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21 gennaio 2014

DOMANDA & RISPOSTA

                     LO SPIRITO SANTO 
                               E 
         LA NOSTRA CONFUSIONE

La domanda
Dopo aver frequentato la chiesa per moltissimi anni ho scoperto di sapere poco sullo Spirito Santo. Ho cominciato così a leggere varie cose e la mia confusione invece di diminuire è aumentata. Ho sempre pensato che il dono dello Spirito Santo si ricevesse nel momento in cui si giungesse a credere in Cristo in quanto la fede è un dono dello Spirito di Dio, così come la consapevolezza di riconoscere il proprio peccato. Ma ascoltando altri credenti vengo a sapere che non c'è consenso sul momento in cui il dono dello Spirito è dato. La domanda è la seguente: quando si riceve il dono dello Spirito Santo e qual è il segno che lo accompagna?
Un lettore del Settimanale Riforma del 30 luglio 2010, nella rubrica Dialoghi con Paolo Ricca

Risposta del teologo Paolo Ricca
Questa lettera è un campanello d'allarme. Qui c'è un cristiano che, stando a quello che ci dice, dopo aver frequentato la chiesa «per moltissimi anni» (non precisa però quale chiesa: quella cattolica? Una chiesa evangelica? Ma quale?), scopre di «sapere poco» sullo Spirito Santo. Non dice come lo ha scoperto; sarebbe interessante saperlo; comunque lo ha scoperto. Molti non lo scoprono mai, perché non si pongono mai la domanda: «Che cosa so dello Spirito Santo?». Se la ponessero, scoprirebbero forse che anche loro «sanno poco» dello Spirito Santo – questo grande Sconosciuto. In verità sappiamo tutti poco dello Spirito Santo e rassomigliamo un po' a quei dodici discepoli di Efeso che, alla domanda: «Riceveste voi lo Spirito Santo quando credeste?», risposero candidamente:«Non abbiamo neppure sentito dire che ci sia lo Spirito Santo» (Atti 19,2). Noi non siamo così indietro: sappiamo qualcosa sullo Spirito, leggiamo nella Bibbia tante cose su di Lui, celebriamo ogni anno Pentecoste, confessiamo lo Spirito come Dio nel Credo, ma forse si tratta spesso di una conoscenza astratta, teorica, più un sapere che un vivere. E non è neppure un sapere concorde,come ha potuto constatare il nostro lettore. Già 18 secoli fa Origene, luminare della scuola di Alessandria d'Egitto, lamentava l'incertezza della dottrina ecclesiastica sulla Spirito Santo. E il prof. Vittorio Subilia, della Facoltà valdese di Teologia, osservava a sua volta, giusto cinquant'anni fa, che quella incertezza «è lungi dall'essere superata».
Ma non si tratta solo di incertezza nella dottrina; si tratta forse più ancora di un deficit di esperienza dello Spirito. Forse è questa la vera ragione per cui abbiamo l'impressione di «sapere poco» dello Spirito Santo: perché non occupa un posto centrale nella nostra esperienza di fede. Perché ho detto che questa lettera è un campanello d'allarme? Perché temo che non sia solo il nostro lettore, e altri con lui, a «saper poco» dello Spirito Santo, ma che ne sappia poco la Chiesa nel suo insieme. Ed è proprio perché la Chiesa stessa ne sa poco, che non è stata in grado, neppure in «moltissimi anni», di trasmettere al nostro lettore né una conoscenza organica né, soprattutto,una viva esperienza dello Spirito Santo. E sono in molti a pensare che la nascita e la rapida diffusione mondiale, in poco più di un secolo, del movimento pentecostale sia una sorta di rivincita dello Spirito, la cui funzione,realtà e potenza è stata troppo a lungo trascurata dal cristianesimo storico in tutte le sue espressioni. Non pretendo, per parte mia, di sapere sullo Spirito Santo molto di più del «poco» che ne sa il nostro lettore. Cercherò comunque di rispondere alle sue domande, che in sostanza sono tre:
1) Che cos'è, o meglio chi è lo Spirito Santo? 
2) Quando lo si riceve?
3) Quale segno accompagna la sua venuta?

