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31 luglio 2011



Matteo 14:13-21
Moltiplicazione dei pani per cinquemila uomini

Predicazione di Aldo Palladino


Tempio Valdese
 C.so Vittorio Emanuele II, 23
Torino

Il testo biblico
13 Udito ciò, Gesù si ritirò di là in barca verso un luogo deserto, in disparte; le folle, saputolo, lo seguirono a piedi dalle città. 14 Gesù, smontato dalla barca, vide una gran folla; ne ebbe compassione e ne guarì gli ammalati.
15 Facendosi sera, i suoi discepoli si avvicinarono a lui e gli dissero: «Il luogo è deserto e l'ora è già passata; lascia dunque andare la folla nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16 Ma Gesù disse loro: «Non hanno bisogno di andarsene; date loro voi da mangiare!» 17 Essi gli risposero: «Non abbiamo qui altro che cinque pani e due pesci». 18 Egli disse: «Portatemeli qua». 19 Dopo aver ordinato alla folla di accomodarsi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi verso il cielo, rese grazie; poi, spezzati i pani, li diede ai discepoli e i discepoli alla folla. 20 Tutti mangiarono e furono sazi; e si portarono via, dei pezzi avanzati, dodici ceste piene. 21 E quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, oltre alle donne e ai bambini.

***

Nei Vangeli ci sono ben sei racconti di moltiplicazione dei pani, due in Matteo, due in Marco, uno in Luca e uno nel vangelo di Giovanni.
Perché la chiesa primitiva ha posto tanta enfasi su tali racconti? Quale messaggio intendeva diffondere?
Lo possiamo capire, credo, se analizziamo il testo nei suoi tre punti essenziali, che sono:
1. la compassione di Gesù;
2. il dialogo tra Gesù e i discepoli;
3. il miracolo della moltiplicazione dei cinque pani e dei due pesci.

1. La compassione di Gesù
Il nostro testo si apre con la cattiva notizia della morte di Giovanni Battista. Gesù viene informato dai suoi discepoli che Giovanni Battista è stato decapitato e che essi hanno recuperato il suo corpo per seppellirlo (14:12). Possiamo dunque immaginare il dolore di Gesù e la tensione accumulata da lui e dai suoi discepoli per questa grande perdita. Ed è per questo che Gesù sente il bisogno di ritirarsi in disparte con i suoi discepoli, in un luogo deserto, per pregare e per recuperare le forze con un po' di riposo (Mc. 6:31). Prendono una barca e quando arrivano all'altra sponda, ad attenderlo c'è un'immensa folla di cinquemila uomini, che con le donne e i bambini, arriva a circa 15-20 mila persone.
Il nostro testo mette in evidenza che Gesù ne ebbe compassione e ne guarì i malati.
L'evangelista Marco, prendendo in prestito le parole del profeta Ezechiele (34:1-16), spiega il motivo della compassione di Gesù per la folla, dicendo sono "come pecore che non hanno pastore" (6:34) - espressione assente in Matteo - che è un forte critica di Gesù ai governanti di Israele, ai capi politici e religiosi che al bene del popolo anteponevano il proprio benessere, i propri privilegi, il proprio potere utilizzando a proprio vantaggio un sistema fondato sulle tradizioni, sulla ritualità, sull'osservanza esteriore e formale delle prescrizioni legali.
È quello che avviene anche oggi: vi sono quelli che amano l'economia, la politica, la filosofia, la storia, la psicologia e qualsiasi altra disciplina più della gente. Tutti affermano e sventolano le soluzioni per fronteggiare e risolvere i problemi e le crisi ricorrenti, ma avere compassione e agire di conseguenza è altra cosa.
Compassione è un termine che deriva dal latino cum patire e significa soffrire con, stare dalla parte di chi soffre e rispondere ai suoi bisogni. Ebbene, Gesù mostra di stare dalla parte di quella gente.
Gesù per amore di quella folla rinunzia al suo riposo, al suo momento di preghiera senza recriminare, (come forse avremmo fatto noi) e giudica che è prioritario l'aiuto a quelle persone.
Appare evidente che è Gesù che ha compassione, non i discepoli, che sembrano infastiditi da quella folla. 
Come per i discepoli, anche per noi oggi una marea di persone che invoca aiuto fa scattare dentro di noi quella linea di confine tra accoglienza e respingimento, come accade a Lampedusa o in altre parti della terra dove si fugge dalla guerra, dalla fame, dalle malattie, e scatena quell'increscioso dibattito su quale posizione tenere verso quella gente.
A Gesù di fronte alla folla non passa neanche per la mente se accogliere o respingere: egli si sente toccato nel cuore delle sue viscere, nel cuore della sua messianicità, e agisce per curare, guarire, aiutare. Il suo obiettivo è la salvezza e il bene dell'uomo.
La vita di Gesù è permeata profondamente da quella saggezza che si fonda sui due pilastri del doppio comandamento: amare Dio e amare il prossimo, amare il Padre che lo ha mandato e il prossimo, cioè "colui che ti sta vicino", accanto, di fronte, che tu puoi guardare negli occhi, provando sentimenti ed emozioni. Gesù ci insegna, dunque, a mettere al centro del nostro cuore e di ogni nostra attività l'essere umano, che deve essere accolto, amato, aiutato, salvato, perché possa trovare le risposte ai bisogni fondamentali della sua vita. 

