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25 dicembre 2012

         La luce di Cristo
      Io sono la luce del mondo (Giovanni 8, 12)

Accendi con gioia il tuo alberello di Natale!
Il Natale, però, non è fatto soltanto di graziose candeline dalla luce fioca, di dolci emozioni, di regali piccoli o grandi che fai o ricevi, e nemmeno di quella gioia contenuta, velata di leggera malinconia propria della sera di Natale che passi con i tuoi o, forse, da solo. Al di là di tutto ciò sta un'altra realtà, qualcuno, Gesù. Non è soltanto in nome nostro che accendiamo le candeline, per vedere più chiaro, per qualche ora soltanto, e poi ritorna tutto come prima; no, perché è presente lui che dice: «Io sono la luce del mondo». Le luci che accendiamo non sono che la risposta alla sua voce da noi udita, non importa se da lontano o dal profondo dell'abisso. È vero, la nostra è una risposta piuttosto debole e di poco valore, ma rispondiamo come possiamo.
La cosa più importante non sono neppure le nostre risposte, ma soltanto il fatto che lui è presente e ci ha chiamati. Sarebbe ugualmente Natale, anche se nessuno pensasse di illuminare il pino.
Nulla può fermare Cristo; non è fermato né dalle nostre parole né dai nostri silenzi; egli fa risplendere la sua luce sul mondo intero. Non è una semplice verità di ordine spirituale quella cui diamo la nostra adesione o sulla quale facciamo le nostre riflessioni, ma è qualcuno, un «io» che regna ed agisce con forza; qualcuno che con le sole sue forze prosegue il suo cammino e porta a termine la sua opera.
Questa è la luce che porta veramente chiarezza, anche nei più reconditi angoli della terra, chiarezza allo scettico più ostinato, allo spirito più malinconico e inasprito, all'anima più indifferente.
Accendi dunque con gioia il tuo alberello, a Dio piace vederci, nel mezzo della notte della nostra esistenza,
accendere con fierezza, in nome suo, sulla terra, qualche piccola luce, quasi una protesta contro la notte in cui viviamo, o, meglio, quasi a voler testimoniare la grande luce dei tempi, accesasi sopra di noi.

Signore Gesù,
siamo deboli e poveri,
tu sei forte, ricco e vivo,
e la tua potenza è senza limiti.
Nella nostra povertà
e nella nostra miseria,
la tua potenza sia la nostra gioia.
Amen.

Eduard Thurneysen, in E. Thurneysen e Karl Barth, Meditazioni per il Natale e la Pasqua, Queriniana,1967

Articolo tratto dal Settimanale Riforma n. 49 del 21.12.2012

16 dicembre 2012



SETTIMANA DI PREGHIERA PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI
18 - 25 GENNAIO 2013
(TORINO E PROVINCIA)

LE CHIESE CRISTIANE IN TORINO, UNITE NELLA FEDE IN GESÙ CRISTO,
INVOCANO DALLO SPIRITO SANTO IL DONO DELLA PIENA UNITÀ
 

«DOVE DUE O TRE SONO RIUNITI NEL MIO NOME, LÌ
SONO IO IN MEZZO A LORO»
Matteo 18,20
 

QUEL CHE IL SIGNORE ESIGE DA NOI
Michea 6,6-18
                                                                      PROGRAMMA
VENERDÌ 18 GENNAIO, ore 20,45
CELEBRAZIONE ECUMENICA DI APERTURA DELLA SETTIMANA
presiedono:
mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino
pastore Francesco Mosca, Chiesa Crisitana Avventista
padre Giorgio Vasilescu, parroco ortodosso romeno
DUOMO, Piazza San Giovanni, Torino


VENERDÌ 18 GENNAIO, ore 20,45
CELEBRAZIONI ECUMENICHE


  • CARMAGNOLA

       Chiesa della MISERICORDIA
       Piazza Garavella
       padre M. VADIM, don A. PIOLA
SABATO 19 GENNAIO
PER BAMBINI E RAGAZZI
ore 10-15: laboratorio ecumenico
ore 15,30: preghiera ecumenica
animatori: M. Long, E. Possamai, A. Rosu
TEMPIO VALDESE, C.so Vittorio Emanuele 23, Torino
DOMENICA 20 GENNAIO, ore 16,00
CONFERENZA
Testimoni dell’ecumenismo a Torino: pastore Enrico Paschetto e don Oreste Favaro

Intervengono don Giuseppe Ghiberti, Facoltà Teologica di Torino e Emmanuele Paschetto, pastore battista, con testimonianze di: padre Giorgio Vasilescu, pastore Marco Piovano
SERMIG, piazza Borgo Dora 61, Torino

LUNEDÌ 21 GENNAIO, ore 20,45
CELEBRAZIONI ECUMENICHE

  • RIVOLI 
          - Chiesa SAN ROCCO
                piazza San Rocco
            padre C. DITA, pastora H. FONTANA, don G. ISONNI


  •  SAN MAURO TORINESE

        - parrocchia SACRO CUORE DI GESÙ
          via Rivodora,7
          pastore P. RIBET, don I. CORAZZA


