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13 luglio 2010

Atti 5, 1-11

Anania e Saffira

 

Breve riflessione di Aldo Palladino

 

Il testo biblico

1 Ma un uomo di nome Anania, con Saffira sua moglie, vendette una proprietà, 2 e tenne per sé parte del prezzo, essendone consapevole anche la moglie; e, un'altra parte, la consegnò, deponendola ai piedi degli apostoli. 3 Ma Pietro disse: «Anania, perché Satana ha così riempito il tuo cuore da farti mentire allo Spirito Santo e trattenere parte del prezzo del podere? 4 Se questo non si vendeva, non restava tuo? E una volta venduto, il ricavato non era a tua disposizione? Perché ti sei messo in cuore questa cosa? Tu non hai mentito agli uomini ma a Dio». 5 Anania, udendo queste parole, cadde e spirò. E un gran timore prese tutti quelli che udirono queste cose. 6 I giovani, alzatisi, ne avvolsero il corpo e, portatolo fuori, lo seppellirono.7 Circa tre ore dopo, sua moglie, non sapendo ciò che era accaduto, entrò. 8 E Pietro, rivolgendosi a lei: «Dimmi», le disse, «avete venduto il podere per tanto?» Ed ella rispose: «Sì, per tanto». 9 Allora Pietro le disse: «Perché vi siete accordati a tentare lo Spirito del Signore? Ecco, i piedi di quelli che hanno seppellito tuo marito sono alla porta e porteranno via anche te». 10 Ed ella in quell'istante cadde ai suoi piedi e spirò. I giovani, entrati, la trovarono morta; e, portatala via, la seppellirono accanto a suo marito. 11 Allora un gran timore venne su tutta la chiesa e su tutti quelli che udivano queste cose.

 

 

Fede calcolata e fede autentica

L'episodio di Anania e Saffira ci lascia sconcertati, perché Anania muore di colpo quando viene accusato di aver "mentito" allo Spirito Santo, avendo nascosto e tenuto per sé parte del ricavato della vendita di un terreno destinato a incremetare il fondo della comunità per l'aiuto ai bisognosi (1-3).

Similmente muore, circa tre ore dopo (7), la moglie Saffira, colpevole di avere "tentato" lo Spirito del Signore (9), condividendo con suo marito la scelta di riservarsi una somma di denaro per se stessi.

Nel fare questo hanno certamente pensato di trovare rifugio e sicurezza in un gruzzolo di denaro, piuttosto che nell'aiuto di Dio, della comunità e degli apostoli. Non potevano fare a meno di aderire alla comunione dei beni, perché Barnaba e tanti altri lo avevano fatto, ma al tempo stesso forse non avevano grande fiducia in quella forma di comunione cristiana. È pensabile che la loro fede si nutrisse di imitazione, di immagine e di esteriorità. Credere, partecipare, ma per fare bella figura e per non essere del tutto tagliati fuori dal contesto comunitario. Una fede calcolata, razionale, che non è slancio autentico d'amore che risponde all'abbraccio del nostro Signore.

Non c'è da stupirsi. Il sentimento di Anania e Saffira è radicato nell'animo umano. Noi tutti siamo come loro tutte le volte che mettiamo una maschera per gli altri e un'altra dentro le mura domestiche. Per non parlare di tutti i nostri bei discorsi in pubblico, che nel privato diventano altro. È la storia dell'incoerenza dell'uomo che è zavorra che impedisce di farci spiccare il volo verso una vita libera, matura, autenticamente responsabile e di piena solidarietà in una comunità di fratelli e sorelle che si svuotano (κένωσις,kénosis) dinanzi all'azione salvifica della grazia di nostro Signore.

Anania e Saffira erano morti prima della morte del loro corpo? C'era stata una vera conversione nella loro vita o quello che hanno fatto è solo un atto dell'umana debolezza? Noi non possiamo scrutare i loro cuori. Possiamo però  applicare questa domanda alla nostra vita personale e ognuno di noi potrà rispondere per se stesso, in tutta coscienza.

A che punto siamo nel nostro rapporto col Signore e di conseguenza col nostro prossimo?