2. Il dialogo tra Gesù e i discepoli
Dopo una giornata passata a guarire i malati e a insegnare per saziare la fame spirituale della folla, verso sera i discepoli intendono porre un limite all'attività di Gesù. Mi sembra di udire le parole dei discepoli: "Maestro, si è fatto tardi; è ora di smettere di predicare, di guarire e rispondere alle sollecitazioni di tutti. Questa gente ha bisogno di andare nei villaggi vicini a comprarsi qualcosa da mangiare! Riprenderai il tuo sermone domani!"
Un intervento legittimo e umano, direi ragionevole quello dei discepoli, che vogliono mettere un limite tra sermone e pasto, tra fede e le esigenze reali della vita, tra spirito e corpo. Ma non è così per il Signore. Gesù inaugura il tempo nuovo della solidarietà di Dio con gli uomini e ci insegna a riconoscere la nostra vocazione. Egli dice: "Date voi loro da mangiare!".
Ed ecco, dunque, la differenza tra i discepoli e Gesù: i discepoli utilizzano il verbo "comprare"secondo un'economia di mercato in cui ciascuno pensa ai propri bisogni personali. Io posso permettermi di acquistare quello che voglio. E chi non può si arrangi! Perché la logica dell'economia di mercato è fredda e indifferente ai problemi dell'altro.
Gesù, invece, utilizza il verbo "dare": "Date voi loro da mangiare", perché la sua visione della vita si inquadra nella logica o nell'economia del dono, che va incontro ai bisogni dell'altro.
E perché dobbiamo pensare all'altro? Perché siamo "figli" dello stesso Padre. E dico "figli" perché bisogna ricordare "come la parola "figlio" – in latino filius – si collega alla famiglia etimologica della parola felo, che significa appunto, "poppare". Figlio (filius) è dunque per definizione colui che è nutrito" (S. Natoli, La felicità di questa vita; Oscar Saggi Mondadori, pag.10).
Sorelle e fratelli, secondo i dati della FAO, 831 milioni di persone vivono in uno stato cronico di denutrizione. Ogni giorno 24.000 persone muoiono di fame, incluso, ogni minuto, un bambino sotto i cinque anni di età. Per contro, vi sono degli individui che hanno accumulato una ricchezza maggiore di alcuni stati: la somma totale dei beni dei 15 individui più ricchi del mondo è maggiore del PIL di tutti i paesi africani sub-sahariani messi insieme!
Se è vero che "l'uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca di Dio" (Dt. 8:3) è pur vero che il pane è essenziale alla vita dell'uomo.
Compito della chiesa – lo sappiamo – è quello di trasmettere il vangelo di Gesù Cristo, ma la chiesa non deve mai diventare una chiesa introversa, ripiegata sul solo evangelo, sul kérigma, sull'annuncio, perché essa deve saper coniugare annuncio e diaconìa, pane spirituale e pane materiale.
"Date voi loro da mangiare!" interpella le nostre coscienze "in un mondo dove una persona su sei ha problemi di denutrizione, o quasi, e una su tre è sovralimentata (e siamo voi e io !) e morirà per aver mangiato troppo… La fame nel mondo e il problema ambientale dovrebbero, in seguito e a motivo dell'annunzio dell'evangelo, essere la nostra prima preoccupazione e ispirare le nostre funzioni suppletive. È un errore dire che è soltanto una questione politica, per mettersi così il cuore in pace" (Alphonse Maillot in I miracoli di Gesù. Claudiana – Torino, pag. 125).
Il messaggio dunque di questo testo è forte e smuove le nostre coscienze atrofizzate e narcotizzate da una cultura che è figlia delle logiche di mercato fondate su un esasperato individualismo e su uno sfrenato egoismo edonistico: non possiamo, come credenti, permettere che il mondo sia diviso in due, tra chi ha il pane e chi non lo ha. Il pane, l'acqua, le risorse della terra sono per tutti e non solo per alcuni.

