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17 marzo 2017




L'obolo della vedova 

Evangelo di Marco 12: 41-44 

Predicazione del Past. Paolo Ribet






Il testo biblico
41 Sedutosi di fronte alla cassa delle offerte, Gesù guardava come la gente metteva denaro nella cassa; molti ricchi ne mettevano assai. 42 Venuta una povera vedova, vi mise due spiccioli che fanno un quarto di soldo. 43 Gesù, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico che questa povera vedova ha messo nella cassa delle offerte più di tutti gli altri: 44 poiché tutti vi hanno gettato del loro superfluo, ma lei, nella sua povertà, vi ha messo tutto ciò che possedeva, tutto quanto aveva per vivere».


1.- Ultimamente ho ascoltato un racconto indiano che mi ha molto colpito. Un giorno si incontrano quattro mendicanti. Ognuno di loro ha qualcosa da mangiare: uno ha un po' di carne, un altro un po' di pane, il terzo una manciata di fagioli e l'ultimo ha del sale. Decidono di mettere insieme ciò che posseggono, in modo da fare un minestrone e poter stare tutti meglio. Mettono la pentola sul fuoco, fanno bollire l'acqua e, quando pensano che la minestra sia pronta, immergono il mestolo. Ma ciò che tirano su è soltanto acqua, acqua calda ed insipida: ognuno di loro ha pensato che non fosse così necessario dare quel che possedeva, perché tanto poteva bastare quanto mettevano gli altri tre. 
     Ho trovato molto istruttivo questo racconto, perché succede molto spesso che, quando è necessario mettere insieme le forze per raggiungere un obiettivo comune, ognuno degli interessati pensi di risparmiare sul proprio impegno e di appoggiarsi agli altri. 
2.- Illuminante, in questo senso, è allora il racconto noto come "l'obolo della vedova" di Marco 12. Siamo già nel tempo della Pasqua e Gesù, secondo il racconto di Marco, dopo aver fatto il suo ingresso a Gerusalemme, si reca ogni giorno al Tempio. Qui egli insegna, discute con i suoi avversari e compie anche dei gesti eclatanti e provocatori, come quando caccia via i mercanti ed i cambiavalute. 
     Un giorno di questi, Gesù è seduto su un muretto di fronte alle urne dove i fedeli depositano il proprio contributo: osserva persone di ogni ceto che portano la loro offerta. C'è chi dà di più e chi dà di meno. 
     Tra questi giunge anche una povera vedova che getta nell'urna due monetine di rame – pochi centesimi. Nessuno l'ha notata, nessuno se n'è accorto. Tranne Gesù. Egli, infatti deve chiamare i suoi discepoli (la chiesa!), distratti da altre cose, e far notare loro l'importanza di quanto 
è avvenuto.  
     «E' vero, dice il Maestro, che quella donna ha messo nella borsa della colletta una somma irrisoria ma, povera com'è, ha donato tutto ciò che aveva per vivere. Altri hanno consegnato cifre maggiori, ma nessuno si è privato del necessario, mentre lei ha dato tutto». Basta notare il fatto che ha versato due monete: una poteva tenersela e comprarsi un panino! Evidentemente la donna sa amare senza fare calcoli di convenienza! 
3.- In un tempo come il nostro, in cui il denaro sembra essere la misura di tutte le cose, ed in cui il fatto di possedere molto denaro pare essere la massima aspirazione di ognuno, questo piccolo ed apparentemente marginale episodio assume un significato molto importante: non è tanto importante quanto si dà, ma come si dà. Nelle nostre chiese, quando si tocca il tasto delle contribuzioni, spesso ci si sente rispondere con la parola evangelica: «Non sappia la tua destra quello che fa la tua sinistra», che vorrebbe significare che non si può prestare attenzione a quanto si versa. E' un'affermazione che forse vuol essere umile, ma che non mi ha mai convinto – anche perché nel racconto evangelico della vedova, si dice che la donna gettò i suoi due soldini e per gettare qualcosa bisogna avere la mano aperta, generosamente aperta. 
