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22 settembre 2013

LUCA 16, 1-15
L'ELOGIO DI UN MASCALZONE
ovvero
 LA PARABOLA DELL'AMMINISTRATORE INFEDELE
           
di Carlo Miglietta
Il testo biblico
1 Gesù diceva ancora ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un fattore, il quale fu accusato davanti a lui di sperperare i suoi beni. 2 Egli lo chiamò e gli disse: "Che cos'è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché tu non puoi più essere mio fattore". 3 Il fattore disse fra sé: "Che farò, ora che il padrone mi toglie l'amministrazione? Di zappare non sono capace; di mendicare mi vergogno. 4 So quello che farò, perché qualcuno mi riceva in casa sua quando dovrò lasciare l'amministrazione". 5 Fece venire uno per uno i debitori del suo padrone, e disse al primo: "Quanto devi al mio padrone?" 6 Quello rispose: "Cento bati d'olio". Egli disse: "Prendi la tua scritta, siedi, e scrivi presto: cinquanta". 7 Poi disse a un altro: "E tu, quanto devi?" Quello rispose: "Cento cori di grano". Egli disse: "Prendi la tua scritta, e scrivi: ottanta". 8 E il padrone lodò il fattore disonesto perché aveva agito con avvedutezza; poiché i figli di questo mondo, nelle relazioni con quelli della loro generazione, sono più avveduti dei figli della luce.
9 E io vi dico: fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste; perché quando esse verranno a mancare, quelli vi ricevano nelle dimore eterne. 10 Chi è fedele nelle cose minime, è fedele anche nelle grandi; e chi è ingiusto nelle cose minime, è ingiusto anche nelle grandi. 11 Se dunque non siete stati fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi vi affiderà quelle vere? 12 E, se non siete stati fedeli nei beni altrui, chi vi darà i vostri? 13 Nessun domestico può servire due padroni; perché o odierà l'uno e amerà l'altro, o avrà riguardo per l'uno e disprezzo per l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona».
14 I farisei, che amavano il denaro, udivano tutte queste cose e si beffavano di lui. 15 Ed egli disse
 loro: «Voi vi proclamate giusti davanti agli uomini; ma Dio conosce i vostri cuori; perché quello che è eccelso tra gli uomini, è abominevole davanti a Dio.


            Ci ha sempre turbato la parabola dell'amministratore infedele, che prima sperpera gli averi del padrone e poi, quando da lui è minacciato di licenziamento, truffa un'altra volta il suo signore, riducendo fraudolentemente le ricevute dei debitori, per ingraziarseli. Non tanto perché è il racconto di una delle tante storie di corruzione che vediamo ai nostri giorni, ma per il suo finale sconcertante. Invece di chiedere per il suo amministratore un'ulteriore punizione, perché recidivo nel reato, "il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza" (Lc 16,1-15). Il verbo greco "epainèo" significa "lodare", e talora anche "approvare". Il padrone approva l'amministratore doppiamente disonesto!
            "L'amministratore infedele ha commesso, in concorso formale, i seguenti reati: falso in atto pubblico, truffa, appropriazione indebita e corruzione" (K. Berger[1][1]): eppure il suo padrone gli fa i complimenti. "Come si fa a lodare qualcuno per una truffa, e questo nel Vangelo? La frase citata ci insegna a distinguere chiaramente: l'amministratore non viene lodato per la truffa. Viene chiamato, senza giri di parole, <<amministratore disonesto>>. E' disonesto, imbroglione, criminale. Ciò non è niente di buono e non viene proposto come esempio. L'amministratore viene lodato per la sua scaltrezza. In che cosa consiste? Un criminale può essere scaltro? Sì. Nella sua situazione, in cui era con l'acqua alla gola, l'amministratore ha fatto tutto il possibile per garantirsi il futuro. Ha agito in maniera previdente" (K. Berger[2][2]).
           
Lode all'astuzia

            Il primo invito che Gesù fa è che i "figli della luce" siano astuti almeno come i "figli delle tenebre" (Lc 16,8). "Gesù non vuole trasformarci in criminali in colletto bianco, in carrieristi e manager. Però dice: l'energia che si adopera in queste cose dovreste piuttosto usarla dove è in gioco l'essenziale [...]. E l'essenziale non è installare linee dirette funzionanti con compagni di merende e partner d'affari, non è l'astuzia nell'avanzamento nella carriera, bensì qualcosa di analogo nel campo della cosiddetta anima. Gesù vuol dire: se impegnaste l'energia che altrimenti adoperate per la carriera, contro il fisco e per le scaltre acquisizioni immobiliari - se impegnaste il pizzico di energia criminale nascosto in ciascuno di voi non per cose finanziarie, ma per la costruzione di un capitale per l'anima - allora non sareste tanto infelici, allora tante persone non finirebbero sul lettino dello psichiatra, allora non ci sarebbero così tante persone che smarriscono se stesse... Dice: potete prendere qualcosa dall'astuzia dei fanatici, e cioè questo: prendere provvedimenti per il futuro e mirare al vostro autentico interesse" (K. Berger[3][3]).
           