3. Il miracolo della moltiplicazione dei pani
L'atto miracoloso della moltiplicazione dei pani e dei pesci è lasciato intuire ma non è descritto. Il testo ne descrive il risultato finale, affermando: "Tutti mangiarono e furono sazi". Non solo, ma "si portarono via, dei pezzi avanzati, dodici ceste" (20). Non una parola di stupore e di meraviglia! Anzi, sembra che la folla non si sia accorta del miracolo. Il pane è distribuito dai discepoli ed essi soltanto sono in grado di valutare l'accaduto.
Noi ne facciamo una valutazione in chiave teologica per affermare l'importanza della condivisione e della comunione, perché è evidente che Gesù, come vero Pastore che cura il suo gregge e come Pane della vita, veda in quella folla una comunità raccolta, bisognosa di essere nutrita, spiritualmente e materialmente.
Tutti i racconti riportano una terminologia tipicamente eucaristica, perché Gesù alza gli occhi al cielo, benedice, rende grazie, spezza i pani, che vengono distribuiti a tutti.
Il pane non può essere tenuto per sé, può soltanto essere condiviso e la chiesa lo riceve come un dono che suscita il ringraziamento, ma anche la denuncia e la lotta affinché il "pane" non manchi in tante parti del mondo.
 "Tutti mangiarono e furono sazi" (v.20). "L'abbondanza del banchetto a cui Gesù invita non dimentica nessuno, include ogni sua creatura, perché senza questa inclusione non può esserci la gioia del Regno annunciato.
I discepoli che volevano mandar via la gente pensando al loro pane sono stoppati da Gesù che li invita a condividere l'ospitalità eucaristica in cui tutti sono suoi ospiti per questa grande festa dell'abbondanza" (E. Gerne) e del dono.
La moltiplicazione dei pani genera un cambiamento di mentalità. I discepoli, nell'atto di distribuzione del pane, comprendono l'importanza di essere dei donatori.
Penso che anche noi siamo cambiati, perché le nostre mani umane, chiuse e contratte, mani paralizzate e rinsecchite, oggi si dischiudono e lasciano cadere ciò che prima stringevano con avidità ed egoismo. Più che a ricevere abbiamo imparato a donare.
Certo, possiamo donare soltanto cinque pani e i due pesci, che rappresentano le poche risorse umane. Ma sappiamo che tutto ciò che mettiamo a disposizione del Signore diventa un potenziale enorme che può affrontare le ostilità del deserto e la durezza del cuore dell'uomo.
Il testo dice che "si portarono via, dei pezzi avanzati, dodici ceste piene" (20). Dodici, simbolo di pienezza e di universalità, che ci indica l'universalità della chiamata del mondo intero alla misericordia e al dono ineffabile di Cristo Gesù. Le ceste di avanzi mostrano la sovrabbondanza del dono di Dio, che noi non siamo autorizzati a sprecare per evitare che altri rimangano nella fame.
La lezione che viene da questo episodio, dunque, è di non vivere più egoisticamente, chiusi e ripiegati su noi stessi come se ognuno di noi fosse il centro intorno al quale ruota la storia del mondo. Gesù mette in atto un movimento di liberazione individuale e attraverso quel pane condiviso ci trasforma in comunità. Il suo progetto è fare della storia umana una storia di salvezza portandola a convergere verso la comunione, la condivisione e la solidarietà. Per affermare il Regno di Dio, questa è l'unica strada da percorrere,.

                                                                                                Aldo Palladino

28 luglio 2011

Rut 2:1-23

LA MISERICORDIOSA PROVVIDENZA DI DIO

                             Studio esegetico-omiletico di Davide Valente (*)

                

         Note sul Libro di Rut

            Contenuto

Al tempo torbido dei Giudici, un certo Elimelec di Betlemme emigrò con la moglie Naomi (Noemi, secondo altre traduzioni) e i due figli verso le pianure di Moab (a oriente del Mar Morto), a causa d'una carestia, dovuta ad una delle solite siccità che tormentavano il paese. In terra straniera i figli si sposarono con due giovinette: Orpa e Rut. Ma poi, nello spazio d'un decennio, il padre e i due figli morirono, e rimase soltanto l’angosciata Naomi con le due nuore. Naomi pensò di rimandarle alle loro case e di far ritorno in patria. Così Orpa rimase nella sua tribù, ma Rut volle ad ogni costo seguire la suocera nel suo viaggio verso Betlemme. Giunte che furono, Rut per guadagnare il pane si mise a spigolare, ma per caso capitò nel campo di Boaz, un parente d'Elimelec, che aveva su di lei il diritto di riscatto. Seguendo il consiglio della suocera, andò una notte a coricarsi ai piedi di lui, che dormiva all'aperto, dopo aver ventolato l'orzo sull'aia. Rut gli chiese di far valere su di lei il diritto di riscatto. Boaz volle prima interrogare un parente più prossimo, che doveva avere la precedenza. Avendo questi rinunciato al suo diritto, Boaz sposò Rut. Ella ebbe un figlio chiamato Obed, che fu padre d’Isai e nonno del re Davide.