  •   TORINO 

    - CHIESA CRISTIANA AVVENTISTA
                Via Rosta 3
            M. MARENCO, E. BANFO 

         - Chiesa di San MICHELE ARCANGELO


               via Giolitti 44
  p. S. FAEDI, p. A. CASSINASCO
    - parr. MADONNA DELLA DIVINA PROVVIDENZA
  Via Carrera 11
  pastore L. NEGRO, don G. GHIBERTI
          
          - parrocchia MARIA SPERANZA NOSTRA
  Via Ceresole 44
  pastore S. FONTANA, don C. CURCETTI
        
         - parrocchia SACRO CUORE DI GESÙ
Via Nizza 56 
pastore F. GIAMPICCOLI, don A. MARINO  

- Santuario di Sant’ANTONIO DA PADOVA 
  Via Sant’Antonio da Padova 5
  pastore H. BLUDAU, padre M. STOPPA


 MARTEDÌ 22 GENNAIO, ore 20,45
CELEBRAZIONI ECUMENICHE
  •   BALANGERO 
           - parrocchia San GIACOMO APOSTOLO
                 Piazza X Martiri 7
   pastore S. SPANU, don A. GIRAUDO
  • CIRIÈ
           - parrocchia San GIOVANNI BATTISTA
                 Via S. Ciriaco 42
    padre V. TIMIS, don G. BONINO
  • NICHELINO
          - parrocchia SS. TRINITÀ
               Via Stupinigi 16
  pastore P. RIBET, don F. CERAGIOLI
  •  ORBASSANO
         - parrocchia San GIOVANNI BATTISTA
           Piazza Umberto I
  pastore E. PASCHETTO, don M. GROSSO

  •  TORINO
   - CHIESA EVANGELICA BATTISTA
              Via Viterbo 119
 don G. CARREGA, predicatore A. PALLADINO
     - parrocchia MADONNA DELLE ROSE
                 Via Madonna delle Rose 2  
                 pastore M. PIOVANO , padre M. MAZZOLENI   
                             - parrocchia San FRANCESCO DA PAOLA
          Via Po 16
pastore F. TAGLIERO, don M. ROSELLI 

MERCOLEDÌ 23 GENNAIO, ore 20,45
GRANDE VESPRO
Presiede padre Luciano ROSU
parr. ORTODOSSA ROMENA S. CROCE
via Accademia Albertina 11, Torino

GIOVEDÌ 24 GENNAIO, ore 20,45
INCONTRO DEI GIOVANI
Preghiere, canti e riflessioni
CHIESA EVANGELICA VALDESE, c.so Principe Oddone 7 -  Torino

VENERD Ì  25 GENNAIO, ore 20,45
CELEBRAZIONI ECUMENICHE
  • BRA
          - Piccola Casa della Divina Provvidenza
            Via Fratelli Carando 28
   padre C. PREDA, pastora P. ZAMBON, don G. GARRONE

VENERDÌ  25 GENNAIO, ore 20,45
CELEBRAZIONE ECUMENICA DI CHIUSURA DELLA SETTIMANA
presiedono:
predicatrice Eugenia Ferreri, presidente della CEPE
padre Luciano Rosu, parroco ortodosso romeno
mons. Guido Fiandino, vescovo ausiliare
TEMPIO VALDESE, C.so Vittorio Emanuele 23 - Torino


18 novembre 2012


Apocalisse 2:8-11

Lettera alla chiesa di Smirne

Predicazione di Aldo Palladino


Il testo biblico
8 «All'angelo della chiesa di Smirne scrivi:
Queste cose dice il primo e l'ultimo, che fu morto e tornò in vita:
9 "Io conosco la tua tribolazione, la tua povertà (tuttavia sei ricco) e le calunnie lanciate da quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana. 10 Non temere quello che avrai da soffrire; ecco, il diavolo sta per cacciare alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita.
11 Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Chi vince non sarà colpito dalla morte seconda".

Testi di appoggio: Matteo 5:1-11; Rom. 8:11-23
oooOooo

"Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita"
Sono parole che troviamo nella lettera alla chiesa di Smirne, la seconda di sette lettere destinate alle sette chiese dell'Asia minore, parole che furono indirizzate ad una comunità perseguitata e che contengono un'esortazione e una promessa, parole che nel corso dei secoli hanno sostenuto la fede di molti credenti fino ai nostri giorni. Era un versetto della Bibbia molto popolare tra i cristiani a giudicare dalle iscrizioni trovate nelle catacombe di Roma.  
Molti di noi l'abbiamo imparato a memoria alla Scuola Domenicale, al catechismo, e chissà quante volte abbiamo letto "Sii fedele fino alla morte" ammirando l'affresco che Paolo Paschetto nel 1939 dipinse nell'abside dell'aula sinodale valdese a Torre Pellice (TO). Ricorderete la grande quercia che affonda le sue enormi radici nella roccia e la Bibbia al centro della chioma. E ricorderete anche le parole scritte alla base dell'affresco, tratte dal Giuramento di Sibaud: "Noi giuriamo e promettiamo al cospetto dell'Iddio vivente di mantenere tra noi l'unione e l'ordine…giuriamo fedeltà fino all'ultima goccia del nostro sangue", e le date 1689 (inizio del Glorioso Rimpatrio, il 27 agosto) - 1939 (V cinquantenario rievocativo di quell'evento).


