiltà si manifesta nella capacità di lasciare che sia Dio a lavorare nei cuori, senza interferire con giudizi o pregiudizi.

 3. La libertà nella fede e il rispetto delle coscienze. Un altro principio importante è la libertà nella fede, accompagnata dal rispetto della coscienza altrui. Paolo insegna che ciascuno deve essere convinto "nella propria mente" (v. 5). Questo significa che ogni credente ha la responsabilità di discernere e vivere la propria fede con sincerità, senza sentirsi forzato a uniformarsi alle opinioni altrui. Nella chiesa di oggi, il rispetto per le opinioni e per le coscienze dei nostri fratelli e sorelle è una pratica che onora Dio.

 

4. Non essere motivo di inciampo. Paolo è chiaro nel dire che non dobbiamo diventare motivo di inciampo per gli altri. In questo caso, Paolo richiama i "forti" a prendersi cura dei "deboli". Chi ha una maggiore libertà di coscienza non dovrebbe usarla in modo da ferire la sensibilità di chi non si sente altrettanto libero. L'amore, infatti, si manifesta anche nella rinuncia a qualcosa che, pur essendo lecito, potrebbe diventare un problema per l'altro.

 Unità nella diversità: un dono e una sfida

L'unità nella diversità è una delle più grandi sfide per la chiesa. Spesso, l'unità viene confusa con l'uniformità, ma Paolo ci mostra che la vera unità si fonda su Cristo, non sulle pratiche. Quando i credenti imparano ad accogliersi reciprocamente, anche nelle differenze, testimoniano l'amore di Dio in modo potente. Questa accoglienza è una forza che rende la chiesa più inclusiva e capace di mostrare il volto di Cristo.

 Conclusione

Il messaggio di Romani 14:1-13 è estremamente attuale. In una società che è sempre più polarizzata e divisiva, anche la chiesa può cadere nel rischio di giudicare, escludere o criticare chi ha una visione diversa. Paolo ci invita invece a costruire una comunità fondata sull'amore, sull'umiltà e sul rispetto reciproco. Se ogni credente impara a non giudicare il proprio fratello o la propria sorella, a rispettare la libertà di coscienza altrui e a essere motivo di edificazione, la chiesa diventerà un luogo di pace, dove ogni membro si sentirà accolto e amato.

 

                                                                                              Palladino Aldo

06 ottobre 2024

I Pietro 4, 7-11


                                         I Pietro 4:7-11

Una meditazione di Aldo Palladino

Il testo biblico

7 Or la fine di tutte le cose è vicina; siate dunque temperati e sobri per dedicarvi alla preghiera.
8 Sopra ogni cosa, abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l'amore copre una gran quantità di peccati.
9 Siate ospitali gli uni verso gli altri senza mormorii.
10 Ciascuno, secondo il dono che ha ricevuto, lo metta al servizio degli altri, come buoni amministratori della svariata grazia di Dio.
11 Se uno parla, parli come annunciando oracoli di Dio; se uno compie un servizio, lo compia come traendo la forza che Dio fornisce, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartiene la gloria e l'imperio nei secoli dei secoli. Amen
.

 

Introduzione

La I epistola di Pietro è stata scritta intorno al 63-64 d.C. ed indirizzata alle comunità sparse in cinque province dell'Asia Minore: il Ponto, la Galazia, la Cappadocia, l'Asia e la Bitinia (odierna Turchia).  È una lettera dal tono pastorale che aveva lo scopo di incoraggiare quei primi cristiani a perseverare nel loro cammino di fede in un ambiente economico-sociale molto diffidente verso di loro. La loro conversione al cristianesimo creava delle fratture nella società e nelle loro stesse famiglie, perché non partecipare ai culti pagani, rifiutare il culto dell'imperatore romano era visto come un atto sovversivo e antisociale, era considerato una minaccia all'ordine pubblico. E tutto questo portava all' isolamento sociale e generava forti ostilità nei loro confronti, per cui spesso venivano discriminati, perdevano il lavoro e li esponeva perfino alla violenza fisica e alla persecuzione. A tali credenti, che vivevano una condizione di minoranza e che erano anche molto disorientati, Pietro scrive dunque questa epistola esortativa alla perseveranza e alla fedeltà al Signore che viene.