         Scopo

         Nel passato fu in voga tra gli studiosi l’opinione che il libro avesse lo scopo polemico di contrastare le misure rigorose di Esdra e Neemia contro i matrimoni misti. Questo ovviamente ne farebbe slittare la data a dopo l’esilio. Oggi però questa non è più l’opinione prevalente. Indubbiamente nel Libro è molto accentuato l’aspetto morale con l’esaltazione del modello di famiglia, e con la limpida figura della giovane moabita. “E’ una storia edificante il cui intento principale è di mostrare come viene ricompensata la fiducia che uno pone in Dio, la cui misericordia si estende anche su una straniera. Questa fede nella Provvidenza e questo spirito universalista sono l’insegnamento duraturo di questo racconto” (BJ).
E’ forse più corretto pensare che lo scopo di questo scritto sia stato indicato dall'autore alla fine dell'ultimo capitolo, quando dice: “Lo chiamarono Obed. Egli fu il padre d'Isai, padre di Davide”; egli intendeva ricordare questi fatti riguardanti gli antenati del grande re d'Israele. Le genealogie hanno la loro importanza per gli scrittori biblici, specialmente questa della linea Abramo‑Giacobbe-Giuda‑Davide, al fondo della quale si trova Gesù Cristo. Appunto perciò Matteo e Luca la riproducono al principio dei loro Vangeli; poiché essa fu in tutti i tempi una genealogia piena di promesse, sulla quale riposava la parola di Dio ad Abramo: “Tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua discendenza” (Ge 21:18). “Nella storia d'Israele questa genealogia è come un filo d’oro, non sempre visibile, ma che, dove appare, addita la direzione verso la quale si svolgono gli eventi, il punto dal quale sorgerà Colui che darà un significato a tutti i travagli del popolo anche nei secoli più oscuri e tormentosi, quali furono quelli dell'epoca dei Giudici” (V. Vinay). Questa genealogia accenna sempre al re profetato da Giacobbe nella sua benedizione su Giuda: “Lo scettro non sarà rimosso da Giuda” (Ge 49:10). Essa è una proclamazione dell'Evangelo, perché si chiude con le parole dell'angelo Gabriele alla Vergine Maria: “Ecco, tu concepirai e partorirai un figlio e gli porrai nome Gesù. Questi sarà grande, e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo, e il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre. Egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà mai fine” (Lu 1:31-33). Per questa ragione il libro di Rut ha il suo posto nella Bibbia: non per esaltare Davide ed i suoi antenati, ma per ravvivare la speranza nel suo Figlio, promesso ad Israele. Nello stesso modo dobbiamo intendere le parole che le donne dicevano a Naomi per congratularsi della nascita di Obed: “Benedetto il Signore, il quale non ha permesso che oggi ti mancasse uno con il diritto di riscatto! Il suo nome sia celebrato in Israele! Egli consolerà l'anima tua e sarà il sostegno della tua vecchiaia...” (4:14,15). Le donne non pensavano che al benessere dell'amica ed alla prosperità della sua famiglia: ma la Bibbia addita, più lontano, un altro più lieto Natale, in Betlemme. Certo, Obed fu un consolatore per la nonna già tanto provata, ed un continuatore o meglio “riscattatore, redentore” (così dice l’originale ebraico: go’el) di quella famiglia che si spegneva; ma lo fu in modo molto imperfetto. La sua consolazione doveva essere per poco tempo. La sua redenzione si limitava a prolungare la sua discendenza, ed il suo nome poteva essere celebrato in Israele tutt'al più per alcune generazioni, per un riflesso della gloria dì Davide. Ma in questa prospettiva messianica Obed (= Servo del Signore”) è un testimone del vero Redentore e consolatore di Israele, Gesù Cristo, il cui nome sarà celebrato nella Chiesa, per tutte le età.

         Collocazione del Libro

Il Libro di Rut è posto dopo i Giudici nella LXX, e anche nell’enumerazione fatta da Flavio Giuseppe, nella Vulgata e nelle traduzioni moderne. Nella Bibbia ebraica si trovava tra gli Agiografi o Megillot, che erano letti nelle feste principali, e Rut serviva per la festa della Pentecoste, in quanto descriveva la mietitura.

