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14 novembre 2015


     Ebrei 10:19-25

     Esortazione 
  alla fede,  alla speranza e alla carità

                                      Predicazione di Aldo Palladino


Il testo biblico
19 Avendo dunque, fratelli, libertà di entrare nel luogo santissimo per mezzo del sangue di Gesù, 20 per quella via nuova e vivente che egli ha inaugurata per noi attraverso la cortina, vale a dire la sua carne, 21 e avendo noi un grande sacerdote sopra la casa di Dio, 22 avviciniamoci con cuore sincero e con piena certezza di fede, avendo i cuori aspersi di quell'aspersione che li purifica da una cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. 23 Manteniamo ferma la confessione della nostra speranza, senza vacillare; perché fedele è colui che ha fatto le promesse. 24 Facciamo attenzione gli uni agli altri per incitarci all'amore e alle buone opere, 25 non abbandonando la nostra comune adunanza come alcuni sono soliti fare, ma esortandoci a vicenda; tanto più che vedete avvicinarsi il giorno.

Introduzione
Non ci si accosta frequentemente alla lettera agli Ebrei perché può apparire ai lettori un trattato di teologia complicato e difficile, per niente attinente alla nostra realtà, soprattutto quando affronta i temi riguardanti il sacerdozio dell'A.T., la figura per certi aspetti misteriosa di Melchisedec, i temi della superiorità di Cristo rispetto agli angeli e a Mosè e tutti i temi che mettono a confronto l'antico e il nuovo patto. Ma ad una lettura più paziente e attenta ci rendiamo conto che c'è un tesoro nascosto in cui troviamo le pietre preziose di una efficace cristologia.
La lettera agli Ebrei è stata definita un grande sermone, una lunga predicazione ricca d'insegnamenti che intende far eccellere la figura di Gesù Cristo al di sopra di tutto e di tutti.

Il motivo della lettera
Quale motivo ha spinto l'autore della lettera agli Ebrei a rivolgere queste parole dal tono esortativo? L'autore scrive ad un gruppo di credenti, ad una comunità giudeo-cristiana divenuta apatica, indolente e pigra rispetto alla via della salvezza, una comunità stanca. Infatti quei credenti:
·      non prestano più attenzione alla predicazione (2,1; 5,11; 6,12);  
·      rischiano di rimanere indietro (4,1);
·      trascurano le assemblee cultuali, la comune radunanza (10,25);
·  prima sapevano resistere nella sofferenza e sopportavano le persecuzioni (10,32 s.) mentre ora stanno per perdere le forze, l'entusiasmo, e stanno per cedere ad una influenza di matrice giudaizzante che li riporta sotto il giogo della legge (13,9-11).
"La causa del raffreddamento della fede va cercata per l'autore in un deficit teologico. I suoi lettori sono rimasti fermi a un livello di conoscenza insufficiente (5,11 ss.). Ciò di cui hanno bisogno è una migliore comprensione della salvezza e, quindi, del dono che è stato dato loro tramite Gesù" (¨). 
Per ridare forza e coraggio a questi credenti, era necessario, dunque, intervenire e  offrire delle soluzioni pastorali. E il Predicatore dà la sua soluzione: non invoca una migliore dinamica di gruppo o delle tecniche per la soluzione dei conflitti, né propone di modificare le strutture dell'azione missionaria o di rendere più attraente il culto, ma predica alla comunità" ([1]). Egli rimette al centro della vita della comunità la predicazione e al centro della predicazione la persona e l'opera di Gesù Cristo. Predica che Gesù Cristo è la via nuova e vivente che tutti possono percorrere, senza limitazioni e restrizioni, per andare alla presenza di Dio Padre. Predica che, per la sua morte in croce e per il sangue versato, Gesù ci ha dato la libertà di entrare nel luogo santissimo. Nell'antico patto era un luogo chiuso ermeticamente, impenetrabile, ma accessibile solo al sommo sacerdote una volta all'anno per chiedere il perdono dei peccati suoi e di quelli di tutto il popolo, ma nel nuovo patto, quando Cristo Gesù ha dato la sua vita per noi, la cortina del tempio che separava il luogo santo e il luogo santissimo è stata lacerata da cima a fondo e tutte le barriere che ci separavano da Dio sono cadute. Ora abbiamo libero accesso e piena comunione e relazione con Dio Padre. La libertà che abbiamo non è una nostra conquista, è un dono. Gesù Cristo è il vero, nostro Sommo Sacerdote, fedele e misericordioso, che ci ha riconciliati col Padre e ci ha donato la più grande di tutte le libertà, che nessuno ci può togliere e nessuno può impedire. Ora noi possiamo andare alla presenza di Dio liberamente, tutte le volte che lo vogliamo: quando ci chiudiamo nella nostra cameretta per pregare, quando siamo riuniti due o tre nel culto comunitario, quando siamo in una prigione, quando siamo in un letto d'ospedale. In qualunque posto e in qualsiasi condizione di tempo, di luogo, noi abbiamo la libertà di parlare con Dio.
Gesù dice: "Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Gv 14:6).
E l'apostolo Paolo dichiara: "Infatti, c'è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo " (1 Tim. 2:5)