1. Chi è lo Spirito Santo? La risposta non è difficile: è Dio. Per questo è molto inquietante che qualcuno (cristiano o Chiesa) «sappia poco» dello Spirito Santo, perché sapere poco dello Spirito Santo significa sapere poco di Dio. Ma è possibile che un cristiano o la Chiesa stessa sappiano poco di Dio? Sì, è possibile. Le autorità religiose che hanno condannato a morte Gesù e che erano a capo di quella che possiamo considerare la Chiesa del tempo, sapevano poco di Dio. È accaduto tante volte anche dopo e può accadere sempre di nuovo. Come un corpo può essere senz'anima, un otre senza vino, un portamonete senza soldi, una lettera senza spirito, un fodero senza coltello (sono immagini di Lutero), così un cristiano e una Chiesa possono essere senza Spirito. Dunque, lo Spirito Santo è Dio.
Ma Dio in che modo? Dio come? È Dio dentro di noi. Il Padre è Dio sopra di noi, il Figlio è Dio con noi e per noi, lo Spirito è Dio dentro di noi. «Non sapete voi che siete il tempio di Dio, e che lo Spirito abita dentro di voi?» (I Corinzi 3,16). «Spirito Santo vuol dire che Dio non si accontenta di essere sopra noi come Signore, e con noi e per noi come Salvatore; vuole essere anche dentro di noi come Maestro interiore e Guida della nostra vita. Lo Spirito viene da fuori, ma non resta fuori, entra dentro; non viene da dentro, ma entra dentro. Questo è certamente meraviglioso: Dio, tanto grande che «i cieli e i cieli dei cieli non lo possono contenere» (I Re 8,27), si fa tanto piccolo da poter essere ospitato dentro una singola creatura; egli, che è il nostro tempio nel quale «viviamo, ci muoviamo e siamo» (Atti 17, 28), fa di ciascuno di noi il suo tempio nel quale si degna stabilire la sua dimora, come dice Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l'amerà, e noi verremo a lui e dimoreremo presso di lui» (Giovanni 14,23). Non si tratta di una visita fugace, ma di una dimora stabile. Ecco dunque in poche battute essenziali che cosa diciamo quando diciamo «Spirito Santo»: diciamo Dio che viene dentro l'uomo per starci.

2. Come lo si riceve? Non si sa. Per quanto invocato e atteso possa essere, nulla e nessuno possono obbligarlo a venire, né, una volta venuto, incamerarlo e tenerlo al guinzaglio. Non a caso nella Bibbia lo Spirito è spesso paragonato al vento (in greco la stessa parola «pnéuma» vuol dire sia «Spirito» sia «vento»). «Il vento soffia dove vuole e tu ne odi la voce, ma non sai da dove viene né dove va» (Giovanni 3,8), perché è libero, non lo puoi controllare, né te ne puoi appropriare: viene come dono e come grazia, senza mai diventare proprietà – tanto meno proprietà esclusiva – del cristiano o della Chiesa. Come nessuno è proprietario del vento, così nessuno lo è dello Spirito. Se il vento vuol dire libertà, il vento come metafora dello Spirito vuol dire che lo Spirito è Dio in libertà. Lo è tanto che dove arriva lo Spirito arriva la libertà, come dice l'apostolo Paolo: «Dove è lo Spirito del Signore, ivi è libertà» (II Corinzi 3,18).
Proprio per questo non si può dire quando si riceve lo Spirito. Gesù lo aveva promesso ai discepoli più volte e in molti modi, senza però precisare quando sarebbe accaduto. Il nostro lettore pensa che lo Spirito venga quando «si giunge a credere in Cristo». Io direi che quando si giunge alla fede, lo Spirito ha già lavorato a lungo, segretamente,nell'intimo della persona, per portarla alla fede. Lo Spirito viene non con la fede, ma prima della fede, affinché la fede venga. Quando ancora non crediamo, lo Spirito è già all'opera dentro di noi, a nostra insaputa. Le vie dello Spirito sono tante e misteriose, nella Chiesa e fuori, nei credenti e nei non credenti. Questa è la libertà di Dio, la grande, meravigliosa libertà di Dio. Credere nello Spirito significa credere in questa libertà, amarla, lodarla e viverci il più possibile dentro.

