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29 novembre 2016

EVANGELO SECONDO MATTEO 24, 1-14

Inizio del discorso profetico di Gesù

Studio esegetico/omiletico
A cura di Aldo Palladino


Il testo biblico
"1 Mentre Gesù usciva dal tempio e se ne andava, i suoi discepoli gli si avvicinarono per fargli osservare gli edifici del tempio. 2 Ma egli rispose loro: «Vedete tutte queste cose? Io vi dico in verità: Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sia diroccata».
3 Mentre egli era seduto sul monte degli Ulivi, i discepoli gli si avvicinarono in disparte, dicendo: «Dicci, quando avverranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell'età presente?»
4 Gesù rispose loro: «Guardate che nessuno vi seduca. 5 Poiché molti verranno nel mio nome, dicendo: "Io sono il Cristo". E ne sedurranno molti. 6 Voi udrete parlare di guerre e di rumori di guerre; guardate di non turbarvi, infatti bisogna che questo avvenga, ma non sarà ancora la fine. 7 Perché insorgerà nazione contro nazione e regno contro regno; ci saranno carestie e terremoti in vari luoghi; 8 ma tutto questo non sarà che principio di dolori. 9 Allora vi abbandoneranno all'oppressione e vi uccideranno e sarete odiati da tutte le genti a motivo del mio nome. 10 Allora molti si svieranno, si tradiranno e si odieranno a vicenda. 11 Molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti. 12 Poiché l'iniquità aumenterà, l'amore dei più si raffredderà. 13 Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato. 14 E questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; allora verrà la fine".

***
Introduzione
Questo brano della Scrittura è l'inizio del discorso "apocalittico" di Gesù (dal greco apokalypto, rivelare, svelare o togliere il velo, scoprire, in riferimento al disvelamento di una qualche verità nascosta soprattutto se riguardo a Dio o al suo piano per il mondo) che segue i canoni dell'"apocalittica giudaica"- genere letterario che fiorì dal 200 a.C. fino al 135 d.C. –, che per quanto "figlia della profezia" e ad essa somigliante sviluppò tratti di differenziazione che le dettero nuovo carattere e personalità propria da costituire un corpus letterario a parte.  
Matteo, che si rifà a Marco per scrivere il suo vangelo, e Marco stesso hanno preso molto materiale dalla tradizione apocalittica allora circolante in Israele. Nelle "apocalissi sinottiche" di Marco, Matteo e Luca, ci sono frasi che si ritrovano in qualunque scritto giudaico di quel tempo che trattasse della fine di tutte le cose. Nel giudaismo era diffuso il presentimento di avvenimenti messianici e c'era la consapevolezza che i tempi nuovi fossero imminenti, ma che sarebbero stati preceduti da catastrofi cosmiche  e storiche sconvolgenti descritte con una serie di immagini (Satana e i suoi angeli contro i giusti, terremoti, guerre, carestie e così via). Si può dunque supporre che non tutto quanto troviamo nel capitolo 24 provenga dalla bocca di Gesù, ma "che la comunità primitiva gli abbia attribuito parole che provenivano dalla tradizione e che siano perfino stati intercalati nel capitolo brani di un'apocalissi giudaica che andavano di mano in mano su di un foglietto volante"( Günther Dehn. Il Figlio di Dio. Claudiana Editrice. 1950).
Il discorso apocalittico di Matteo 24 e 25 adempie la stessa funzione dell'apocalittica giudaica. Parla di una serie di avvenimenti futuri che culmineranno con la venuta d Gesù in gloria, ma il suo accento ricade sull'esortazione alla fedeltà, piuttosto che sulla rivelazione di segreti celesti. Ciò viene dimostrato non soltanto dalla quantità di spazio dedicata ad alcune parabole sull'attesa vigilante, ma anche dal gran numero di imperativi disseminati in tutto il discorso.