"La fine di tutte le cose è vicina"

Il testo della I Pietro 4:7-11 inizia con un'affermazione che ha un tono escatologico: "la fine di tutte le cose è vicina" (v.7). Non è una minaccia né un'intimidazione, ma un'esortazione all'attesa e alla vigilanza, cioè a vivere il presente avendo gli occhi fissi sul mondo a venire, ma con i piedi ben piantati nelle sfide e nelle opportunità del nostro tempo. I primi cristiani pensavano che il ritorno di Cristo fosse imminente e questa aspettativa modellava il loro modo di vivere.

E noi, credenti del XXI secolo, come reagiamo di fronte a questa esortazione di Pietro?

Dobbiamo sinceramente ammettere che le scoperte scientifiche e lo sviluppo tecnologico di questi ultimi tempi hanno influenzato il nostro modo di pensare e di vivere. Il crescente affidamento alla scienza e alla tecnologia ha contribuito alla secolarizzazione della società, alla nostra secolarizzazione. Il progresso scientifico ha messo in discussione molti dogmi religiosi, erodendo lentamente il ruolo della religione nella vita pubblica e privata. Nei paesi più sviluppati, il rapporto con la religione è divenuto sempre più personale e meno istituzionalizzato. L'idea di un Dio che interviene direttamente nella vita quotidiana sembra essere stata sostituita, per molte persone, da una visione più distaccata, in cui il soprannaturale ha un ruolo secondario rispetto alle spiegazioni razionali.

Siamo stati trascinati nella frenesia del consumismo digitale e abbiamo alimentato la cultura del "sempre connessi", riducendo sempre di più lo spazio per l'introspezione e la meditazione spirituale, che richiedono tranquillità e distacco. In sintesi, siamo diventati tutti più materialisti e abbiamo relativizzato i fondamenti di una vita cristiana autentica, che consideriamo anacronistici, appartenenti a un tempo passato.

Ma dobbiamo interrogarci quale sia il prezzo pagato per la perdita della dimensione spirituale, perché nonostante i progressi materiali, ci sentiamo profondamente insoddisfatti, infelici e alienati. Siamo tutti più soli e disumani, perché abbiamo ridotto o perso il nostro rapporto con Dio, abbiamo spezzato il legame col trascendente e abbiamo spostato l'attenzione dall'invisibile al visibile, dall'infinito al misurabile, volgendola al mondo tangibile e alle sue forme di seduzione.

Ma ecco che l'apostolo Pietro con le sue parole ci vuole oggi portare a riconsiderare la nostra vita di fede in Dio e in Gesù Cristo. "La fine di ogni cosa è vicina" ci dice che dobbiamo fare i conti con la nostra finitudine, con la precarietà della nostra vita e, soprattutto, con la realtà futura che un giorno incontreremo il Signore. È una realtà che ci pone di fronte alla nostra responsabilità di saper utilizzare il nostro tempo, le nostre energie e i nostri doni qui ed ora.

Come?

Pietro ci dà le indicazioni per una vita cristiana vera, non fatta di parole ma vissuta, pratica. Egli ci dice quali sono le virtù che nutrono la vita cristiana.

LE VIRTÙ DEL CRISTIANO

1.   Temperanza e sobrietà (v. 7). Essere temperanti e sobri per avere una vita di preghiera, cioè una vita di relazione con Dio, un colloquio permanente col Signore che alimenta il nostro pensiero e i nostri sentimenti. Si prega non necessariamente a parole. Si prega pure avendo un cuore e una mente rivolte al Signore per ringraziarlo, lodarlo e per intercedere per i bisogni  del mondo.

 2.   Amore intenso gli uni per gli altri, "perché l'amore copre moltitudine di peccato" (v. 8). L'amore è il principio cardine del cristianesimo. Gesù ha riassunto ha riassunto tutta la legge in due comandamenti principali: amare Dio e amare il prossimo come se stessi (Matteo 22, 37-40). Amare è imitare l'amore infinito e incondizionato di Dio per l'umanità espresso col dono di suo Figlio sul legno della croce (Giovanni 3,16). È un amore che crea legami di fraternità, di solidarietà e che rafforzano le relazioni all'interno di una comunità, perché l'amore favorisce il perdono dei peccati, quelli propri e quelli altrui, avviando un processo di riconciliazione e di riparazione dei danni provocati dal peccato. In una comunità, i peccati come l'orgoglio, la gelosia, l'invidia, l'egoismo, la ricerca del potere personale possono distruggere le relazioni, creare divisioni e conflitti. Ma l'amore, inteso come compassione, pazienza e tolleranza, ha il potere di "coprire" questi peccati, ovvero di attenuare i loro effetti distruttivi.