Una parola d'incoraggiamento
Smirne e la comunità valdese della nostra regione alpina. Due comunità che, seppure in due differenti situazioni storiche, ma in una comune condizione di sofferenza e tribolazione, hanno ricevuto una parola di forte incoraggiamento che le ha aiutate ad affrontare la persecuzione con piena speranza e fiducia nell'aiuto del Signore.
"Da dove mi verrà l'aiuto?" (Salmo 121), pregava il salmista e con lui ogni credente. E l'apostolo Paolo si domandava: "Chi mi libererà da questo corpo di morte?" (Rom. 7:24). La storia dell'uomo è in continua tensione tra invocazione d'aiuto e superamento della sofferenza, e la risposta, nella storia dell'umanità, è giunta a noi nella persona di Gesù Cristo. Non è un caso che nel nostro testo, Gesù dia il messaggio alla Chiesa di Smirne ricordando che Lui è "il  primo e l'ultimo (8), che fu morto e tornò in vita", lo stesso che nel libro dell'Apocalisse si presenta come "l'Alfa e l'Omega, Colui che era, che è e che viene" (1:8), "il principio e la fine" (22:13). Gesù ricorda ai credenti di Smirne la sua sofferenza, la sua morte, la sua risurrezione.
Questo è per noi di grande insegnamento, perché non dobbiamo dimenticare che la nostra esperienza terrena si colloca imprescindibilmente tra il "primo e l'ultimo" (v. 8 e Rom. 14:9). Cristo Gesù segna l'inizio della vera vita, l'inizio della nostra conversione, del cambiamento che riempie di nuovo e più profondo significato la nostra esistenza, ma è anche l'ultima opportunità che abbiamo per entrare nel regno di Dio. Tutto di Gesù Cristo, vita, sofferenze, patimenti, morte e risurrezione stanno lì a sostenere la nostra fede in qualunque circostanza della nostra vita.
Da Gesù Cristo, dunque, i credenti di Smirne, come i nostri padri valdesi, hanno tratto la forza e il coraggio per opporsi ai loro persecutori. La comunità di Smirne rifiutò sia il culto dell'imperatore romano sia le calunnie e le blasfemie di un gruppo di Giudei, che il nostro testo chiama "la sinagoga di Satana", che congiuravano contro di loro. L'ostilità anticristiana dei giudei di Smirne è attestata anche da un testo extra biblico (Martirio di Policarpo XIII 1), che ci trasmette il resoconto del martirio del vescovo Policarpo, avvenuto in quella città nel 155 d.C. (alcuni studiosi dicono nel 156 o nel 162).

Il Signore conosce la nostra condizione
Ma c'è nel testo biblico un altro motivo di incoraggiamento per la chiesa di Smirne: è quello di sapere che il Signore afferma di conoscere non le sue opere, ma la sua tribolazione: l'ostilità all'Evangelo, la sua estrema povertà economica e sociale, l'incertezza di sicurezze, l'idolatria diffusa, la sua emarginazione e la sua posizione di minoranza in un contesto pagano.
La comunità di Smirne anche se povera, anzi più che povera perché il greco utilizza il termine mendicante, è ricca spiritualmente. Dio non misura la nostra ricchezza col redditometro, né si mette a misurare o a contabilizzare, perché il nostro bilancio personale è sempre in rosso e davanti a Lui noi siamo sempre carenti e insufficienti. Tuttavia, egli ama e considera ricco chi si nutre della sua Parola, chi è mendicante del suo amore, della sua grazia, chi fa opere di misericordia e solidarietà verso tutti, chi accoglie suo Figlio Gesù Cristo come Signore e Salvatore e agisce secondo la logica del suo Regno, in cui beati, felici, prediletti sono i poveri in spirito, gli afflitti, i mansueti, gli assetati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, i facitori di pace, i perseguitati (Mt. 5:1-11).
Secondo la prospettiva di Dio, nel suo Regno tutto è capovolto: gli ultimi della terra diventano i primi, i deboli sono i veri forti, la sofferenza si tramuta in gloria e la stessa creazione è liberata dalla schiavitù di ogni forma di contaminazione e corruzione per godere anch'essa della libertà dei figli di Dio (Rom. 8:20-21).

Non temere! Divieni fedele!
Alla comunità di Smirne e a tutte le comunità che essa prefigura, anche alla nostra chiesa, il Signore rivolge dunque l'esortazione a non temere e a essere fedele fino alla morte. Ma noi sappiamo che la fedeltà all'Evangelo non è nelle nostre prerogative, perché essa è un dono di Dio che riceviamo solo da Gesù Cristo, l'unico che è stato fedele al Padre fino alla fine.  Infatti, il testo originale non dice "sii fedele", ma "divieni fedele", perché la nostra fedeltà è costitutiva della nostra sequela con Gesù. È un valore del discepolato che si nutre della vita del Maestro e ne assimila le virtù e l'insegnamento.
Fratelli e sorelle, non temiamo per la nostra vita e aggrappiamoci saldamente al Signore. Egli tiene  nelle sue mani misericordiose il nostro mondo e le sue sorti e ci è vicino nei momenti difficili della nostra vita. Egli ci lascia due promesse: la corona della vita e ci preserva dalla morte seconda, la prima segno di vittoria, la seconda segno di liberazione e di vita eterna col Signore.

