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25 giugno 2007


Giovanni 2, 1-11
Gesù tramuta l'acqua in vino

                                                                            di Aldo Palladino

Il testo biblico

1 Tre giorni dopo, ci fu un matrimonio in Cana di Galilea, e la madre di Gesù era là. 2 Anche Gesù fu invitato con i suoi discepoli al matrimonio. 3 Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». 4 Gesù le disse: «Che c'è fra me e te, o donna? L'ora mia non è ancora venuta». 5 Sua madre disse ai servitori: «Fate tutto quel che vi dirà». 6 C'erano là sei recipienti di pietra, del tipo adoperato per la purificazione dei Giudei, i quali contenevano ciascuno due o tre misure. 7 Gesù disse loro: «Riempite d'acqua i recipienti». Ed essi li riempirono fino all'orlo. 8 Poi disse loro: «Adesso attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. 9 Quando il maestro di tavola ebbe assaggiato l'acqua che era diventata vino (egli non ne conosceva la provenienza, ma la sapevano bene i servitori che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo e gli disse: 10 «Ognuno serve prima il vino buono; e quando si è bevuto abbondantemente, il meno buono; tu, invece, hai tenuto il vino buono fino ad ora».
11 Gesù fece questo primo dei suoi segni miracolosi in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui.
 
Tre giorni dopo l'incontro con Natanaele, al quale Gesù aveva detto: "Tu vedrai cose maggiori di queste" (1, 50), l'evangelista Giovanni ci fornisce la testimonianza di un fatto che egli stesso cataloga come il " primo dei suoi segni miracolosi" (11), il primo dei  35 segni miracolosi (seméia) di Gesù riferiti nei Vangeli ( per il secondo segno vedasi 4, 54).
 
Il simbolismo del vino buono di Gesù
Per comprendere in profondità il gesto di Gesù occorre avere conoscenza della simbologia del vino, che può arricchire con nuovi significati tutto l'episodio.
Il vino, nella vita quotidiana del popolo d'Israele, costituiva il nutrimento della terra che "rallegra il cuore dell'uomo" (Salmo 104,15; Giudici 9,13). Esso era utile a rafforzare l'amicizia, a festeggiare l'amore, a rallegrare la convivialità (Giobbe 1,18) e in generale a celebrare momenti di felicità della vita umana.
Nella vita cultuale, invece, rappresentava l'offerta di libagione per i sacrifici (Esodo 29,40; Numeri 15, 5.10) e costituiva una delle primizie da offrire ai sacerdoti (insieme al frumento, l'olio e la tosatura delle pecore) (Numeri 18, 12; Deuteronomio 18,4).
Nella predicazione dei profeti, l'assenza di vino era segno di giudizio, mentre la sua abbondanza era segno di benedizione o di approvazione (Amos 9,14; Osea 2,24; Geremia 31,12; Isaia 25,6; Gioele 2,19; Zaccaria 9,17).
Dunque, si può comprendere come la mancanza di vino nella festa di nozze a Cana sarebbe stato vissuto come un atto di scortesia per tutti i convitati e, al limite, come presagio di giudizio da parte di Dio. E Gesù mai avrebbe voluto che due giovani innamorati, nel giorno inaugurale della loro vita coniugale, avessero vissuto male questo inizio. Anche se la sua ora non era ancora venuta (4), la sua presenza carica di speranza messianica, ridondante pace e serenità, non si sarebbe potuta conciliare con una caduta di gioia e di felicità durante la festa di nozze. È per questo che egli interviene e ordina che fossero riempite d'acqua le sei giare di pietra "del tipo adoperato per la purificazione dei Giudei". Di pietra perché, a differenza della terracotta, la pietra era repellente alle impurità.
Il lavoro frenetico dei servi, che ubbidiscono prontamente a Gesù, accumulano nelle giare circa seicento litri d'acqua che, man mano che viene servita a tavola con dei recipienti, diventa vino prelibato, eccellente, tanto che il maestro di cerimonia chiama lo sposo per complimentarsi con lui non solo per la qualità del vino, ma anche per la strategia di averlo tirato fuori in un quel preciso momento del banchetto.
 

