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04 novembre 2014



Expo 2015: verso una nuova umanità?

di Aldo Palladino






L'Esposizione Universale 2015 di Milano proporrà al mondo intero il tema "Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita" attraverso convegni, conferenze, mostre ed eventi il cui intento è di far crescere il livello di attenzione sull'emergenza alimentare, sui bisogni primari della popolazione mondiale e sul diritto di tutti e di ciascuno ad una alimentazione  sana, sicura e sufficiente.
Ebola permettendo, avremo la partecipazione di 21 milioni di visitatori, 144 Paesi, 3 organizzazioni internazionali, 13 organizzazioni della società civile. Una mobilitazione non indifferente di persone e risorse finanziarie che per l'Italia rappresenta una sfida a mostrare efficienza e vitalità e per tutti gli Stati partecipanti l'occasione per mettere in mostra, in questa grande vetrina, i propri progetti e i propri interventi di sostegno in campo alimentare e ambientale.
Ma per quanti sforzi siano stati finora prodotti in varie zone del mondo, c'è ancora molta strada da fare per sconfiggere la fame e la sottoalimentazione e per dare ad ogni essere umano un livello minimo di sussistenza. Expo 2015 avrà senso se saprà essere una opportunità per riflettere su questi temi, ma soprattutto se saprà essere strumento di rilancio di una coscienza collettiva che abbandoni enunciati, proclami, buone intenzioni, per diventare azione, programmi attuativi, pratica solidarietà, aiuti concreti. Certo, Expo 2015 non è un'organizzazione umanitaria e non deve né può sostituirsi ai tanti organismi che operano a livello internazionale col compito precipuo di aiutare chi muore per fame, per malnutrizione e per malattie, ma dovrà essere sede di profonda riflessione sulla necessità di nutrire tutta la popolazione mondiale, a cominciare dai più bisognosi.    
Gli scenari globali davanti ai nostri occhi (mortalità infantile, fame, siccità, carestie e pandemie) ci impongono scelte coraggiose e radicali, non rinviabili perché ci coinvolgono direttamente o indirettamente. Il nostro pianeta è un villaggio in cui i problemi di un singolo riguardano tutta la comunità. Per questo Expo 2015 può e deve segnare una linea di demarcazione tra il vecchio e il nuovo rappresentando la svolta di un modo nuovo di affrontare le crisi in atto.
L'approccio nuovo è o dovrebbe essere quello di fondare una nuova umanità, più sana e più matura, che sappia eliminare ingiustizie e disparità e riconosca il diritto di tutti ad accedere ai beni fondamentali e essenziali alla vita.
"Nutrire il pianeta" è oggi il tema dei temi che significa lotta alla povertà. Sapremo tutti capaci di raggiungere l'obiettivo "nessun povero tra noi!" o dovremo rassegnarci che ci saranno sempre dei poveri?
Gesù ai suoi discepoli disse: "Che giova all'uomo se guadagna tutto il mondo e perde l'anima sua?" (Vangelo di Marco 8,36).
La nuova umanità deve nascere sul fondamento di una nuova visione della vita, nell'ottica dell'amore per l'essere umano, per l'altro, per un nostro simile, un fondamento non più incentrato sul profitto e sull'egoismo personale, ma sulla realizzazione del bene collettivo.
È un piano ambizioso, ma credo che il Signore possa convertire il cuore dell'uomo e renderlo adatto ad ogni opera buona.

                                                                                             

03 novembre 2014


EFESINI 2: 1-10


"Restituiti alla vita"

Predicazione del Pastore Paolo Ribet





Il testo biblico
1 Dio ha vivificato anche voi, voi che eravate morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati, 2 ai quali un tempo vi abbandonaste seguendo l'andazzo di questo mondo, seguendo il principe della potenza dell'aria, di quello spirito che opera oggi negli uomini ribelli. 3 Nel numero dei quali anche noi tutti vivevamo un tempo, secondo i desideri della nostra carne, ubbidendo alle voglie della carne e dei nostri pensieri; ed eravamo per natura figli d'ira, come gli altri. 4 Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, 5 anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo (è per grazia che siete stati salvati), 6 e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesù, 7 per mostrare nei tempi futuri l'immensa ricchezza della sua grazia, mediante la bontà che egli ha avuta per noi in Cristo Gesù.
8 Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. 9 Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti; 10 infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo. (Versione Riveduta)