Riciclaggio di denaro sporco

            Ma c'è un altro insegnamento di Gesù: se i beni terreni sono cosa buona, il loro accaparramento è condannato. Il giudizio di Gesù sulle ricchezze, cioè sull'accumulo di risorse che Dio ha disposto che fossero di tutti, è totalmente negativo. La ricchezza è ingiusta perché, come dice Gesù, è sempre "ricchezza altrui" (Lc 16,12), è accumulo di beni che invece vanno partecipati. Le ricchezze non condivise sono sempre frutto di peccato, sono beni di cui diventiamo "amministratori disonesti" (Lc 16,8). Gesù definisce la ricchezza come "disonesta", "ingiusta"; in aramaico si usa l'espressione "mamon disqar", reso letteralmente dal Signore in Luca con "mamonàs tès adikìas", "la ricchezza quella ingiusta" (Lc 16,9) e, più esplicitamente, con "ò àdikos mamonàs", "l'ingiusta ricchezza" (Lc 16,11). Ed allora ecco l'invito che scaturisce da questa parabola: "Procuratevi amici con l'ingiusta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne... Se dunque non siete stati fedeli nell'ingiusta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?" (Lc 16,9.12). In altre parole, Gesù ci invita al riciclaggio di denaro sporco…
           
I poveri, portinai del Paradiso

            "Il significato ultimo delle ricchezze è di aiutare quelli che vivono in miseria" (J. de S. Ana[4][4]).  I ricchi, afferma Cirillo, sono "gli amministratori dei poveri"[5][5], e Basilio li definisce "gli amministratori dei fratelli"[6][6]. I poveri saranno i giudici di tutti gli uomini: saranno loro che accoglieranno o no nel Regno: saranno loro i portinai del Paradiso. Gesù in questa parabola lo sottolinea: "So io cosa fare - pensa l'amministratore - perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua" (Lc 16,4): e la "casa" dei poveri della parabola, precisa poi Gesù, sono proprio "le dimore eterne": "Ebbene, io vi dico: <<Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne>>" (Lc 16,9[7][7]).
           
I poveri, vero investimento finanziario

            In quest'ottica, il Nuovo Testamento propone una gestione dei beni economici del tutto particolare: è il cielo il vero investimento finanziario, la vera banca, il luogo dove conviene far fruttare i capitali: "Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli" (Lc 12,33-34[8][8]). Scrive Clemente Alessandrino: "Ricevendo poche cose quaggiù, il povero ti renderà lassù abitatore del Regno insieme con sé per tutta l'eternità. Pregalo perché accetti. Affrettati, lotta, temi che egli rifiuti: giacché non è lui che ha avuto l'ordine di ricevere, bensì tu che hai avuto l'ordine di dare"[9][9]; "Gesù dichiara che ogni bene che uno possiede per sé come proprio, senza condividerlo con chi è nel bisogno[10][10], è ingiusto per natura, ma che anche a partire da questa realtà ingiusta è possibile compiere un'opera giusta e salvifica: dare ristoro a qualcuno che ha una tenda eterna presso il Padre"[11][11]. E Basilio: "Le ricchezze, saggiamente abbandonate da coloro che le offrono, non vanno in rovina, ma sono messe in salvo, per così dire, su navi più sicure, cioè nel ventre dei poveri. Così raggiungono i porti di destinazione e sono ben custodite"[12][12]. 
           
I limiti della proprietà privata

            Dio mette in discussione il diritto alla proprietà privata, perché così dice il Signore: "La terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini" (Lv 25,23). Afferma Paolo VI nell'enciclica "Populorum progressio": "La proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario. In una parola <<il diritto di proprietà non deve mai esercitarsi a detrimento dell'utilità comune, secondo la dottrina tradizionale dei Padri della Chiesa e dei grandi teologi>>[13][13]"[14][14]. Come ribadisce il Catechismo della Chiesa Cattolica: "Il diritto alla proprietà privata, acquisita con il lavoro, o ricevuta da altri in eredità, oppure in dono, non elimina l'originaria donazione della terra all'insieme dell'umanità. La destinazione universale dei beni rimane primaria... La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della Provvidenza, per farlo fruttificare e spartire i frutti con gli altri"[15][15].
            Ancora una volta, l'amore viene prima di ogni altro diritto[16][16].
           