Gesù, il vero Sposo del banchetto nuziale

Questo brano può essere segnalato per il messaggio che l'evangelista Giovanni raccoglie attraverso tutti gli elementi della narrazione, dagli oggetti alle persone ivi presenti, dalle parole alle azioni dei singoli personaggi, Gesù compreso.
Le sei giare di pietra senza acqua rappresentano l'imperfezione del giudaismo,    una religione senza più vita e ormai alla fine della sua funzione. La legge ridotta al rispetto formale delle norme cultuali, delle prescrizioni sacrificali, ormai consacrati in una tradizione stanca, non esprime più la vita di Dio né una spiritualità capace di creare un rapporto intimo con Dio. È necessario immettere nuova vita, nuovo zelo, infondere una gioia più intensa nella comunità giudaica e in tutta l'umanità, che solo un vino nuovo e genuino può dare. Questo vino, buono e bello (dal greco kàlos), che non può essere contenuto in otri vecchi per la forza prorompente dalla sua vivacità ed effervescenza (Mt. 9,17), è raffigurato dal Vangelo di Gesù Cristo, dalla nuova alleanza. Questo vino nuovo è il fondamento della nuova relazione dello Sposo per la sua Sposa.
Il profeta Osea ci aveva parlato dell'amore di Dio per la sua sposa infedele, che riconduce a sé in una nuova relazione di fedeltà e di amore: "Perciò, ecco, l'attrarrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Di là le darò le sue vigne e la valle di Acor come porta di speranza; là mi risponderà come ai giorni della sua gioventù... Io ti fidanzerò a me per l'eternità; ti fidanzerò a me in giustizia e in equità, in benevolenza e in compassioni. Ti fidanzerò a me in fedeltà, e tu conoscerai il Signore" (Osea 2, 14-15.19-20).
E il profeta Isaia (25,6) ci aveva preannunciato il giorno in cui il Signore avrebbe preparato un banchetto per tutti i popoli con cibi succulenti e vini raffinati.
 

Il vino della  Cena del Signore

Per la felicità della Sua Sposa, Gesù dona non un vino qualsiasi, ma il suo vino, frutto di un ministero d'amore, contrassegnato dalla sua divinità e dalla sua umanità. Il vino della Santa Cena si delinea sullo sfondo della narrazione  e prefigura la missione del servo dell'Eterno. Egli raccoglie le speranze dell'antica alleanza e le realizza col dono della sua vita per l'intera umanità. " In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia" (Ef. 1,7).

Un segno di cambiamento
Gesù tramuta l'acqua in vino. Fino a quel momento nessuno aveva mai visto una cosa simile. Si, c'è nel lontano passato l'acqua dell'Egitto diventata sangue (Esodo 7,14-25), un giudizio divino verso l'ostinato faraone.
Qui Gesù compie un gesto con cui reca benedizione a tutti e manifesta la sua gloria.
Il cambiamento non è solo nell'acqua che diventa vino. 
Il cambiamento è in Maria, che di fronte alla parola di Gesù: "L'ora mia non è ancora venuta" (4) esce di scena, si mette da parte dicendo ai servitori: "Fate tutto quello che vi dirà" (5). 
Ma cambiano i servitori, che in quel momento vedono Gesù come il nuovo Signore (Padrone), e da Lui prendono ordini in totale ubbidienza. 
Cambia il maestro di cerimonia, che accresce il suo stupore per la novità del vino più buono apparso sulle tavole. 
Cambiano i discepoli, che da quel momento credono al Signore. 
Tutti gli invitati cambiano, perché diventano la Sposa del Signore, per l'eternità, oggetti dell'amore di Dio in Cristo.
Di fronte a tanto, anche noi, moderni destinatari di una non comune testimonianza evangelica, iniziamo dentro di noi quel cammino di fede, che nasce dalla rimozione della nostra incredulità. Noi stessi, come tutti gli invitati alla festa di nozze, siamo cambiati. Gesù è lì ad annunciare il passaggio dall'antica alleanza al nuovo patto fondato su questo vino nuovo immesso nell'umanità. Egli è la chiave di svolta di questo cambiamento. Tutti sono chiamati a credere in Cristo e ad accogliere la salvezza e la vita nuova.
 