         Nota sul Levirato (diritto di riscatto)

    Per quel che si riferisce al diritto di riscatto, vi era una legge in Israele secondo la quale un Israelita che avesse venduto la sua proprietà (non il fondo che era inalienabile, ma soltanto ne avesse ceduto l’usufrutto fino all'anno del giubileo) aveva sempre il diritto di riscattarla mediante una somma di denaro (cfr. Le 25:25-27). Se non era in grado di farlo lui, poteva subentrare nel suo diritto il parente più prossimo. Ora, Elimelec e Naomi, partendo per Moab dovevano certamente aver “venduto” i loro campi. Perciò la vedova, ritornata a Betlemme, cercava naturalmente qualcuno che li riscattasse per poterli nuovamente coltivare. Naomi pensava anche di poter maritare la sua nuora. Infatti, secondo un'altra legge in Israele, quando una donna rimaneva vedova senza figli, un fratello del marito doveva sposarla, ed il primo figlio nato da tale matrimonio, doveva succedere al fratello defunto e portarne il nome, affinché la sua famiglia non si estinguesse (cfr. De 25:5-6). L'uso deve poi aver esteso questa prescrizione ai parenti prossimi ed averla messa in relazione col riscatto delle terre. Ciò spiega la speranza di Naomi e la richiesta che Boaz fece al suo parente, che prima di lui doveva far valere tale diritto. Quanto a quest’ultimo, rinunciando al suo diritto “si tolse la scarpa” e la diede a Boaz. Era un uso antico per indicare la cessione di un possesso. Infatti quando uno s’impadroniva di un paese ne calpestava il suolo coi piedi. Gettare il sandalo su un territorio voleva dire impossessarsene; e dare il sandalo o la scarpa ad un altro, indicava rinunzia di un possesso a suo favore (V.Vinay).
    Quanto al fatto di togliersi la scarpa, l’autore dice che quella era un’antica usanza in Israele (4:7), evidentemente non più praticata all’epoca in cui egli scriveva. Ciò fa pensare ad una datazione piuttosto tarda per il Libro di Rut.


            Note esegetiche

1 Naomi aveva un parente di suo marito, uomo potente e ricco, della famiglia di Elimelec, che si chiamava Boaz.

        Qui entra nella storia un uomo importante, Boaz, “potente e ricco”, parente di Elimelec, il defunto marito di Naomi. I termini ebraici ‘is gibbor hayil significano letteralmente “uomo potente e valoroso”, o “virtuoso”. Confrontare con 3:11, dove il termine hayil è riferito a Rut e tradotto con “virtuosa”.

2 Rut, la Moabita, disse a Naomi: “Lasciami andare nei campi a spigolare dietro a colui agli occhi del quale avrò trovato grazia”. E lei le rispose: “Va’, figlia mia”.

       L’autore ci mostra chiaramente che Dio sta guidando gli eventi (Provvidenza), perché Rut, che ormai è sotto il patto pur essendo moabita (cfr. 1:16), si aspetta grazia.
       Il capitolo precedente si era chiuso con l’osservazione che le due donne erano giunte a Betlemme quando si cominciava a mietere l’orzo. E’ interessante notare che “il mese della mietitura dell’orzo” era il nome che veniva dato all’epoca di Salomone al nostro mese di aprile. Ciò è testimoniato dal cosiddetto Calendario di Ghezer, una delle prime iscrizioni in caratteri paleoebraici, oggi custodito nel Museo di Istanbul.

3 Rut andò e si mise a spigolare in un campo dietro ai mietitori; e per caso si trovò nella parte di terra appartenente a Boaz, che era della famiglia di Elimelec.

       Non conoscendo il posto, Rut decide di seguire le altre donne nei campi dove si stava mietendo, dove gli uomini mietevano l’orzo con le falci e le donne formavano i covoni. Secondo le usanze, tutto quello che rimaneva per terra era a disposizione delle spigolatrici e quindi Rut lo poteva raccogliere. La spigolatura era permessa si poveri. La legge ripetutamente lo afferma: “Quando mieterete la raccolta della vostra terra, non mieterai fino all'ultimo angolo il tuo campo, e non raccoglierai ciò che resta da spigolare della tua raccolta...“ (Le 19:9); ed ancora, in De 24:19 sg. leggiamo: “Se, mietendo il tuo campo, vi avrai dimenticato qualche covone, non tornerai indietro a prenderlo; sarà per lo straniero, per l'orfano e per la vedova, affinché il Signore, il tuo Dio, ti benedica in tutta l'opera delle tue mani... E ti ricorderai che sei stato schiavo nei paese d'Egitto; perciò ti ordino di fare così”.
Nel nostro testo è detto che la striscia di terreno su cui Rut si era messa a spigolare era per caso di proprietà di Boaz. L’espressione “per caso” connota l’azione di Rut come non derivante da una sua deliberata scelta. Evidentemente l’autore vuole sottolineare il concetto dell’intervento divino in tutta la vicenda.

4 Ed ecco che Boaz giunse da Betlemme, e disse ai mietitori: “Il Signore sia con voi!”. E quelli gli risposero: “Il Signore ti benedica!”.