                                                                                                 Aldo Palladino

Predicazione Tempio Valdese
C.so Vittorio Emanuele II, 23
Torino
Domenica, 18 novembre 2012

17 novembre 2012

Apocalisse 2, 8-11

Lettera alla chiesa di Smirne

Note esegetiche e omiletiche

a cura del Past. Heiner Bludau



Testo biblico
8 «All'angelo della chiesa di Smirne scrivi: Queste cose dice il primo e l'ultimo, che fu morto e tornò in vita: 9 "Io conosco la tua tribolazione, la tua povertà (tuttavia sei ricco) e le calunnie lanciate da quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana. 10 Non temere quello che avrai da soffrire; ecco, il diavolo sta per cacciare alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita. 11 Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Chi vince non sarà colpito dalla morte seconda".


Esegesi

Il contesto

            "La struttura del libro corrisponde alle istruzioni che ha ricevuto il veggente Giovanni (1,19). Deve scrivere ciò che ha visto (= l'apparizione del Cristo asceso ai Cieli, 1,9-20), ciò che accade al momento (= le sette lettere, capp. 2-3) e ciò che avverrà in seguito (= capp. 4-22). Viene quindi mandato un messaggio di ammonimento alle comunità dell'Asia Minore (capp. 2-3) e poi vengono rappresentati gli avvenimenti escatologici nella loro varietà (capp. 4-22)" (Lohse p. 8).
            Le sette lettere, delle quali fa parte anche la lettera alla chiesa di Smirne, sono però correlate con il primo capitolo per quanto riguarda il loro contenuto. In 1,4-8 leggiamo che tutta l'Apocalisse è rivolta "alle sette chiese che sono in Asia" (v. 4). Nella visione 1,9-20 queste comunità vengono menzionate per nome. I singoli aspetti del Cristo visto da Giovanni nella visione ritornano all'inizio delle rispettive lettere. (Confronta per esempio 1,17s. "io sono il primo e l'ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli" con 2,8: "Queste cose dice il primo e l'ultimo, che fu morto e tornò in vita").
            "Ogni "lettera" riflette la specifica situazione geografica, culturale e religiosa della città cui essa è destinata e, inoltre, anche le condizioni nelle quali la congregazione di quella città si trovava in quel momento. Eppure, detto questo, si deve notare che nessuna delle epistole dei capp. 2-3 è una lettera indipendente indirizzata a una sola chiesa. L'Apocalisse è una composizione unitaria indirizzata, come ogni epistola, a tutte le chiese" (Boring p. 105). Lo si vede in modo particolarmente evidente dalla struttura uniforme delle lettere. "Le sette lettere sono tutte costruite allo stesso modo:
a) Formula: "All'angelo della chiesa di …,   scrivi …";
b) Autopresentazione del Cristo, con la formula: "Queste cose dice", seguita da allusioni che permettono di identificare in lui il Cristo della visione del cap.1;
c) apprezzamento per gli aspetti positivi della comunità cui è indirizzato il messaggio (manca nel settimo messaggio);
d) parole di condanna di peccati specifici (mancano nel secondo e nel sesto messaggio);
e) invito al pentimento, o a perseverare nella buona condotta; f) minacce e/o promesse;
g) formula di chiusura e promesse per "chi vince" (Corsani, pp. 47s).
            "Ireneo riferisce che l'Apocalisse di Giovanni è stata scritta verso la fine del regno di Domiziano (81-96 d.C.) (Contro le eresie V,30,3). Questa data viene confermata dal libro di Giovanni. Sono già avvenute delle persecuzioni (cfr. 6,9-11), ma nuove sofferenze e un conflitto tremendo con l'autorità romana per le comunità cristiane devono ancora venire
(cfr. cap. 13). (…) Nel momento in cui Domiziano, primo degli imperatori romani a farlo, chiede di essere venerato come una divinità già in vita da tutti i suoi sudditi, il veggente Giovanni rivolge il suo messaggio come parola di consolazione e di ammonimento alle comunità fortemente oppresse dell'Asia Minore" (Lohse p. 6).