Palladino Aldo

11 giugno 2007


Vangelo di Giovanni 8, 12-19

La luce di Cristo illumina tutti

 

3 settembre 2005, ore 21,00

Chiesa cattolica "S. Massimo", Via dei Mille, 28   – Torino –

 

Predicatore: Aldo Palladino

 

 

Il testo biblico 

12. Gesù parlò loro di nuovo, dicendo: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita».13. Allora i farisei gli dissero: «Tu testimoni di te stesso; la tua testimonianza non è vera». 14. Gesù rispose loro: «Anche se io testimonio di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove son venuto e dove vado; ma voi non sapete da dove io vengo né dove vado. 15. Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. 16. Anche se giudico, il mio giudizio è veritiero, perché non sono solo, ma sono io con il Padre che mi ha mandato. 17. D'altronde nella vostra legge è scritto che la testimonianza di due uomini è vera. 18. Or sono io a testimoniare di me stesso, e anche il Padre che mi ha mandato testimonia di me». 19. Essi perciò gli dissero: «Dov'è tuo Padre?» Gesù rispose: «Voi non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio».

 

Contesto

Il testo biblico appena letto è collocato, nelle nostre traduzioni, tra l'episodio della "donna adultera" ( omesso in antichi manoscritti e da altre versioni, e ignorato pare anche dai Padri greci) e una serie di dichiarazioni  autoreferenziali che Gesù fa ai farisei (v.13) e a molti Giudei (vv. 22, 30) presenti nel tempio (v. 20), in un contesto, cioè, in cui Gesù evidenzia che tutti gli essere umani sono peccatori e che sono ciechi (Gesù disse, infatti, " chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei" (Gv. 8, 7).

La presenza del peccato e la cecità spirituale dell'uomo sono le tenebre che Gesù è venuto a rimuovere con la sua luce.

 

Origine dell'espressione "luce del mondo"

Gesù si rivela come luce del mondo e promette a chi lo segue la luce della vita.

Si ha ragione di collegare questa parola di rivelazione con la festa dei Tabernacoli e di pensare alla luminaria che si faceva per l'occasione nell'atrio delle donne del tempio di Gerusalemme. I lampadari sopravvanzavano le mura di cinta del tempio e dovevano diffondere la luce su tutta Gerusalemme. "Non v'era cortile in Gerusalemme   che non fosse illuminato dalla luce del luogo in cui si attingeva l'acqua" (Sukka 5,3b). Allora si faceva una grande festa. "I devoti e gli uomini d'azione danzavano con fiaccole in pugno e dicevano davanti ad esse parole di canti di lode". I Leviti con cetre, arpe e cimbali stavano sui quindici gradini che dall'atrio d'Israele, scendevano all'atrio delle donne e accompagnavano i canti.

C'è nell'evangelista una reminiscenza di questo giubilo nella gioia di Abramo, che secondo la tradizione giudaica era considerato il fondatore della festa dei Tabernacoli.

 

Ma Gesù è più della luce della festa notturna che illumina e rallegra tutta Gerusalemme; Egli è la luce del mondo. L'orizzonte giudaico è superato. Gesù è venuto nel mondo a portare all'intera umanità luce e vita.

Fin dal principio il Logos era la luce degli uomini (Gv. 1,4), ma con la sua venuta storica (incarnazione) diventa tale in modo unico e speciale.

Gli uomini che odono la sua rivelazione sono chiamati a credere in lui e a diventare "figli della luce" (Gv. 12,36).

 

Chi è la luce?