Esegesi
Il nostro testo può essere diviso in tre parti:
-       vv. 1-2. La distruzione del tempio
-       vv. 3-8. L'inizio dei dolori
-       vv. 9-14. Le persecuzioni

vv. 1-2. La distruzione del tempio
"1 Mentre Gesù usciva dal tempio e se ne andava, i suoi discepoli gli si avvicinarono per fargli osservare gli edifici del tempio. 2 Ma egli rispose loro: «Vedete tutte queste cose? Io vi dico in verità: Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sia diroccata».
     Nel vangelo di Marco la domanda è posta da uno dei discepoli, mentre in Matteo sono i suoi discepoli a richiamare l'attenzione di Gesù sul tempio e sugli edifici circostanti. La curiosità dei discepoli si è accesa probabilmente quando Gesù nel tempio, al termine della lunga polemica con i suoi oppositori, scribi e farisei, ha detto: " Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta" (23,38), riferendosi o al tempio o a Gerusalemme o anche alla stirpe di Davide.  E in questo nostro testo Gesù rincara la dose con un'affermazione più esplicita: "Vedete tutte queste cose? Io vi dico in verità: Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sia diroccata" (24,2). La forma è identica in Marco 13,2 e sostanzialmente anche in Luca 19,44.
La questione fondamentale, dunque, almeno in questi primi due versetti, non concerne la venuta del Messia nella gloria, ma la distruzione del tempio.
Perché Gesù profetizza la distruzione del tempio?
È molto probabile che Egli volesse attaccare il centro vitale della nazione giudaica, il luogo che il popolo riteneva la sede della presenza di Dio, e forse anche mettere fine al suo compito verso quel popolo che lo ucciderà.
Predire la distruzione del tempio equivaleva dunque a esporsi alla morte. Questo era successo già al profeta Geremia, che fu minacciato di morte quando nella sua profezia sul tempio disse: "Io tratterò questa casa come Silo [distrutta da tempo] e farò che questa città serva di maledizione presso tutte le nazioni della terra" (26,6).  E predire la distruzione del tempio significava decretare la fine di un tempo e l'inizio di un nuovo tempo. D'altra parte, nel momento in cui Gesù, che si considerava il Messia, veniva respinto dal suo popolo, il tempio, come luogo della presenza della grazia di Dio, non aveva più ragione di esistere.

- vv. 3-8. L'inizio dei dolori
3 Mentre egli era seduto sul monte degli Ulivi, i discepoli gli si avvicinarono in disparte, dicendo: «Dicci, quando avverranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell'età presente?»
4 Gesù rispose loro: «Guardate che nessuno vi seduca. 5 Poiché molti verranno nel mio nome, dicendo: "Io sono il Cristo". E ne sedurranno molti. 6 Voi udrete parlare di guerre e di rumori di guerre; guardate di non turbarvi, infatti bisogna che questo avvenga, ma non sarà ancora la fine. 7 Perché insorgerà nazione contro nazione e regno contro regno; ci saranno carestie e terremoti in vari luoghi; 8 ma tutto questo non sarà che principio di dolori.

3. La conversazione prosegue sul Monte degli Ulivi, che non è un luogo qualunque ma un luogo qualificato di avvenimenti escatologici (Zaccaria 14,4 profetizza la venuta di Dio su quel monte).
Due sono le domande rivolte a Gesù dai discepoli. La prima riguarda il quando della distruzione del tempio, la seconda intende conoscere quale sarà il segno che possa permettere di riconoscere la prossimità degli avvenimenti finali.
"Venuta" nel nostro testo è indicata col termine "parousìa", che è usato nelle epistole per indicare la "seconda venuta"del Signore. Nei sinottici si trova solo in questo capitolo.
La "fine dell'età presente" è un ebraismo che troviamo solo in Matteo (13,39.40.49;28,20) e richiama Daniele 12,4.13 (tempo della fine o fine [dei tempi]).

4.5. Gesù non risponde alla prima domanda e la mia impressione è che anche alla seconda non risponda in modo esaustivo visto che degli avvenimenti menzionati parli di "principio o inizio di dolori" (v. 8). Piuttosto, egli si preoccupa di esortare i suoi discepoli a guardarsi dai falsi cristi o da presunti "liberatori" (Atti 5,36-37 riferisce di Teuda e di Giuda il Galileo; 8,9 ci parla di Simone il Mago che seduceva con le arti magiche ma che si convertì e si battezzò alla predicazione di Filippo. E Flavio Giuseppe riporta il caso di un falso Messia che volle fondare dal Monte degli Ulivi il regno messianico (Bell. 2,262).

6.7. Al male interno prodotto dai falsi cristi, si aggiunge quello esterno di guerre e rumori di guerre (cioè di guerre vicine e lontane), carestie e terremoti. Sono flagelli che Gesù enumera seguendo la traccia della tradizione apocalittica. In Apocalisse 6,4.8.12 sono elencati con lo stesso ordine. Essi sono "principio di dolori", perché pur essendo già molte le tribolazioni, bisogna aspettarsi ancora di peggio.