     Nelle relazioni della società civile sembra utopistico parlare di amore ma non è così. Le leggi che regolano la convivenza e garantiscono un certo ordine sociale possono creare le condizioni in cui l'amore può prosperare. L'amore non è separato dalla giustizia, dalla pace, dalla libertà. Sono concetti interconnessi e interdipendenti perché l'amore si esplica in tutte le svariate forme all'interno delle reazioni umane.  Ad esempio Martin Luther King e il Mahatma Gandhi hanno considerato l'amore, espresso nella nonviolenza, come una forza potentemente trasformativa nelle loro battaglie per il cambiamento sociale. Dunque, l'amore può certamente essere espresso in una società e, anzi, può essere un motore per migliorare le leggi e le strutture sociali.

 3.   Ospitalità senza mormorii (v. 9).

     L'ospitalità era una virtù fondamentale nelle prime comunità cristiane per diverse ragioni di natura   teologica, sociale e pratica. Il concetto di accoglienza e ospitalità aveva radici profonde sia nel contesto culturale dell'antichità che nell'insegnamento cristiano. Nelle radici bibliche troviamo vari racconti di ospitalità: Abramo che accoglie degli stranieri, che poi si rivelano degli angeli, (Genesi 18) e, nel Nuovo Testamento, Gesù predica e pratica l'ospitalità di peccatori, poveri e malati ed esorta i discepoli a trattare lo straniero come si tratterebbe lui stesso: "Ero straniero e mi avete accolto" (Matteo 25:35). C'è anche da considerare che in quei tempi l'ospitalità era una forma di mutua assistenza e i viaggiatori, i missionari, i predicatori dovevano avere un posto sicuro dove riposarsi visto che all'epoca non c'erano hotel o alberghi.  Peraltro, nelle comunità era dimostrazione di unità e fraternità, soprattutto solidarietà in tempi di persecuzione, ed espressione di fede e carità cristiana.   Oggi, la pratica e la cultura dell'ospitalità l'abbiamo abbandonata sia perché nella nostra società occidentale sono cresciuti i servizi sociali sia perché il benessere economico ha accresciuto l'individualismo e l'autonomia personale che non richiede l'aiuto di altri.. In più, si è aggiunta oggi la paura dello straniero e l'ospitalità di una volta è stata fortemente marginalizzata e compromessa.   L'ospitalità va oltre l'accoglienza fisica: è un atteggiamento del cuore che abbraccia l'altro con calore e accoglienza. Pietro aggiunge "senza mormorii", indicando che l'ospitalità non deve essere offerta con riluttanza o risentimento, come un peso, ma con gioia. Questo vale anche per noi nel 2024. Anche se viviamo in un mondo più complesso, l'ospitalità rimane un valore fondamentale per la chiesa come anche per la famiglia. In un'epoca di isolamento sociale e fratture relazionali, la chiesa è chiamata a essere un luogo di accoglienza e inclusione, dove chiunque si senta benvenuto. Essere ospitali oggi potrebbe significare aprire le nostre case, ma anche i nostri cuori, creando spazi di ascolto, supporto e cura reciproca. È un invito a praticare la generosità e a vedere l'altro come un dono di Dio.

4.   La buona amministrazione della svariata grazia di Dio (10).

     Chi ha ricevuto il compito di amministrare la svariata, multiforme grazia di Dio ha il privilegio di svolgere un servizio in nome e per conto di Dio. E poiché Dio è pieno amore, misericordia e grazia, quel servizio deve essere lo specchio o il riflesso di questi attributi divini. Occorre servire Dio con umiltà senza trionfalismi, avere amore per il prossimo offrendo aiuto ai bisognosi, conforto a chi è afflitto e sostegno a chi è in difficoltà. E soprattutto bisogna avere comportamenti benevoli senza giudizi e pregiudizi, cercando di non giudicare ma di comprendere e perdonare con saggezza e responsabilità. Non è un compito facile ma impegnativo, che deve essere svolto con molto discernimento, con costanza e perseveranza e soprattutto con la finalità di glorificare il Signore.