La luce che Gesù propone non è una filosofia, non è un sistema di idee astratte, di  convinzioni religiose teoriche, non è un credo localizzato nel nostro cervello razionale. Gesù Cristo è luce, è una persona, una persona molto speciale e concreta che entra in relazione con noi attraverso l'autorità, l'autorevolezza della sua parola, con la potenza dei suoi atti.

I Vangeli sono la grande testimonianza del suo cammino tra gli uomini.

Pieno di grazia e di verità, umile, compassionevole, solidale con i bisognosi, portatore e costruttore della pace, giusto, uomo di preghiera, Figlio ubbidiente fino alla morte della croce, autore di una salvezza eterna, Gesù ha la risposta alle molte domande dell'uomo di ieri e di oggi, perché ha simpatizzato con noi come uomo nelle nostre debolezze.

 

Gesù è la risposta

Gesù è la risposta ai nostri profondi interrogativi; egli è la luce che sgombra le ombre tenebrose della nostra odierna società: ombre del dubbio, dell'incredulità e dell'indifferenza, dell'egoismo, "delle guerre conosciute e di quelle dimenticate,   delle violenze e dei conflitti di vario genere, del terrorismo integralista, dell'attacco ideologico al matrimonio e alla famiglia, alla stessa vita umana, dell'oscuramento della coscienza morale, della perdita della capacità di amare fedelmente e costantemente, della perdita del senso del peccato che denota la perdita del senso di Dio, di un agnosticismo che non lascia spazio alla religione e diventa peggio dell'ateismo, mentre d'altra parte proliferano le ombre nefaste o le manifestazioni di una religiosità settaria e fanatica, anche di tipo fondamentalista".

 

Attualizzazione

Di fronte ad un quadro del genere credo che gli obiettivi delle Chiese Cristiane d'Europa, prima ancora di realizzare un'unità visibile, per la quale si sta lavorando da molti anni, siano tre:

 

1) il primo obiettivo riguarda ciascuna chiesa cristiana. Si tratta di:

riprendere la via dell'evangelizzazione, perché c'è bisogno di conversione o, come disse Gesù a Nicodemo di "nascere di nuovo, d'acqua e di spirito" (Gv. 3,3.5) ovvero, come disse l'apostolo Paolo, di essere delle nuove creature in Cristo (2 Cor. 5,17).

C'è la necessità di incoraggiare sempre di più la lettura e lo studio della Bibbia nelle famiglie per permettere la diffusione delle radici cristiane nel tessuto sociale, per rifondare il vissuto cristiano a partire dalla conoscenza diretta della Scrittura.

C'è la necessità di ricercare una spiritualità che realizzi un vero incontro col Signore Gesù Cristo, l'unico incontro che possa parlare alle nostre coscienze del nostro stato di peccato e della necessità del suo perdono, della sua misericordia, della sua grazia.

Dalla luce di Cristo nella nostra vita e nella sua sequela nasce   uno stile di vita nuovo, fatto di impegno e di consacrazione nella Chiesa e nella società.

 

C'è la necessità di imparare alla scuola del Signore l'accoglienza e l'ascolto dell'altro, credente o non credente, perché la luce di Cristo è per tutti e i nostri pregiudizi e le nostre immagini preconcette dell'altro non devono costituire un impedimento alla diffusione, alla propagazione di quella luce.

C'è la necessità di diventare credibili come cristiani con l'esempio, con la coerenza della nostra vita,   con la nostra condotta amorevole e caritatevole.

 

Gesù ha detto: "Io sono la luce del mondo", ma ha aggiunto: "chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita".

Seguire Gesù significa ascoltare, nella fede e nell'obbedienza, la voce del Rivelatore, come pecore che riconoscono soltanto la voce del pastore, che non conoscono la voce degli estranei (Gv. 10,4.5.27) o le molte voci che si vogliono sostituire o sovrapporre a quella del nostro unico Pastore, Gesù Cristo.

Seguire Gesù significa diventare suoi discepoli.