- vv. 9-14. Le persecuzioni
9 Allora vi abbandoneranno all'oppressione e vi uccideranno e sarete odiati da tutte le genti a motivo del mio nome. 10 Allora molti si svieranno, si tradiranno e si odieranno a vicenda. 11 Molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti. 12 Poiché l'iniquità aumenterà, l'amore dei più si raffredderà. 13 Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato. 14 E questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; allora verrà la fine".

9. Il peggio che può colpire la comunità cristiana è rappresentata dalle avversità, dalle persecuzioni, dall'odio da parte di "tutte le genti", cioè da parte di tutti i popoli, dal mondo,  perché un mondo senza pace non tollera la presenza di chi predica e intende costruire la pace. Tacito, nei suoi Annali (XV:44), chiama i cristiani "odium generis humani", l'odio del genere umano [verso la chiesa].

10-11. Ma il peggio nasce all'interno della chiesa ed è rappresentano da scandali, tradimenti, odio, falsi profeti. Rispetto a quest'ultimi, Matteo nel Sermone sul Monte (7,15-20) aveva già ammonito i suoi lettori a essere vigilanti. I falsi profeti non sono persone che "fanno predizioni sbagliate per il futuro, ma coloro che rivendicano il diritto di esercitare la conduzione della chiesa, ma la cui vita non è conforme all'insegnamento etico di Gesù (7, 21-23)"(Douglas R.A Hare). Non solo la vita, ma anche l'insegnamento.

12. A causa di questa "iniquità" (anomia), infedeltà alla legge di Dio, l'amore si raffredderà. Più di qualsiasi altro pericolo, questa è la minaccia più grave per la chiesa, che senza il servizio e la pratica dell'amore non è nulla (I Cor. 13, 2).
La comunità dei credenti è dunque messa in guardia dai rischi di fenomeni degenerativi della vita cristiana insiti nel suo seno.

13. Per arginare il degrado della chiesa e giungere alla salvezza occorre perseverare, che significa rimanere al proprio posto per contrastare ogni pericolo, sopportare la persecuzione e altre prove senza rinunziare alla fede, ma anche persistere nell'amore (I Cor. 13,7: l''amore sopporta ogni cosa).  

14.  Nonostante tutta l'ostilità e l'odio che incontra, la chiesa riuscirà a predicare "questo evangelo del Regno" a tutti i popoli  nel mondo intero. "E allora verrà la fine", afferma Matteo. In questa precisazione, sembra che Matteo voglia offrire una spiegazione teologica al ritardo del ritorno del Signore che tante persone credevano imminente: il Signore tarda perché la chiesa deve prima completare la sua missione.
Anche noi, sapendo che ogni attesa è già compiuta con Gesù Cristo crocifisso e risorto, impegniamo la nostra vita nel servizio dell'evangelo con fedeltà e costanza, testimoniando  della grazia e della misericordia di Dio.