     Ricordo che, quando qualche anno fa ero pastore a San Germano e si stava costruendo il nuovo Asilo dei Vecchi, venne da me un signore cattolico il quale mi versò un assegno da mezzo milione e mi disse: «Mi sto costruendo la casa e spendo tanti soldi per me: è giusto che ne dia un po' anche per gli altri». Questo fatto mi colpì perché in molti si scusavano di non poter dare niente per l'Asilo proprio perché avevano tante spese, cioè stavano spendendo troppi soldi per sé (per farsi la casa nuova, per comprare la macchina nuova) ... quest'uomo, invece, con molta semplicità, era capace di guardare anche agli altri e non solo a se stesso. 
4.- Oltre a questo, va anche notato che qui non si tratta tanto di denaro (o non solo di denaro) vi è qualcosa di più: Dio non ci richiede una percentuale ma ci rivolge una vocazione che coinvolge l'intera nostra vita. Molto spesso cerchiamo di mercanteggiare, di distinguere fra quella che reputiamo la "nostra" vita e quella parte di essa che ci sentiamo di donare al Signore. Ma la risposta che viene data è di quelle che non ammettono repliche: è l'intero nostro essere che ci viene chiesto di mettere in gioco. Non esiste una "mia" vita a fianco della vita che posso dedicare al Signore – o agli altri. Io esisto come un tutto unico e nella mia totalità appartengo al Signore. 
     Del resto, questa è esattamente la strada che Dio ha scelto nei nostri confronti, quando si è donato completamente a noi sulla croce. L'apostolo Paolo esprime questa realtà con un'espressione molto plastica. Quando, nella II Corinzi, invita i credenti a fare una generosa colletta a favore dei credenti di Gerusalemme che erano nell'indigenza, egli scrive: «Voi conoscete la generosità del Signore nostro Gesù Cristo: per amor vostro, lui che era ricco, si è fatto povero per farvi diventare ricchi con la sua povertà» (I Cor. 8:9). E la I Pietro (1:18-19) aggiunge: «Voi sapete che siete stati liberati da quella vita senza senso che avevate ereditato dai vostri padri: il prezzo del vostro riscatto non fu pagato in oro o argento, cose che passano; siete stati riscattati con il sangue prezioso di Cristo». 
     In questa settimana mi ha molto colpito la vicenda del marciatore italiano Alex Schwazer, il quale si è dopato per poter vincere una medaglia d'oro alle Olimpiadi. Al di là del dramma di un ragazzo che è stato consumato dall'ansia di essere un vincente e di restare in alto, io ho visto in questa vicenda il segno di una civiltà che non è più capace di mettere al centro i veri valori della vita e non ha il senso di perché si spende la vita. Nella vita io non cerco le altezze, ma la profondità. Qui è molto attuale il brano della I Pietro (1:7) sulla fede che è più preziosa dell'oro (anche dell'oro olimpico). 
     Non è privo di significato il fatto che l'episodio dell'obolo della vedova sia narrato proprio 
in coincidenza del tempo della passione e della Pasqua, perché quelle due piccole monete di rame 
diventano così il simbolo di un amore che non conosce confini né avarizie. 