      Il lavoro era già iniziato prima che Boaz arrivasse, perché sul posto c’era un servo che dirigeva le operazioni. Il bel saluto di Boaz ai mietitori: “Il Signore sia con voi” e la risposta di questi a lui: “Il Signore ti benedica”, rientrava nell’uso (cfr. Sl 129: 8).

5 Poi Boaz disse al suo servo incaricato di sorvegliare i mietitori: “Di chi è questa fanciulla?”.
6 Il servo incaricato di sorvegliare i mietitori rispose: “E’ una fanciulla moabita; quella che è tornata con Naomi dalle campagne di Moab.
7 Lei ci ha detto: “Vi prego, lasciatemi spigolare e raccogliere le spighe cadute dai mannelli, dietro ai mietitori". E' venuta ed è rimasta in piedi da stamattina fino ad ora; soltanto adesso si è seduta nella casa per un po’ ”.

Di chi è questa fanciulla?” indica che, in quella società tribale, ogni donna doveva appartenere a qualcuno. Essendo straniera, Rut aveva prudentemente chiesto il permesso di spigolare, e il servo glielo aveva concesso. Infatti molti cercavano di sottrarsi alle prescrizioni, o perlomeno non permettevano che i poveri venissero a spigolare, finché non fossero stati portati via i covoni.

8 Allora Boaz disse a Rut: “Ascolta, figlia mia; non andare a spigolare in un altro campo; e non allontanarti da qui, ma rimani con le mie serve;
9 guarda qual è il campo che si miete, e va’ dietro a loro. Ho ordinato ai miei servi che non ti tocchino; e quando avrai sete, andrai a bere dai vasi l’acqua che i servi avranno attinta”.
10 Allora Rut si gettò giù, prostrandosi con la faccia a terra, e gli disse: “Come mai ho trovato grazia agli occhi tuoi, così che tu presti attenzione a me che sono una straniera?”.

        Avendo accettato la testimonianza del servo, Boaz si rivolge direttamente a Rut invitandola a rimanere nei suoi campi e promettendole speciale protezione. Evidentemente ella non poteva pretendere di essere sempre rispettata, né di bere liberamente l’acqua, che spesso scarseggiava. La generosità (grazia), di Boaz fa una grande impressione su Rut, che ringrazia con profonda umiltà.

11 Boaz le rispose: “Mi è stato riferito tutto quello che hai fatto per tua suocera dopo la morte di tuo marito, e come hai abbandonato tuo padre, tua madre e il tuo paese natìo, per venire a un popolo che prima non conoscevi:
12 Il Signore ti dia il contraccambio di quel che hai fatto, e la tua ricompensa sia piena da parte del Signore, del Dio d’Israele, sotto le cui ali sei venuta a rifugiarti!”.

        Il comportamento di Rut nei confronti della suocera Naomi era arrivato alle orecchie di Boaz, che ne dà testimonianza. Il motivo per cui Rut, a differenza della cognata Orpa, aveva seguito la suocera a Betlemme, non era stato soltanto l'affetto, ma anche, e forse soprattutto, la fede nel Dio Vivente, che aveva conosciuto per mezzo della testimonianza di lei in famiglia: “Il tuo Dio sarà il mio Dio” (cfr. 1:16). Ed ora Boaz chiede che Dio la ricompensi (le dia il contraccambio), per il suo comportamento. (In Mt 10:42 Gesù promette un premio a chi dà anche solo un bicchiere di acqua fresca).
       E’ notevole la metafora del Dio d’Israele paragonato ad una chioccia sotto le cui ali Rut si è venuta a rifugiare (cfr. Mt 23:37). Quando un uccello apre le sue ali sui piccoli, il nemico non può nemmeno vederli; quanto più il Signore è pronto a difendere coloro che confidano in Lui!

13 Lei gli disse: “Possa io trovare grazia agli occhi tuoi, o mio signore! Poiché tu m’hai consolata, e hai parlato al cuore della tua serva, sebbene io non sia neppure come una delle tue serve”.

       Rut ripete il concetto di ricevere grazia (cfr. v. 10), questa volta però con la speranza di riceverne ancora.

14 Poi al momento del pasto, Boaz le disse: “Vieni qua, mangia del pane, e intingi il tuo boccone nell’aceto”. E lei si mise seduta accanto ai mietitori. Boaz le porse del grano arrostito, e lei ne mangiò, si saziò, e ne mise da parte gli avanzi.
15 Poi si alzò per tornare a spigolare, e Boaz diede quest’ordine ai suoi servi: “Lasciatela spigolare anche fra i mannelli, e non offendetela!
16 Strappate anche, per lei, delle spighe dai covoni; e lasciatele lì perché le raccolga, e non la sgridate!”.

        Rut conserva una parte del pasto, pane e orzo arrostito, per portarlo a Naomi. Questo atteggiamento può aver indotto Boaz a dire ai servi di aumentare la quantità d’orzo che ella avrebbe potuto raccogliere.