 Spunti di riflessione per la predicazione
Occorre cogliere bene il senso del discorso di Gesù perché, mentre i discepoli sono interessati a conoscere il "quando" e il "come" dei tempi della fine, la vera preoccupazione di Gesù è incentrata sul tempo presente, sui pericoli ai quali i discepoli sarebbero andati incontro, per prepararli ad affrontare il cammino cristiano con un serio impegno, con determinazione e con speranza.
     - Un primo insegnamento che cogliamo dalle parole di Gesù, quando afferma che del tempio non sarebbe rimasta pietra su pietra, è che tutto ciò che ai nostri occhi sembra sicuro, indistruttibile, immutabile deve essere rivisto con l'ottica della precarietà. Non c'è nulla di definitivo e stabile sulla terra. Tutto è mutamento, cambiamento. La nostra vita passa. Civiltà intere sono passate. Una generazione dopo l'altra è passata. A che cosa ci aggrappiamo, dunque? Qual è il fondamento di ogni nostra speranza? Già in altra occasione, Gesù aveva detto: " Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo…perché dov'è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore" (Mt. 6:19-21). E nel nostro cap. 24 dirà: "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno" (Mt. 24:35).
Il Salmista aveva detto che la vita dell'uomo è come l'erba, che "verdeggia la mattina, la mattina essa fiorisce e verdeggia, la sera è falciata e inaridisce" (Salmo 90:5-6).
     - Un secondo insegnamento di Gesù ci mette in guardia dal potere di seduzione sempre presente nella vita dell'uomo. Siamo sedotti dal desiderio di potere, di dominio, di supremazia, o molto più semplicemente di apparire, di essere qualcuno, addirittura di presentarsi come "il Cristo" o come altri "liberatori" che attraverso le guerre hanno inteso o intendono imporre un'ideologia o addirittura "esportare la democrazia".
     - Un terzo insegnamento è che occorre essere consapevoli che il cammino del credente è sempre contrassegnato da contraddizioni e da contrapposizioni. Anche all'interno della chiesa si possono levare falsi profeti, abili seduttori di anime semplici che minano i rapporti personali con la conseguenza che l'amore viene meno.
In una situazione di degrado e di deriva, soltanto chi persevera nella fede può sopravvivere ed essere salvato.
     - Un quarto insegnamento è che come credenti dobbiamo avere la consapevolezza che la nostra vita deve essere vissuta con l'intento di lavorare per l'avanzamento del Regno di Dio qui e oggi, nutrendo nel nostro cuore un sano sentimento di attesa di incontrare il Signore. La tensione di vivere tra il già e il non ancora rimane, ma un giorno sarà superata, quando "lo vedremo com'Egli è" (1 Gv. 3:2). Teologia dell'impegno e teologia dell'attesa devono convivere e mai prevalere l'una sull'altra. Scriveva il Past. Antonio Adamo: "La Chiesa del Signore è realtà di attesa e di annuncio, in cui le promesse sono vissute come vere e ogni giorno è breve come l'ultimo e lungo come il primo. La dimensione forte dell'essere della Chiesa sono la fede, la speranza e l'amore. Non si tratta di abbandonare il mondo né di sposarne i principi, ma di vivere con intensità il presente, attendendo con intensa passione le promesse. Nel tempo dell'Avvento ci fermiamo e ascoltiamo le promesse; facciamo silenzio e lasciamo parlare il Signore. Aspettiamo continuando con impegno il nostro viaggio, certi che il Signore saprà incontrarci come e quando egli vorrà. Nell'attesa pronunciamo e facciamo qualcosa di buono, di pacifico, di risanatore. Cerchiamo di essere segno della nuova umanità in Cristo".
                                                                                       
                                    Aldo Palladino


Bibliografia
Gunther Dehn. Il Figlio di Dio. Claudiana Editrice, 1950
Douglas R. A. Hare. Matteo. Claudiana srl. 2006
Julius Schniewind. Il Vangelo secondo Matteo. Paideia Editrice.2006
David Syme Russell. L'apocalittica giudaica. Paideia Editrice. 1991


13 novembre 2016

Romani 8, 16-25 La gloriosa speranza dei figli di Dio

Romani 8, 16-25
La speranza gloriosa dei figli di Dio

Predicazione di Aldo Palladino

16 Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio. 17 Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere glorificati con lui.
18 Infatti io ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev'essere manifestata a nostro riguardo. 19 Poiché la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio; 20 perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l'ha sottoposta, 21 nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio. 22 Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; 23 non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo. 24 Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? 25 Ma se speriamo ciò che non vediamo, l'aspettiamo con a pazienza.

La domanda: "Come andrà a finire?"
Alcuni giorni fa mi è capitato tra le mani un libro degli anni novanta della Claudiana dal titolo "Quark, caos e cristianesimo", scritto da un docente di Fisica matematica all'Università di Cambridge, un certo John Polkinghorne, poi diventato un teologo anglicano. "È un libro lucido ed originale, per chi crede e chi non crede, che invita alla riflessione sul modo in cui procedono la scienza e la fede religiosa, ognuna nel proprio campo, in vista di un superamento di barriere e di schemi precostituiti, tipici del nostro tempo" (dalla presentazione del libro). Ciò che ha attirato la mia attenzione in questo libro è che l'autore nella parte finale si fa una domanda semplice ma sempre coinvolgente, una di quelle domande che ognuno di noi si è fatta chissà quante volte. La domanda è: "Come andrà a finire?". Si, "come andrà a finire", perché – egli dice – che il nostro universo, iniziato con il Big Bang, una grande esplosione iniziale, finirà con il Big Crunch, letteralmente una grande frantumazione. Tutta la materia dell'universo precipiterà in un crogiuolo cosmico e tutto finirà. Ma vorrei tranquillizzarvi. Questo non accadrà né oggi né domani, ma fra dieci miliardi di anni. Cosi dicono gli esperti.