                                                                                                                  Pastore Paolo Ribet 


Domenica 12 agosto 2012 - Tempio Valdese di C.so Vittorio Emanuele II, 23 - Torino

08 marzo 2017




           Matteo 12, 38-42 (Lc. 11, 29-32; Mt, 16, 1-4)

I DETTI SU GIONA

Studio esegetico/omiletico
a cura di Aldo Palladino 





PRECISAZIONE
Ho riportato qui di seguito i testi di Matteo e Luca perché sono quelli che ci trasmettono i "detti su Giona". I testi paralleli di Marco 8,11-12 e di Gv. 6, 30, non avendo  alcun riferimento a Giona, non sono stati inclusi.

Matteo 12, 38-42
38 Allora alcuni scribi e farisei presero a dirgli: «Maestro, noi vorremmo vederti fare un segno». 39 Ma egli rispose loro: «Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona40 Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così il Figlio dell'uomo starà nel cuore della terra tre giorni e tre notti. 41 I Niniviti compariranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco, qui c'è più che Giona42 La regina del mezzogiorno comparirà nel giudizio con questa generazione e la condannerà; perché ella venne dalle estremità della terra per udire la sapienza di Salomone; ed ecco, qui c'è più che Salomone!

Luca 11, 29-32
29 Mentre la gente si affollava intorno a lui, egli cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; chiede un segno ma nessun segno le sarà dato, tranne il segno di Giona30 Infatti come Giona fu un segno per i Niniviti, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione. 31 Nel giorno del giudizio la regina del mezzogiorno si alzerà con gli uomini di questa generazione e li condannerà; perché ella venne dagli estremi confini della terra per udire la sapienza di Salomone; ed ecco qui c'è più di Salomone32 Nel giorno del giudizio i Niniviti si alzeranno con questa generazione e la condanneranno; perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco qui c'è più di Giona.

Mt. 16, 1-4

I farisei e i sadducei si avvicinarono a lui per metterlo alla prova e gli chiesero di mostrare loro un segno dal cielo2 Ma egli rispose: «Quando si fa sera, voi dite: "Bel tempo, perché il cielo rosseggia!" 3 e la mattina dite: "Oggi tempesta, perché il cielo rosseggia cupo!" L'aspetto del cielo lo sapete dunque discernere, e i segni dei tempi non riuscite a discernerli? 4 Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno, e segno non le sarà dato se non quello di Giona». E, lasciatili, se ne andò.
***
 
IL SEGNO
     Nella controversia con scribi e farisei (o con farisei e sadducei secondo Matteo 16,1, o con la folla secondo Lc. 11, 29 e Gv. 6,30), che manifestano a Gesù la curiosità di vedergli fare "un segno" (Mt. 12, 38; Lc. 11, 29) o "un segno dal cielo" (Mc. 8,11; Mt 16, 1), la risposta di Gesù, in Matteo 12 e 16 e in Luca 11, è un rinvio al "segno del profeta Giona", mentre  in Marco 8 c'è il rifiuto categorico  di un segno. 
      Nel linguaggio biblico il termine semeion indica un segno generalmente miracoloso, vale a dire uno stravolgimento della realtà ordinaria. Per gli interlocutori di Gesù esso poteva coincidere con un'opera potente e prodigiosa, un miracolo che desse la dimostrazione della messianicità di Gesù o della sua grandezza come quella di Mosè e Aaronne che hanno rivelato il progetto di Dio attraverso una serie di segni (cfr. Esodo, capitoli 7-11: le dieci piaghe). Per Gesù, invece, il segno è un'azione liberatrice che risponde ad un bisogno immediato e reale di qualcuno,  ma che fondamentalmente addita una realtà nascosta che trascende il segno stesso .   
     Nei capitoli che precedono il nostro testo, Matteo racconta alcuni miracoli di guarigione e opere straordinarie operate da Gesù: ha guarito un  lebbroso (Mt. 8,1-4), il servo del centurione (Mt. 8,5-13), la suocera di Pietro (Mt. 8,14-15), i malati  e molti indemoniati (Mt. 8,16), un paralitico (Mt. 9, 1-8), ed ha anche calmato la tempesta (Mt. 8,23-27), scacciato i demoni (Mt. 8,28-34) e riportato in vita la figlia di Iairo, che era data per morta (Mt. 9,18-26), ma questi segni non sono sufficienti agli scribi e farisei per riconoscere la messianicità di Gesù. Di lui avevano già detto: "Costui scaccia i demoni  se non per l'aiuto di Belzebù, principe dei démoni", mentre la folla stupita aveva detto: "Non è questi il figlio di Davide?" (Mt. 12, 23-24).
Scribi e farisei, dunque, chiedono a Gesù un segno, un segno speciale, un segno dal cielo, un super-segno, sbalorditivo e sconvolgente, ma soprattutto rispondente ai loro criteri e paradigmi culturali per l'accertamento della sua messianicità.   

L'INVETTIVA DI GESU'
      Gesù apostrofa i suoi interlocutori con parole di rimprovero e di giudizio: "Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno…" (v, 39a).
     È la generazione concreta in quel tempo concreto, rappresentata dai dirigenti  intellettuali  (scribi e farisei)  che incarnano la "coscienza religiosa" del popolo di Israele. Ma l'accusa di Gesù può essere riferita sia ai contemporanei di Gesù sia ad ogni generazione che ricerca un segno.
     "La malvagità della richiesta di un segno dal cielo consiste nella riluttanza a credere che Dio è presente e attivo nel ministero di Gesù; l'adulterio "richiama il linguaggio dei profeti sull'infedeltà d'Israele verso Dio (per esempio Os. 2,2; Ger. 3,8-9; Ez. 23,37). "I profeti usavano quell'analogia a proposito della partecipazione a culti stranieri, mentre qui sembra riferirsi a una fondamentale mancanza di fede nel Dio vivente" (Hare).