Riscoprire il culto
Il testo biblico che abbiamo letto invita tutti noi, fratelli e sorelle, ad avvicinarci a Dio per offrirgli un culto per mezzo di Gesù Cristo.
Come peccatori perdonati, oggetti della sua grazia e della sua misericordia, possiamo ora svolgere il nostro culto senza pesi e sensi di colpa e con una nuova prospettiva, quella di chi è arrivato a casa dopo un lungo cammino. Ed è qui che noi sperimentiamo in anticipo, pur con le debolezze e i nostri limiti umani, l'evento escatologico della lode e della gloria eterna a Dio, e confessiamo che Gesù Cristo è il Signore alla gloria di Dio Padre" (Fil. 2: 10-11).
Qui e ora, fratelli e sorelle, noi realizziamo un piccolo pezzo di cielo.
Forse, col passare degli anni, abbiamo perso il senso spirituale del nostro culto.
Oggi prevale un razionalismo pragmatico e forme di interpretazione sociologica delle nostre attività ecclesiali per cui molte parole bibliche non hanno più un impatto sulla nostra vita spirituale, non perché esse hanno perso valore e potenza, ma perché noi ascoltiamo quelle parole con i filtri della nostra cultura secolarizzata.  
Abbiamo pertanto bisogno di considerare le esortazioni che il Predicatore rivolge alla comunità destinataria della lettera agli Ebrei come rivolte a noi per riprendere il nostro cammino sulle orme di Gesù e rivolgere a Dio una vera adorazione a cominciare dal momento del nostro culto. In che modo?
Il Predicatore nel nostro testo ci offre 5 motivi di riflessione e ci dice che dobbiamo rendere il nostro culto:
1) come comunità salda nella fede. Nella comunità che si riunisce nel nome di Gesù e in mezzo alla quale Gesù promette la sua presenza (Mt. 18:20), ci riconosciamo e ci accogliamo come fratelli e sorelle, membri del medesimo corpo e della stessa famiglia (1 Cor. 12:12-13) . Non siamo più stranieri o forestieri, relegati nel recinto esterno del Tempio, ma siamo introdotti nelle dimore interne della casa.   
2) come gente che è stata battezzata e perdonata. Nel culto andiamo appesantiti dalle nostre fragilità e dalle nostre preoccupazioni, ma lì gustiamo la grazia di Dio che cura le nostre ferite e lenisce i nostri dolori. Dio ci accoglie perché ci ha perdonati e giustificati in Cristo, della qual cosa noi rendiamo testimonianza col battesimo.  
3) con speranza. Questo significa che realizziamo il nostro culto anche come tempo di attesa che le promesse di Dio si realizzino. Oggi, in questo mondo, non le vediamo ancora realizzate, ma è vicino il giorno in cui celebreremo l'avvento del Regno di pace e di giustizia. Vivere con speranza significa attenersi a Gesù Cristo, che realizza ogni speranza, che lui stesso è la nostra speranza (1 Tim.1:19. E noi non dobbiamo dubitare, perché la realizzazione delle promesse non dipendono da noi, ma dalla fedeltà di Gesù.
4) con opere d'amore e di misericordia. Il testo dice: "Facciamo attenzione gli uni agli altri per incitarci all'amore e alle buone opere" (v. 24). Questa esortazione è fondamentale per far nascere una vera comunione nella chiesa. Giovanni ci ricorda: "Da questo abbiamo conosciuto l'amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli…Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e in verità" (1 Gv. 3:16,18). E Paolo scrive: "Sopportatevi gli uni gli altri e perdonatevi a vicenda, se uno ha di che dolersi di un altro" (Col. 3:.13)
5) con costanza. Quando il Predicatore scrive di non abbandonare la comune adunanza sapeva bene che ciò era dovuto a stanchezza o a un affievolirsi della fede o, come diremmo oggi, ad una secolarizzazione che ha fatto irruzione nella vita. Riscoprire il valore del culto come uno stare insieme alla presenza del Signore può aiutare a vivere la nostra fede con costanza e regolarità.

Fratelli e sorelle, dobbiamo ammettere che oggi le esortazioni, gli avvertimenti, i moniti, non sono più di moda e, ammettiamolo, ci danno un po' fastidio. Eppure la Bibbia è piena di sollecitazioni e di richiami di ogni tipo che sono necessari per riconsiderare la nostra vocazione, per riflettere sulla nostra testimonianza in questa società, per riscoprirci come fratelli e sorelle e per vivere la nostra vita come un culto al Signore, con la gioia e la responsabilità di chi è stato grandemente amato e perdonato. Fino alla fine dei nostri giorni siamo chiamati a vivere la nostra fede nella comunità dei credenti dove tutti insieme siamo chiamati a servire il nostro Signore e ad annunziare che il suo Regno è vicino.

                                                                               Aldo Palladino




(¨) Gerhard Barth. Il significato della morte di Gesù. Editrice Claudiana, 9/1995, pag. 211.
[1] Thomas G. Long, Ebrei – Editrice Claudiana - Torino, pag. 15