 

                                                        Aldo Palladino

 

12 luglio 2010

 

Salmo 38

La supplica del malato


Breve riflessione di Aldo Palladino







Il testo biblico
1 O Signore, non rimproverarmi nella tua ira,
non punirmi nel tuo furore!
2 Poiché le tue frecce mi hanno trafitto
e la tua mano è scesa su di me.
3 Non c'è nulla d'intatto nel mio corpo a causa della tua ira;
non c'è requie per le mie ossa a causa del mio peccato.
4 Poiché le mie iniquità sorpassano il mio capo;
sono come un grave carico, troppo pesante per me.
5 Le mie piaghe sono fetide e purulente
per la mia follia.
6 Sono curvo e abbattuto,
triste vado in giro tutto il giorno.
7 I miei fianchi sono infiammati,
e non v'è nulla d'intatto nel mio corpo.
8 Sono sfinito e depresso;
ruggisco per il fremito del mio cuore.
9 Signore, ti sta davanti ogni mio desiderio,
i miei gemiti non ti sono nascosti.
10 Il mio cuore palpita, la mia forza mi lascia;
anche la luce dei miei occhi m'è venuta meno.
11 Amici e compagni stanno lontani dalla mia piaga,
i miei stessi parenti si fermano a distanza.
12 Tende lacci chi desidera la mia morte,
dice cose cattive chi mi augura del male,
e medita inganni tutto il giorno.
13 Ma io mi comporto come un sordo che non ode,
come un muto che non apre bocca.
14 Sono come un uomo che non ascolta,
nella cui bocca non ci sono parole per replicare.
15 In te spero, o Signore;
tu risponderai, o Signore, Dio mio!
16 Io ho detto: «Non si rallegrino di me;
e quando il mio piede vacilla, non s'innalzino superbi contro di me».
17 Perché io sto per cadere,
il mio dolore è sempre davanti a me.
18 Io confesso il mio peccato,
sono angosciato per la mia colpa.
19 Ma quelli che senza motivo mi sono nemici sono forti,
quelli che m'odiano a torto si sono moltiplicati.
20 Anche quelli che mi rendono male per bene
sono miei avversari,
perché seguo il bene.
21
 O Signore, non abbandonarmi;
Dio mio, non allontanarti da me;
22
 affrèttati in mio aiuto,
o Signore, mia salvezza!

oooOooo

Il lebbroso                                                                                                            
Il malato che prega con le parole di questo salmo molto probabilmente era un lebbroso. La lebbra, si sa, era una malattia che in oriente comportava l’allontanamento dal contesto sociale. I vangeli ci dicono che il lebbroso viveva ai margini dei villaggi e aveva l’obbligo di segnalare la sua presenza a chi stava per avvicinarsi. Dunque, il lebbroso era un uomo che sentiva il peso della solitudine e dell’abbandono, perché espulso dalla società civile. In più, per la distorta mentalità corrente, che considerava la malattia e la sofferenza come la retribuzione e il giudizio di Dio su uno stato di peccato personale (teoria della retribuzione), il malato sentiva l’ostilità e l’inimicizia del mondo circostante e lo sdegno di Dio contro di lui.                                                                                                     Così si giustificano le parole di questo salmo: “Le tue frecce mi hanno trafitto, su di me si è abbattuto la tua mano. Non c’è nulla d’intatto nel mio corpo a causa della tua ira; non c’è requie per le mie ossa a causa del mio peccato…Le mie piaghe son fetide e purulente per la mia ferita (peccatrice)" (2-5).                                                                               
                       
                     


Dall’esterno all’interno                                                                                   
Quando incontra la malattia, l’uomo trasferisce nell’interiorità la sua sofferenza. Negazione o rifiuto della malattia, rabbia, accettazione della stessa malattia, depressione, rassegnazione, supplica, sono le fasi dell’umana reazione di fronte al male che ha aggredito il corpo. Anche il nostro salmista non si sottrae a tali meccanismi. Questa è la ragione per cui alla fine dei suoi lamenti e ragionamenti non gli rimane che confessare il suo peccato e invocare l’aiuto di Dio: “In te spero, o Signore; tu risponderai, o Signore, Dio mio!…O Signore, non abbandonarmi; Dio mio, non allontanarti da me; affrettati in mio aiuto, o Signore, mia salvezza!” (15, 21-22).
Non aspettiamo che sia una malattia a indurci a invocare il soccorso di Dio!
                                                                                                                                 Aldo Palladino