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14 febbraio 2011

           Matteo 5:21-37
         Gesù interpreta la Legge 

                                                      Riflessione di Aldo Palladino

Il testo biblico (versione Nuova Riveduta)
21 «Voi avete udito che fu detto agli antichi: "Non uccidere: chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale"; 22 ma io vi dico: chiunque si adira contro suo fratello sarà sottoposto al tribunale; e chi avrà detto a suo fratello: "Raca" sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli avrà detto: "Pazzo!" sarà condannato alla geenna del fuoco. 23 Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, 24 lascia lì la tua offerta davanti all'altare, e va' prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta. 25 Fa' presto amichevole accordo con il tuo avversario mentre sei ancora per via con lui, affinché il tuo avversario non ti consegni in mano al giudice e il giudice in mano alle guardie, e tu non venga messo in prigione. 26 Io ti dico in verità che di là non uscirai, finché tu non abbia pagato l'ultimo centesimo.

27 «Voi avete udito che fu detto: "Non commettere adulterio". 28 Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. 29 Se dunque il tuo occhio destro ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via da te; poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che vada nella geenna tutto il tuo corpo. 30 E se la tua mano destra ti fa cadere in peccato, tagliala e gettala via da te; poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che vada nella geenna tutto il tuo corpo.
31 Fu detto: "Chiunque ripudia sua moglie le dia l'atto di ripudio". 32 Ma io vi dico: chiunque manda via sua moglie, salvo che per motivo di fornicazione, la fa diventare adultera e chiunque sposa colei che è mandata via commette adulterio.

33 «Avete anche udito che fu detto agli antichi: "Non giurare il falso; da' al Signore quello che gli hai promesso con giuramento". 34 Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio; 35 né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran Re. 36 Non giurare neppure per il tuo capo, poiché tu non puoi far diventare un solo capello bianco o nero. 37 Ma il vostro parlare sia: "Sì, sì; no, no"; poiché il di più viene dal maligno.

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Nota introduttiva
Questo brano del Sermone sul monte è la pericope introduttiva dell'interpretazione della Legge di Mosè. Essa viene presentata con la forma delle antitesi (in totale 6 antitesi nella sezione dei vv. 21-48), che si presentano con le parole "voi avete udito che fu detto… ma io vi dico".
L'insegnamento di Gesù si discosta da quello degli scribi e dei farisei, perché non è finalizzato a promuovere una religiosità fine a se stessa né alla mera osservanza di un ritualismo religioso che si esprime con riti, cerimonie, liturgie esteriori che non toccano il cuore dell'uomo. Gli scribi e i farisei avevano ridotto la Legge a un elenco di prescrizioni, precetti, divieti, per cui l'osservanza della Legge era un obbligo formale senza alcun vero rapporto con Dio. Erano "religiosi" all'apparenza, ma la loro vita era lontana da Dio.
Il discorso della montagna che Gesù fa ai suoi discepoli e alle folle che lo ascoltavano va alla radice del problema dell'inosservanza della Legge: l'uomo è peccatore e come tale non potrà mai adempiere quella Legge. Il peccato, infatti, è "la violazione della legge". Come, dunque, potrà l'uomo fare la volontà di Dio? Lo potrà fare in Cristo Gesù e solo attraverso Cristo Gesù, che è il vero Uomo (oltre che vero Dio), l'unico a poter osservare la Legge in ogni suo punto, rispettandone persino la più piccola lettera dell'alfabeto , lo iota (jod) (Mt. 5:18-19). Gesù afferma: "Io non sono venuto per abolire la legge o i profeti ma per portare a compimento» (v.17). L'enfasi posta su "Io…" ci fa capire che è Lui colui che porta a compimento, che va oltre la legge mosaica, e rende la legge un precettore, un pedagogo che conduce a Lui, a Cristo per essere giustificati per fede (Gal.3:24). Il Signore Gesù Cristo resta dunque il supremo esempio e modello da imitare.
La sua vita e le sue opere sono segnali che ci indirizzano su un nuovo sentiero e costituiscono per tutti e per ciascuno una proposta di cambiamento di nuovi rapporti verso Dio e il prossimo all'insegna dell'amore, dell'agape.