3. Quale segno accompagna la venuta dello Spirito? Il nostro lettore parla di«segno» al singolare, come se ce ne fosse uno solo, ma a me pare che una caratteristica dello Spirito sia proprio di produrre molti «segni», che manifestano la sua presenza. Già a Pentecoste non ci fu solo il segno del «vento impetuoso che soffia», ma anche quello del fuoco: le «lingue come di fuoco» (Atti 2,3) che si posarono su ciascuno dei presenti. Il libro degli Atti indica ripetutamente il «parlare in lingue» come primo segno della venuta dello Spirito, anche se poi l'apostolo Paolo, che pure sapeva «parlare in lingue», dirà di preferire la profezia, cioè la predicazione alla glossolalìa, cioè il «parlare in lingue», perché «chi parla in altre lingue edifica se stesso, ma chi profetizza edifica l'assemblea» (I Corinzi 14,4). Perciò quando l'apostolo stende un elenco sommario (e solo indicativo) delle varie «manifestazioni» dello Spirito, che sono appunto i segni della sua presenza e azione, mette la glossolalìa all'ultimo posto (I Corinzi 12,10), pur annoverandola tra gli autentici segni dello Spirito. Ma, ripeto, i segni sono tanti, sia sul piano dei«carismi», cioè dei doni dello Spirito, sia sul piano del «frutto dello Spirito» illustrato, a esempio, in Galati 5,22.
Se ora dovessi dire quali sono, secondo me, i segni maggiori della presenza e dell'azione dello Spirito, indicherei questi cinque.
[a] Il primo è senza dubbio la confessione di fede in Cristo:«Nessuno può dire: Gesù è il Signore! Se non per lo Spirito Santo» (I Corinzi12,3). Quindi la fede è, sì, segno dello Spirito, ma non la fede che uno si tiene per sé, ma quella che uno confessa pubblicamente. Il segno dello Spirito è confessare Cristo davanti agli uomini.
[b] Il secondo segno è la coscienza filiale rispetto a Dio, perché lo Spirito «attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio» (Romani 8,16). Il nostro spirito ci attesta che siamo figli dei nostri genitori, o di una storia, o del nostro tempo, o del caso, o di nessuno. Lo Spirito Santo ci attesta che siamo figli di Dio. E come tali godiamo della «gloriosa libertà dei figli di Dio» (Romani 8,21). Abbiamo detto che lo Spirito è Dio in libertà. Possiamo dire che è altrettanto l'uomo in libertà.
[c] Il terzo segno (ma potrebbe anche essere il secondo, e persino il primo) è l'amore, perché la libertà figlia dello Spirito è in primo luogo la libertà di amare. Dove c'è amore, «il vento soffia».
[d] Il quarto segno è quello che il Nuovo Testamento chiama «santità» o «santificazione». Difatti lo Spirito è chiamato «Spirito di santità» (Romani1,4) e il cristiano è chiamato alla salvezza «mediante la santificazione nello Spirito» (II Tessalonicesi 2,13). La grande opera dello Spirito nella vita del credente è di immettervi le energie della risurrezione e della vita nuova, affinché qualche cosa della novità di Cristo veda la luce in questo mondo, qui ed ora.
[e] Infine, lo Spirito è, nel Nuovo Testamento, il «segno della fine» di tutte le cose. Il giorno di pentecoste l'apostolo Pietro citò il passo di Gioele, aggiungendovi le parole «negli ultimi giorni» (Atti 2, 17), che nel passo di Gioele non ci sono. Entrare nel mondo dello Spirito significa sapere non tanto «che tempo fa» quanto «in che tempo viviamo» e adeguare a questo tempo finale il nostro agire, comportandoci «non da stolti, ma da savi» (Efesini 5, 15).

