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20 giugno 2017



Matteo 22:1-14

La parabola delle nozze

Predicazione di Aldo Palladino



Il testo biblico
1 Gesù ricominciò a parlare loro in parabole, dicendo: 2 «Il regno dei cieli è simile a un re, il quale fece le nozze di suo figlio. 3 Mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze; ma questi non vollero venire. 4 Mandò una seconda volta altri servi, dicendo: "Dite agli invitati: Io ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono ammazzati; tutto è pronto; venite alle nozze". 5 Ma quelli, non curandosene, se ne andarono, chi al suo campo, chi al suo commercio; 6 altri poi, presero i suoi servi, li maltrattarono e li uccisero. 7 Allora il re si adirò, mandò le sue truppe a sterminare quegli omicidi e a bruciare la loro città. 8 Quindi disse ai suoi servi: "Le nozze sono pronte, ma gli invitati non ne erano degni. 9 Andate dunque ai crocicchi delle strade e chiamate alle nozze quanti troverete". 10 E quei servi, usciti per le strade, radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni; e la sala delle nozze fu piena di commensali. 11 Ora il re entrò per vedere quelli che erano a tavola e notò là un uomo che non aveva l'abito di nozze. 12 E gli disse:
"Amico, come sei entrato qui senza avere un abito di nozze?" E costui rimase con la bocca chiusa. 13 Allora il re disse ai servitori: "Legatelo mani e piedi e gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti". 14 Poiché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti».

Testi di appoggio: Isaia 61: 10-11; Col. 3: 12-15


Il contesto
     Un giorno Gesù, mentre sta insegnando nel Tempio viene avvicinato dai capi sacerdoti e dai farisei, suoi avversari di sempre, che gli chiedono: "Con quale autorità fai tu queste cose?". E Gesù non risponde a questa provocazione (Mt. 21:23-27). Risponderà più tardi raccontando una serie di tre parabole di giudizio, quella dei due figli (Mt. 21, 28-32), quella dei malvagi vignaiuoli (Mt.21,33-41) e la parabola delle nozze - il testo della nostra riflessione di oggi -, per dimostrare che Dio ha l'ultima parola su di loro, su tutto e tutti e che Lui, Gesù Cristo, ha l'autorità di giudicare coloro che rifiutano la sua autorità, il suo evangelo, la buona notizia che Lui reca dell'amore di Dio, della sua grazia e della sua misericordia.
 

"Il regno dei cieli è simile a…"
     Così iniziano molte parabole. Il regno dei cieli o il regno di Dio è simile a… "un re che fece le nozze di suo figlio", "un uomo che aveva due figli", "il seminatore che esce a seminare", "un padrone di casa, il quale sul far del giorno uscì a prendere a giornata degli uomini per lavorare la sua vigna", e tante altre. Sono tutte similitudini che ci illustrano che il regno dei cieli non è un concetto astratto o un luogo al di là della nostra realtà, ma è un progetto di vita, di attività in cui una persona, un padrone, un signore fa qualcosa, agisce, organizza, offre delle opportunità, sollecita dei comportamenti e delle risposte.
      Nella nostra parabola, Dio nella figura del re convoca un banchetto di nozze di suo Figlio e invita delle persone a partecipare alla festa nuziale. Abbiamo qui in forma allegorica la storia della salvezza dell'umanità, che è chiamata per così dire a "unirsi in matrimonio" con il Figlio del Re, Gesù Cristo, lo sposo atteso (Mt. 9,15), per realizzare quel progetto già preannunciato più volte dai profeti dell'Antico Testamento (Os. 2,16-25; Is. 54,5, ecc.) e per celebrare quella festa dove tutto è pronto, dove ogni dettaglio è stato curato, dove gli invitati possano trovare accoglienza, gioia, comunione a un banchetto con cibi succulenti e vini raffinati, secondo l'espressione messianica di Is. 25, 6.
     Tutti sono invitati gratuitamente. Non devono pagare nulla né meritare l'invito, come ci ricorda ancora il profeta Isaia: "O voi tutti che siete assetati, venite alle acque; voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate, venite comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte!" (55,1).
Purtroppo il Regno di Dio, che si manifesta come forte desiderio da parte di Dio di incontrare l'uomo e di stabilire con lui una profonda e intima relazione, trova spesso l'opposizione, l'incredulità, l'indifferenza del regno dell'uomo che, messo di fronte a una scelta, ha reazioni diverse.
 

Tre ostacoli
Vediamo, infatti, in questa parabola che gli invitati, quelli ufficiali, che rappresentano il popolo d'Israele, al primo invito dei servi (immagine dei profeti) non vanno alla festa. Non è detto nel nostro testo perché non ci vogliono andare, ma non ci vanno.
     E questo ci deve far capire che il primo ostacolo all'invito che il Signore ci rivolge è dunque la non volontà. Non basta essere invitati, sollecitati, incoraggiati, ma occorre mettere al servizio della chiamata di Dio la nostra volontà.
     E al secondo invito, gli invitati non si curano minimamente delle sollecitazioni premurose dei servi del Re (immagine degli apostoli), preferendo andare chi a curare il proprio campo, chi a pensare ai propri interessi e ai propri affari. Tutti validi motivi umanamente parlando, ma che rivelano la trascuratezza e la superficialità di quegli invitati che non hanno dato valore alla chiamata di Dio o non hanno compreso che l'invito di Dio ha una priorità sui nostri impegni più futili ed anche su quelli più validi (secondo ostacolo).
Addirittura, altri invitati prendono i servi del re, li maltrattano e li uccidono.
     È paradossale e scandaloso, ma sovente nella nostra vita quotidiana capita di vedere come atti di benevolenza non siano accolti con riconoscenza, ma siano ricambiati con indifferenza e avversione da parte di quelli a cui si fa del bene. Il terzo ostacolo, dunque, potrebbe essere la reattività aggressiva e violenta di chi nell'invito vede solo un'intrusione e un'invasione di campo, dei propri orizzonti.