5.   Servire gli altri coi propri doni (11).

Compito di tutti i credenti è di mettere i talenti, i doni ricevuti al servizio degli altri e della chiesa, perché essi ci sono stati dati non solo per il nostro beneficio ma per anche per il bene degli altri e della comunità. Pietro dice: "Ciascuno, secondo il dono che ha ricevuto, lo metta al servizio degli altri, come buoni amministratori della svariata grazia di Dio". Ogni credente ha ricevuto doni particolari da Dio, e la chiesa è edificata quando ognuno utilizza i propri doni per il bene comune. I doni che Dio ci dà non sono per il nostro vantaggio personale o per il nostro orgoglio, ma per servire gli altri. La chiesa è un corpo, e ogni membro ha un ruolo unico da svolgere.                                      Nel 2024, siamo chiamati a riscoprire i nostri doni e a metterli in gioco per l'edificazione della chiesa e il servizio del mondo. Questo include non solo doni spirituali come l'insegnamento, la profezia o il discernimento, ma anche capacità pratiche, come il lavoro manuale, l'arte, la tecnologia o la leadership. Il mondo ha bisogno di vedere una chiesa in azione, che usa ogni suo dono per portare luce dove c'è tenebra, guarigione dove c'è ferita, e speranza dove c'è disperazione.

 6.   Parlare, servire e glorificare Dio (11)

     Nel versetto 11 del nostro testo, Pietro ricorda che "se uno parla, parli come annunciando oracoli di Dio; se uno compie un servizio, lo compia come traendo la forza che Dio fornisce, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo". Dei doni presenti nella comunità dei credenti Pietro evidenzia quello della predicazione e della diaconia. Predicare o parlare "come oracoli di Dio" non significa avere risposte divine su ogni argomento, ma piuttosto parlare con la consapevolezza che le nostre parole devono edificare, incoraggiare e portare verità. E nel mondo di oggi, dove la comunicazione è spesso distorta e conflittuale, anche i credenti sono chiamati a essere portatori di parole di vita e di speranza.                                                                                               Allo stesso modo, la diaconia, ogni nostro servizio di assistenza, deve essere fatto non per ottenere riconoscimento personale, ma per mostrare la potenza di Dio all'opera in noi. Infatti, è il Signore che dona la forza per un servizio che Lo possa glorificare.

 Un messaggio di esortazione

In questi tempi bui e tormentati, il nostro mondo è immerso in una spirale di violenza che sembra non avere fine. Guerre devastanti, massacri, genocidi disumani affliggono intere popolazioni, distruggendo vite innocenti e portando l'umanità a livelli di crudeltà che spezzano il cuore. Gli orrori che vediamo nei conflitti tra Russia e Ucraina, tra Israele e i paesi limitrofi del mondo musulmano, sono solo alcuni dei segni più evidenti della follia diffusa che sta divorando il nostro mondo. Ora più che mai, è indispensabile un ritorno a Dio, alla Sua giustizia, alla Sua misericordia.                                           Come comunità di credenti, dobbiamo essere fari di luce nelle tenebre. Dobbiamo impegnarci a costruire ponti dove altri innalzano muri. Dobbiamo pregare incessantemente per la pace, ma anche lavorare attivamente per essa, testimoniando con le nostre vite la potenza trasformante del Vangelo. Non possiamo più permettere che il male regni sovrano nel mondo; siamo chiamati a essere sale e luce (Mt. 5, 13-16), come Gesù ci ha insegnato. Questo richiede un impegno rinnovato, un ritorno a Dio con tutto il cuore. Solo con la Sua grazia possiamo trovare la forza per affrontare le sfide che abbiamo davanti. Solo attingendo alla fonte inesauribile del Suo amore possiamo rispondere alla violenza con pace, all'odio con perdono, alla disperazione con speranza.                                                                           Oggi più che mai il mondo ha bisogno della testimonianza viva della nostra fede. Non lasciamo che le tenebre della malvagità prevalgano. Ritorniamo a Dio e mostriamo al mondo che un'altra via è possibile. Che la pace di Cristo regni nei nostri cuori, nelle nostre comunità, e in tutta l'umanità. 

Amen.                                                             

 

Aldo Palladino