                                                                            Paolo Ricca*

* Già Professore di Storia della Chiesa alla Facoltà Valdese di Teologia di Roma

Tratto dalla rubrica Dialoghi con Paolo Ricca del settimanale Riforma del 30 luglio 2010


12 gennaio 2014





Lo Spirito Santo soffia dove vuole
(Num. 11: 26-30)


Predicazione di Aldo Palladino



 

Il testo biblico
26 Intanto, due uomini, l'uno chiamato Eldad e l'altro Medad, erano rimasti nell'accampamento, e lo Spirito si posò su di loro; erano fra i settanta, ma non erano usciti per andare alla tenda; e profetizzarono nel campo. 27 Un giovane corse a riferire la cosa a Mosè, e disse: «Eldad e Medad profetizzano nel campo». 28 Allora Giosuè, figlio di Nun, servo di Mosè fin dalla sua giovinezza, prese a dire: «Mosè, signor mio, non glielo permettere!» 29 Ma Mosè gli rispose: «Sei geloso per me? Oh, fossero pur tutti profeti nel popolo del Signore, e volesse il Signore mettere su di loro il suo Spirito!» 30 E Mosè si ritirò nell'accampamento, insieme con gli anziani d'Israele.

***
Qualcuno potrebbe chiedersi che senso ha raccontare oggi questo episodio capitato nell'accampamento del popolo d'Israele nel deserto. Per scoprirlo, dobbiamo ricordare che quello che abbiamo letto è l'epilogo, la conclusione, la soluzione che Dio dà quando molti cominciano a mormorare e a protestare. Il testo ci rimanda alla storia dei lamenti del popolo che s'era stufato della manna e rivendicava le pignatte di carne dell'Egitto e non solo, perché diceva: "Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto a volontà, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell'aglio" (11: 5). E lo stesso testo ci ricorda anche del lamento di Mosé verso l'Eterno per il gran peso che gli era stato messo addosso (11:11). Siamo in una situazione difficile che l'Eterno risolve in un modo saggio e innovativo: non uno solo porterà il peso del popolo. Ecco la novità:  da questo momento non vi sarà più una direzione monarchica dello stanco Mosè; egli sarà affiancato da 70 uomini, che lo aiuteranno nell'opera di guida e di comando. Devono essere uomini su cui Dio riverserà lo Spirito Santo perché siano all'altezza del compito finora affidato a Mosè. Così, nella tenda di convegno, Mosè porta i prescelti e lì essi ricevono lo Spirito Santo.
La ricchezza dei ministeri porterà all'assegnazione e alla divisione dei compiti per un più efficace governo del popolo.
Ma la particolarità di questo episodio sta nel fatto che lo Spirito scende anche su due dei 70 uomini, Eldad e Medad, che non sono nella tenda di convegno, ma sono nell'accampamento e profetizzano (non si conoscono i motivi per cui non siano nella tenda). Un giovane porta la notizia di quanto è avvenuto e Giosuè interviene su Mosè per chiedergli di non permettere a questi due giovani di profetizzare (vv. 26-28). E Mosè, da uomo di Dio, deve correggere l'imputo impulsivo di Giosuè mostrando un'apertura spirituale che è secondo la volontà di Dio: "Sei geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore!" (29).
Il comportamento di Giosuè, quand'anche sia un uomo fedele e consacrato, rappresenta qui quei credenti che vorrebbero tenere per sé i doni che l'Eterno elargisce a chi vuole. Nella Scrittura, non è l'unico a comportarsi in tal modo.
Nella parabola del figliuol prodigo (Lc. 15: 11-32), il figlio maggiore pensa pensa di aver lui diritto alla grazia del Padre ed è geloso della misericordia manifestata dal suo Padre verso suo fratello.
Nella parabola del buon samaritano (Luca 10: 25-37), i religiosi passano davanti al ferito e non si fermano perché pensano solo a se stessi e credono di essere i soli degni del Signore, mentre un samaritano si prende cura di quell'uomo e agisce con amore.