La chiamata è rivolta a tutti
     Nel nostro testo l'atteggiamento di rifiuto di quei primi invitati viene liquidato con una semplice frase: "…non ne erano degni" (v. 8). Ma dinanzi al "no" dell'uomo, Dio non si ferma. Le nozze si faranno, la festa avrà luogo e la sala sarà riempita da altri commensali "buoni e cattivi" – dice Matteo -, chiamati dai crocicchi delle strade, dai bassifondi delle città, che accettano l'invito con sorpresa e con gioia. Nella parabola parallela dell'evangelista Luca gli invitati sono definiti   "poveri, ciechi e storpi" (Lc. 14,21). L'orizzonte di Dio è universale e la chiamata alla salvezza è rivolta a tutti senza restrizioni, al popolo d'Israele e a tutti i popoli della terra.
     Il Signore, nel suo disegno di salvezza, chiama tutti gli uomini e tutte le donne di ogni tempo e di ogni luogo ad accettare il dono della sua grazia e a investire energie e tempo nel Regno di Dio, servendolo con tutta la mente e con tutto il cuore in uno spirito di pace e di fraternità. Nessuno è costretto ad accettare quel dono, ma ognuno è libero di accettarlo o non accettarlo, perché la fede non è un'imposizione, ma è libera scelta, adesione volontaria, libertà di servizio.

L'"abito di nozze"
Dio invita tutti alla festa di nozze di suo Figlio e il suo desiderio è che tutti partecipino al felice banchetto. Secondo le usanze del tempo, quando si andava davanti al Re, bisognava essere presentabili, ordinati e puliti.  E dunque è pensabile che i servi del Re, dopo aver reclutato quel gran numero di invitati, li abbiano fatti ripulire, lavare, e abbiano fornito loro un “abito di nozze” che li rendeva degni di stare alla presenza del Re. 
      Quest'abito di nozze non è stato né acquistato né meritato: è il dono di Dio a tutti quelli che hanno accolto l'invito di essere alla sua presenza e hanno creduto che li avrebbe ricevuti nella sua casa. Quell'abito di nozze è figura della giustizia di Dio, la giustificazione, per mezzo della quale chi crede in Gesù Cristo ha vita eterna. Quel dono è la veste della salvezza, il mantello della giustizia di cui parla il profeta Isaia (Is. 61:10; Zac. 3:3-5).

A Dio solo appartiene il giudizio
     Il finale della parabola è sconvolgente ma anche di notevole ammaestramento. È una parabola nella parabola che secondo molti teologi è un’aggiunta di Matteo al racconto originario di Gesù.
“L’evangelista Matteo fa questa aggiunta alla parabola della festa di nozze per ricordare ai cristiani che essi non sono esenti dal giudizio che cade su quanti respingono Gesù e l’evangelo” (Douglas R.A. Hare). 
     Ci dice, infatti, che il Re e solo Lui si accorge che tra gli invitati c’è uno che non ha l’”abito di nozze” e gli dice: “Amico, come sei entrato qui senza avere un abito di nozze?” (v. 12).
Come interpretare questa domanda? Dopotutto, non era lui ad aver detto ai servi di far entrare chiunque trovassero? La risposta è che questo non è un racconto consueto, ma un’allegoria che va oltre il senso letterale. Dio e solo Dio conosce ognuno di noi, personalmente. Solo Lui "scruta le reni e i cuori" (Ap. 2:23) e a Lui solo è riservato di giudicare chi ha l'abito di nozze e chi non lo ha. Il giudizio non appartiene né ai servi né a nessuno dei commensali, ma solo al Re, a Dio.
Dio sa se ci siamo rivestiti della sua giustizia e della fede in Cristo Gesù suo Figlio, se viviamo sotto l'impulso della misericordia e della grazia divine, o se invece indossiamo l'abito della nostra autogiustificazione con cui pensiamo di poter presentare a Dio l'elenco dei nostri meriti e delle nostre opere.
     Agli Scribi e ai Farisei che pensavano di non avere bisogno di Gesù Cristo come loro Salvatore, Gesù disse: "Molti sono i chiamati e pochi gli eletti".  Sono stati chiamati a salvezza come tutti, ma la loro mancata risposta avrà come risultato la loro esclusione dal Regno di Dio.
     Queste ultime parole della parabola non hanno lo scopo di spaventarci. Esse servono piuttosto a incoraggiarci a convertirci ogni giorno per vivere una vita cristiana piena, autentica e di totale consacrazione.

                                                                                                       Aldo Palladino



Predicazione del 25 giugno 2017
Tempio valdese di C.so Vittorio Emanuele II, 23
Torino