17 Così lei spigolò nel campo fino alla sera; batté quello che aveva raccolto, e ne ricavò circa un efa d’orzo.
18 Se lo caricò addosso, entrò in città, e sua suocera vide ciò che aveva spigolato; e Rut tirò fuori quello che le era rimasto del cibo dopo essersi saziata, e glielo diede.

         Chi spigolava in un giorno di lavoro sotto il sole non raccoglieva poi molto, ma Rut, dopo aver battuto quello che aveva raccolto, ne ricavò circa un efa. L’efa è una misura di capacità che corrisponde circa a 35 litri; trattandosi di orzo, possiamo considerare che un efa equivalga a circa 22 Kg. Una bella quantità, sufficiente a sfamare Naomi e Rut per parecchie settimane!

19 La suocera le chiese: “Dove hai spigolato oggi? Dove hai lavorato? Benedetto colui che ti ha fatto una così buona accoglienza!”. E Rut disse alla suocera presso chi aveva lavorato, e aggiunse: “L’uomo, presso il quale ho lavorato oggi, si chiama Boaz”.
20 E Naomi disse a sua nuora: “Sia egli benedetto dal Signore, perché non ha rinunciato di mostrare ai vivi la bontà che ebbe verso i morti!”. E aggiunse: “Quest’uomo è nostro parente stretto; è di quelli che hanno su di noi il diritto di riscatto”.

       C’è il dialogo tra la stupefatta Naomi e la stanca Rut. Alla domanda della suocera, Rut rivela che ha lavorato nel campo di Boaz. E allora Naomi si rende conto che è proprio Dio che sta guidando gli eventi, perché Boaz è quello che ha su di loro il diritto di riscatto. Dalle parole di Naomi si può intendere che Boaz nel passato si era comportato generosamente con Elimelec e i suoi figli. La parola ebraica per indicare chi ha il diritto di riscattare, cioè di esercitare l’azione del levirato, è go’el. Nel capitolo 4 c’è il racconto dettagliato di quest’atto che sarà compiuto proprio da Boaz.

21 E Rut, la Moabita, disse: “Mi ha anche detto: “Rimani con i miei servi, finché abbiano finito tutta la mia mietitura”.
22 E Naomi disse a Rut sua nuora: “E’ bene, figlia mia, che tu vada con le sue serve e non ti faccia sorprendere in un altro campo”.
23 Lei rimase dunque con le serve di Boaz, a spigolare, fino alla conclusione della mietitura dell’orzo e del frumento. E abitava con sua suocera.

         Rut tornò dunque a spigolare nel campo di Boaz fino alla fine della mietitura (alcuni giorni). Se questo lavoro le fruttò come il primo giorno, è facile concludere che quanto alle necessità materiali, il problema delle due donne si poteva considerare risolto.
         Il “frumento” citato nel testo non è il nostro grano, che gli antichi non conoscevano, ma il “farro” (triticum dicoccum). Oltre che per la preparazione del pane, il farro e l’orzo servivano anche per la preparazione di zuppe. Si ricorda il ritrovamento a Saqqara (Egitto) in una antica tomba di un intero pasto funerario che tra l’altro comprendeva una sorta di farinata d’orzo. Testi egizi documentano inoltre la consuetudine di servire cereali tostati e frantumati. Va inoltre ricordato il grande uso di cereali fermentati per la preparazione della birra, che era indubbiamente la bevanda più comune ed apprezzata nell’antichità.


         Spunti per la predicazione

1. La gentilezza e la testimonianza pratica nei rapporti personali

         E’ notevole considerare che questa storia, ambientata al tempo dei Giudici, contrasti con le abitudini di allora. Era quello un periodo di crudeltà e di sopraffazioni, che ben si riassume con la frase conclusiva dell’omonimo Libro, dove è detto che la gente viveva senza autorità né regole, e “ognuno faceva quello che gli pareva meglio”. La vicenda di Naomi e di Rut (suocera e nuora, su cui le barzellette si sprecano), ci insegna invece come sia possibile avere delle relazioni personali in cui si cerca il bene dell’altro, si esercita la comprensione, si porge l’aiuto, si forniscono consigli, si accettano sacrifici, non si rimprovera mai. L’autore ci narra gli avvenimenti che interessano direttamente Naomi, ponendo l’accento sulle sue tristi condizioni, dato che ormai è senza mezzi di sussistenza e senza speranza per il futuro. Ma pure in queste precarie condizioni, la sua fiducia in Dio non era venuta meno. Di Rut e del suo attaccamento alla suocera abbiamo parlato prima. Si dice spesso che i fatti contano assai più delle parole. Naomi e Rut sono esempi di comportamento e di testimonianza per tutti noi. (Addirittura il nome Naomi è simbolico: significa “soave, graziosa”).