Il contenuto dei versetti 8-11

v 8
            Il Cristo della visione di Giovanni (1,12 ss.) gli affida l'incarico di scrivere ai sette angeli delle sette comunità. "Chi si intende con i sette angeli? Secondo il parere di alcuni si dovrebbe pensare ai capi delle comunità, quindi ai loro vescovi. A parte il fatto, però, che questi altrimenti non vengono mai chiamati angeli, è dubbio il fatto se già allora ci fosse l'ufficio di un vescovo che stava da solo a capo delle comunità (episcopato monarchico). Quindi si tratta veramente di angeli, e le lettere a loro indirizzate (capp. 2-3) sono allo stesso tempo indirizzate alle comunità sulla terra. Così come ogni singolo, secondo il parere diffuso, ha un angelo protettore (Mt 18,10) … così a ogni comunità è assegnato un angelo che allo stesso tempo rappresenta la comunità" (Lohse p. 22).
            Smirne (oggi Izmir), a circa 60 chilometri a nord di Efeso sulla costa occidentale dell'Asia Minore, era una città portuale e commerciale benestante con una lunga storia e un'antica tradizione culturale (tra l'altro è considerata una delle città dove operò il poeta Omero). La presente lettera è la prima testimonianza della presenza di una comunità cristiana in questo luogo. Policarpo di Smirne, del cui martirio probabilmente avvenuto intorno al 156 riporta un antico documento, era forse già attivo nella comunità al tempo di Giovanni poiché alla fine della sua vita dice di sé di aver servito Cristo per 86 anni. Ireneo di Lione fu suo allievo; Ignazio di Antiochia gli ha rivolto una lettera dopo averlo conosciuto personalmente a Smirne. La città al tempo di Giovanni è quindi in procinto di diventare un importante centro della chiesa cristiana.
            Di fronte a Smirne Cristo si presenta come "il primo e l'ultimo, che fu morto e tornò in vita". "Gesù inizia il suo messaggio agli abitanti di Smirne ricordando loro la sua propria sofferenza e morte" (Stefancovic p. 119).

v 9
            "Io conosco" come 2,2; 2,19; 3,1 ecc. Il risorto conosce la situazione della comunità. Diversamente dalle altre lettere, qui ciò di cui Cristo è a conoscenza non sono "le tue opere", ma "la tua tribolazione". Ciò che caraterizza la situazione a Smirne non è il comportamento positivo o negativo della comunità, bensì le sue tribolazioni. Quindi neanche c'è un rimprovero come invece c'è verso le altre comunità, tranne che per Filadelfia ("ho questo contro di te" 2,4; 2,14; 2,20).
            La tribolazione consiste da una parte in "la tua povertà". "Il termine ptocheia designa … l'essere nella condizione del mendicante. La misera condizione di Smirne è tale però solo sul piano sociologico perché il Cristo, con una improvvisa rettifica di quello che ha appena detto e dando vita a qualcosa che si avvicina all'ossimoro, esclama: "Ma (in realtà) tu sei ricco!", dove la richezza è quella evangelica della fede" (Biguzzi p. 110). Verso la comunità di Laodicea Cristo al contrario dice: "Tu dici: "Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!". Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo" (3,17).
            D'altro canto la tribolazione consiste in "le calunnie lanciate da quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana". Per la parola greca blasphemia la traduzione "le calunnie" è forse troppo blanda. Presa alla lettera avviene infatti una vera e propria blasfemia quando viene offesa la comunità. Parte da coloro "che dicono di essere Giudei e non lo sono". Chi si intende con ciò? "Essi potrebbero essere la porzione giudeo-cristiana della comunità di Smirne in rotta di collisione con la parte etnico-cristiana, oppure la locale sinagoga, che magari cercava di opporsi all'espansionismo cristiano. – La seconda ipotesi è più probabile per i seguenti motivi: le battaglie ad intra di Giovanni di Patmos sono condotte conto i filopagani (cfr. i nicolaiti e i gezabeliti), e non contro chi in qualche misura si ispirava alla legge mosaica e alla circoncisione; Giovanni stesso sembra essere un giudeo-cristiano che ha grande dimestichezza con l'AT e addirittura conosce l'ebraico (cfr. Ap 9,11; 16,16), tanto da far pensare che parli in greco ma pensi in ebraico; … La dura espressione "sinagoga di satana" probabilmente designa dunque la locale comunità giudaica. È "di satana" perché in tutta l'Apocalisse satana è l'implacabile nemico …" (Biguzzi p. 110). Nella relazione sul martirio di Policarpo, circa 60 anni più tardi, gli ebrei vengono menzionati espressamente come accusatori e complici dell'esecuzione. Jacques Doukhan, uno studioso avventista di tradizione ebraica, cerca di spostare il peso dell'affermazione "che dicono di essere Giudei e non lo sono" dall'accusa contro gli ebrei all'idea che hanno di se stessi i cristiani: "Questo linguaggio è assai significativo. Testimonia del fatto che i primi cristiani si consideravano ebrei a tutti gli effetti. Negli ambienti cristiani, oggi, l'accusa suona come un: "voi non siete dei veri cristiani, siete una chiesa di Satana". In quel tempo, i cristiani si sentivano più vicini agli ebrei che non ai pagani. L'antisemitismo cristiano non era ancora nato. Gettati in prigione o in pasto ai leoni dai pagani, calunniati dai fratelli ebrei, i cristiani si trovavano a essere i diseredati della terra" (Doukhan p. 43).