Nella chiesa di Corinto, in cui c'è abbondanza di doni dello Spirito, alcuni pensano di avere una specie di monopolio della grazia e disprezzano gli altri. L'apostolo Paolo dovrà insegnare che i doni sono doni del Signore, che è libero di agire dove e come vuole. Nessuno può tenere per sé i doni del Signore, perché essi sono dati per il bene comune, come scrive Paolo: "Vi è diversità di carismi, ma vi è un medesimo Spirito. Vi è diversità di ministeri, ma non v'è che un medesimo Signore…Ora a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per il bene comune" (1 Cor. 12: 4-7).
C'è anche l'episodio di quel tale che scaccia i demoni nel nome di Gesù, al quale i discepoli vietano di operare perché non fa parte del loro gruppo (Luca 9: 49). Proprio come Giosuè che aveva chiesto a Mosè di vietare a Medad e Eldad di profetizzare.
Dobbiamo dunque stare attenti che questa mentalità o questo modo di agire non ci contagino. Nella cristianità, ancora oggi, c'è chi crede di avere il monopolio esclusivo del possesso dello Spirito Santo, di avere dei doni più degli altri e migliori degli altri,  se non addirittura la verità più vera di quella degli altri, che spesso generano delle rivalità interconfessionali o addirittura delle rivalità interpersonali quando il contrasto è tra fratelli della stessa comunità che si pongono veti l'un l'altro.
Certo, nella chiesa bisogna ben riconoscere doni ricevuti dal Signore e affidare il ministero a persone consacrate e ripiene dello Spirito Santo, perché la confusione non deve essere considerata una libertà dello Spirito, come è avvenuto nel corso della storia, ma bisogna essere attenti a saper cogliere l'azione dello Spirito e a non aver paura delle novità che il Signore ci mette davanti.
Per questo dobbiamo saper accogliere l'esclamazione di Mosè a Giosuè: "Fossero pur tutti profeti nel popolo dell'Eterno e volesse l'Eterno mettere su loro il suo Spirito!".
Mosè avrà la conferma di questa sua visione del popolo di Dio nei profeti e nella Pentecoste.  L'Eterno chiamerà il profeta Amos, un mandriano. Chiamerà Geremia, un figlio di sacerdote, e  chiamerà anche un diplomatico come Isaia.
Geremia profetizzerà la visione di un popolo al quale non sarà data soltanto la legge in precetti, scritta sulla pietra, ma la legge dello Spirito scritta nei cuori, finché giunga il giorno nel quale "tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice l'Eterno" (Ger. 31: 34).
La Pentecoste cristiana, infine, confermerà la speranza dello Spirito sparso su ogni carne. La Chiesa è il popolo di Dio che Dio ha promesso come voce profetica in questo mondo. E noi credenti dobbiamo essere all'altezza di questo compito che ci è stato affidato per annunciare che Cristo è il Salvatore del mondo, è colui che inaugura il Regno di pace, di giustizia, di verità, di amore.
Ma ritorniamo alla domanda iniziale, cioè se ha senso parlare ancora oggi dell'episodio dello Spirito Santo nell'accampamento di Israele.
La mia risposta non non può che essere affermativa, perché sono convinto che le cause della crisi che stiamo vivendo oggi non sono solo economiche, finanziarie, o dovute alla globalizzazione e all'euro, o ai disegni di poteri forti che sognano il dominio del mondo. La crisi ha profonde radici spirituali, perché l'uomo ha abbandonato Dio e di conseguenza nel suo orizzonte di vita  non c'è più alcun senso di giustizia, di solidarietà, di condivisione, di accoglienza, di amore per il prossimo. L'individualismo esasperato ha preso il posto del concetto di comunità.
Occorre, dunque, che la Chiesa sia la voce profetica che torni a richiamare l'uomo alla conversione e all'ubbidienza al Signore, perché lo Spirito Santo possa soffiare potentemente su tutti.

                                                                                            Aldo Palladino

Predicazione nella Chiesa Cristiana Evangelica
C.so Gramsci 24 - Torre Pellice 
Domenica, 12/1/2014

09 gennaio 2014


 
GLI OCCHI FISSI SU GESÙ
(Luca 4:20)