                        ***

1.- Anche se abbiamo celebrato in questa chiesa domenica scorsa la Domenica della Riforma con un bel culto che ha visto raccolte in questo tempio le rappresentanze di tutte le chiese evangeliche "storiche" di Torino – e anche diversi cattolici - mi sembra utile riprendere la riflessione.
Se devo, infatti, definire quale sia stato il centro della predicazione della Riforma non ho difficoltà ad affermare che questo sia stato l'Evangelo della grazia di Dio, così come è riassunto nei versetti che abbiamo letto della Lettera agli Efesini: «2:8 Ricordate, è per grazia di Dio che siete stati salvati, per mezzo della fede. La salvezza non viene da voi ma è dono di Dio; 9 non è il risultato dei vostri sforzi. Dunque nessuno può vantarsene, 10 perché è Dio che ci ha fatti. Egli ci ha creati e uniti a Gesù Cristo, per farci compiere nella vita quelle opere buone che egli ha preparato fin dal principio» (TILC).
Va notato che queste affermazioni che nel XVI secolo apparvero come rivoluzionarie e scatenarono la polemica producendo la divisione della Chiesa, oggi paiono essere tranquillamente accolte da tutte le chiese cristiane, in quanto tutte affermano di essere radicate su questo principio, anche se io temo che in realtà siano spesso fraintese o rifiutate nei fatti e nella loro radicalità.

2.- Ma, per comprendere a fondo la situazione nella quale ci troviamo, è necessario riprendere un momento i dati della storia. Ho parlato di una rivoluzione, ma quando Lutero, il 31 ottobre 1517, affisse le sue famose 95 tesi alla porta della chiesa del castello di Wittenberg non aveva la sensazione di compiere un atto sconvolgente, né tanto meno di fondare una nuova chiesa. Egli voleva prendere posizione contro un aspetto vergognoso della vita della chiesa del suo tempo: la venerazione delle reliquie e il traffico delle indulgenze. In seguito, i suoi avversari dissero che si trattava solo di una bega fra monaci e che il principe di Sassonia, Federico il Saggio, avrebbe favorito la Riforma per impadronirsi dei beni ecclesiastici – che erano notevoli. Ebbene, sono false sia la prima accusa che la seconda. 
Forse non tutti sanno che Federico il Saggio era un collezionista di reliquie: ne aveva 17.443 che permettevano di "lucrare", come si diceva, uno sconto di 127.799 anni e 116 giorni sulla permanenza delle anime in purgatorio. Tra le reliquie vi era della paglia del presepe, il latte di Maria e vi erano anche dei bambini vittime della strage degli innocenti. Il pellegrinaggio dei fedeli presso le reliquie il giorno di Ognissanti era per la città di Wittenberg una fonte di guadagno non indifferente. Quindi, il Principe non "ci guadagnava", ma "ci perdeva" a sostenere Lutero nella sua predicazione.
Per comprendere meglio, possiamo fare un parallelo con la Torino di oggi, dove gli ambienti dell'amministrazione comunale sono visibilmente contrariati per ogni intervento che si opponga all'ostensione della Sindone, anche se si sa che questo è un falso medievale – perché ad ogni ostensione vengono milioni di visitatori!

3.- Ma soprattutto non si può affermare che l'evangelo della grazia fosse una bega fra monaci. Lutero, nei suoi 40 anni predicazione e di insegnamento, ha sempre posto come fulcro del suo pensiero e della sua fede la centralità di Cristo e la gratuità della salvezza donata da Dio. Queste affermazioni che, dette così, sembrano pura astrazione erano invece dinamite posta alle fondamenta del mondo medievale, in quanto rendono vane non solo le dottrine sul purgatorio e sulle indulgenze, ma anche quelle sulla chiesa come amministratrice della salvezza e veicolo della grazia che ancora oggi sono (soprattutto l'ultima) la base del pensiero ecclesiologico cattolico romano. Altro che bega fra monaci: anche se Lutero non ne aveva ancora la chiara percezione, era il mondo intero che veniva rovesciato!
  