         2. La Provvidenza Divina

         E’ interessante notare che il termine “Provvidenza” con il significato corrente nel pensiero cristiano (cioè di cura che Dio ha per i suoi), non si trova né nell’Antico né nel Nuovo Testamento. (Si può fare un parallelo con la parola “Trinità”, termine teologico che non si trova nella Bibbia, mentre ne è presente il concetto sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento). Quanto alla “Provvidenza”, senza far uso dello specifico termine teologico, l’Antico Testamento conosce assai bene la fede nella guida divina del popolo d’Israele. I Salmisti lodano il Signore che dà al suo popolo il cibo, la protezione, e tutti i beni materiali e spirituali: “Ecco, l’occhio del Signore è su quelli che lo temono, su quelli che sperano nella sua benevolenza” (Sl 33:18); “I leoncelli soffrono penuria e fame, ma nessun bene manca a quelli che cercano il Signore” (Sl 34:10); “Trova la tua gioia nel Signore, ed Egli appagherà i desideri del tuo cuore. Riponi la tua sorte nel Signore; confida in Lui, ed Egli agirà: Sta’ in silenzio davanti al Signore, e aspettalo” (Sl 37:4,5,7); “Cantate al Signore inni di lode, salmeggiate con la cetra al nostro Dio, che copre il cielo di nuvole, prepara la pioggia per la terra e fa germogliare l’erba sui monti. Il Signore si compiace di quelli che lo temono, di quelli che sperano nella sua bontà” (Sl 147: 7,8,11). In nessun caso, fa notare B. Corsani (Diz. Bibl. Claud.), questi pensieri costituiscono una riflessione teorica: sono invece in relazione alla conoscenza e alla lode del Signore, alla fiducia in Dio che rimane fedele al suo patto e alla sua parola, alla esortazione a rimanere fedeli al patto anche da parte di Israele.
Nel Nuovo Testamento il pensiero della Provvidenza costituisce un corollario dell’insegnamento sulla elezione e sulla grazia, e porta all’esortazione ad aver fiducia nel Padre Celeste. Notiamo i seguenti passi caratteristici.
         Gesù dice ai discepoli: “Non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete…. Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre… Il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più” (Mt 6:25-33).
         A Pietro, che si vantava di averlo seguito lasciando ogni cosa, Gesù risponde: “In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo, il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi…” (Mr 10:29,30).

Si potrebbe paragonare la Provvidenza di Dio verso di noi con il termine grazia, che abbiamo trovato ripetute volte nel capitolo 2 di Rut. Consideriamo al riguardo il seguente famosissimo passo dell’Apostolo Paolo: “Perché io non avessi a insuperbirmi per l’eccellenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne [probabilmente un’infermità fisica molto dolorosa], un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi perché io non insuperbisca. Tre volte ho pregato il Signore perché l’allontanasse da me; ed Egli mi ha detto: “La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza” (2 Co 12:7-9).
La grazia si può quindi intendere come il continuo e benefico intervento di Dio in tutto il corso della nostra vita, specialmente nei momenti più difficili.

La grazia di Dio comincia ad operare molto presto per coloro che Egli ha “scelto” (gli “eletti). Dice Paolo: “Dio, che mi aveva prescelto fin dal seno di mia madre e mi aveva chiamato mediante la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio Suo perché io lo annunziassi fra gli stranieri” (Ga 1:15,16).

E’ bello pensare che il Signore, l’Onnipotente creatore dell’Universo, un giorno lontano si è interessato di noi, e ora con la sua Divina Provvidenza, continua ad occuparsi della nostra vita: “Non temere, perché ti ho chiamato per nome; non temere, perché Io sono con te” (Is 43:1,5).
Consideriamo per esempio la parabola della pecora smarrita, in cui ciascuno di noi potrebbe riconoscersi (Lu 15:1-7): il Buon Pastore l’ha cercata, l’ha trovata, e ora, nella sua grazia provvidenziale , dopo essersela caricata sulle spalle, la sta portando a Casa!

                                                                                 Davide Valente

  


            Alcuni libri consultati

V. Vinay, Piccolo Manuale Biblico, v.1, Claudiana.
T. Longo, I Libri storici dell’Antico Testamento, Claudiana.
AA.VV:,Dizionario Biblico, Claudiana.
AA.VV., Nuovo Dizionario Biblico, Napoli.
J. G. Baldwin, Commentario Biblico, v.1, Modena.
Introd. e note del rabbino A. Ravenna su Rut, dalla Bibbia Concordata.
Introduzioni e note su Rut dalla Bibbia di Gerusalemme.
J. W. Reed, Investigare le Scritture, A.T., Casa della Bibbia.


(*) L’Ing. Davide Valente, esperto di archeologia biblica, è deceduto il 24 febbraio 2009.