Non uccidere
Nel Decalogo, la parola di Dio afferma il divieto di usare violenza verso il proprio simile togliendogli la vita (Es.20:13; Deut. 5:17). L'assassinio fisico è un atto disumano. Ma Gesù va oltre il giudizio sulla violenza fisica e completa la Legge estendendo il giudizio a tutte quelle forme di violenza verbale che nascono nel cuore dell'uomo e che sono peccato agli occhi di Dio. Tutte le volte che verso l'altro usiamo parole dure, espressioni e modi di essere che tendono a sminuire la sua dignità, a mancargli di rispetto, a manifestare atteggiamenti di superiorità, non facciamo che manifestare una forma di violenza che "uccide" l'altro.
La storia è piena di eventi che sono nati con delle parole, dei giudizi sull'altro ( persona, gruppo sociale, popolo) e che sono diventati ideologia e infine, come un ruscello che diventa fiume in piena, atti di violenza e di sterminio. La Shoah ne è una dimostrazione. Ma anche i pregiudizi verso Rom, zingari, marocchini, omosessuali, testimoni di Geova dimostrano che l'uomo si crea sempre un nemico da eliminare, perché non ha ancora maturato che l'altro siamo noi stessi, che l'altro è un nostro fratello NON da eliminare ma da aiutare. Dio ama tutta l'umanità e a tutti ha fatto dono del suo Figlio Cristo Gesù.
Dunque, è vietato uccidere, ma non ci è permesso odiare, offendere, ferire, disprezzare coloro che Dio ama. Possiamo non essere d'accordo con il modo di vivere di altri, anche quello che giudichiamo riprovevole, ma non dobbiamo mai nutrire sentimenti ostili né usare violenza verso di loro.

Non commettere adulterio
Dopo aver messo in evidenza le radici dell'agire umano verso il prossimo, Gesù dà un'altra sua interpretazione della Legge soffermandosi, nel nostro testo, su due importanti comandamenti del Decalogo, il settimo, che condanna l'adulterio, e il decimo, che giudica la concupiscenza di ciò che appartiene al prossimo.
Adulterio è un termine che deriva dal latino "ad alterum ire", andare da un altro. Esso presuppone la rottura di un patto fondato sulla fedeltà e si realizza con rapporti sessuali
al di fuori del matrimonio o di un rapporto d'amore.
Il significato di adulterio può anche non avere riferimento alla sfera sessuale ed essere esteso a quella di qualsiasi relazione in cui si viene meno ad un impegno preso o a una parola data. Gesù, infatti, parla del cuore, dell'occhio, della mano destra, come immagini iperboliche che rimandano a peccati al di fuori della sfera sessuale per sottolinearne la pericolosità.
La passione, la concupiscenza, la cupidigia sono un istinto che trascina l'uomo al peccato. L'apostolo Paolo denuncia questa tendenza del cuore dell'uomo (Rom. 6:12; Ef. 2:3; 2 Tim. 3.6; Tito 3:3).
Il percorso verso il peccato è svelato e Gesù ne descrive l'origine. Anche l'apostolo Giovanni mise in guardia i credenti verso la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita (1 Giov. 2:16).

Il ripudio
Bisogna leggere questi versetti (31-32) considerando la cultura maschilista dell'epoca che considerava la donna come l'"oggetto" debole della relazione uomo-donna.
La Legge disciplinava il caso in cui l'uomo poteva ripudiare, mandar via, la propria donna (Deut. 25:1-4), ma i casi presentati non spiegano la complessa realtà dei conflitti all'interno di una relazione di coppia. L'interpretazione dei passi riporta al principio di base cui Gesù fa riferimento e che consiste nell'avere una condotta corretta, leale, pura, fedele, rispettosa dell'altro in ogni tipo di relazione e soprattutto nell'ambito del matrimonio. Quando il matrimonio è infangato da "pornèia", da comportamenti che si traducono in prostituzione, impudicizia, fornicazione, immoralità, indecenza, oscenità e licenziosità, ci possono essere i motivi legittimi per chiudere una relazione. All'epoca, Gesù aveva permesso questo a difesa della posizione della donna, evitando tutte quelle forme di violenza, come la lapidazione, presenti allora come oggi verso le donne.
Ai nostri giorni il fenomeno delle separazioni ha assunto un livello inaccettabile. Il loro numero cresce costantemente ed evidenzia un disagio di questa generazione nella gestione dei rapporti tra coppie. Ma l'analisi è sempre la stessa: "Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni" (Mt. 15:19).

Il giuramento
Pratica diffusa tra tutti i popoli, il giuramento era diffuso anche tra i giudei.
Nell'Antico Testamento grandi uomini di Dio hanno richiesto o espresso un giuramento: Abramo (Gen. 24:2-3), Giacobbe (Gen. 50:5), Giuseppe (Gen. 50:25), Davide (I Sam. 20:3), Gionatan (I Sam. 20:17,42). Dunque, pare che si possa dire che nel nostro testo Gesù non vieta il giuramento, ma ne condanna un uso scorretto. L'abitudine diffusa è che i Giudei invocassero Dio in tutti i loro affari mondani, come una sorta di una più alta garanzia nei patti col prossimo. Gli scribi e i farisei amavano giurare in modo superficiale (Mt. 23:16-22) e Gesù inveisce contro di loro. Gesù ci richiama all'esigenza di un'assoluta verità. Le nostre parole e le nostre azioni devono essere suggellate con un "si" e/o un "no" molto chiaro, forte e credibile, secondo un principio di assunzione di responsabilità e di verità, evitando ogni forma di ipocrisia e di falsità.
La radicalità del discorso di Gesù ci sprona, dunque, a manifestare la verità nei rapporti umani.

                                                                                  Aldo Palladino


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