IL SEGNO DI GIONA
"… e segno non le sarà dato tranne il segno del profeta Giona" (39b). Se in nessuna delle opere potenti fatte da Gesù viene vista l'eccellenza e la straordinarietà della sua vita e della sua parola di salvezza, questa generazione non ha bisogno di nessun altro segno, tranne quello del profeta Giona (non di Giona ma dato nella figura di Giona), il segno dei segni, l'unico con cui gli evangeli danno voce alla comunità post-pasquale che si è a lungo interrogata sul significato dei segni ricevuti, concludendo che la vicenda di Giona è una profezia della morte e della risurrezione di Gesù. Questo è più evidente in Matteo che in Luca. Infatti, Matteo fa due affermazioni importanti:         
- la prima, "poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così il Figlio dell'uomo starà nel cuore della terra tre giorni e tre notti" (Mt. 12,40), stabilisce un parallelo tra l'esperienza di Giona (2,1) nel ventre del pesce e la sepoltura di Gesù nel cuore della terra;   
la seconda, "i Niniviti compariranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco, qui c'è più che Giona!" - espressione che troviamo anche in Luca -, paragona la predicazione di Gesù a quella di Giona ai Niniviti dei quali è detto che si convertirono tutti "dal più grande al più piccolo" (Giona 3,5).
Il paradosso è che i Niniviti, che si convertirono alla predicazione di Giona, e la regina del mezzogiorno (la regina di Seba di I Re 10,1-10), che fu affascinata dalla sapienza di Salomone, nel giudizio finale condanneranno "questa generazione", che rifiuta di riconoscere la grandezza del momento storico che stanno vivendo: la presenza di Gesù, immensamente più grande di un profeta e di un re saggio, e la realtà dell'annuncio evangelico, immensamente più grande di qualsiasi pensiero, filosofia, sapienza umana.
      Dunque, il racconto di Giona, che è una parabola dal respiro universalistico che rende possibile anche la conversione dei pagani, viene diversamente applicata in Matteo e in Luca. Secondo G. Ravasi, Matteo ne dà un'interpretazione preminentemente "pasquale", mentre Luca propone l'interpretazione "missionaria", omettendo del tutto quella pasquale (dello stesso parere è il Craddock nel suo commentario di Luca). Ed è molto probabile che ciò sia dipeso dalla tipologia dei destinatari dei due vangeli, quello di Matteo destinato a lettori di matrice giudeo-cristiana, più attenti al cuore del messaggio cristiano, la Pasqua di Cristo, e quello di Luca a lettori di matrice pagana, ai quali era utile dimostrare che le attenzioni e l'amore di Dio erano per loro come lo furono per i Niniviti.

L'ESPRESSIONE "TRE GIORNI E TRE NOTTI" (1)
     La troviamo nel v. 40. Alcuni esegeti pensano ad una profezia, altri di vedervi un logion  che anticipa e rimanda ad uno sviluppo successivo. In questo caso il riferimento sarebbe il racconto della passione. Gesù stabilisce un confronto tra Giona e il figlio dell'uomo citando Giona 2,1 ("…Giona rimase nel ventre del pesce tre giorni e tre notti"). Guardiamo il  background   giudaico di questa espressione. 
     Nell'AT oltre che in Giona 2,1, l'espressione «tre giorni e tre notti» appare in 1 Sam. 30,12 e si riferisce al tempo in cui un servo egiziano è rimasto senza mangiare né bere. La tradizione ebraica la lega ad un'altra espressione, «il terzo giorno». La morte è attestata solo dopo tre giorni, nel frattempo l'anima rimane in prossimità per incoraggiare la speranza di un risveglio.
 Ecco i testi che riportano l'espressione "il terzo giorno": Os 6,2; Gen. 42,18; Es. 19,16; Gs. 2,16; Giona 2,1; Esd, 8,15; Ester 5,1;Gen 22,4.
Questa "collana" mostra come nel terzo giorno si risolve una situazione, si passa da un'attesa ad un compimento, da una situazione di angoscia, di disperazione, di schiavitù, ad una liberazione. Al culmine si trova il passaggio dalla morte alla vita presente nella tradizione rabbinica in commento ad Os 6,2. In linea con questa interpretazione sta il legame tra il segno di Giona e la morte e risurrezione di Gesù che troviamo in tutti i commentari. L'interpretazione immediata del  logion  riguarda la passione e risurrezione di Gesù o semplicemente la sua morte e discesa agli inferi, in assenza di alcun riferimento esplicito alla liberazione di Giona e al risalire dal cuore della terra… 
     Il passaggio da «tre giorni e tre notti» ad altre espressioni come «il terzo giorno» o«dopo tre giorni» non cambia il significato. Infatti, tutte queste espressioni mostrano il senso teologico dell'intervento di salvezza di Dio in favore del suo popolo ma non una precisa durata di tempo. Alcuni studiosi notano che la cifra «3» nei sinottici ha una proporzione maggiore nei racconti della passione che nel resto del racconto evangelico; il segno di Giona in Matteo potrebbe allora rientrare in questo contesto generale della passione di Gesù.