Una giustizia che perdona

            Se in questa parabola ci viene posto a modello da seguire l'amministratore disonesto, è però da ben considerare anche l'atteggiamento del padrone. Taluni affermano che l'amministratore, quando cambia le ricevute attestanti i debiti dovuti al suo padrone, paga in realtà di tasca propria la differenza, perché gli amministratori dovevano dare al loro padrone una somma forfettaria annuale, e la loro parte di guadagno era quanto riuscivano a riscuotere di più dai sottoposti. Sarebbe la situazione di Zaccheo che quando decide di dare metà dei suoi beni ai poveri e di restituire il quadruplo di quello che ha frodato, rinuncia in pratica a tutto il "pizzo" che gli era concesso di chiedere dall'occupante romano[17][17].
            Ma probabilmente invece l'amministratore sta frodando una seconda volta il suo padrone, che però "chiude un occhio", lascia correre, accetta di essere di nuovo turlupinato. Perché questo insolito comportamento, che giunge persino a giustificare il secondo crimine del suo subalterno?  Il padrone "permette al suo ex dipendente di sopravvivere accettando di lasciargli indirettamente una parte dei suoi beni. La giustizia che vuole difendere Gesù si situa al di sopra della legge, perché vuole evitare che la punizione schiacci completamente il colpevole. È una giustizia che perdona, perché ciascuno deve avere i mezzi per vivere, anche se ha avuto dei comportamenti reprensibili. Siamo, con questa parabola, al cuore dell'insegnamento di Gesù [...]: al di sopra della legge, Gesù insegna la compassione, spiega che il perdono è necessario in certe situazioni, per evitare la caduta nel fondo dell'abisso, la marginalizzazione, l'esclusione dalla società. Il perdono non tratta gli uomini secondo la giustizia della legge, ma secondo una giustizia che le è superiore [...]. I Vangeli ci mostrano abbondantemente che Gesù, nel suo insegnamento dell'amore, si pone molto spesso al di sopra della stretta applicazione della legge per salvare le persone in difficoltà, qui per permettere a un uomo, e senza dubbio alla sua famiglia, di essere recuperati dalla società [...]. La giustizia di Dio si piazza al di sopra della giustizia degli uomini, per farla avanzare. Questo padrone, accettando di lasciarsi parzialmente spogliare, per permettere al suo amministratore di risollevarsi, ha fatto avanzare la giustizia di Dio. Ed è da quel giorno che gli uomini si sono messi a riflettere sulle indennità di licenziamento" (H. Persoz[18][18]).



[1][1] Berger K., Gesù, Queriniana, Brescia, 2006, pg. 114
[2][2] Berger K., Gesù, Queriniana, Brescia, 2006, pg. 115
[3][3] Berger K., Gesù, Queriniana, Brescia, 2006, pg. 116-117
[4][4] De S. Ana J., I poveri, sfida alla credibilità della Chiesa, Claudiana, Torino, 1980, pg. 39
[5][5] Cirillo d'Alessandria, Comm. in Luc., hom. 108
[6][6] Basilio di Cesarea, Ricchezza, povertà e condivisione, Messaggero, Padova, 1990, pg. 30
[7][7] Lc 14,12-14
[8][8] Mt 6,19-21; 1 Tm 6,17-19
[9][9] Clemente d'Alessandria, Quis dives salvetur, 32,4-6: GCS 17,181
[10][10] At 4,32
[11][11] Clemente d'Alessandria, Quis dives salvetur, 31,6, PG 9,637
[12][12] Basilio di Cesarea, Ricchezza, povertà e condivisione, Messaggero, Padova, 1990, pg. 92-93

[13][13] Lettera alla Settimana Sociale di Brest, in L'homme et la révolution urbaine, Lyon, Chronique sociale, 1965, pg. 8-9
[14][14] Paolo VI, Populorum progressio, 26-3-1967, n. 23
[15][15] Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2403-2404
[16][16] Miglietta C., Condividere per amore. La chiamata dei cristiani alla povertà, Gribaudi, Milano, 2003, pg. 82-119
[17][17] Lc 19,2-10
[18][18] Persoz H., Evangile e libertè, traduzione di Tessaro G., 12 dicembre 2010, www.evangile-et-liberte.net/