La stessa domanda "Come andrà a finire" credo si possa intravedere anche nel testo biblico che abbiamo letto. Sono parole che l'apostolo Paolo rivolge ai credenti di Roma, a quelli del suo tempo e di tutti i tempi, annunciando che la storia della fede e della vita cristiana è segnata da una grande speranza: la vittoria finale di Dio. E questa vittoria porta con sé la manifestazione della gloria di Dio. I credenti – dice Paolo - in quanto figli di Dio sono eredi di Dio e coeredi di Cristo e dunque partecipano al destino di Cristo crocifisso e glorificato. I credenti percorrono lo stesso cammino di sofferenza di Gesù Cristo e a loro è promessa la partecipazione alla gloria di Cristo, alla gloria di Dio (16-17).
Così scriveva l'apostolo Paolo in un'altra sua lettera: "Ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro, ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte, ma allora conoscerò pienamente" (1 Cor. 13,12). E qui in un certo senso riafferma con toni escatologici (la teologia delle cose ultime) che "la sofferenza del tempo presente non è paragonabile alla gloria che dev'essere manifestata a nostro riguardo" (18).
Anche l'evangelista Giovanni si è espresso con termini simili: "Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand'egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com'egli è" (I Giov. 3,2).

Il credente tra sofferenza e fiducia in Dio
Avrete notato la contrapposizione tra "ora" e "allora". La divisione del tempo è chiara: ora la sofferenza, ma un giorno gloria, quella del mondo nuovo di Dio.
Questo è il messaggio di consolazione che Paolo rivolge ai credenti perseguitati a motivo della loro fede in Cristo e che l'evangelo indirizza ai poveri in spirito, agli afflitti, ai mansueti, ai misericordiosi, ai puri di cuore (Mt. 5,1-11), ai sofferenti per motivi di giustizia, a tutti coloro che in obbedienza a Dio hanno scelto di rifiutare ogni compromesso con il male, a chi rischia la propria vita come offerta di sacrificio per la causa della verità.
Nelle parole di Paolo c'è una certezza di fede di chi alza la testa e guarda avanti senza giocherellare con mille ipotesi e con tanti dubbi, perché crede profondamente che Dio è Dio e che i suoi disegni di salvezza e di redenzione di questa umanità non potranno essere bloccati o fermati. Ostacolati si, ma non bloccati. Anche il cammino del credente, pur contrassegnato da contraddizioni e incoerenze, potrà subire rallentamenti, momentanee battute d'arresto, ma non potrà essere fermato, perché attraverso i secoli la fede vince, perché riposta e fondata nel Signore Gesù Cristo, che con la sua risurrezione ha vinto il mondo (Giov. 16,33), le potenze del male, compresa la morte.

La creazione tra sofferenza e attesa di liberazione
Ma in questo testo l'originalità del pensiero dell'apostolo Paolo non si limita soltanto alla sofferenza nella dimensione dell'esistenza umana ma include anche la sofferenza della creazione, del creato animato e non animato.
Quali sono le cause di tale sofferenza? Le cause che rinveniamo nel testo sono due:
  1. la creazione è stata sottoposta alla vanità (v. 20);
  2. la creazione è schiava della corruzione (v. 21).
E la conseguenza è che la creazione geme ed è in travaglio (v.22).

1.     la creazione è stata sottoposta alla vanità (v. 20).
Vale a dire che essa non è eterna. Oggi è, domani non sarà più. Tutto è provvisorio, fugace, passeggero, tansitorio. Vi è in essa un senso di incompiuto, d'imperfetto, di vuoto. Le generazioni si susseguono e passano, le civiltà sorgono e tramontano, si costruisce e si demolisce; le ricchezze vengono accumulate  e alla fine si dissolvono. Il tempo passa e consuma ogni cosa.
L'Ecclesiaste, nell'Antico Testamento, dopo aver considerato i tempi, i piaceri, la vita degli uomini e del creato diceva "Vanità delle vanità, tutto è vanità" (Eccl. 1,2),
      
2.     la creazione è schiava della corruzione (v. 21).
Cioè schiava della corruzione dell'uomo che con le sue scelte nefaste e la sua brama di autonomia e di potere, che la Scrittura chiama peccato, si è sottratto alla relazione con Dio e ha trascinato il creato nel suo stesso destino. Così, l'uomo da quel momento ha dovuto procurarsi il frutto con affanno della terra e a mangiare il pane con sudore del suo volto (Gen. 3,17-19). Ed è per questo che:
3.     la creazione geme ed è in travaglio (v. 22),
espressione che ricorda la donna che soffre le doglie del parto ma che prova una gioia infinita alla nascita della sua creatura. In questa metafora sta tutta la storia umana, storia di sofferenza e di lotta alla ricerca del superamento della sua finitudine e di appagamento del desiderio di felicità che da sempre abita l'umano.
 