Camminare nelle tenebre significa cadere nella sfera della morte. L'uomo che cammina nelle tenebre, senza la luce della rivelazione salvifica, non ha né una meta né una direzione, "non sa dove va" (Gv. 12,35) e in questa lontananza da Dio è abbandonato senza speranza al suo destino mortale.

 

 

       2)  il secondo obiettivo si riferisce alle relazioni tra le chiese cristiane e, in pratica,   si tratta di :

riconoscersi chiese sorelle di pari dignità e valore dinanzi al Signore , che è l'unico Capo della Chiesa, traducendo questo riconoscimento nell'accogliersi alla Cena del Signore, all'Eucarestia, riaffermando che  il patrimonio comune delle chiese è quello che l'apostolo Paolo ricorda agli Efesini (4, 4-6): "Vi è un corpo solo e un solo Spirito, come pure siete stati chiamati ad una sola speranza, quella della vostra vocazione. Vi è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo , un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, fra tutti e in tutti".  

 

     Lo stesso apostolo Paolo, inoltre, esorta a "sforzarci di conservare l'unità dello Spirito con il vincolo della pace" (Ef. 4,3).

     Cosa significa questo? Significa che tutti i cristiani, che lo si voglia o no, hanno già un'unità spirituale, quella che Cristo ha realizzato per noi alla croce imputando la sua giustizia a noi e costituendo come figli di Dio coloro che Lo accettano come Signore e Salvatore.

     L'unità spirituale, dunque, c'è ed è insegnata nella Scrittura, ma noi facciamo fatica a riconoscerla.

 

      Gesù comunicò ai suoi discepoli l'intenzione di edificare ciò che definiva "la mia chiesa" (Mt. 16,18-23).

      Egli garantisce la sua presenza "dove due o tre sono radunati nel suo nome" (Mt. 18,20).

   "Gesù è il capo della chiesa (Ef. 5,23), che ha amato dando se stesso per lei, per santificarla dopo averla purificata        

   lavandola con l'acqua della parola per farla comparire davanti a sé gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri

   simili difetti, ma santa e irreprensibile"(Ef. 5,25-27).

 

 

 

     3)  il terzo obiettivo riguarda l'atteggiamento delle chiese cristiane verso la società. Si tratta in pratica di:

riconoscere che nella società c'è un laicismo genuino e interessante, che ha voglia di lavorare per la pace, la giustizia e la libertà, per la dignità umana e per l'inestimabile valore di ogni essere umano, per i poveri, per i più deboli e per gli emarginati della terra, per la salvaguardia del creato. Con un tale laicismo, anche non appartenente ad una confessione religiosa, occorre stabilire un dialogo proficuo e una collaborazione finalizzata a progetti che rendano un servizio utile all'uomo e alla società.

     Enzo Bianchi, su La Stampa di qualche giorno fa (27 agosto 2005), in un articolo dal titolo "Quando i laici sono un'opportunità per la fede cristiana"  precisava che esistono laici senza fede capaci di elaborare e assumere un'etica in virtù del principio che ogni uomo è immagine di Dio e quindi capace di discernere il bene ed il male. A tali persone non si può chiedere più di quello che non hanno.

     I cristiani devono sapere in ogni caso che la sfida che hanno davanti sta nell'incontro e nel dialogo con chi credente non è per cui è bene prepararsi affinché il confronto sia sempre senza paura e senza aggressività per trovare soluzioni positive per il bene e lo sviluppo sociale, soprattutto sul piano etico.

     La qualità e lo stile umile del comportamento cristiano sarà la testimonianza    vivente che Cristo vive in noi e che la sua luce orienta e nobilita le nostre scelte etiche e spirituali.

 

     Dunque, a chi si unisce  a Lui in un cammino di fede, speranza e carità, Gesù promette la luce della vita cioè la sfera divina della luce (1 Gv. 1,7) che rende possibile la vera vita, la partecipazione all'eterna vita di Dio.

     La sua promessa non è per un lontano futuro, bensì per un futuro immediato e che mai avrà fine.

     Amen. 

                                                                                                   Aldo Palladino