4.- Se per il tempo dei Riformatori, affermare la centralità della grazia di Dio voleva dire compiere una rivoluzione, che cosa significa per noi oggi affermare che siamo salvati "per grazia" da Dio (tanto più che, come abbiamo ricordato, tutte le Chiese sembrano allinearsi su questa posizione – ricordo la dichiarazione comune delle chiese luterana e cattolica sulla giustificazione per fede firmata nel 1999)? Significa soltanto riprendere polemiche vecchie, che non parlano più a nessuno? Io non lo credo – anzi, credo che riprendere questo tema ci aiuti non poco a rendere la nostra testimonianza oggi.
a) Noi possiamo dire che Dio ci guarda attraverso Gesù Cristo e, per amore, "ci pone in una giusta relazione con sé" (come traduce la TILC) – e lo fa senza pretendere nulla da noi. Lo fa "a prescindere", come direbbe Totò. Paolo, scrivendo ai Galati, lo sostiene in modo chiaro: se siamo salvati per la nostra obbedienza alla legge, Cristo è morto per niente. Lutero, con una delle sue definizioni fulminanti, disse che se poniamo la fiducia sulle nostre opere di pietà, significa che "non ci fidiamo di Dio".
b) Ciò significa che tutto ciò che era necessario per la nostra salvezza, per il nostro corretto rapporto con Dio, è già stato compiuto in Cristo e pertanto non esistono strutture umane (ideologie o chiese) che gestiscono o garantiscono la salvezza e che impongono ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Il credente dunque è libero e responsabile.

5.- "Troppo facile"? Questa è l'obiezione che è sempre stata fatta, che cioè una simile dottrina apre la porta al relativismo morale e, di fatto, all'immoralità. Lutero risponde a coloro che vogliono a tutti i costi una legge (e che "non si fidano di Dio") che il credente è "semper peccator, semper penitens, semper iustus". Semper penitens non significa che il credente si debba fustigare in continuazione, ma che non deve fidarsi di se stesso, bensì porsi sempre in questione per cercare di vivere coerentemente, senza preoccuparsi della sua salvezza, perché questa gli è già donata.
Quella tracciata da Paolo e riproposta da Lutero non è la via "troppo facile", ma al contrario è molto impegnativa e richiede nei credenti uno sforzo di maturità non indifferente. Sempre Lutero scrive: "Proficere est nihil aliud, nisi semper incipere", progredire non è altro che cominciare sempre di nuovo. Ciò significa rimettersi continuamente in gioco e cercare, in una sempre rinnovata fedeltà alla Parola, la via da seguire nell'oggi in cui siamo chiamati a testimoniare.
L'epistola agli Efesini dice che noi siamo "vivificati" (cioè "restituiti alla vita") e "risuscitati con Cristo" . Ciò non vuol dire che viviamo sulle nuvole, ma che già ora possiamo guardare al di là dell'orizzonte della nostra storia e vivere della promessa di Dio. E nel fare questo noi vogliamo "fidarci di Dio" (per usare l'espressione di Lutero), mettendo in questione le nostre vite e le nostre convinzioni. Questa è l'etica del protestante: la risposta alla grazia di Dio, un inno all'amore ricevuto e una revisione continua e severa del proprio essere.
Termino con un esempio che mi pare estremamente chiarificatore: il teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer, per la sua fedeltà a Dio, partecipando al complotto per uccidere Hitler andò decisamente contro tutta la tradizione luterana di fedeltà allo Stato, inteso come "espressione della volontà di Dio per il governo del mondo", secondo la definizione di Paolo in Romani 13. Con quell'atto, io dico, ha saputo mettere in gioco non solo la sua vita, ma anche la sua salvezza eterna in quanto si poneva contro la predicazione secolare della sua chiesa e contro il dettato di Romani 13. 
"Fare ciò che è giusto" fidandosi di Dio, può anche voler dire andare contro i propri principi
 e una tradizione secolare. Anche in questo caso, "progredire significa cominciare sempre di nuovo", affidandosi alla grazia di Dio che è più grande del nostro giudizio, per la costruzione di un mondo migliore e per amore dell'umanità.


                                                                                         Paolo Ribet


Domenica 2 novembre 2014
Tempio Valdese - C.so Vittorio Emanuele II, 23 Torino