Breve riflessione di Aldo Palladino


Testo e contesto biblico
Gesù Cristo in Galilea
(Mt 4:12, 17; Mr 1:14-15) Gv 4
14 Gesù, nella potenza dello Spirito, se ne tornò in Galilea; e la sua fama si sparse per tutta la regione. 15 E insegnava nelle loro sinagoghe, glorificato da tutti.
Gesù nella sinagoga di Nazaret
Is 61:1-3; Mr 6:1-6; Gv 1:11; Lu 19:42
16 Si recò a Nazaret, dov'era stato allevato e, com'era solito, entrò in giorno di sabato nella sinagoga. Alzatosi per leggere, 17 gli fu dato il libro del profeta Isaia. Aperto il libro, trovò quel passo dov'era scritto:
18 «Lo Spirito del Signore è sopra di me,
perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri;
mi ha mandato per annunciare la liberazione ai prigionieri
e il ricupero della vista ai ciechi;
per rimettere in libertà gli oppressi,
19 per proclamare l'anno accettevole del Signore».
20 Poi, chiuso il libro e resolo all'inserviente, si mise a sedere; e gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui.
***

Come vivere nell'anno nuovo che è appena iniziato? Certamente faremo tutto il possibile per cercare di superare le difficoltà che di volta in volta si presenteranno. Forse rivolgeremo gli occhi qui e là per scrutare se nell'orizzonte politico o economico ci sia un personaggio che risolva i nostri problemi e accenda delle speranze per un futuro migliore. Forse guarderemo a caso dove ci capita  vivendo alla giornata e lasciandoci dominare dagli eventi. Forse proveremo a guardare progetti e  iniziative che possano essere l'occasione per uscire da situazioni di stallo, di disoccupazione, di precarietà, se non di povertà. Insomma, i nostri occhi scrutano la realtà col desiderio di trovare la soluzione più adatta a noi, alla nostra famiglia, ai nostri figli.

Nella piccola sinagoga di Nazaret, dopo che Gesù ha letto le parole del profeta Isaia, tutti i presenti hanno gli occhi fissi su Gesù. Anche noi dobbiamo tenere gli occhi fissi su Gesù perché è lui il nostro punto di riferimento che orienta la nostra vita. Perché la fede in Cristo ha delle implicazioni spirituali che si riflettono sulla nostra condotta personale, su una trasformazione delle mente e del cuore, su un nuovo stile di vita. Gesù è la bussola della nostra vita.
Egli ci chiama a seguirlo: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo" (Mt. 11:28). E ci aiuta a imparare il rapporto con gli eventi della vita: "Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?" (Mt. 6: 25).
Dobbiamo ancora imparare a sollevare lo sguardo al di sopra delle nostre difficoltà, per cercare sostegno e liberazione in Cristo Gesù. La vittoria di Cristo ha reso vittoriosa la nostra fede (I Gv. 5: 4), che noi esprimiamo tenendo gli occhi fissi su di lui.
Certo, non dobbiamo allentare la nostra attenzione sui nostri doveri e sulle nostre responsabilità, che dobbiamo assolvere e assumerci anche quest'anno, ma avere gli occhi su Gesù ci aiuta a farlo con la libertà interiore, come figli di Dio e non come schiavi, perché il Signore è la profonda ragion d'essere di ogni nostro comportamento di grazia e di misericordia in ogni tipo di relazione.
La crisi che oggi viviamo, che gli esperti addebitano all'economia, alla finanza, alla globalizzazione, all'euro o alle cause più disparate, hanno di fatto una radice di ordine spirituale. L'uomo ha perso il contatto con il suo Creatore e di conseguenza ha sminuito il valore del prossimo, oltre che di se stesso. Ha la parvenza di una pietà religiosa, ma ha estromesso la vita di Dio dal proprio orizzonte per dare spazio alla più sfrenata materialità per il solo interesse personale. Se così continuano le cose, la crisi sarà duratura e senza soluzioni. L'uomo deve ritrovare la sua umanità alzando i suo occhi, distoglierli da se stesso e fissarli su Gesù Cristo, che è la guida, l'esempio da seguire, l'ispiratore della vera vita, di valori profondi e di ogni cambiamento all'insegna della solidarietà, della condivisione, dell'amore degli uni per gli altri.
Il Signore soltanto può cambiare il nostro cuore e la nostra mente. E solo dopo la nostra conversione, la società potrà cambiare.
Dunque, fissiamo i nostri occhi su Gesù Cristo lungo tutto quest'anno nuovo! Le benedizioni non mancheranno.

                                                                               Aldo Palladino