v 10
            "Non temere" non ha nessun parallelo nelle altre lettere ma anche in queste si ammonisce (cfr. 2,5; 2,16; 2,25 ecc.). La comunità non deve temere "quello che avrai da soffrire". In concreto viene annunciato che "il diavolo sta per cacciare alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni". "Alcuni saranno gettati in prigione, sottratti brutalmente alla loro comunità e sarà scatenata una tribolazione di 10 giorni, cioè di corta durata, in ogni caso misurata da Dio, che circoscrive il potere di Satana (come appare in modo molto marcato nel prologo di Giobbe)" (Brütsch p. 35). Rinaldi precisa l'espressione "in prigione": "Se si tiene presente che nell'antichità greco-romana la prigione non costituiva, come presso noi moderni, una punizione in se stessa, ma era, invece, ritenuta soltanto l'anticamera del processo o dell'esecuzione, allora ci si convincerà che qui il termine prigione è simbolico e sta ad indicare la condizione di chi è perseguitato" (p. 90).
            Di fronte a questi eventi la comunità viene esortata: "Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita". Brütsch ricorda (1940/42, traduzione italiana del 1949!) l'abuso che è stato fatto di queste parole (p. 35). Tuttavia: "Questo versetto è stato popolare in tutti i tempi, a giudicare dalle iscrizioni trovate nelle catacombe di Roma. ... La maggior parte delle persone intende questo versetto come se si dicesse: rimani fedele ... Ma letteralmente il testo dice: «divieni fedele fino alla morte»" (ibid.). "A quelli che sigillano con la morte la loro professione di fede viene promessa la corona della vita (cfr. Giacomo 1,12). Con ciò non si intendono le corone che vengono assegnate ai vincitori delle gare sportive (1 Corinzi 9,24; Filippesi 3,14 etc.) o a uomini benemeriti (1 Pietro 5,4) poiché qui si pensa a un dono celeste cosicché nella promessa riecheggia in forma tenue e modificata la vecchia immagine secondo la quale gli dei della luce portano una corona con i raggi. I pii beati alla fine saranno ornati con una corona di raggi (3,11; 4,4.10; 12,1; 14,14). La comunità ebraica di Qumran si aspetta che alla fine i figli della verità godranno "della gioia eterna nella vita eterna" e che riceveranno "una corona della magnificenza assieme a un vestito d'onore nella luce eterna"
(1 QS IV, 7f.)." (Lohse p. 27).

v 11
            "Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese" (chiamata da Boring: "l'esortazione ad ascoltare e ubbidire" p. 109) e la formula "Chi vince..." (Boring: "la promessa escatologica per i vittoriosi" p. 110) appaiono così anche in 2,7 e in 2,17; a partire dalla lettera alla chiesa di Tiatiri la loro sequenza è invertita. A proposito dell'esortazione Boring scrive: "Questa formula conclusiva è uno dei pochi casi nell'Apocalisse in cui il liguaggio profetico di Giovanni riecheggia le parole del Gesù storico, oppure dove le parole di Gesù sono state adattate, nei vangeli sinottici, ai modelli letterari correnti dei profeti cristiani che parlavano nel suo nome (cfr. Mt. 11,15; 13,9.43; Mc 4,9.23; Lc. 8,8; 14,35). […] si può notare come Giovanni non faccia alcuna distinzione tra Cristo risorto e l'opera dello Spirito; ciò che Gesù risorto dice è quanto lo Spirito dice alle chiese" (p. 110). Il contenuto della promessa escatologica nel caso di Smirne è: "Chi vince non sarà colpito dalla morte seconda". Il dono della vita, che è simboleggiato dalla corona, non viene più tolto ai fedeli. Della "morte seconda" si parla di nuovo verso la fine dell'Apocalisse: 20,6.14; 21,8. "Questa espressione che deriva dall'ebraismo indica l'esclusione della resurrezione dei morti ovvero l'invio alla dannazione eterna" (Lohse p. 27).

Spunti per il sermone
            La situazione della comunità di Smirne viene descritta dalla prospettiva del Cristo risorto. Questa prospettiva corregge la percezione umana di se stessi. Riassumendo ne risulta una doppia affermazione: 1) siete in una situazione molto peggiore di quanto immaginate.
2) allo stesso tempo siete protetti e salvati in modo inimmaginabile. (Secondo Johannes Hampel, Hören und fragen E 3+4, Neukirchen Vluyn 1981, pp. 418-425).
            Che cosa potrebbe significare questo per noi? Potremmo riflettere sul fatto se stimiamo in modo corretto la nostra situazione (nella chiesa e nella società). Soprattutto, però, ci possiamo chiedere se far valere l'affermazione "non temere" per il nostro sguardo verso il futuro. Come deve essere una fede in grado di farlo? La comunità di Smirne è una testimone lontanissima, ma concreta di una tale fede. Per noi, però, la ricezione della "corona della vita" al di là della (prima) morte probabilmente non è più un punto di riferimento convincente. "So schön wie hier kanns im Himmel gar nicht sein!" (Più bello di qui in cielo non può essere) è il titolo del diario pubblicato nel 2009 che ha scritto il regista e artista tedesco Christoph Schlingensief durante la sua malattia di cancro. Forse si avvicina di più alla nostra fede quanto ha formulato Dietrich Bonhoeffer alla fine del 1942: "Io credo che Dio può e vuole far nascere il bene da ogni cosa, anche dalla più malvagia. Per questo ha bisogno di uomini che sappiano servirsi di ogni cosa per il fine migliore. Io credo che in ogni situazione critica Dio vuole darci tanta capacità di resistenza quanta ci è necessaria. Ma non ce la dà in anticipo, affinché non facciamo affidamento su noi stessi, ma su lui soltanto. In questa fede dovrebbe essere vinta ogni paura del futuro".