La creazione geme ed è in travaglio. Oggi più che mai possiamo dare un nome ai sospiri, ai gemiti e al travaglio della creazione. L'uomo negli ultimi decenni ha perpetrato ogni tipo di violenza sulla natura per trovare sostegno e vita. Ha distrutto vaste aree della terra, ha tagliato boschi e foreste, ha distrutto migliaia di specie di animali e vegetali, ha avvelenato fiumi, laghi, mari ed oceani, ha inquinato terra e aria. Nella sua follia ha strappato i raccolti dalla terra e poi li ha distrutti per mantenere alti i prezzi sul mercato, mentre milioni di persone morivano e muoiono di fame.  Ha usato pesticidi che producono malattie mortali. Ha distrutto popoli e tribù, ha creato materie pericolose. E potremmo continuare a fare un lungo elenco delle devastazioni, degli abusi, delle violenze contro natura.

Fratelli e sorelle, Il cuore dell'uomo non troverà guarigione e riposo finché non avrà ristabilito il suo giusto rapporto con Dio. Uscire dalla vanità, dalle false illusioni, liberarsi dallo spirito di onnipotenza e ricercare Dio, il grande Assente di questa società, questo è l'unico modo per ritrovare se stessi, la propria umanità e riscoprire una vita di senso.
Dio non deve essere il superfluo della nostra vita, né il passatempo che riempie il tempo libero per gente per bene e non ha nella nostra vita una funzione ornamentale e decorativa. No, Dio è Dio, creatore dei cieli e della terra, il Signore che ha autorità su tutto e su tutti, al quale dobbiamo dare lode e gloria già fin da ora.

La salvezza tra il "già" e il "non ancora"
Nel nostro testo, alla vanità e alla schiavitù della corruzione della creazione, Paolo oppone:
a)     la liberazione della creazione dalla schiavitù per entrare nella libertà dei figli di Dio (v. 22); che con altre parole significa che la natura, che segue il destino dell'uomo, aspetta di  godere della libertà donata ai figli di Dio, libertà che è la condizione per servire responsabilmente in questo mondo e per annunciare il nuovo mondo che viene.

b)    la speranza della redenzione (v. 23).

Speranza, redenzione, ci parlano dell'azione di Dio per noi. Egli non se ne sta seduto solitario su un trono altissimo al di sopra del creato, ma è presente nella creazione partecipe dei suoi timori e dei suoi gemiti. La croce innalzata sul Golgota è il segno evidente dell'intervento di Dio nella storia dell'umanità e la risurrezione di Gesù Cristo dalla tomba l'emblema di una vittoria già prefigurata e anticipo di quel Regno di pace e di giustizia oggetto della nostra speranza.
Certo, la fede non garantisce l'immunità dalla sofferenza ma ci permette di affrontare le avversità e le intemperie della vita, la malattia, le disgrazie, il lutto e la morte non più da soli ma con la solidarietà e la consolazione di Gesù Cristo, nostro Signore, Fratello e Amico di viaggio.
Per la sua opera noi credenti abbiamo "già" gustato la salvezza anche se siamo "ancora" in attesa della piena realizzazione delle promesse annunciate.
Questa attesa, Fratelli e Sorelle, non deve essere un alibi per rifugiarci nel futuro e per disinteressarci dell'oggi. L'apostolo Paolo con le sue parole non ha voluto estraniarci dal mondo, ma ci ha dato parole di speranza per il cammino operoso e paziente del tempo presente. La sua "teologia dell'attesa" non è mai astrazione dalla realtà quanto l'affermazione della sua "teologia dell'impegno" in cui noi credenti siamo chiamati ad essere responsabilmente precursori e messaggeri del Regno di Dio che viene.
Alla domanda "Come andrà a finire", noi oggi rispondiamo additando la Croce, la tomba vuota e il Cristo Risorto, che sono il fondamento di tutta la nostra vita, di quella che stiamo vivendo e di quella che ci è stata promessa. Amen.

                                                                                               Aldo Palladino



Predicazione nel Tempio valdese di Torino
C.so Vittorio Emanuele II, 23
Domenica 13 novembre 2016