PER LA PREDICAZIONE
 "Qui c'è più che Giona, qui c'è più che Salomone" (vv. 41 e 42), potrebbe essere una chiave interpretativa dell'intero brano con la quale scorgere una realtà più grande, più alta. È la realtà di una proposta che sollecita la nostra fede ad intraprendere un cammino di introspezione interiore per comprendere se le domande che sono dentro di noi siano dei cliché del nostro ambiente etico, teologico e spirituale, con cui pensiamo di trovare le nostre spiegazioni, o se rappresentano un incondizionato e libero tentativo di capire il nuovo che è davanti a noi. Gli interlocutori di Gesù non hanno saputo cogliere in Gesù la linea di demarcazione tra il vecchio e il nuovo, la nuova frontiera che rompeva con la struttura mentale del tempo e sacrale del Tempio, perché chiusi e impenetrabili nella loro roccaforte di vita che credevano coerente con la Torah. Chiedendo un segno, hanno dimostrato che non cercavano di capire, ma di mettere alla prova, giudicare, accusare, preoccupati di difendere i propri convincimenti. E questo loro atteggiamento li rendeva ciechi e incapaci di vedere che il Segno era lì davanti a loro, tra di loro, in carne ed ossa, con la sua parola di salvezza e di benedizione.
   Gesù è più che Giona e più che Salomone, perché Giona ha predicato ai Niniviti la bontà e la misericordia di Dio e Salomone ha costruito un tempio al Signore, ma Lui, Gesù, ha dato la sua vita per tutta l'umanità e ha distrutto il suo tempio per riedificarlo dopo tre giorni (morte e risurrezione). Inoltre le due storie, di Giona e della regina di Seba, ci narrano di viaggi che sradicano due persone dal loro paese e vanno in terra straniera: Giona, per rispondere ad una chiamata ben precisa di Dio, e la regina di Seba, perché attratta dalla sapienza e dalla gloria del re Salomone. Anche Gesù percorre un viaggio, dal cielo alla terra, per venire incontro a tutti noi, sconfinando come in terra straniera. E la sua vita è un continuo sconfinamento per abbattere i muri dell'egoismo, le barriere culturali e sociali dell'odio, dell'indifferenza, dell'ingiustizia, della xenofobia, schierandosi dalla parte dei poveri, dei deboli, degli emarginati, e dando a tutti la speranza di un mondo di pace e di fraternità, un mondo senza confini, aperto e solidale.
                                                                                                          
                                                                                                                     Aldo Palladino











Bibliografia
1.   Douglas R.A. Hare. Matteo. Claudiana, 2006.
2.   Fred. B. Craddok. Luca. Claudiana, 2002.
3.   Julius Schniewind, Il Vangelo secondo Matteo. Paideia Editrice, 1977.
4.   G. Ravasi. Il segno di Giona. Da Famiglia ristiana (http://www.famigliacristiana.it/blogpost/il-segno-di-giona.aspx)
5.   Catherine Rendu. Il segno di Giona, pag. 24. Istituto teologico di Assisi. 2010
6.   Bert L. van der Woude. Racconti biblici come specchio dell'animaQuando la tua vocazione ti spaventa, pag. 37.


(1) Dalla tesi di laurea di Catherine Rendu "Il segno di Giona", pag. 24 e ss. Istituto Teologico di Assisi. Anno Accademico 2010/2011. (http://www.academia.edu/6239373/il_segno_di_Giona).