                                                                                                Heiner Bludau


Bibliografia
Giancarlo Biguzzi: Apocalisse, introduzione e commento, Milano (Paoline) 2005.
M. Eugene Boring: Apocalisse (titolo originale: Revelation, John Knox Press 1989), Torino (Claudiana) 2008.
Carlo Brütsch: L’Apocalisse (titolo originale: L’Apocalypse de Jesus Christ, Ginevra 19401, 19423), Torre Pellice (Claudiana) 1949.
Bruno Corsani: l’Apocalisse, guida alla lettura, Torino (Claudiana) 1987.
Jacques Doukhan: Il grido del cielo, Studio profetico dell’Apocalisse di Giovanni (titolo originale: Le cri du ciel, Dammarie-lès-Lys (Francia) 1996), Impruneta Fl. (ADV) 2001. Eduard Lohse: Die Offenbarung des Johannes, Göttingen (Vandenhoeck & Ruprecht) 19713. Giancarlo Rinaldi: Le sette lettere dell’Apocalisse di Giovanni, problemi storici e testimonianze archeologiche, Napoli (Casa Editrice Nazarena) 1984.
Ranko Stefancovic: Revelation of Jesus Christ, Commentary on the Book of Revelation, Berrien Springs, Michigan (Andrews University Press) 2002.


Testi di appoggio
(secondo il lezionario luterano per la penultima domenica dell’anno): Geremia 8,4-7; Romani 8,18-23 (24-25); Matteo 25,31-46.

09 settembre 2012



Marco 5:36
"Non aver timore, solo credi!"

Predicazione di Aldo Palladino



Il testo biblico di riferimento
21 Gesù passò di nuovo in barca all'altra riva, e una gran folla si radunò attorno a lui; ed egli stava presso il mare.  22 Ecco venire uno dei capi della sinagoga, chiamato Iairo, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi Marco 5:23 e lo pregò con insistenza, dicendo: «La mia bambina sta morendo. Vieni a posare le mani su di lei, affinché sia salva e viva». 24 Gesù andò con lui, e molta gente lo seguiva e lo stringeva da ogni parte. 25 Una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, 26 e che molto aveva sofferto da molti medici e aveva speso tutto ciò che possedeva senza nessun giovamento, anzi era piuttosto peggiorata, 27 avendo udito parlare di Gesù, venne dietro tra la folla e gli toccò la veste, perché diceva: 28 «Se riesco a toccare almeno le sue vesti, sarò salva». 29 In quell'istante la sua emorragia ristagnò; ed ella sentì nel suo corpo di essere guarita da quella malattia. 30 Subito Gesù, conscio della potenza che era emanata da lui, voltatosi indietro verso quella folla, disse: «Chi mi ha toccato le vesti?» 31 I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi come la folla ti si stringe attorno e dici: "Chi mi ha toccato?"» 32 Ed egli guardava attorno per vedere colei che aveva fatto questo. 33 Ma la donna paurosa e tremante, ben sapendo quello che era avvenuto in lei, venne, gli si gettò ai piedi e gli disse tutta la verità. 34 Ma Gesù le disse: «Figliola, la tua fede ti ha salvata; va' in pace e sii guarita dal tuo male». 35 Mentre egli parlava ancora, vennero dalla casa del capo della sinagoga, dicendo: «Tua figlia è morta; perché incomodare ancora il Maestro?» 36 Ma Gesù, udito quel che si diceva, disse al capo della sinagoga: «Non aver timore; solo credi!»
 37 E non permise a nessuno di accompagnarlo, tranne che a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38 Giunsero a casa del capo della sinagoga; ed egli vide una gran confusione e gente che piangeva e urlava. 39 Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40 Ed essi ridevano di lui. Ma egli li mise tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui, ed entrò là dove era la bambina. 41 E, presala per mano, le disse: «Talità cum!» che tradotto vuol dire: «Ragazza, ti dico: àlzati!» 42 Subito la ragazza si alzò e camminava, perché aveva dodici anni. E furono subito presi da grande stupore; 43 ed egli comandò loro con insistenza che nessuno lo venisse a sapere; e disse che le fosse dato da mangiare.


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Introduzione
I due miracoli qui narrati dall'evangelista Marco contengono spunti di riflessione notevoli, che riguardano la dirompente azione di Gesù sulla malattia e sulla morte, ma anche la reazione dei vari personaggi che interagiscono con Gesù e con i fatti in cui essi sono coinvolti.
Ma qui intendo mettere in risalto solo un elemento presente nel testo e nella vita di tutti noi.

Paura
Penso, infatti, che questo episodio ci inviti a riflettere sul sentimento della paura, che accompagna la nostra vita sin dalla nascita. Abbiamo molte paure, vecchie e nuove: paura della morte, della malattia, paura della guerra, soprattutto quella atomica, paura di affrontare la vita, paura di sposarsi, paura della solitudine, paura di non trovare un posto di lavoro o di perderlo, paura dei ricchi di perdere le proprie ricchezze, paura dei poveri di non avere più speranza alcuna, paura del terrorismo politico e religioso, paura dell'inquinamento o della diminuzione delle risorse naturali, quindi paura della fame e della sete per molti popoli della terra, paura del riscaldamento della terra, paura (anche se ingiustificata) degli immigrati che sbarcano numerosi sulle nostre coste, paura dell'altro e talvolta paura anche di noi stessi. E l'elenco potrebbe continuare.
Noi credenti non siamo esenti dalla paura, perché essa è parte integrante della nostra natura. Gli specialisti ci dicono che essa è un sentimento utile ad allertarci contro ogni pericolo e a predisporre le difese per non essere sopraffatti. Ma in quanto cristiani, chiamati alla sequela di Gesù Cristo, siamo svantaggiati nel reagire di fronte al pericolo perché sappiamo che a noi non è concesso di difenderci e lottare con le stesse armi che usa il "mondo". E questo crea tensione, perché in noi entrano in collisione sentimenti contrastanti, la nostra natura reattiva, sollecitata dalla paura, e la nostra natura pacifica, mite, educata dalla fede in Cristo.


"Non temere!"
Nei Vangeli Gesù non si stanca di ripetere: "Non temere!". "Non temere, piccolo gregge" (Lc. 12:32) dice ai suoi discepoli ai quali aveva rappresentato le difficoltà che avrebbero incontrato come suoi seguaci: "Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi…Guardatevi dagli uomini; perché vi metteranno in mano ai tribunali e vi flagelleranno" (Mt. 10:16-17). "Sarete odiati da tutti a causa del mio nome" (Mt. 10:22). "Nel mondo avrete tribolazione" (Gv. 16:33). "Vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia" (Mt. 5:11).

"Non temere". È l'esortazione di Gesù in circostanze estreme in cui l'uomo mostra di non poter fare più nulla per intervenire e affrontare la situazione, cioè quando è al limite di ogni speranza o quando non v'è più alcuna speranza. Solo allora, solo quando l'uomo si arrende agli eventi che lo travolgono e invoca il suo intervento, Gesù entra in azione.
Nel nostro brano, la figlia di Iairo è già morta quando Gesù dice "Non temere"al padre straziato dal dolore. Ma anche in altre occasioni estreme Gesù ha lo stesso atteggiamento e ha parole rassicuranti. Quando Lazzaro è già morto, Gesù dice a Marta: "Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?" (Gv 11:40).
Nel racconto in cui Gesù calma la tempesta, in cui i discepoli impauriti dalle onde minacciose vanno da Gesù che sta dormendo e gli chiedono di salvarli, Gesù dice: "Perché avete paura, o gente di poca fede?
E alla chiesa di Smirne che sta per affrontare un periodo di persecuzione sotto l'imperatore Domiziano, il Signore dice: "Non temere!" (Ap. 2:10).

È il caso di sottolineare che laddove è presente Gesù o viene segnalata la sua presenza c'è sempre un invito a "non temere".
"Non temere, Zaccaria" (Lc. 1:13) dice un angelo.
"Non temere, Maria" (Lc. 1:30) dice l'angelo Gabriele.
Ai pastori della natività che sono "presi da gran timore", angelo dice: "Non temete" (Lc. 2: 10).
Al sepolcro vuoto della risurrezione, un angelo dice alle donne: "Non temete" (Mt. 28:5).                                      

Appare, dunque, evidente che la parola di Gesù "non temere" non è quella mezza parola di conforto che noi uomini diamo ai nostri amici sofferenti accompagnandola con una battuta di mano sulla spalla.
Il "Non temere" di Gesù ha un significato profondo. Gesù vuole dirci che noi non siamo soli, abbandonati alla nostra solitudine dinanzi a tutte le difficoltà della vita, e che Lui c'è ed è vicino a tutti quelli che lo invocano (Salmo 145:18).
Egli ci invita a opporci alla paura, ma utilizzando l'arma della fede, perché per il Signore il contrario della paura non è il coraggio, ma la fede. Fede in Gesù Cristo, che ci libera da ogni forma di paura, da tutto il timore che incute questo mondo corrotto e violento. La vita, la morte e la risurrezione di Gesù Cristo sono il fondamento su cui possiamo poggiare saldamente i nostri piedi, la nostra esistenza. Certo, come tutti gli uomini di questo mondo non siamo al riparo dai mali di questa terra, perché anche noi continueremo ad ammalarci, a subire le conseguenze nefaste di una natura contaminata dal peccato dell'uomo, ma tutto questo non ci spaventa più, perché Gesù Cristo ha superato ogni avversità annientando la morte e risorgendo per noi.
Se il messaggio dell'Evangelo di Gesù Cristo lo abbiamo accolto nella nostra vita, la parola di Gesù: "Non temere" diventa un messaggio di liberazione e di pace. Di liberazione dalle tante paure dell'esistenza e di pace profonda della nostra anima, condizioni che ci consentono di incamminarci su un sentiero nuovo proiettati verso una vita nuova di impegno, di servizio e di fedeltà al Signore e per amare il nostro prossimo.

                                                                                                          Aldo Palladino